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L’AMBASCIATORE STEFANINI: “LA PACE TRA RUSSIA E UCRAINA? SI PUO’ FARE SOLO CON LA CINA”

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

“IL ROVESCIAMENTO DI PUTIN? E’ POSSIBILE”

L’ambasciatore Stefano Stefanini, già consigliere diplomatico del presidente Napolitano e rappresentante italiano alla Nato, dice oggi in un’intervista a Il Messaggero che per una pace tra Russia e Ucraina serve la Cina.
«Il G7 è il fulcro dell’appoggio occidentale a Kiev e di fronte a un’escalation è bene che ci si parli. Ma ai fini di una trattativa è monco, non ha presa su Mosca», premette Stefanini riferendosi al vertice con Zelensky convocato per oggi alle 14.
«Per una trattativa internazionale e il negoziato devono essere i paesi che la Russia sente vicini o neutrali a fare pressione. Quello che conta più di tutti è la Cina. Il 16 ottobre si aprirà il Congresso che incoronerà Xi Jinping vita natural durante. E speriamo che la seconda potenza mondiale si rimetta a fare politica estera».
Il rovesciamento di Putin
L’ambasciatore dice che «sul campo di battaglia gli ucraini mantengono l’iniziativa. Putin ha in mente di fermarli, guadagnare tempo, e dopo l’inverno buttare sul fronte tutte le risorse che sarà riuscito a mettere insieme. La mobilitazione non gli servirà, cosa possono fare coscritti mandati alla guerra controvoglia? Putin vuole premere sull’Occidente, specie sull’Europa, al fine di sgretolarne il sostegno all’Ucraina. Le bollette saliranno, avremo il razionamento…».
Per la feluca sul nucleare «il rischio c’è, se consideriamo le minacce avventate e irresponsabili che sono state fatte. Nella crisi di Cuba del 1962, nessuno ebbe il coraggio di pronunciare la parola con la “N”.
La logica dice che l’uso dell’arma tattica nucleare avrebbe effetti limitati a beneficio della Russia. I messaggi di dissuasione sono arrivati forti e chiari. È quindi possibile ritenere che non si arrivi a oltrepassare una soglia che sarebbe tragica per le conseguenze militari e politiche».
Infine, sulla possibilità che Putin venga rovesciato: «Non lo sapremo prima che succeda. Magari una notte succederà, e la sera prima non l’avremo saputo. Se qualcuno ha in mente di fare un golpe, ci riuscirà solo se nessuno lo avrà saputo prima. Ma Putin ha creato un sistema di pretoriani solidissimo».
(da agenzie)

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GIORGIA MELONI PENSA A GIORGETTI DELLA LEGA PER IL MINISTERO DELL’ECONOMIA MA IL CAPITONE NON VUOLE UNA POSTAZIONE COSÌ IMPORTANTE A UN SUO RIVALE INTERNO

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

LA MELONI VUOLE LA PRESIDENZA DEL SENATO (DOVE I NUMERI DELLA MAGGIORANZA SONO MENO CERTI) PER FRATELLI D’ITALIA… L’UNICO POSTICINO CHE SALVINI ACCETTEREBBE E’ QUELLO DA VICEPREMIER CON ASSIEME A UNA DELEGA COME AGRICOLTURA O INFRASTRUTTURE

