Destra di Popolo.net

ISRAELE ESCE DALLA NEUTRALITA’: “ANCHE NOI AIUTEREMO L’UCRAINA”

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

NATURALE REAZIONE ALL’APPOGGIO DELL’IRAN ALLA RUSSIA… L’INTELLIGENCE ISRAELIANA GIA’ AL LAVORO CON GLI UCRAINI PER INTERCETTARE I DRONI DI TEHERAN

Il dado è tratto. Israele ha scelto con chi stare, tra Putin e Zelensky, e ha scelto l’Ucraina.
Che aiuterà anche militarmente. Centinaia, forse migliaia, sono i droni kamikaze iraniani Shaded 136 presenti o attesi negli arsenali della guerra di Putin.
E di questi giorni è la notizia di forniture più potenti di droni Arash-2, sempre iraniani. Gli istruttori iraniani sono stati visti sul campo, in Crimea e a Kherson, addestrare i russi e guidare i droni. Si tratta di istruttori inquadrati nelle Guardie della Rivoluzione dell’Iran. E ancora: fonti d’intelligence riferiscono di contatti costanti e visite reciproche tra vertici militari e politici a Mosca e Teheran.
Davvero troppo per Israele, che decide di schierarsi con Kiev (fra l’altro, Zelensky è ebreo), a dispetto della linea neutrale tenuta finora per l’importanza strategica dei rapporti con la Russia militarmente presente in Siria e influente sugli Ayatollah. Ma se Putin, in difficoltà con le forniture militari, si è ormai affidato alla sponda iraniana, a Gerusalemme non resta che sostenere Kiev.
La svolta in un tweet del ministro israeliano della Diaspora, Nachman Shai, dopo la rivelazione degli 007 americani al Washington Post, per cui gli iraniani stanno inviando alla Russia missili balistici con gittate di 300-700 km. «Non c’è più alcun dubbio scrive Shai su dove debba stare Israele in questo sanguinoso conflitto. È arrivato il momento che l’Ucraina riceva anche aiuti militari da Israele, come dagli Stati Uniti e dai Paesi Nato». L’intelligence israeliana starebbe già aiutando gli ucraini a intercettare i droni targati Teheran.
(da agenzie)

