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COME HANNO FATTO GLI UCRAINI A DISTRUGGERE LA FLOTTA RUSSA NEL MAR NERO?

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

L’ESERCITO DI KIEV SI È INVENTATO DEI BARCHINI SENZA EQUIPAGGIO IN GRADO DI TRASPORTARE 200 KG DI ESPLOSIVO

Con il Mar Nero sotto il controllo della Flotta di Mosca, i resistenti hanno puntato su una risposta rappresentata da missili e droni esplosivi realizzati in casa. Così hanno affondato con i cruise Neptune l’ammiraglia Moskva mentre hanno danneggiato un paio di unità a Sebastopoli schierando i «barchini» senza equipaggio.
Secondo l’analista HI Sutton vi sono state conseguenze immediate, con la task force navale degli occupanti che avrebbe ridotto drasticamente l’attività in alto mare preferendo restare per il momento nei porti.
Ben prima dell’invasione, gli ucraini avevano mandato emissari in Europa, Italia inclusa, per acquistare sistemi da guerra subacquea, una pesca pare infruttuosa — almeno a livello ufficioso — che li ha spinti a sviluppare progetti ricorrendo a componenti civili.
I natanti lanciati nell’assalto hanno motori ricavati da quelli delle moto ad acqua, telecamere, Gps, testate belliche di circa 200 chilogrammi e un raggio operativo di 400 chilometri. Dati per ora accolti con prudenza dagli esperti, sempre interessati ad un fronte in evoluzione.
Molti si aspettano nuove sortite da parte ucraina, con gli ingegneri impegnati a migliorare i prototipi, aggirare le contromisure degli invasori, studiare mosse. È inevitabile: una volta impiegata una tattica sei costretto a variare, perché il nemico — se può — corre ai ripari. Dunque aggiorni in diretta, magari con l’aiuto occidentale.
Americani e britannici hanno fornito alcuni droni, però con compiti difensivi. Difficile che cedano equipaggiamenti troppo sofisticati, c’è il rischio che cadano in mano ai russi. Parliamo di componenti spesso uniche, per questo ogni forza armata è estremamente gelosa di ciò che possiede e per questo tutela segretezza, doti, capacità.
In quest’epoca c’è una grande domanda, diversi Paesi li realizzano ma non tutti hanno la stessa qualità. Un paio di società italiane e gli incursori della nostra Marina, i Comsubin, hanno fatto scuola anche se le «lezioni» non sono aperte a tutti. Anzi sono per pochi o per nessuno. Un episodio non collegato aiuta a comprendere il valore.
Pochi giorni fa la Us Navy ha rivelato un incidente che ha coinvolto un mini-sub dei Seals: si è ben guardata dall’offrire particolari per ragioni di sicurezza, ma ha precisato che il danno sfiora i 2,5 milioni di dollari.
Più agevole per il Pentagono autorizzare l’invio di 40 vedette fluviali, dotate di protezione e mitragliatrici. Un pacchetto citato in modo sommario nei report ma che apre scenari interessanti su future operazioni. Un analista ha ipotizzato la nascita di una «Mosquito Fleet», una componente di supporto a reparti scelti per missioni dietro le linee guadando i fiumi.
E ora che l’Ucraina ha liberato Kherson, cercherà di sfruttare la via d’acqua rappresentata dal Dnipro, ostacolo naturale la cui riva orientale è in mano agli invasori.
Lo Stato Maggiore di Kiev potrebbe ripetere quanto condotto nelle scorse settimane in occasione dell’offensiva terrestre ucraina: «sommersi» nelle testimonianze c’erano riferimenti all’uso di gommoni e motoscafi, parte di una flottiglia minuscola, per incursioni in profondità conclusesi con successi. Sono quelle storie che vengono raccontate nei dettagli solo dopo molto tempo: rivelarne le modalità farebbe il gioco degli avversari.
(da agenzie)

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DOPO LA RICONQUISTA DI KHERSON, ORA L’OBIETTIVO DIVENTA MELITOPOL. L’ESERCITO RUSSO E’ IN ROTTA: ALMENO 20MILA SOLDATI HANNO GETTATO L’UNIFORME E CERCANO OGNI MEZZO PER ATTRAVERSARE IL FIUME DNIPRO

