Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
E, PER DARE UN COLPO AL CAPITONE, GUARDA A LETIZIA MORATTI PER LE ELEZIONI IN LOMBARDIA MENTRE I MILITANTI ATTACCANO SENZA FILTRI SALVINI
La sala è piena, ci si siede anche per terra e la gente resta fuori. «Almeno
settecento persone», sentenzia il consigliere regionale leghista Max Bastoni. La prima uscita ufficiale del correntone verde di Comitato Nord al Castello di Giovenzano, con Umberto Bossi a benedirne l’operato, è un successo inaspettato.
Un sabato mattina nella Lombardia profonda: nebbia e pioggia fine, risotto al gorgonzola a fine evento, soprattutto voglia di tornare alle origini, tra fazzoletti e cravatte verdi, il Va, pensiero cantato con la mano sul cuore e anche qualche “Padania libera”.
Il Comitato Nord per ora è una minoranza interna della Lega per Salvini premier, «quando arriveremo a 5 mila iscritti non potranno più ignorarci», promette Paolo Grimoldi, l’ultimo segretario eletto della Lega Lombarda, tagliato fuori dai posti buoni per rientrare in Parlamento alle ultime Politiche.
Assieme all’europarlamentare Angelo Ciocca — mister 90 mila preferenze nel 2018 — guidano questo revival autonomista, investiti del ruolo direttamente dal Senatur, il quale aveva cominciato a tessere la tela lo scorso agosto.
Tutti cercano di non nominare mai Matteo Salvini, ma basta leggere il giornalino distribuito all’ingresso per capire cosa ne pensano di lui: «Contano le persone, le idee, gli ideali e non i like». Oppure basta ascoltare gli interventi dei militanti. «Per favore, toglietegli Tik-Tok, non ne posso più di vedere un 45enne che si comporta da c…», è il grido di aiuto di un iscritto dal 1989. Un altro: «C’è qualcuno qui dentro a cui interessa il Ponte sullo Stretto?». La sala: «Noooo». «Invece sì ma col biglietto di sola andata!», urla dal fondo un altro e giù risate.
La Lega Nord esiste ancora, insomma. Sul palco con Bossi ci sono gli ex ministri Roberto Castelli e Francesco Speroni, il veneto Gianantonio Da Re, svariati consiglieri regionali.
Il Sole delle alpi bandito nel nuovo corso nazionalista è qui ostentato. Il fondatore parla piano ma il concetto è chiaro: «È arrivato il momento di alzarsi in piedi, abbiamo visto cancellare l’identità della Lega e se fai questo muori. Lo sapevamo tutti che sarebbe andata così ma abbiamo dovuto aspettare la crisi elettorale per muoverci liberamente. Ora vogliamo rinnovare la Lega e non distruggerla».
Bossi parla anche dei “fratelli veneti” oggi commissariati da via Bellerio, «è inaccettabile»; il pensiero va subito a Luca Zaia, il presidente della Regione Veneto che sopporta con sempre maggiore fatica Salvini e a ben vedere non pare essere il solo. «Attilio Fontana va a Gemonio quasi tutte le settimane», rivela a bassa voce Ciocca.
Il simbolo della Lega non c’è su nessun manifesto, anche perché il tesoriere Giulio Centemero nelle settimane scorse ne ha vietato l’utilizzo ai ribelli. Però a un certo punto sul palco vengono srotolate due bandiere del partito, quella di prima con Bossi e quella di oggi con Salvini. «Cosa manca?», chiedono Grimoldi e Ciocca. Riposta facile: la dicitura “nord”, «eravamo il sindacato del territorio e dobbiamo tornare ad esserlo».
Il problema è che Comitato Nord si muove sul filo dell’eresia, la Lega (del passato e del presente) ha sempre poco tollerato le minoranze interne, figuriamoci chi immagina già di creare una giovanile del movimento-associazione, come si fa qui. Formalmente per le Regionali dubbi non ce ne sono, si vota Lega e quindi Fontana.
Ma è la stessa Regione criticata in chiaro sulla pubblicazione del Comitato, quando si spiega che sull’agricoltura «non prende nessun provvedimento mentre chi lavora è costretto a districarsi in una giungla di normative nazionali e regionali».
Un pezzo di vecchia Nord infatti guarda dritta verso Letizia Moratti, in ogni provincia c’è almeno un candidato nella lista della ex vicepresidente che è in ottimi rapporto con Gianni Fava, ancora oggi nel Consiglio federale del Carroccio originale. Di quel Consiglio Bossi è presidente a vita, tradotto: nessuno può espellerlo. Insomma, basta fare due più due per capire fin dove teoricamente potrebbe arrivare la manovra a tenaglia.