Un’intesa entro giovedì mattina. Non soltanto sulle presidenze delle Camere, ma anche sul governo. Altrimenti in Aula sarà il Vietnam. Altrimenti Ignazio La Russa rischia di non essere eletto alla guida di Palazzo Madama. La minaccia è stata recapitata a Giorgia Meloni da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. E ha aggiunto un nuovo giorno all’elenco di quelli finiti con un nulla di fatto.
E dire che la futura premier aveva in mente tutt’ altro schema. Contatta gli emissari del Carroccio e del Cavaliere, propone una politica dei piccoli passi: «Da qualche parte dobbiamo pur iniziare, proviamo a mettere un punto fermo e a chiudere sulle presidenze». Salvini, però, non ci sta. Propone in alternativa Roberto Calderoli. Chiede un accordo complessivo sul governo. Senza, «non potremo sostenere La Russa». E Berlusconi, offeso dal veto su Licia Ronzulli, lo spalleggia: «Noi non accetteremo veti».
A due giorni dalla prima seduta delle Camere, insomma, il centrodestra resta in alto mare. A Salvini non piace nulla del progetto di Meloni. Contesta ad esempio che il presidente del Consiglio e quello del Senato provengano dallo stesso partito, anche se da Fratelli d’Italia gli ricordano che è già accaduto con Berlusconi e Marcello Pera nel 2001, poi con Renato Schifani nel 2008. Niente da fare, il segretario del Carroccio continua a bloccare ogni accordo.
Rlancia Calderoli, ma è pronto ad accettare la guida di Montecitorio per Riccardo Molinari. A patto, però, che la leader ceda sulla squadra di governo. Se non dovesse accadere, minaccia sfaceli in Aula. A Palazzo Madama, d’altra parte, il regolamento parla chiaro: per la prima (ed eventualmente per la seconda) votazione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti, dalla terza serve quella semplice dei presenti, alla quarta scatta il ballottaggio tra i due più votati.
Se la contesa non si risolvesse in tempo, si rischierebbe una contra fratricida nella maggioranza. E Calderoli, raccontano esponenti qualificati della Lega, godrebbe del sostegno trasversale di senatori di Pd e 5Stelle.
Difficile che si arrivi a tanto. Significherebbe azzoppare la legislatura durante il suo primo atto. Ma Meloni, sul Senato, resta irremovibile: «Non lo cedo». È pronta invece a cedere qualcosa su altri fronti, ad esempio alla Lega il ministero dell’Economia, promuovendo Giancarlo Giorgetti. Salvini, però, è contrario. Non ha voglia di garantire una postazione così importante a un suo rivale interno.
La vive come una provocazione. A meno che la prossima presidente non gli assicuri il ruolo di vicepremier, assieme a una delega minore come Agricoltura o Infrastrutture.
Alchimie che tengono in stallo il nuovo governo. L’Economia resta il fronte più caldo. Meloni tenterà fino alla fine di convincere Fabio Panetta, anche se pesa qualche dubbio sull’opportunità di perdere un rappresentante nella Bce. Le alternative rimangono Domenico Siniscalco e Dario Scannapieco
Quest’ ultimo però avrebbe fatto sapere di non essere interessato. E ci sarebbero dubbi sull’idea di sostituirlo al vertice di Cdp in un momento chiave per l’acquisizione della Rete unica da Tim. Sullo sfondo, con minori chance, la sagoma di Gaetano Micciché, manager di Banca Intesa.Poi c’è la grana FI: non si affievolisce la resistenza di Meloni contro il nome di Licia Ronzulli. Per lei, Berlusconi pretende un ministero di primo piano, come Salute o Istruzione.
Vive il “no” come un affronto personale. Al momento manca anche un piano B per la senatrice, ovvero un incarico meno prestigioso quale il Turismo o le Pari opportunità. Nel frattempo, essendo fuori dal risiko delle presidenze delle Camere, Forza Italia ha buttato sul tavolo anche la carta Elisabetta Casellati per la Giustizia.
Poche certezze: agli Esteri è destinato Antonio Tajani (si è tirata fuori Elisabetta Belloni). Al Viminale restano alte le chance del prefetto Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini. Per Adolfo Urso, anche lui FdI, si profila la Difesa.
(da la Repubblica)

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CON IL NO DI PANETTA E SCANNAPIECO, PER IL TESORO BALLA ANCHE IL NOME DI MAURIZIO LEO, RESPONSABILE ECONOMICO DI FRATELLI D’ITALIA