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

ALTRO CHE “GUERRA CONGELATA” A CAUSA DELL’INVERNO, LO STATO MAGGIORE UCRAINO NON PREVEDE PAUSE

Non ci sarà tregua, né pausa per riorganizzarsi o tirare il fiato dopo i lunghi mesi di difficile battaglia: appena terminata la liberazione di Kherson, lo Stato maggiore ucraino intende approfittare della sconfitta russa e dello slancio d’ottimismo tra le sue truppe per riprendere velocemente ad avanzare.
Anche l’argomento della «guerra congelata» a causa dell’inverno pare trovare pochi sostenitori: tra fine febbraio e metà marzo le temperature nelle notti attorno alla capitale sfioravano i -20°, ma soldati e volontari ucraini furono in grado di fermare i russi. Oggi la colonnina di mercurio è a 0° e il morale del Paese è alle stelle, non c’è alcun motivo per cercare riparo nei ricoveri caldi.
Dove attaccheranno? Ovviamente, se lo si chiede ai portavoce del ministero della Difesa a Kiev, la risposta non può essere che un discreto «no comment»: non c’è esercito al mondo che sia disposto a rivelare i suoi piani di guerra, a meno che non siano falsi, oppure trucchi per confondere il nemico. Ma ieri il presidente Volodymyr Zelensky ha lanciato il suo grido di battaglia: «Non lasceremo nessuno indietro. Verremo in tutte le nostre città e villaggi del Donbass. Vedremo sicuramente le forze ucraine incontrare le bandiere ucraine in Crimea».
Prossimi assalti
Tra gli esperti, ex ufficiali di carriera e commentatori di cose militari che abbiamo consultato prevale l’opinione per cui la prossima direttiva d’assalto possa partire dalla regione di Zaporizhzhia, e più precisamente dalla zona di Huliapole, per puntare verso sud alla città di Melitopol, oppure (meno probabile) in direzione di Mariupol, la città martire che capitolò a metà maggio.
Piani e trucchi
A quel punto l’intero meccanismo d’occupazione russo verrebbe devastato, con enormi problemi per spostamenti e rifornimenti. «Se ne parla da qualche tempo ormai. Se i nostri soldati liberassero Melitopol, con l’aiuto del movimento della guerriglia partigiana radicata nel territorio, anche la penisola di Crimea avrebbe seri problemi di approvvigionamento, visto tra l’altro che il ponte di Kerch sino a luglio prossimo funzionerà a singhiozzo a causa dell’autobomba esplosa poche settimane fa. Inoltre, anche le unità russe che adesso si sono schierate sulla sponda orientale del Dnipro rischierebbero di rimanere accerchiate una seconda volta», spiega Mykola Bielieskov, ricercatore all’Istituto di Studi Strategici di Kiev.
Il fronte dimenticato
Nell’immediato, i militari ucraini sembrano attirati dal progetto di rinforzare le unità già impegnate nel Donbass. «Nel Kherson avremo un momento di calma relativa. Nessuno proverà ad attraversare il fiume Dnipro: è un confine naturale troppo ben protetto, dunque, adesso si cercherà di distribuire i soldati in soprannumero nell’est, che era stato un poco dimenticato dopo le battaglie di Izyum e Lyman tra settembre e ottobre», continua Belieskov. L’attenzione resta concentrata su Bakhmut, il campo di battaglia più insanguinato del Donetsk, dove i gruppi d’assalto russi in collaborazione con i mercenari della Wagner si stanno gravemente decimando.
Soldati e sfollati
Emergono nel frattempo nuovi dettagli sulla dinamica della battaglia appena conclusa nel Kherson. I russi nell’ultimo mese hanno utilizzato la copertura dell’esodo dei civili verso est per fare vestire in borghese i loro soldati e mischiarli alla popolazione, specialmente nella fase del passaggio sul Dnipro, dove gli ucraini sparavano senza sosta. I numeri restano vaghi, ma su circa 70-100.000 sfollati sembra che oltre 20.000 fossero soldati. Forse meno di 2.000 sono rimasti nelle zone liberate. Non pare siano pericolosi e non sono coordinati tra loro: hanno gettato l’uniforme e cercano ogni mezzo per attraversare il fiume.
(da Il Corriere della Sera)

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L’INCREDIBILE STORIA DI NELLO MUSUMECI, IL MINISTRO DEL SUD E DEL MARE RIMASTO SENZA SUD E SENZA MARE

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

L’INCREDIBILE STORIA DI NELLO MUSUMECI, IL MINISTRO DEL SUD E DEL MARE RIMASTO SENZA SUD E SENZA MARE
IL SUO DICASTERO NASCE DI “MARE” PER CONTROLLARE I PORTI E LA PESCA MA LA GESTIONE DEI PRIMI RIMANE ALLE INFRASTRUTTURE DI SALVINI E LA SECONDA SE LA TIENE L’AGRICOLTURA DI LOLLOBRIGIDA. E IL MEZZOGIORNO? SE L’È PRESO FITTO