(da La Repubblica)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
POTREBBERO ARRIVARE MODIFICHE SULL’OBBLIGO DEL VELO PER LE DONNE
Il procuratore generale dell’Iran Mohammad Jafar Montazeri ha annunciato che la polizia morale è stata abolita.
«La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l’ha creata», ha dichiarato il procuratore nella città santa di Qom. Lo riporta l’Ansa, citando l’agenzia stampa iraniana Isna, dopo che ieri sera 3 dicembre erano iniziate a trapelare le notizie di un possibile allentamento delle misure sul tipo di abbigliamento imposto alle donne nel Paese, che da settimane protestano per i loro diritti in seguito alla morte in circostanze sospette di Mahsa Amini, che ha perso la vita dopo essere stata arrestata proprio dalla polizia morale per non aver indossato il velo islamico nella maniera considerata corretta.
Finora, le proteste hanno subito violente repressioni, e alcune manifestanti sono state incarcerate e uccise. Sono 200 le persone che hanno perso la vita nelle proteste. Per le giornate del 5 e del 7 dicembre sono previsti due scioperi per i quali Teheran avrà «tolleranza zero» anche coadiuvato da possibili aiuti russi nella repressione.
Il possibile allentamento sull’obbligo del velo
«Il parlamento e l’autorità giudiziaria stanno valutando se la legge necessità di cambiamenti» aveva annunciato ieri Montazeri, che però aveva comunicato che gli eventuali risultati si sarebbero visti in «una o due settimane». Il presidente del Paese, Ebrahim Raisi si era aggiunto al coro, ricordando che la legge islamica è parte integrante della costituzione iraniana, ma facendo presente che «ci sono modi di interpretare la costituzione che possono essere flessibili».
A luglio, invece, era stato irremovibile sul suo mantenimento, invitando la polizia morale ad agire per obbligare le donne a indossarlo. Il velo islamico è obbligatorio in Iran dal 1983, 4 anni dopo la rivoluzione islamica che trasformò il Paese. Secondo un rapporto confidenziale del governo, solo il 37% degli iraniani è d’accordo con l’obbligatorietà del velo.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’AVVOCATO SERHII STERNENKO CHE HA POSTATO LA FOTO SUI SUOI CANALI SOCIAL: “NESSUNA TRATTATIVA CON QUESTI CRIMINALI, VANNO STERMINATI”
Gli occupanti russi hanno assassinato pubblicamente dei civili nella parte
occupata della regione del Lugansk, in Ucraina. A denunciarlo è l’attivista e avvocato ucraino Serhii Sternenko sul suo canale Telegram e sul suo profilo Twitter, in post che mostrano le crude immagini dopo l’esecuzione.
Nelle foto, si vedono cinque persone impiccate e con dei sacchi di juta sulla testa. Alcune di loro sanguinano da varie parti del corpo. Dal collo degli impiccati pendono dei cartelli di cartone che li definiscono dei traditori della Repubblica Popolare del Lugansk e li accusano di svariati atti contro quello che gli occupanti filorussi considerano uno Stato legittimo.
«I bastardi russi hanno giustiziato pubblicamente dei civili nella regione del Lugansk», ha scritto Sternenko su Telegram. «In un atto dimostrativo in modo che tutti potessero vedere. E il mondo dovrebbe vederlo. I Russi sono un mucchio di disumani che ostentano le loro atrocità», ha aggiunto.
Con il messaggio, l’attivista lancia anche un appello: «Mostrate queste foto a tutti quelli che iniziano a parlarvi di trattative di pace prima che l’Ucraina vinca la guerra. Non c’è nessuno con cui parlare. C’è solo da sterminare questo male assoluto».
Su Twitter, invece, l’avvocato scrive: «Non capisco perché all’Ucraina non vengano inviati altri carri armati per punire questa malvagità russa».
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
E LITIGANO PURE TRA LORO PER DIFENDERE SOGGETTI VENDUTI AL REGIME TRAVESTITI DA PRETI
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è un «Anticristo» oppure un «Piccolo demone?». È questa la domanda a cui cercano di rispondere gli analisti della tv russa in seguito alla proposta dei funzionari ucraini di vietare ai gruppi religiosi e alle chiese affiliate a Mosca di operare in Ucraina.
Durante un acceso dibattito, pubblicato su Twitter da Julia Davis, editorialista del The Daily Beast e fondatrice del Russian Media Monitor, gli esperti si sono scagliati contro il decreto firmato dal presidente Zelensky per «garantire l’indipendenza spirituale dell’Ucraina».