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PD, UN PARTITO SENZA LEADER, IN 15 ANNI HA CAMBIATO 10 SEGRETARI

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

SECONDO UN SONDAGGIO BONACCINI ED ELLY SCHLEIN I PIU’ GRADITI PER LA SEGRETERIA

Dopo le recenti elezioni del 25 settembre il Pd ha iniziato un viaggio alla ricerca di se stesso. Senza una mappa e un orizzonte ben definito, come emerge dal sondaggio condotto da Demos. D’altronde, ha ottenuto un risultato “deludente”. Il più basso nella storia del partito, ad eccezione del 2018. Anche in quell’occasione il segretario del partito, Matteo Renzi, si dimise.
L’exploit del M5S (32,7%), peraltro, aveva rivelato un clima anti-politico e anti-partitico, che sottolineava il “vizio” del Pd, agli occhi di molti elettori: troppo “istituzionalizzato”. A immagine del sistema.
Oggi, il problema si ripropone, nonostante rimanga il secondo partito. Il successo dei FdI, infatti, assume un significato analogo all’affermazione del M5S nel 2018.
Appare un voto di “rottura”, che spinge il risultato del Pd al di sotto delle attese. Tanto da indurre Enrico Letta a pre-annunciare un congresso, nei prossimi mesi. Comunicando, al tempo stesso, la propria rinuncia a ri-candidarsi.
D’altra parte, non è una novità per un partito che, in 15 anni, ha cambiato 10 segretari, di cui 2 reggenti. A partire da Veltroni “eletto” nel 2007.
A differenza delle occasioni precedenti, però, questa volta non è in discussione solo la guida del partito, ma la sua identità, il suo futuro.
Un sondaggio recente di Demos, lo dimostra. Anche se sottolinea, con chiarezza, come non sia in discussione la sua esistenza.
Infatti, solo una frazione minima dei suoi elettori (6%) ritiene che il Pd abbia “concluso il proprio percorso”. E sarebbe meglio, per questo, “scioglierlo”. Mentre la maggioranza pensa che occorra un congresso “per scegliere un nuovo leader” (40%). O, meglio ancora, che vada “rifondato, con un nuovo statuto e un nuovo nome” (46%).
Una “larga parte del partito”, dunque, considera necessario andare oltre “questo” Pd. Ma per riprendere il cammino.
Senza cancellare né rimuovere la propria storia. Al contrario. Mantenendo le proprie radici. Che affondano nell’Ulivo. O meglio, nel passaggio “dall’Ulivo dei partiti al partito dell’Ulivo”. Attraverso il “mito fondativo” delle Primarie. Come le definì Arturo Parisi, che (accanto a Prodi) ne è stato – se non il primo – uno dei primi sostenitori. (Ne scrissi anch’ io, all’epoca).
L’Ulivo. Soggetto politico a vocazione maggioritaria, destinato ad accogliere le componenti più diverse del centrosinistra. Come avvenne alle elezioni del 2006. In vista delle quali, nell’autunno del 2005, le primarie designarono Romano Prodi candidato premier dell’Unione di centrosinistra. Si trattò, allora, di una investitura.
A cui parteciparono oltre 4 milioni e 300 mila elettori. Ben oltre i confini dell’Ulivo, dunque. Una sorta di prefigurazione del “Campo largo” a cui ancora oggi fa riferimento Enrico Letta. Tuttavia, proprio per questo, una gran parte degli elettori del Pd pensa che le primarie dovrebbero essere “più aperte”. “Allargando il campo” a figure e candidati esterni al partito. Non per circoscriverne l’identità e il profilo, ma, al contrario, per aprire il Pd, in una fase nella quale appare fin troppo “definito”, cioè “confinato”. Rispetto alla società.
E, soprattutto, alle componenti che, in origine, si riconoscevano nel centrosinistra.
Una questione chiarita da Carlo Trigilia in un libro recente: “La sfida delle disuguaglianze” (Il Mulino). Che la Sinistra e il Pd stanno perdendo. Visto che, come emerge dal sondaggio di Demos, solo una frazione dei giovani (con meno di 30 anni) e, ancor meno, fra gli operai e i disoccupati, dicono di votare Pd. Poco meno di un terzo degli operai, inoltre, ha scelto i FdI. Il partito, insieme al M5S, verso cui si rivolgono maggiormente anche i disoccupati.
Per questo, di fronte alla scelta del prossimo segretario, la base del Pd guarda a soluzioni diverse e diversificate.
Anche se il Presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, risulta il “preferito”. Indicato da oltre un quarto degli elettori Pd intervistati. Dietro a lui, non per caso, incontriamo Elly Schlein (a distanza: 9% di preferenze). La sua “vice”.
A conferma delle radici. Impiantate nel “Cuore Rosso” dell’Italia, per riprendere il titolo di un saggio di Francesco Ramella (Donzelli, 2005). Tuttavia, è significativo come, intorno a loro (anzitutto, a Bonaccini), vi sia grande dispersione di nomi e leader (perfino di altri partiti. Come Giuseppe Conte e Carlo Calenda). Che ottengono una quota di preferenze molto limitate. Ma pari a Enrico Letta (comunque, auto-escluso).
Su tutti, però prevale largamente chi non ha idee, al proposito. Oltre il 40% degli elettori Pd (del campione intervistato), infatti, non indica un possibile leader. Per questo motivo appare ampia la domanda di una “Rifondazione Democratica”. Che pensi al futuro senza dimenticare la propria storia. Per questa stessa ragione, però, è facile prevedere che il viaggio del Pd alla ricerca di se stesso non sarà facile.
(da agenzie)

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LA FORZA DELLA MAMMA DI STEFANO CUCCHI CHE HA INSEGNATO A TANTI POLITICI COS’E’ LA DIGNITA’