«I porti» sono stati sul punto di prendere il largo, poi se li è tenuti il ministero di Matteo Salvini. «La pesca» l’hanno blindata gli uffici del ministero di Francesco Lollobrigida. «Il demanio marittimo», che vuol dire le concessioni dei balneari, è stato a lungo in bilico.
E alla fine anche «il Sud» è migrato, lasciando il ministero di Nello Musumeci per finire nelle mani di Raffaele Fitto, primo ministro ufficialmente «senza portafoglio» della storia della Repubblica ad avere un bouquet di mandati talmente vasto da far invidia a ministeri di primissima fascia. Il gran ballo delle deleghe è durato settimane: tra limature e passaggi di consegne, fino all’ultimo non è stato chiaro chi facesse cosa nella squadra di governo.
Emblematica è la storia, brevissima, del ministero per le Politiche del mare e per il Sud, che inizia il 22 ottobre al Quirinale, quando Nello Musumeci giura per l’appunto da «ministro per le Politiche del mare e per il Sud»; e finisce giovedì 10 novembre, quando l’ex governatore della Sicilia cede la delega del Sud al dicastero di Fitto.
Il sito internet ufficiale del governo italiano non ha ancora metabolizzato il drastico cambiamento, tanto che ieri mattina l’area dedicata ai ministeri senza portafoglio era ancora «in aggiornamento».
Wikipedia invece è stata più lesta, visto che sull’enciclopedia collettiva Musumeci è già indicato come «ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare» e Fitto come «ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr» (s’è aggiunto il Sud, il resto c’era già).
A voler guardare il lato leggero della vicenda, gli uffici del ministero fantasma che nasce il 22 ottobre per volere della presidente Meloni assomigliano all’ideale stanzetta del Secondo Tragico Fantozzi, quando il Ragionier Ugo asseconda la sorte del Duca Conte al Casinò di Montecarlo guadagnando virtualmente piante di ficus e poltrone in pelle umana che nel rapido e maledetto volgere di qualche giro di roulette finiscono per scomparire, insieme al poco che c’era prima. Ora, come sostengono amici e avversari del ministro Musumeci, che lo definiscono all’unisono un «galantuomo» e «un sincero servitore dello Stato», impossibile accostare la sua figura a quella del personaggio interpretato da Paolo Villaggio.
Ma la sorte del ministero che aveva avuto in dote il mese scorso è un po’ quella: nasce di «mare» per controllare i porti e la pesca ma la gestione dei primi rimane alle Infrastrutture di Salvini e la seconda se la tiene l’Ambiente di Lollobrigida. E visto che un Sud Italia senza porti e senza pesca in fondo non è Sud, ecco che a questo punto le deleghe al Mezzogiorno meglio cederle signorilmente agli uffici di Fitto: se ne occuperà lui, dopotutto gli investimenti nel Meridione sono legati al Pnrr.
Ma visto che non tutti i mali vengono per nuocere, e non tutte le ciambelle nate senza buco sono incommestibili, ci sono nuove pratiche che affolleranno la scrivania di Musumeci prendendo lo spazio di quelle che si sono volatilizzate. A cominciare da quelle, pesantissime, che riguardano la gestione della Protezione civile, che in un tempo ormai remoto — era l’epoca di Guido Bertolaso e del governo Berlusconi IV — finivano spesso per occupare le prime pagine dei giornali.
Per proseguire, con la delega per le concessioni balneari, che per scongiurare i sospetti delle malelingue sul conflitto d’interesse migreranno dal ministero del Turismo guidato da Daniela Santanché alla nuova creatura ministeriale assegnata a Musumeci. Creatura che rimane sì un ministero del Mare, anche se senz’acqua, senza porti e senza pesci ma con la battigia, gli ombrelloni, le spiagge e un bel pezzo di terra, visto che la Protezione civile, come quegli antipasti abbondanti che andavano di moda nei menu di un tempo, è «mare e monti».
Si torna alla domanda iniziale, dunque: chi fa cosa? Per tentare una sintesi quasi impossibile, sugli italiani che vanno al mare, affittano sdraio e ombrelloni e mettono un piede in acqua sovraintende il ministero di Musumeci; da lì in poi, «pinne, fucile e occhiali» sono divisi tra le Infrastrutture di Salvini e la Sovranità alimentare di Lollobrigida. Preferibilmente al Nord, per evitare confusione. Perché al Sud, da ieri, c’è il ministero di Fitto.
(da agenzie)