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

UN CANDIDATO “DEBOLE” CHE VERREBBE SOSTENUTO DALLA MACCHINA DEL MINISTERO

A qualcuno pare quasi una prudenza preventiva, uno zelo non richiesto che sa un po’ di imbarazzo. “Ma guardate che uno come Maurizio Leo avrebbe tutti i titoli per fare il ministro dell’Economia”. Giovanbattista Fazzolari lo va ripetendo da giorni, ormai. Lo dice ai giornalisti curiosi, lo spiega a manager ansiosi di sapere.
Non che si abbia qualcosa contro Leo, uomo stimato ed esperto. Il punto è che nel rattrappirsi delle aspettative, in quel negare risolutamente grandi speranze e grandi velleità a lungo coltivate, c’è un po’ il senso di un mezzo fallimento. E non sorprende che ci sia chi, nella Lega, non perda l’occasione di infierire. “Perché se partiamo con Fabio Panetta, e arriviamo a Leo, insomma, non è un grande inizio”.
E mano a mano che il casting si impantanava, si scendeva di girone in girone verso ipotesi sempre più fumose, sempre più improbabili. E dunque, ecco la tentazione finale […] dell’uomo fidato. […]
Aggiungendo, poi, che l’efficienza della struttura verrebbe garantita dalla continuità ai vertici dei dipartimenti principali: Alessandro Rivera al Tesoro, Biagio Mazzotta alla Ragioneria generale, ovviamente Carmine Di Nuzzo al Pnrr. […] prima di accettare di dovere esaltare le doti di Leo, cosa che pure farebbe, si spende per cercare altre soluzioni. L’ultima, è quella di Luigi Federico Signorini, direttore generale di Banca d’Italia. Chissà che questa, stavolta, non sia solo una suggestione.
(da il Foglio)

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IL CAPOGRUPPO USCENTE DELLA LEGA ALLA CAMERA, RICCARDO MOLINARI, FEDELISSIMO DI SALVINI E TRA I CANDIDATI ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA, È IMPUTATO A TORINO PER MANOMISSIONE DI LISTA ELETTORALE

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

IL 24 NOVEMBRE INIZIERÀ IL DIBATTIMENTO DEL PROCESSO SULLE LISTE ELETTORALI DI MONCALIERI, IN CUI IL FEDELISSIMO DI SALVINI È IMPUTATO INSIEME A ALTRI DUE LEGHISTI, IL PARLAMENTARE ALESSANDRO MANUEL BENVENUTO E IL MILITANTE FABRIZIO BRUNO

Il capogruppo uscente della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, dovrà comparire davanti ai giudici penali di Torino il 24 novembre per rispondere del reato di aver modificato illecitamente la lista elettorale della Lega, per l’elezione del sindaco di Moncalieri. I fatti risalgono a 2020 e il rinvio a giudizio è del 2021. Ora, dopo l’udienza preliminare, inizierà il dibattimento.
Molinari è imputato, in concorso con un altro parlamentare leghista, Alessandro Manuel Benvenuto, e al militante della Lega Fabrizio Bruno, di aver manomesso la lista elettorale cancellando un nome sgradito prima che venisse depositata, ma dopo che erano state apposte le firme degli elettori.
Tecnicamente si tratta del reato previsto dall’articolo 90 del dpr 570 del 1960, ovvero di falsa formazione, alterazione o distruzione di atti destinati alle operazioni elettorali e prevede la reclusione da uno a sei anni.
IL FATTO