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

SI E’ SPENTA RITA, MAMMA DI STEFANO E ILARIA… SEMPRE IN PRIMA LINEA PER CHIEDERE GIUSTIZIA, NON VENDETTA

“Ci fecero vedere il cadavere dietro una teca di vetro. E io che lo avevo partorito, per una frazione di secondo ho fatto fatica a riconoscerlo. Poi arrivò la decisione di rendere pubbliche le foto del suo corpo, all’inizio ero contraria ma se non avessimo pubblicato le foto nessuno ci avrebbe creduto. Leggevamo le cattiverie più nere”.
Questi ultimi tredici anni Rita Calore li avrebbe dovuti passare in tranquillità, godendosi i figli e i nipoti.
Passando i fine settimana in famiglia all’aria aperta, godendosi il riposo dopo anni di lavoro a spaccarsi la schiena. E invece no.
Un figlio glielo hanno ammazzato, l’altra si è dovuta sobbarcare di un fardello inumano per non far passare sotto silenzio quanto accaduto la notte del 16 ottobre 2009.
E loro, i genitori, hanno dovuto rimboccarsi le maniche e mettere la corazza per sopportare i terribili anni in cui sono stati al centro di illazioni, insulti, attacchi mediatici e (non scordiamolo) politici.
Il tutto per difendere e ottenere giustizia per quel figlio strappato alla vita da chi si riteneva al di sopra della legge.
Davide contro Golia. Questa è l’immagine che più di tutte rappresenta Rita Calore e la sua famiglia. Una famiglia che non ha fatto mai un passo indietro, nemmeno quando il peso degli attacchi si faceva odioso e insopportabile.
Se oggi sappiamo che Stefano Cucchi è morto per le botte e non per una caduta dalle scale o per un attacco di epilessia, è grazie a lei, al fatto che non si è mai risparmiata neanche una volta nel corso di questi anni. Ha dato tutta se stessa, persino la sua salute.
La mamma di Ilaria e Stefano ha cominciato a stare male nel 2019: le è stato diagnosticato un tumore, ma nemmeno questo l’ha tenuta fuori dalle aule di tribunale in cui si svolgeva il processo per la morte del figlio. Alla fine, non ce l’ha più fatta. È morta pochi mesi dopo la condanna definitiva a dodici anni di carcere per omicidio preterintenzionale dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
“Assolutamente non proviamo odio – aveva dichiarato in un’intervista – Non vogliamo vendetta. Noi lo abbiamo sempre detto dall’inizio. Vendetta e odio non fanno parte della famiglia nostra, assolutamente. Chiediamo giustizia”.
Parole che trasudano una dignità da far vergognare chi in questi anni l’ha attaccata con parole ignobili.
(da Fanpage)

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GIANFRANCO MICCICHÈ: “GIORGIA MELONI HA DECISO DI FARE FUORI BERLUSCONI”

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

“CERCHERANNO DI PRENDERSI UNO A UNO I PARLAMENTARI PER AMMAZZARLO DEFINITIVAMENTE” – “NON BISOGNA ANDARE A PIETIRE PER DELLE POLTRONE, SI DEVE DARE SOLO L’APPOGGIO ESTERNO”