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L’AGENZIA DI RATING AMERICANA MOODY’S GELA L’ITALIA: IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA (PNRR) È IN RITARDO (A RISCHIO L’EROGAZIONE DELLA PROSSIMA TRANCHE)

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

“L’ITALIA RIMANE VULNERABILE ALL’ATTUALE CRISI ENERGETICA DATA LA SUA AMPIA DIPENDENZA DAL GAS”

Il 2022 si chiuderà meglio del previsto. Il 2023 no. E il governo mancherà gli obiettivi di bilancio. Il monito di Moody’ s sull’Italia è netto e arriva come una doccia fredda per il nuovo governo a trazione Giorgia Meloni. L’agenzia di rating statunitense spiega di aver rivisto al rialzo la previsione sul Pil della penisola per il 2022 al 3,7% dal precedente 2,7 per cento.
Ma preoccupa il clima per il prossimo anno. Gli stoccaggi di gas naturale in vista dell’inverno 2023/2024 rappresentano una sfida significativa, sottolinea Moody’ s, così come il mantenimento delle promesse sui conti pubblici. Il disavanzo sarà più rilevante delle stime. E il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è già in ritardo. Problemi su cui Meloni dovrà dare risposte.
Gli occhi sono puntati sull’Italia. E in particolare sull’attuazione del Recovery Fund.
Il contesto non è positivo. L’esecuzione dei piani di investimento in Italia è in ritardo e la Nadef mostra che entro la fine del 2022 sarà stato speso meno dell’1% del Pil rispetto a un obiettivo iniziale dell’1,7 per cento. La “Credit opinion” di Moody’ s sulla posizione italiana a proposito delle erogazioni Ue per il Pnrr non usa mezzi termini. La società di rating ricorda che Bruxelles ha erogato 21 miliardi dopo che l’Italia ha raggiunto tutti i traguardi e gli obiettivi previsti per la prima metà del 2022 con il governo Draghi. Ma con un ma: con due soli obiettivi in ritardo legati alla legge sulla concorrenza «tra cui una liberalizzazione dei prezzi al dettaglio del gas che potrebbe rivelarsi politicamente difficile nel contesto dell’attuale crisi energetica e potrebbe ritardare l’erogazione della prossima tranche», scrive Moody’ s.
Il nuovo governo comunque «ha manifestato la propria disponibilità a seguire il piano disegnato dal governo Draghi, anche se è ancora possibile qualche tentativo di rinegoziazione» sul Pnrr «in particolare per tenere conto dell’aumento dei prezzi».
Secco il giudizio: «Sebbene non facciano parte della nostra previsione di base, trasferimenti per il Pnrr inferiori alle attese nell’intero periodo del programma metterebbero sotto pressione gli investimenti», soprattutto in un quadro di inflazione elevata e persistente come l’attuale, spiega l’agenzia statunitense. Lo scenario è destinato a peggiorare nel corso dei prossimi dodici mesi, alla luce della mancata indipendenza energetica del Paese.
L’Italia, secondo Moody’ s, «rimane vulnerabile all’attuale crisi energetica data la sua ampia dipendenza dal gas nel suo mix energetico». Mentre i livelli di stoccaggio sono quasi pieni, «i rischi per l’approvvigionamento energetico rimarranno elevati poiché i livelli di stoccaggio sono insufficienti a coprire il fabbisogno dell’Italia». Ipotizzando gli attuali livelli di stoccaggio del gas, una prosecuzione dei flussi da altri fornitori in linea con i livelli del 2021 e una fornitura aggiuntiva sulla base degli accordi siglati di recente, il Paese «avrebbe gas sufficiente per durare fino a marzo 2023 secondo le nostre stime», si legge nella nota. La sfida sarebbe poi far fronte alle richieste di fornitura per l’inverno successivo. E l’esito di questa nuova corsa al metano è tutt’ altro che scontato.
(da la Stampa)

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“E’ LA PEGGIORE SCONFITTA DAI TEMPI DEL CROLLO DELL’UNIONE SOVIETICA”

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

PER SERGEY MARKOV, FEDELISSIMO DI PUTIN, LA RITIRATA DELL’ESERCITO RUSSO DA KHERSON È STATA UNA CAPORETTO: “NON SI PUÒ FAR PASSARE LA MERDA PER CIOCCOLATA”… LA TV RUSSA FATICA A DISSIMULARE LA BATOSTA PRESA DALL’ESERCITO DI PUTIN