I fatti riguardano uno scontro interno tra Lega e Forza Italia intorno alla candidatura di Stefano Zacà, medico legale con un passato da consigliere comunale di Forza Italia e grande capacità elettorale.
In vista delle elezioni comunali a Moncalieri, i leghisti locali lo avevano convinto a candidarsi con il partito di Salvini, portando con sé il suo pacchetto di voti.
Mentre venivano raccolte le firme per il deposito della lista, però, in parlamento Molinari sarebbe stato avvicinato dal segretario regionale piemontese di Forza Italia, Paolo Zangrillo (fratello del medico personale di Silvio Berlusconi), il quale gli avrebbe chiesto di eliminare materialmente il nome di Zacà dalla lista della Lega.
Il cambio di casacca, infatti, veniva considerato uno sgarbo inaccettabile tra alleati e Molinari si sarebbe mosso per evitare l’irritazione di Zangrillo.
Per questo avrebbe disposto, «assecondando la richiesta» di Zangrillo, la «cancellazione materiale» del nome di Zacà, «tracciando un riga» e di fatto escludendolo dalla consultazione elettorale. L’atto è stato poi così depositato in comune, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio.
Il punto giuridico, però, è che la lista elettorale era già formata, con le firme raccolte tra gli elettori sui nomi indicati e Zacà presente, dunque era un atto intangibile e non avrebbe potuto essere modificato.
Zacà, infatti, ha fatto ricorso al Tar scrivendo che «i cittadini che hanno firmato la lista della Lega lo hanno fatto anche per la presenza del mio nome e la mia cancellazione da quei documenti a quello ufficiale presentato alla commissione elettorale è in contrasto con la volontà degli elettori».
Il Tar non ha accolto il ricorso, ma la decisione è poi stata ribaltata dal Consiglio di Stato, che ha ordinato alla Sottocommissione elettorale del Comune di Moncalieri di inserire Zacà nella lista elettorale.
Il caso ha creato grande polemica a Moncalieri e, su esposto dei radicali, sono scattate anche le indagini della procura, con il ritrovamento delle chat in cui i leghisti avrebbero ordito il piano per cancellare il nome e l’istigazione del falso elettorale.
La vicenda processuale è tutta ancora da scrivere: Molinari e la Lega si sono difesi sostenendo che l’esclusione di Zacà era frutto di una decisione politica che il partito poteva autonomamente assumere, Zacà – che si è costituito parte civile nel processo penale – ritiene invece che la cancellazione con un tratto di penna del suo nome sia illegale perché la lista, dopo che sono state raccolte le firme a sostegno, è immodificabile.
Tuttavia, esiste un dato politico: la grana giudiziaria di Molinari potrebbe creargli qualche imbarazzo in vista dei prossimi passaggi di nomine. Il suo nome, infatti, è in lizza per la presidenza della Camera ma anche per qualche ministero.
Giorgia Meloni, così attenta nella fase di distribuzione delle nomine, potrebbe non gradire l’ipotesi che il possibile presidente della Camera di nomina centrodestra debba poi presentarsi in tribunale per rispondere non di un reato qualsiasi, ma della manomissione di una lista elettorale.
(da agenzie)