«Nel giorno del suo ritorno al Senato Gianfranco Miccichè ha già lasciato il segno: è stato l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana uno dei più decisi a sfidare Giorgia Meloni non votando Ignazio La Russa, come risposta, al trattamento che, a suo dire, sta subendo Silvio Berlusconi: «Lo stanno maltrattando. Quando il presidente del Consiglio era lui, noi di Forza Italia ci arrabbiavamo perché concedeva troppo agli alleati. C’era una logica: più si sentivano valorizzati gli altri partiti, più la maggioranza era forte”.
Non sta andando così?
«Al contrario».
Cos’è che non va in quello che sta facendo Giorgia Meloni?
«È semplice: ha deciso di fare fuori Berlusconi. Lui che ha sdoganato la destra in Italia e ha inventato il centrodestra. È tremendo».
Vuole farlo fuori?
«Sta giocando a dividere Forza Italia. Lo ha fatto anche con la Lega, scegliendo Giorgetti come ministro dell’Economia. Salvini ha avuto il coraggio di reagire, dicendo che quella casella non era in carico a quelle destinate al Carroccio».
Cosa pensa del caso Ronzulli? Meloni non ha il diritto di decidere chi può stare nel governo?
«È assolutamente normale che i leader vogliano delle sentinelle dentro al Consiglio dei ministri, fu così nel caso di Marco Follini. Cosa c’è di male? E poi questa storia che Licia non sarebbe all’altezza è assurda: se ha un ruolo così importante nel partito vuol dire che è all’altezza di averlo anche nel governo».
Cosa deve fare Forza Italia? Oggi Berlusconi andrà da Meloni
«Non bisogna andare a pietire per delle poltrone».
E quindi niente governo di centrodestra?
«Noi abbiamo firmato un contratto e sarebbe sbagliato ora fare un’altra cosa. Un modo per uscirne ci sarebbe».
Che ha in mente?
«La mia idea è: diamo l’appoggio esterno al governo. A questo punto si scelga lei questi scienziati di ministri».
Finirà così?
«Non lo so, ho visto il presidente così amareggiato che non so come andrà a finire questa vicenda. Lui ha mille risorse e anche stavolta magari farà il miracolo e si troverà una soluzione, che al momento non riesco a vedere».
In che modo Meloni starebbe dividendo Forza Italia?
«Sta chiamando i dirigenti, invece del leader. Una cosa scorretta».
Il partito rischia la scissione?
«Quello che succederà è un film già visto: cercheranno di prendersi uno a uno i parlamentari per ammazzare definitivamente Berlusconi».
Teme che questo disegno si possa realizzare?
«Io spero che i miei colleghi sappiano resistere».
Cosa critica del comportamento di Fratelli d’Italia?
«La totale irriconoscenza verso Berlusconi. Io leggo spesso quello che scrive Francesco Alberoni, in particolare quando dice che l’umiltà ti fa forte. Vedo che questi non hanno le spalle sufficientemente larghe per riconoscere la grandezza di una persona così. Anzi, brindano alle sue difficoltà. Tremendo».
Lei voterà la fiducia al governo Meloni?
«La voterò».
Anche se ci dovesse essere il suo storico avversario Nello Musumeci?
«Penso farà il ministro. Ma la voterò comunque, c’è un impegno con gli elettori».
Come ha trovato Berlusconi al Senato?
«Lui ci sta male. Non lo chiamo per non scocciarlo, ma so che è così. Gli voglio bene e lo conosco».
(da La Stampa)

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FORZA ITALIA È VICINA ALLA SCISSIONE: SONO ALMENO TRE I SENATORI PRONTI A LASCIARE BERLUSCONI: LA CASELLATI, LOTITO E CLAUDIO FAZZONE

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA LAZIO È GIÀ PRONTO A PASSARE CON LA MELONI, FAZZONE CON “ITALIA VIVA” E L’EX PRESIDENTE DEL SENATO PENDE VERSO LA LEGA