«La peggiore sconfitta dai tempi del crollo dell’Unione Sovietica». Così tre giorni fa scriveva di getto sulla resa di Kherson il solitamente accorto Sergey Markov, vecchia volpe della verticale del potere putiniano, consigliere del presidente dal 2011 al 2019, suo alter ego ai vertici dove c’era da mettersi l’elmetto, come i colloqui bilaterali con Polonia e Paesi baltici. Facevano impressione, le sue parole di sconforto.
Perché provenivano da un fedelissimo del Cremlino, premiato per i servizi resi con la direzione dell’Istituto di Ricerche politiche, amico e commensale di personaggi importanti come il ministro degli Esteri Serghej Lavrov, tra gli altri.
«Non sono affatto pentito, e non credo di avere esagerato» dice parlando dalla sua casa immersa nei boschi di Arkhangelskoe, periferia per ricchi moscoviti, abitata da politici e oligarchi. «Non puoi far passare per cioccolata quel che cioccolata non è». Se tradotta con fedeltà, la frase sarebbe molto più cruda di così e avrebbe una assonanza assoluta con un nostro modo di dire alquanto volgare.
Ma è proprio questo il dilemma nel quale si dibatte la galassia degli osservatori di matrice nazionalista, in pratica l’intero mondo dei media di Stato russi. Per dirla in modo più fine, come mettere un vestito elegante a una cattiva notizia, ovvero il ritiro russo sulla sponda orientale del Dnipro.
Dopo attenta riflessione, Markov, amante dell’Italia, del suo cibo e della sua cultura ma pur sempre un falco di prima categoria che teorizza la necessità di eliminare fisicamente Volodymyr Zelensky, se la cava così, rispolverando tra le righe la necessità della mobilitazione totale.
«La vittoria di Kherson, perché di questo si tratta, deve diventare l’ultima delle forze armate ucraine. La ragione della loro avanzata autunnale è la semplice superiorità numerica del loro esercito. Ma tra poco ribalteremo questo rapporto di forza, dobbiamo fare di tutto per raggiungere questo obiettivo. Perché a parità tecnica di arsenale bellico, la quantità di soldati disponibili avrà una importanza enorme».
Avanti fino alla fine. Almeno in apparenza, l’eventualità del negoziato esiste solo nella mente dei media occidentali, o in quella di qualche osservatore non allineato e poco influente. La propaganda russa mischia le carte davanti al suo pubblico, e non sempre il gioco di prestigio riesce. «La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra».
Vladimir Solovyov, il re dei talk di governo, fa ricorso a Stalin, ma la sua espressione tradisce disappunto. «Abbiamo problemi grossi da risolvere, e bisogna farlo usando il pugno di ferro, non solo in Ucraina ma anche a casa nostra».
Il bersaglio è la classe dei burocrati, che frenano gli armamenti dell’esercito. La sua rivale Olga Skabeyeva, presentatrice di una striscia quotidiana sul canale Rossiya-1 è meno abile nel dissimulare. «Come si dice, o la va o la spacca. I tempi non sono certo facili. Ma se siamo a questo punto, dipende molto dalla mancanza di rifornimenti alle truppe».
«Quando ti metti sul tavolo del chirurgo, dev’essere piena la fiducia nelle sue mani e nella sua volontà di vittoria. Altrimenti non entri in sala operatoria». Viktor Baranets risponde così alla domanda su eventuali errori del Cremlino. L’esperto militare più quotato dai media russi ha una spiegazione alternativa sulla ritirata da Kherson.
«L’obiettivo è creare una linea di difesa che impedisca all’avversario di forzare il fiume. Le truppe saranno ridistribuite puntando a una prossima offensiva, non necessariamente in questo luogo. Voi occidentali non siete abituati alla guerra, siete per il tutto e subito. Come diceva il generale Kutuzov, comandante delle truppe russe contro Napoleone, non è difficile espugnare una fortezza. Ma per vincere la campagna ci vogliono tempo e pazienza».
Anche questa è una citazione molto frequente, negli ultimi tempi. E rappresenta già un passo in avanti verso l’accettazione di uno stato delle cose che molti scelgono invece di ignorare, con buona pace di Markov e dei pochi «realisti» in circolazione. Ancora ieri il canale ultranazionalista Tsargrad, di proprietà del cosiddetto oligarca di Dio Kostantin Malofeev, cantava vittoria.
«Con questa manovra, le truppe russe hanno avuto la meglio sulle forze ucraine, avendo precluso ad esse tutte le vie di avanzata sulle proprie posizioni». Alla fine, il parere più illuminante è forse quello di Andrey Norkin, idolo delle casalinghe, grandi elettrici di Putin, ospite fisso di un talk del primo pomeriggio in onda su NTV. «Non aspettatevi una mia valutazione» ha detto in uno slancio di sincerità.
«Se affermo che la decisione sul ritiro da Kherson è giusta, viene fuori che il mio è un appello a violare l’integrità territoriale della Russia, e rischio alcuni anni di reclusione secondo l’articolo 280 comma uno del Codice penale. Se invece non appoggio questa soluzione, le mie parole potrebbero essere interpretate come dirette a screditare le Forze Armate, reato punibile nello stesso modo e con lo stesso articolo, comma tre. Quindi, meglio tacere».
(da il Corriere della Sera)