«Credo che la chiesa ortodossa dovrebbe proclamare che Zelensky sia ufficialmente la venuta dell’Anticristo. È l’Anticristo ufficiale. Ha fatto un patto con il diavolo e il suo obiettivo è quello di distruggere la nostra chiesa e sradicarla dal territorio», ha detto uno degli ospiti, Ariak Stepanyan.
«Fai un complimento a Zelensky se gli dai dell’Anticristo», risponde un altro analista presente in studio. «È solo un piccolo demone, ma non più di questo».
Come spiega Avvenire, il testo presentato nei giorni scorsi da funzionari ucraini dà il via all’iter che dovrebbe portare al divieto di ogni Chiesa collegata alla Russia, a cominciare da quella ortodossa di Mosca. Il Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dovrà presentare entro due mesi al Parlamento un disegno di legge che «metterà al bando le organizzazioni religiose affiliate a centri di influenza della Federazione russa».
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
“MA CHE ROMPIBALLE, IL CLIENTE E’ SACRO, HA DIRITTO A PAGARE COME GLI PARE, ANCHE PER UN CAFFE’, SIAMO INDIETRO RISPETTO ALL’ESTERO”
Da Floro, pasticceria storica di Bari, il caffè si potrà pagare comunque con la carta. Un solo euro. “E i clienti che lo fanno non sono rompiballe”, fa notare il titolare Michele Floro, 50 anni, riferendosi alle parole del ministro Matteo Salvini. Per l’attività – con due sedi in centro, la prima aperta nel 1946 dal nonno – ormai garantire l’utilizzo del Pos è essenziale. Non solo per i tanti turisti che ormai affollano il capoluogo pugliese, ma anche per i ragazzi che pagano perlopiù con lo smartphone.
Insomma, non se ne può fare a meno.
“Nella sede storica abbiamo il Pos da oltre dieci anni. Tra i vantaggi rispetto al pagamento in contanti c’è per esempio la velocità, ma si elimina anche il rischio di poter imbattersi in monete e contanti falsi, di possibili errori commessi da chi è in cassa, e si evita che un malintenzionato magari guardi nel cassetto e si faccia venire strane idee”
In quanti preferiscono il pagamento elettronico?
“Ormai siamo arrivati al 50 per cento, con un boom nell’ultimo anno. Ci sono per esempio i giovani che utilizzano lo smartphone o lo smartwatch, poi in generale le persone che hanno più dimestichezza con la tecnologia e quasi tutti i turisti che arrivano da noi. E menomale che arrivano”.
Cosa potrebbe cambiare con il nuovo provvedimento del Governo?
“Non so, per noi non cambia nulla: non possiamo obbligare un ragazzino o un cliente che consuma solo un caffè, un dolcetto o un aperitivo a spendere una cifra enorme per poter usare la carta, altrimenti andiamo fuori mercato. Bisogna essere futuristici: il pagamento elettronico all’estero è consolidato, noi siamo ancora un po’ indietro. Quindi noi continueremo comunque a garantire la doppia possibilità. Il cliente è sacro, va rispettato: l’importante è che paghi, decide lui come”.
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
TRA FURTI, TRASPORTO VALORI ED ERRORI NEI CONTEGGI, AVERE SOLDI IN CASSA COSTA 4 VOLTE DI PIU’ DELLE CARTE ELETTRONICHE
Pos della discordia, quanto mi costi? Non più che altrove in Europa, meno
del contante. Mentre impazza la polemica sulla scelta del governo Meloni di esentare dalle multe chi rifiuta i pagamenti digitali fino alla soglia di 60 euro, la domanda sorge spontanea.
Un po’ di contesto, intanto. I pagamenti con carta sono in crescita: quest’anno, stima il Politecnico di Milano, viaggiano verso 400 miliardi e potrebbero superare il 40% del totale speso dagli italiani, riducendo il gap d’uso con la cartamoneta.
Nel tempo, lo scontrino medio del pagamento elettronico è sceso a 47,5 euro: significa che diventa sempre più popolare, non solo confinato agli acquisti “importanti”. Ma rispetto all’Europa siamo ancora indietro: 24esimi su 27 per pagamenti con carta pro-capite. La media è di 170, noi ci fermiamo a 114.
Dando per assodato il ruolo anti-sommerso dei pagamenti tracciabili — ricordato, da ultimo, dalla Corte dei Conti in audizione sulla Manovra — e il volano alla digitalizzazione delle imprese e dei servizi, anche pubblici, resta aperta la questione dei costi.
Che sono compositi: in linea di massima, dietro un Pos c’è un canone, una commissione e talvolta un prezzo d’attivazione. Il balzello variabile, secondo Global Data, è da noi dello 0,7%: meno di Germania (1,3%) e Regno Unito (0,8%), più di Francia o Spagna.