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GIORGIA MELONI SI CREDE DRAGHI E VUOLE FARSI IL GOVERNO DA SOLA

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

IL MOTTO “PRENDERE O LASCIARE” PER UN GOVERNO DI MEZZE CALZETTE E VECCHI BOIARDI… SOLO FUMO NEGLI OCCHI: PIANTEDOSI AL VIMINALE E’ COME METTERCI SALVINI… E SE LA RONZULLI ALLA SANITA’ FA RIDERE NON SONO DA MENO I NOMI CHE GIRANO DI FDI

La premier in pectore Giorgia Meloni ha davvero deciso di farsi il governo da sola. O meglio: questa è l’arma finale per concludere lo stallo sul totoministri. E per evitare di dover dire di sì a nomi (o ruoli) sgraditi. Fermando così le pretese di Salvini e Berlusconi.
Ma mentre lei ieri arringava i suoi eletti in Parlamento, qualcun altro si innervosiva. Il Cavaliere, secondo i fedelissimi, si è chiesto se «questa signora» (ovvero proprio Meloni, ndr) «pensa di trattarmi come un rimbambito». Il Capitano invece continua con l’ossessione Viminale. Mentre sullo sfondo rimane, per ora, il primo decreto del nuovo governo. Per il quale Confindustria ha chiesto lo scostamento di bilancio. Senza per ora ricevere risposta.
Un retroscena di Repubblica conferma oggi che Meloni ha già in mente come reagire alle bizze degli alleati. Ovvero portando il suo pacchetto di ministri sul tavolo della maggioranza. E dicendo: prendere o lasciare.
Si tratta di un’ipotesi già ventilata in alcuni racconti dei giorni scorsi. Il ragionamento della nuova premier è che in questo incarico si sta giocando tutta la sua carriera politica. E quindi se comincia a cedere adesso, dovrà farlo sempre. Per questo comincia a guardare con nervosismo alla lista di nomi che gli propongono gli alleati.
Per esempio quello di Licia Ronzulli. Giudicata troppo vicina a Berlusconi per far parte del nuovo esecutivo. Mentre è in bilico anche la carica di vicepremier per Salvini. Perché creerebbe «condizioni politiche esplosive».
La leader è a caccia di un’intesa. Che nelle sue intenzioni dovrebbe arrivare giovedì mattina. Ovvero nel giorno in cui per la prima volta si riunirà il Parlamento. E prevedere anche i presidenti di Camera e Senato. Uno dei due rami del parlamento lo vorrebbe per Ignazio La Russa. Lasciando l’altro alla Lega. Che vorrebbe piazzarci Riccardo Molinari. E non Giancarlo Giorgetti, ormai caduto in disgrazia con il Capitano. Eppure lo stesso Giorgetti adesso sarebbe in corsa per il ministero dell’Economia e delle Finanze.
Anche se per via XX Settembre Meloni continua a preferire un tecnico di peso. Fabio Panetta, se ci ripensa. Oppure Dario Scannapieco o Domenico Siniscalco. Un’altra ipotesi è quella del Ragioniere Generale dello Stato Biagio Mazzotta.
Il problema Ronzulli
Poi c’è il problema Ronzulli. Per lei Berlusconi immagina un ministero di primo piano. Ma dalla parte di Fratelli d’Italia ci sono pensieri opposti. E si boccia, non si sa quanto per pretattica, anche la possibilità di un dicastero non di peso. Per questo tra Forza Italia e Fdi ora c’è maretta. Con gli azzurri che accusano il partito di Meloni di essere bulimico. E di volere tutto per sé. L’altro fronte risponde con l’offerta a Tajani di fare il ministro degli Esteri o della Difesa. La Lega invece punta a quattro ministeri. Escludendo il Viminale se fosse affidato al prefetto Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini. Il leader leghista alla fine potrebbe avere le Infrastrutture, da cui si occuperebbe indirettamente di immigrazione. Perché il dicastero è responsabile anche della tutela dei porti.
(da agenzie)

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L’ESCALATION DEI FALCHI E I MISSILI ATACMS

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

COSI’ IL RAID SULL’UCRAINA PUO’ CAMBIARE LA GUERRA PERCHE’ POTREBBE SCATENARE UNA REAZIONE INASPETTATA DEGLI USA… SE BIDEN FORNISCE ALL’UCRAINA I MISSILI CHE POSSONO COLPIRE FINO A 300 KM, LE GRANDI CITTA’ RUSSE TREMANO