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NON E’ PROPRIO IL CASO DI FARE LA BULLA CON L’EUROPA VISTO CHE IL PNRR È IN GRAVE RITARDO, A RISCHIO 20 MILIARDI

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

DA QUI A FINE ANNO IL GOVERNO DEVE RISPETTARE 55 IMPEGNI DEL RECOVERY… ALTRI SCREZI TRA FDI E LEGA

Per mostrarsi credibile agli occhi dell’Europa e dei mercati Giorgia Meloni ha a disposizione quarantanove giorni.
Di qui al 31 dicembre deve rispettare due delicatissime scadenze, sulla legge di bilancio e il piano nazionale delle riforme. Mai come quest’anno il secondo obiettivo vale più del primo. La premier ha affidato tutti i poteri a Raffaele Fitto, ministro degli Affari comunitari e ormai da mesi ambasciatore di Fratelli d’Italia nei palazzi europei.
Per capire l’enorme potere che gli ha delegato occorre scorrere la Gazzetta ufficiale di due giorni fa. «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei ministeri», articolo 7 comma 2. «Il servizio centrale per il Pnrr opera a supporto delle funzioni e delle attività attribuite all’Autorità politica delegata». Fitto ha di fronte a sé un lavoro gigantesco. Fra fondi del Recovery – 200 miliardi in sei anni – e per il Sud dovrà governare una macchina che vale 350 miliardi di risorse europee.
Di qui a fine anno il governo deve rispettare 55 impegni del Recovery. E’ uno dei semestri più complicati dell’intero piano. Draghi ha lasciato sul tavolo della Meloni la metà del lavoro. Gli ostacoli da superare sono essenzialmente tre: la riforma del processo penale, su cui pendono le resistenze di magistrati e avvocati, quella dei servizi pubblici locali (qui le resistenze sono di governatori e sindaci), il riordino dei cosiddetti oneri di sistema, i balzelli che paghiamo in bolletta per sussidiare la produzione di rinnovabili.
La riorganizzazione voluta dalla Meloni rischia però di rallentare il lavoro. La struttura burocratica del piano è complicatissima, e investe tutta la macchina pubblica. Gli uffici più importanti sono il «servizio centrale del Pnrr» presso il ministero del Tesoro (lo gestisce Carmine di Nuzzo), la «segreteria tecnica della cabina di regia» a Palazzo Chigi, guidata da Chiara Goretti, «l’unità per la regolazione» diretta da Nicola Lupo, a cui si aggiunge un gruppo di lavoro in ciascun ministero di spesa.
La legge voluta da Draghi ha escluso i vertici di tutti questi uffici dalla regola dello spoil system, la quale permette ai governi entranti di cambiare i vertici di gran parte delle burocrazie.
Il primo argomento di scontro nel governo durante la cabina di regia della scorsa settimana è stato su questo. Alessandro Morelli, sottosegretario di Palazzo Chigi e fedelissimo di Matteo Salvini (è stato direttore di Radio Padania) ha chiesto di rimuovere tutti, compresi i responsabili delle unità di ciascun ministero. Meloni, d’accordo con Fitto, l’ha subito stoppato: «Valutiamo prima lo stato dell’arte e l’efficienza del lavoro, poi decideremo il da farsi».
La ragione di tanta prudenza è anzitutto nel timore di inceppare una macchina in corsa. Oltre alle riforme da attuare, per evitare di perdere i finanziamenti del piano l’Italia deve dimostrare di essere in grado di spendere i soldi a disposizione, e invece siamo in grave ritardo.
Tre numeri su tutti: secondo le stime fatte da Palazzo Chigi nei primi mesi del piano, ad oggi avremmo dovuto spendere 42 miliardi di euro, poi scesi a 33. Il conteggio più aggiornato parla di 21 miliardi, la metà di un anno e mezzo fa.
Fatti salvi i problemi atavici della macchina pubblica, Meloni e Fitto attribuiscono gran parte della responsabilità al sottosegretario fin qui delegato al Piano, ovvero Roberto Garofoli, reo di aver convocato la cabina di regia dei ministri solo due volte.
Per questo Meloni ha già deciso che convocherà i ministri molto più spesso, costringendoli ad un aggiornamento continuo del lavoro. A partire da domani, per fare il punto della situazione Fitto vedrà ciascun ministro di spesa. Nelle prossime sette settimane il governo non si gioca solo i venti miliardi di fondi a disposizione nel semestre, ma uno degli elementi decisivi del giudizio degli investitori internazionali sull’emittente italiano. Dal Recovery dipende la crescita del Paese e indirettamente la tenuta del debito pubblico dagli incerti della recessione.
(da La Stampa)