Ricucitori contro barricaderi. Meloniani versus amici di Ronzulli. Sono due le anime che in queste ore si fronteggiano dentro Forza Italia. Quello che per gli storici della politica nacque come il «partito azienda» e che oggi invece si riscopre diviso. Spaccato a metà. Al punto che tre senatori potrebbero essere sul punto di lasciare, se lo scontro arrivasse alle estreme conseguenze.
Perché se tutti, tra gli azzurri, proclamano fedeltà a Silvio Berlusconi, da giorni ormai gli animi non sono ugualmente ben disposti verso la plenipotenziaria del Cavaliere, Licia Ronzulli. Un nome che continua a creare contrasti, dentro FI.
Lei, in serata, ha diffuso una nota ma i malumori restano. Secondo molti dentro Fi, un timoniere come Ronzulli potrebbe esporre la pattuglia forzista a una navigazione agitata. Un po’ come è successo alla prima prova di giovedì, quando La Russa è arrivato allo scranno più alto del Senato anche senza i voti di Forza Italia.
Dunque, figurarsi che altro potrebbe succedere nelle prossime settimane se Licia fosse lasciata a briglie sciolte. Certo, anche lei ha i suoi sostenitori. Come Alberto Barachini, che con Ronzulli andò a trattare in via della Scrofa sui posti da ministro a FI. E poi Dario Damiani, Roberto Rosso e Paolo Zangrillo. Favorevole alla linea dura anche Gianfranco Micciché.
Sull’altra sponda, dalla parte dei pontieri Maurizio Gasparri, Francesco Paolo Sisto, Stefania Craxi. Oltre a Elisabetta Casellati, unica forzista insieme a Berlusconi che al voto sulla presidenza del Senato ha scelto di partecipare. Con lei, tra i più agguerriti, il presidente della Lazio Claudio Lotito, pronto secondo i rumors a traslocare armi e bagagli in FdI. Mentre Claudio Fazzone, se tutto precipitasse, potrebbe migrare dentro Italia Viva. Più nebulosa, invece, l’eventuale destinazione dell’ex presidente del Senato, forse verso la Lega.
Frattura che inevitabilmente si ripropone anche alla Camera. Con l’ex presidente dei deputati Paolo Barelli e il coordinatore nazionale Antonio Tajani accreditati sulla tolda di comando dei ricucitori. Mentre più vicini a Ronzulli sarebbero big come Alessandro Cattaneo. E poi Giorgio Mulè, indicato in queste ore come possibile capogruppo a Montecitorio.
Una frattura che, se dal vertice di questa mattina non uscirà la pace tra Berlusconi e Meloni, c’è chi teme possa essere portata alle estreme conseguenze. È lo scenario dell’Armageddon, per FI: quello della scissione dei gruppi. Ipotesi le cui quotazioni si impennerebbero qualora il Cavaliere dovesse ripensarci e decidere per l’all-in, la salita da solo al Quirinale per le consultazioni.
Dalle prime file azzurre bollano la questione come «un tema che non esiste». Eppure tra i parlamentari si aggira lo spettro di un copione già visto. Quello del 2013. Quando il Cavaliere, all’epoca in maggioranza con il Pd nel governo delle larghe intese di Enrico Letta, fu disarcionato dal suo scranno senatoriale dalla legge Severino. E poco dopo decise di staccare la spina all’esecutivo.
Governo che però fu salvato dall’addio al partito (che allora si chiamava Popolo della libertà) della truppa di Angelino Alfano, che dette vita al Nuovo centrodestra.
(da agenzie)

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LA STRAGE DEL MOTTARONE È COLPA DELL’INCURIA DELLO STATO, LA TRAGEDIA CHE COSTÒ LA VITA A 14 PERSONE IL 23 MAGGIO 2021 POTEVA ESSERE EVITATA

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

L’UFFICIO SPECIALE TRASPORTI A IMPIANTI FISSI DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE POTEVA E DOVEVA ISPEZIONARE IN QUALSIASI MOMENTO LA FUNIVIA. I PERITI NON HANNO TROVATO TRACCIA DEL REGISTRO ANNUALE DELLA MANUTENZIONE, COSA CHE AVREBBE DOVUTO FAR SCATTARE L’ALLARME IMPONENDO ALL’USTIF UN INTERVENTO IMMEDIATO. CHE NON C’È MAI STATO