Il bombardamento di Kiev e delle altre città ucraine rischia di cambiare la guerra di Vladimir Putin. La rappresaglia per il ponte di Kerch in Crimea, attuata dopo le pressioni dei falchi, è un passo verso lo scontro totale. Perché potrebbero dare nuova spinta alle richieste di Zelensky di avere sistemi missilistici più sofisticati e di armi a lungo raggio.
Come gli Atacms, Army Tactical Missile System, progettati per colpire fino a 300 km di distanza, quattro volte la gittata degli Himars, già forniti dagli Usa alle forze ucraine.
E sui quali Joe Biden potrebbe rivedere la propria posizione. Ma Washington si sta muovendo anche attraverso un canale diplomatico. Che per adesso è occupato prevalentemente dal dossier atomico. Per evitare l’Armageddon. E per gestire i prossimi mesi di guerra.
L’esultanza per le bombe in Ucraina
La «massiccia offensiva» lanciata ieri dalla Russia contro l’Ucraina ha visto attacchi alle infrastrutture e vittime civili. La scelta di rispondere così all’attentato al ponte di Crimea era ventilata da giorni ai vertici della Difesa. A spingere erano i falchi, come ha dimostrato l’esultanza di Kadyrov.
L’obiettivo di lasciare il popolo ucraino senza acqua e riscaldamento non è soltanto una risposta all’affronto di Kerch. Serve anche a gettare nel panico la società ucraina e a spingere l’Occidente a negoziare.
Anna Zafesova su La Stampa spiega che l’esultanza della parte della nomenclatura e dell’opinione pubblica più assetata di sangue riappacifica il Cremlino con i suoi sostenitori. E, soprattutto, incorona subito Sergey Surovikin, il generale della guerra in Siria, come il nuovo eroe al suo esordio nella nuova carica di comandante di tutta l’«operazione militare speciale».
Ma l’intelligence di Kiev sostiene che i missili fossero puntati già da una settimana. Ovvero da prima dell’attentato in Crimea.
Ovvero da quando i falchi chiedevano un attacco ai centri decisionali ucraini. E alle infrastrutture dell’energia. Sganciando anche una bomba nucleare tattica.
Un attacco come quello di ieri segna un cambio di strategia e una nuova fase della guerra. Il partito dei falchi ha prevalso.
E questo peggiora la situazione, perché tornare indietro è difficile, se non impossibile. «Se i tentativi di compiere attacchi terroristici continueranno, la risposta della Russia sarà dura. Le risposte saranno della stessa portata delle minacce che la Federazione Russa deve affrontare. Nessuno dovrebbe avere dubbi su questo», ha detto ieri Putin.
La risposta degli Usa
Ma proprio mentre la pioggia di missili verso le città ucraine si stava esaurendo, Zelensky era al telefono. Prima con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Poi con Macron, Truss e gli altri leader occidentali. Infine, dopo un colloquio con l’ambasciatrice Usa a Kiev Bridget Brink, è arrivata la dichiarazione di Biden. «Resteremo al fianco degli ucraini finché servirà e forniremo alle forze di Kiev il supporto necessario a difendere il loro Paese e la loro libertà», è la frase da Washington che Zelensky aspettava. Perché fino ad oggi l’amministrazione Biden si era opposta a consegnare i tanto richiesti Atacms.
Il rifiuto della Casa Bianca era stato motivato finora dalla necessità di evitare un’escalation della guerra. Mosca ha già messo in guardia di ritenerli una linea rossa che segnerebbe l’entrata della Nato in guerra. Ma ora la Casa Bianca potrebbe cambiare idea.
Anche se nel frattempo si è aperto, inaspettatamente, anche un filo di dialogo. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha confermato a La Stampa che c’è un canale di confronto aperto. Sul quale giocano due fattori. Il primo è l’arrivo dell’inverno. Che potrebbe porre in stallo la situazione militare sul campo. E quindi favorire la riapertura di un dialogo. L’altro sono le elezioni di mid-term in America. I repubblicani potrebbero vincere e mettere in difficoltà l’amministrazione. Meglio quindi muoversi prima che dopo il voto, è il ragionamento.
Intanto la Germania, presidente di turno, ha annunciato per domani una riunione del G7 in video conferenza. Alla quale interverrà anche Zelensky, che a tutti i suoi interlocutori ha ribadito la necessità di «una dura risposta europea ed internazionale, nonché di aumentare la pressione sulla Russia». Il presidente ucraino parlerà giovedì anche all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Dal quale Mosca è stata espulsa a marzo subito dopo l’invasione dell’Ucraina.
(da agenzie)

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SONO STATI LIBERATI I 98 MINATORI INTRAPPOLATI SOTTO TERRA A KRYVY RIH DOPO IL BOMBARDAMENTO RUSSO

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

A CAUSA DEL BLACKOUT ERANO RIMASTI BLOCCATI NELLA MINIERA, POCO FA SONO STATI SALVATI

Dopo i raid russi su Kryvyi Rih 98 minatori sono rimasti intrappolati sotto terra in una delle miniere di carbone della città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Sono stati liberati poco fa.
L’agenzia di stampa ucraina Ukrinform ricorda che i minatori erano rimasti intrappolati a causa del blackout seguito ai bombardamenti.
In totale, ieri erano rimasti bloccati 854 lavoratori in quattro miniere.
A parlare dei minatori intrappolati è stato ieri il capo dell’amministrazione militare dell’oblast di Dnipropetrovsk, Oleksandr Vilkul su Telegram.
L’operazione di salvataggio è andata in scena stanotte. Mosca ha lanciato ieri un massiccio attacco missilistico in tutta l’Ucraina. 18 missili sono stati lanciati contro la regione di Dnipropetrovsk.
Cinque di questi sono stati abbattuti dalle unità di difesa antiaerea ucraine. Altri tre missili sono stati lanciati contro la città di Kryvyi Rih: uno è stato abbattuto, ma due hanno colpito i bersagli.
(da agenzie)

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IL CAPO DEGLI 007 BRITANNICI: “LA RUSSIA STA ESAURENDO LE MUNIZIONI”