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DOPPIA SBERLA AL GOVERNO SOVRANISTA

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

FRANCIA: “MELONI GRANDE PERDENTE, NON PRENDEREMO I 3.000 PROFUGHI DALL’ITALIA”… GERMANIA: “LE ONG MERITANO RICONOSCENZA, SALVANO VITE DOVE MANCA L’AIUTO DEGLI STATI”

Lo scontro non si placa. Anzi. Sui migranti Parigi è perentoria. Definisce la premier Giorgia Meloni “grande perdente” e conferma che la Francia non accoglierà i 3 mila stranieri che al momento si trovano in Italia.
Nel frattempo, anche Berlino interviene con un tweet dell’ambasciatore tedesco in Italia che difende l’operato delle Ong
Il rifiuto francese sui migranti in Italia
“L’Italia non mantiene l’impegno fondamentale nel meccanismo di solidarietà europea, non faremo quanto era stato previsto, ovvero accogliere 3 mila migranti attualmente sul territorio italiano”. Così il portavoce del governo francese, Olivier Véran, ha confermato a Bfm-Tv che la Francia non accoglierà le 3 mila persone sbarcate in Italia, “di cui 500 entro la fine dell’anno” nell’ambito del meccanismo di solidarietà europea.
L’Italia ha rifiutato di accogliere nei suoi porti la nave della Ong Ocean Viking, che trasportava 234 migranti, poi accolta venerdì in Francia, a Tolone. Per il governo francese, questa scelta da parte di Roma è un rifiuto degli accordi europei sull’accoglienza dei migranti, e va sanzionato, scrive la tv sul suo sito web.
“L’Italia – ha detto Véran – non mantiene l’impegno fondamentale nel meccanismo di solidarietà europea, noi non manterremo la contropartita prevista, cioè l’accoglienza di 3.000 migranti attualmente sul territorio italiano”. Per il portavoce, “l’Italia è perdente in quanto dispone normalmente di un meccanismo di solidarietà europea che fa sì che un gran numero di Paesi europei, in particolare Francia e Germania, si impegnino in contraccambio dell’accoglienza delle navi da parte dell’Italia, a prendere degli stranieri sul proprio territorio”.
“Avevamo come obiettivo e come impegno – ha aggiunto Véran – di prendere un po’ più di 3.000 persone in Italia, di cui 500 entro fine anno, ci eravamo impegnati. I meccanismi che avevamo messo in piedi ci permettevano di accogliere nelle migliori condizioni possibili stranieri arrivati in Italia”.
Meloni è “la grande perdente di questa situazione”, ha dichiarato Véran, accusando la presidente del Consiglio di mancanza di coerenza per non aver accolto la Ocean Viking. “La Francia non sarebbe la Francia” se non avesse accolto quest’imbarcazione e quindi ha “rispettato gli accordi internazionali”, ha detto ancora sottolineando che “la situazione umanitaria” a bordo ha convinto Parigi a fare “la scelta giusta” e ad aprire il porto di Tolone alla Ong.
“L’Italia – ha aggiunto – è perdente perché dispone normalmente di un meccanismo di solidarietà europea che significa che un gran numero di Paesi europei, in particolare Francia e Germania, si impegnano in cambio del fatto che l’Italia accolga le navi barche” a ricevere una parte dei migranti che sbarcano in territorio italiano.
Il tweet dell’ambasciatore tedesco
“Nel 2022 sono già oltre 1300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Un 12% dei sopravvissuti sono stati salvati dalle Ong. Loro salvano vite laddove l’aiuto da parte degli Stati manca. Il loro impegno umanitario merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio”. Lo scrive su Twitter l’ambasciatore tedesco in Italia, Viktor Elbling.
(da agenzie)