Chi controllava i controllori? La catena di omissioni denunciate dai periti che hanno lavorato sulle cause della tragedia del Mottarone fa decidere ai pm di Verbania di indagare sul perché l’Ustif di Torino (Ministero infrastrutture) non sia intervenuta prima con i suoi sparuti tre addetti per i 200 impianti di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria nonostante le gravi violazioni delle norme di manutenzione e sicurezza nella funivia.
I tecnici nominati dal Gip Annalisa Palomba (Mario Bonfioli, Antonello De Luca e Tomaso Trombetti) per l’incidente probatorio di giovedì prossimo hanno rimarcato con cruda evidenza come la tragedia che il 23 maggio 2021 costò la vita a 14 persone si sarebbe potuta evitare se non ci fosse stata una colpevole superficialità.
Probabilmente la ruggine non si sarebbe mangiata come un cancro il 68% della fune traente che si è spezzata facendo precipitare la cabina con i passeggeri, che si sarebbero comunque salvati se i freni non fossero stati esclusi con i forchettoni (causa principale dell’incidente) perché l’impianto dava noie.
La vita di una funivia con tutto ciò che accade – guasti, controlli, interventi obbligatori – va riportata quotidianamente sul «Registro-giornale» firmato dal caposervizio e dal direttore di esercizio, rispettivamente Gabriele Tadini e Enrico Perocchio, indagati con il titolare Luigi Nerini e altre 9 persone nell’inchiesta del procuratore Olimpia Bossi e del pm Laura Carrera per omicidio e lesioni colposi e rimozione di sistemi di sicurezza.
Perocchio è dipendente della Leitner incaricata della manutenzione dalle Ferrovie del Mottarone (le due società sono indagate). Libro-giornale e «Registro di controllo e manutenzione» annuale sono determinanti per «l’attività di sorveglianza» dell’Ufficio speciale trasporti a impianti fissi (ora Agenzia nazionale sicurezza ferrovie e infrastrutture stradali e autostradali).
L’Ustif, che poteva ispezionare in qualsiasi momento l’impianto, ogni anno deve ricevere il Registro dal direttore di esercizio il quale svolge un ruolo di «garanzia della collettività» per «tutelare la sicurezza dei viaggiatori e l’integrità dell’impianto». Consultando migliaia di documenti sequestrati, i periti non hanno trovato alcuna traccia dell’invio del documento. Ciò avrebbe dovuto far scattare l’allarme imponendo all’Ustif un intervento immediato al Mottarone «a carattere correttivo».
Agli atti anche questo non c’è. Si sarebbe così controllato il libro-giornale accorgendosi, ad esempio, che non erano stati annotati tanti controlli di sicurezza giornalieri e interventi di manutenzione obbligatori. Per i periti, semplicemente perché non avvenivano, come quello mensile alla testa fusa che avrebbe potuto evitare la tragedia e non sarebbe stato fatto per 5 anni. I tecnici Ustif risultano assenti, pur avendo l’obbligo di presenza, anche all’ispezione annuale alla funivia del dicembre 2o20.
(da agenzie)

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ZAYNAB DOSSO, L’ATLETA AZZURRA E GLI INSULTI IN STRADA A ROMA “MI HANNO CHIAMATA PUTTANA STRANIERA”

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

UNA DONNA LE HA URLATO DI TORNARE AL SUO PAESE MENTRE ALTRI RIDEVANO

Zaynab Dosso è una velocista azzurra che ha vinto la medaglia di bronzo nella 4×100 agli ultimi Europei.
Su Instagram ha raccontato di aver subito un’aggressione verbale a Roma da una donna che l’ha chiamata «Puttana straniera» perché lei e i suoi amici avevano rifiutato di farle l’elemosina.
La vicenda è riportata oggi da La Stampa, che pubblica lo status di Dosso su Instagram. La donna le ha anche detto «Puttana straniera, tornatene nel tuo paese», mentre chi era intorno a lei o rimaneva in silenzio oppure si metteva a ridere.
«Non mi sento tutelata. Ora come ora ho paura a uscire fuori, ma non perché qualcuno possa farmi un gesto discriminatorio ma per l’indifferenza della gente». Dosso è nata in Italia. I suoi genitori vengono dalla Costa d’Avorio.
Nel colloquio con Giulia Zonca l’atleta dice che recentemente le hanno tirato un sasso durante un trasloco: «Non per prenderci, per spaventare. Ma non ho voluto credere che fosse mirato. Ho detto a mia sorella: “Sono dei balordi , lasciamo perdere”».
Poi conclude: «Sarebbe bello che chi ha vinto le elezioni desse un segnale forte contro il razzismo. Se i beceri oggi si sentono più forti, si credono liberi di alzare la voce e restare impuniti. Serve che chi starà al governa dica forte e chiaro non è così».
(da agenzie)

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IL RESPONSABILE DELLA MOBILITAZIONE MILITARE DELLA RUSSIA IN UCRAINA E’ STATO TROVATO MORTO IMPICCATO