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

SIR FLEMING: “LE FORZE UCRAINE STANNO RIBALTANDO LA SITUAZIONE, LE FORZE RUSSE SONO ESAUSTE”

La Russia sta esaurendo le sue scorte di munizioni.
Mentre il processo decisionale del presidente Vladimir Putin si sta rivelando imperfetto.
Lo sostiene sir Jeremy Fleming, a capo della Gchq, ovvero una delle agenzie d’intelligence britanniche che si occupa di spionaggio e controspionaggio informatico.
La “profezia” di Fleming è contenuta nella sua relazione per la conferenza annuale sulla sicurezza del Royal United Services Institute ed è stata anticipata dalla Bbc.
Secondo l’esperto i costi della guerra in Ucraina per la Russia – sia in termini di persone che di attrezzature – sono sconcertanti, dato che le prime conquiste sono state annullate da Kiev.
Che sta ribaltando la situazione contro le “esauste” forze russe. «Sappiamo, e lo sanno anche i comandanti russi sul campo, che i loro rifornimenti e le loro munizioni si stanno esaurendo», riporta il testo del suo discorso pubblicato sul sito dell’emittente britannica.
Riferendosi poi a Putin, il capo dell’intelligence sottolinea che, «con poche sfide interne efficaci, il suo processo decisionale si è rivelato imperfetto. È una strategia con un’alta posta in gioco che sta portando a errori strategici di valutazione».
Fleming sostiene inoltre che il popolo russo stia iniziando a capire i problemi causati da quella guerra dello Zar: «Stanno vedendo quanto Putin abbia sbagliato a valutare la situazione», sostiene.
Sottolineando che «stanno fuggendo dalla leva, si stanno rendendo conto di non poter più viaggiare. Sanno che il loro accesso alle tecnologie moderne e alle influenze esterne sarà drasticamente limitato».
(da agenzie)

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ANCHE LA BELLONI SI TIRA FUORI DAL TOTOMINISTRI DI GIORGIA MELONI

Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile

LA PRIMA DONNA A CAPO DEL DIS RIFIUTA OGNI IPOTESI DI ASSUMERE LA CARICA DI MINISTRO DEGLI ESTERI: “FACCIO UN ALTRO LAVORO”

Il suo nome era stato tirato in ballo da Matteo Salvini e Giuseppe Conte durante i controversi giorni di trattative tra i partiti per scegliere il nuovo Presidente della Repubblica.
Poi si era parlato di lei anche per Palazzo Chigi, in caso di passaggio di Mario Draghi al Quirinale. Adesso, da alcuni giorni, la figura e la personalità politica di Elisabetta Belloni è stata tirata in ballo nel mischione che sta contraddistinguendo il totoministri di Giorgia Meloni, per prendere il posto che Luigi Di Maio lascerà vacante alla Farnesina. Ma ora è proprio lei, la prima donna a capo del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) nominata da Mario Draghi, a smentire qualsiasi coinvolgimento all’interno della prossima squadra di governo.
Intercettata da alcuni cronisti a poca distanza da Montecitorio, Elisabetta Belloni ha tentato di sottrarsi alle domande.
Perché fin dalla vittoria del centrodestra alle ultime elezioni il suo nome era stato caldeggiato per quel che riguarda la guida del Ministero degli Esteri. Ma la prima dirigente del DIS ha spento, con poche parole, queste voci lasciando libero il campo agli altri “candidati”: “No, non farò il ministro. Faccio un altro lavoro”.
Si spegne, dunque, il vociare sulla sua “promozione” alla Farnesina. Lei, in tutte queste settimane, era rimasta in silenzio. E al netto delle poche parole pronunciate davanti ai cronisiti, non ha spiegato se ci siano state delle interlocuzioni con Giorgia Meloni.
Ma questa sua presa di posizione, ora, lascia pochi margini di manovra alla prossima Presidente del Consiglio. Perché tra i papabili al Ministero degli Esteri, al netto di sorprese dell’ultim’ora, resta solamente il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani. Con quel dicastero che, dunque, avrà al vertice una carica politica e non tecnica.
(da agenzie)

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