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M5S, FUORI PER IL DOPPIO MANDATO, CRIMI E TAVERNA TORNANO IN PARLAMENTO

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

CONTE LI ASSUME A 70.000 EURO L’ANNO COME COLLABORATORI

Niente da fare, un altro baluardo del Movimento 5 stelle è crollato: i conti con la realtà, da quando la guida del partito è stata assunta da Giuseppe Conte, hanno imposto una radicale trasformazione dei principi fondativi della creatura di Beppe Grillo.
Così, dal vivere la politica come un’esperienza con data di inizio e fine, si è passati a vivere di politica. La scusa è non disperdere quell’esperienza accumulata nei palazzi.
Le due facce dell’ultima giravolta valoriale sono quelle di Vito Crimi e Paola Taverna: per loro, scrive Repubblica, sarebbe pronto un contratto da circa 70 mila euro annui come collaboratori parlamentari. Lavoreranno rispettivamente per i gruppi pentastellati di Camera e Senato, continuando a indossare quel tesserino che consentirà loro di entrare a Montecitorio e Palazzo Madama.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui Taverna dichiarava, in romanesco: «Io nun sò politica, sono solo una cittadina. La casta difende i privilegi». La casta, cruccio grillino scomparso dai radar delle battaglie pentastellate: «La casta vuole tenersi il malloppo dei vitalizi, noi non molleremo», diceva Crimi.
A breve, la ex vicepresidente del Senato e l’ex reggente del Movimento, dopo due legislature a carico dei contribuenti, tornerebbero a essere retribuiti grazie alle tasse versate dai cittadini.
Inquadrati nei gruppi parlamentari e retribuiti con 3 mila euro netti al mese, Taverna e Crimi avrebbero vantato un credito di fedeltà nei confronti di Conte che, per il momento, si sarebbe sbilanciato nel garantire soltanto loro due tra i parlamentari che hanno già consumato il doppio mandato.
Il quotidiano del gruppo Gedi scrive che già da settimane, all’interno del partito, si ragionava su come reimpiegare i due. Era difficile inquadrarli nella scuola di formazione interna e retribuirli, per un impegno saltuario, con una paga così elevata. Anche stipendiarli come dirigenti del partito non avrebbe convinto l’inner circle contiano: troppo in odore di Prima repubblica.
Così, Crimi e Taverna vestiranno i panni dei collaboratori di Camera e Senato, lavorando e guadagnando per altri cinque anni grazie alle istituzioni del potere legislativo. L’operazione segue i regolamenti delle due Camere ed è tutta lecita. Come è lecito constatare che la propaganda di “aprire i palazzi come scatolette di tonno” non ha funzionato: dopo essere stati eletti parlamentari, anche ai grillini è piaciuta la vita da tonni e, dalla scatola, non sono voluti più uscire.
(da agenzie)

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ENRICO MONTESANO CON LA T-SHIRT DELLA DECIMA MAS ALLE PROVE DI BALLANDO CON LE STELLE

Novembre 13th, 2022 Riccardo Fucile

UN’ALTRA TROVATA PER FAR PARLARE DI SE’, DOPO L’AVANSPETTACOLO DA NO VAX

Dopo le polemiche durante la pandemia per le sue posizioni No vax e complottiste, l’attore rischia di finire di nuovo nella bufera per la trovata di andare alle prove della trasmissione con la maglia nera dedicata al reparto d’assalto della Marina militare fascista
Alle prove dell’ultima puntata di Ballando con le stelle su Rai1, il comico Enrico Montesano si è presentato indossando una maglietta nera con il simbolo della Decima Mas, il reparto d’assalto della Marina militare fascista, e con il motto dannunziano «Memento ardere semper». A denunciarlo sui social è stata Selvaggia Lucarelli, giudice nella trasmissione, che ha pubblicato le foto: «Dalle immagini di ieri vedo Montesano fare le prove di “Ballando” con la maglietta della Decima Mas – scrive Lucarelli – che, se a qualcun sfugge, è una formazione militare che ha combattuto accanto ai nazisti contro i partigiani, nonché simbolo del neofascismo».
Il caso segue quello scoppiato al Grande fratello vip, dove l’influencer Micol Incorvaia era stata beccata dalle telecamere mentre canticchiava Faccetta nera, poco prima dell’inizio della trasmissione.
(da agenzie)

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