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

NEI GIORNI SCORSI LE MORTI ANNUNCIATE DEI RISERVISTI

Roman Malyk, responsabile della Mobilitazione militare parziale proclamata da Vladimir Putin per la guerra della Russia in Ucraina, è stato trovato morto impiccato.
L’amministrazione comunale della città di Partizank ha annunciato il suo decesso sul social network russo VKontakte la sera del 14 ottobre. Il media Meduza riporta che il corpo di Malik è stato trovato su un recinto con segni di suicidio. Il canale Telegram Mash riporta che il corpo di Malyk è stato trovato «vicino a una recinzione».
La polizia sta indagando sulla possibilità di suicidio oltre che di omicidio. Chi è vicino a Malyk, sostiene Meduza, non crede che la morte sia stata un suicidio. Malyk si occupava dei reclutamenti nella regione sudorientale del Territorio del Litorale (Primorsky Krai).
La morte di Roman Malyk
La polizia ha aperto un’inchiesta sulla morte di Malyk e si indaga anche per omicidio. Gli amici e la famiglia lo descrivono come «un uomo forte e coraggioso». Il canale Telegram dell’amministrazione comunale lo ha salutato ricordando che era conosciuto e rispettato da tutti in città per la sua onestà.
Intanto il canale americano Nbc racconta che 23 cittadini russi in fuga dalla mobilitazione parziale annunciata dal loro governo si stanno sono arrivati fino in Corea del Sud per scappare dalla chiamata alle armi. I cittadini russi hanno raggiunto su cinque barche il paese asiatico, ma solo a due di loro è stato concesso l’ingresso. I 23 avevano chiesto un visto turistico, ma è stato negato a 21 di loro perché avevano una «documentazione insufficiente» e il loro viaggio aveva obiettivi «poco chiari». All’inizio di ottobre due cittadini russi erano arrivati fino in Alaska.
Nella conferenza stampa di due giorni fa ad Astana Putin ha dichiarato che già 222 mila russi dei 300 mila previsti erano già stati richiamati. I mobilitati ricevono un addestramento di base di 5-10 giorni e dopo un altro ancora di 5-15 giorni. Giovedì scorso la regione di Chelyabinsk, alle pendici degli Urali, ha annunciato la morte di cinque soldati mobilitati provenienti da un unico commissariato militare. Nei giorni scorsi si è saputo di altri quattro uccisi partiti dalla regione di Krasnoyarsk, in Siberia centrale. Secondo il Guardian altri 14 sono morti ancor prima di raggiungere il fronte, chi per suicidio, altri per attacchi di cuore e altri per misteriosi malanni.
La sparatoria di Belgorod
Nei giorni scorsi 11 soldati russi sono morti in una sparatoria a Belgorod. Ad affermarlo il consigliere del presidente ucraino Zelensky Oleksiy Arestovych, che ha affermato che i due aggressori, poi uccisi, provenivano dalla nazione centroasiatica del Tagikistan e avevano aperto il fuoco contro gli altri dopo una discussione sulla religione.
(da agenzie)

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OGGI L’INCONTRO TRA MELONI E BERLUSCONI: “O COMPATTI O AL VOTO”

Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile

MA IN FORZA ITALIA C’E CHI MINACCIA L’ACCORDO ESTERNO

Oggi è in programma l’incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa. L’accordo per il nuovo governo è impostato e potrebbe essere siglato davanti alle telecamere.
Il pressing della nuova premier in pectore sui figli del Cavaliere e il lungo comunicato di Licia Ronzulli di ieri certificano la ritrovata vicinanza dopo gli appunti del leader di FI e la replica («mancava: non ricattabile»).
Ma intanto i due fronti continuano a mandare segnali di guerra. In un’intervista rilasciata a Repubblica il capogruppo uscente di Fdi Francesco Lollobrigida dice che se la coalizione non è compatta allora è meglio il voto. Mentre il fedelissimo del Cav Gianfranco Miccichè chiede al suo partito di «valutare l’appoggio esterno» e dice che gli alleati «puntano a prendersi i parlamentari azzurri per ammazzare definitivamente l’ex premier».
L’accordo e l’incarico
L’agenzia di stampa Ansa scrive che Meloni vuole chiudere per il governo entro il 25 ottobre. Ovvero 3 o 4 giorni dopo aver ricevuto l’incarico da Mattarella. Nel frattempo il clima tra i due partiti si è stemperato anche se non è stato ancora trovato l’accordo sul ministero della Giustizia.
Per via Arenula Meloni vuole Carlo Nordio, mentre Berlusconi punta sull’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. Se non fosse accontentato, il Cav potrebbe chiedere il Viminale o il ministero dello Sviluppo, che però è considerato chiave dalla premier ed è destinato a Guido Crosetto o all’ex Confindustria Antonio D’Amato.
Finora i ministeri in capo a Fi sono quattro. Gli Esteri per Antonio Tajani sono un punto fermo. La trattativa dovrà incastrarsi con la Lega, che potrebbe riaprire la partita del Viminale per Salvini o per un uomo del Carroccio. Anche se si è già assicurata il ministero dell’Economia e delle Finanze con Giancarlo Giorgetti (a meno che si riapra l’opzione di Fabio Panetta).
Intanto Berlusconi riflette. E ricorda come andò all’epoca del governo Draghi, quando lui indicò tre ministri e si ritrovò con altri tre in Cdm.
La paura del Cavaliere è che finisca allo stesso modo. E i rischi sono concreti, visto che Fdi aveva fatto trapelare l’irritazione per lo strappo in Senato sostenendo che a quel punto nessun senatore di Fi sarebbe entrato nel governo. Tranne Casellati, che era rimasta insieme a Silvio seduta sugli scranni di Palazzo Madama.
Per questo l’accordo parte dal suo nome. E, spiega La Stampa, visto che Ronzulli ha fatto un passo indietro, ora in rampa di lancio ci sono Giorgio Mulè, Alessandro Cattaneo e Alberto Barachini.
Per quest’ultimo, presidente uscente della Commissione di Vigilanza Rai, sarebbe pronta la carica di sottosegretario con delega all’Editoria. Intanto ieri Berlusconi si è imbattuto in tre senatori del Partito Democratico e ha detto loro di aver parlato con Vladimir Putin: «Gli ho detto di trattare con Zagrebelsky», ha sostenuto confondendo il presidente dell’Ucraina con l’ex giudice della Consulta.
La minaccia delle elezioni
Nel frattempo il capogruppo uscente Francesco Lollobrigida minaccia le urne. Nel colloquio con Emanuele Lauria dice che non c’è alcuna possibilità di «inciuci o governi anomali.
Lollobrigida dice anche qualcosa di sibillino: «Nella fase della fiducia altre forze potrebbero essere interessate a dare un contributo positivo». Sostiene di non alludere ai centristi che potrebbero confluire nel gruppo dei moderati che Fdi sta contribuendo a far nascere
Il fronte e la tregua
Dall’altra parte del fronte c’è Gianfranco Miccichè. Il senatore dice oggi a La Stampa che «stanno maltrattando Berlusconi». E che Meloni vuole «dividere Forza Italia come ha fatto con la Lega scegliendo Giorgetti per il Mef». Spiega: «È assolutamente normale che i leader vogliano delle sentinelle dentro al Consiglio dei ministri, fu così nel caso di Marco Follini. Cosa c’è di male? E poi questa storia che Licia non sarebbe all’altezza è assurda: se ha un ruolo così importante nel partito vuol dire che è all’altezza di averlo anche nel governo».
E infine propone al suo partito di rimanere fuori dal nuovo governo: «La mia idea è: diamo l’appoggio esterno al governo. A questo punto si scelga lei questi scienziati di ministri».
Ma sostiene anche che «quello che succederà è un film già visto: cercheranno di prendersi uno a uno i parlamentari per ammazzare definitivamente Berlusconi». E lui come sta? «Lui ci sta male. Non lo chiamo per non scocciarlo, ma so che è così. Gli voglio bene e lo conosco».
(da agenzie)

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