Un dato, però, schiacciato verso il basso dal peso della Grande distribuzione organizzata, che spunta condizioni migliori (e non a caso è fortissima sul mercato iberico e transalpino).
SosTariffe a settembre stimava costi variabili tra l’1,4 e l’1,7% tra bancomat e carte, un punto percentuale in meno di cinque anni prima.
A spulciare le offerte delle banche, oggi sul suo sito Unicredit propone 0,9%, Intesa 1,8%. Nel primo caso c’è un canone da 2,9 euro al mese, nel secondo è azzerato, ma con un’attivazione da 60 euro.
Sempre secondo il portale, nella media del mercato la spesa iniziale per i terminali si è ridotta a 23 euro (-66% in cinque anni) e il canone mensile è sceso a 6,60 euro (-64%).
I contratti, poi, cambiano a seconda del volume d’affari degli esercenti: alcuni azzerano i canoni superata una certa soglia di transato. Altri, lamentano i negozianti, prevedono comunque dei minimi fissi.
Più si hanno le spalle larghe, più si risce a contenere la parte variabile. Molte banche hanno sospeso le commissioni per le transazioni di importo minore: Unicredit fino a 10 euro, per chi fattura meno di 5 milioni. Intesa ha da poco annunciato che non si pagheranno per tutto il 2023 fino a 15 euro, il circuito Bancomat fino a 5.
Sulle commissioni per l’incasso con carte esiste poi un credito d’imposta al 30% per chi fattura fino a 400mila euro. Quando fu introdotto, dal governo Conte, la Ragioneria dello Stato indicò una platea di 3,1 milioni di partite Iva, sulla quale stimò che gravasse un costo delle commissioni da 180 milioni.
Una giungla che, certo, fa sembrare la banconota semplice e conveniente. Ma è solo apparenza, dice la Banca d’Italia in un’indagine del 2020: il contante può «essere percepito quale mezzo di pagamento più economico se commisurato alla singola transazione (0,19 euro)» ma «in percentuale del valore della transazione, il costo privato del contante (1,10%) risulta il più elevato a causa dei maggiori oneri» non immediatamente visibili. Pesano furti, trasporto valori, assicurazioni, gli errori materiali nel dare il resto, o riconciliare la giacenza nel cassetto con gli scontrini.
Voci che portano il costo annuo complessivo per gli esercenti «nell’ordine di 3,8 miliardi di euro», su un totale per il nostro sistema economico di 7,4 miliardi. Valore, quest’ultimo, «4 volte superiore a quello delle carte di pagamento».
Di contro, dice ancora via Nazionale, «il costo di una operazione con carte appare più basso del contante se misurato in termini percentuali sull’importo transato (0,65 per cento)».
(da agenzie)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
IL TANDEM LASCIA INTRAVEDERE UNA COMPIUTA RIELABORAZIONE DEL RENZISMO SOTTO MENTITE SPOGLIE. NATURALMENTE CONVIENE ADESSO AI DUE PROMESSI ALLEATI NEGARE L’INGOMBRANTE EREDITÀ
Dario Nardella e Stefano Bonaccini, ecco il «tandem dell’Appennino» che inaugura ufficialmente la sua corsa al congresso dem. Lo fa con una conferenza stampa al teatro del Sale, a Firenze, dove il sindaco, da padrone di casa, annuncia che non si presenterà al congresso, ma appoggerà la candidatura di Bonaccini alla segreteria del Pd. Sarà Nardella a coordinare la sua campagna e sempre lui a presiedere la mozione congressuale.
«Bonaccini è il capitano, ma tutti ci battiamo perché il partito cresca», dice Nardella
Così inizia la corsa del tandem dell’Appennino. Restano in campo Paola De Micheli ed Elly Schlein
Se il passato prossimo, o quel poco di cui resta memoria, ha ancora un senso, ecco che il tandem Bonaccini-Nardella evoca subito la figura di Matteo Renzi; così come, con un filo di malizia, lascia intravedere una compiuta rielaborazione del renzismo sotto mentite spoglie.
Naturalmente conviene adesso ai due promessi alleati negare l’ingombrante eredità e anzi diffondersi su pretese litigate con l’uomo che li ha scoperti e valorizzati. Sennonché il mese scorso, con la chiarezza che certo non gli fa difetto, lo stesso Renzi si è mosso per tempo: «Bonaccini è un amico e Nardella è un amico – ha spiegato – Ma per essere credibili nel Pd, in vista del congresso devono parlare male di me».
Con l’attuale sindaco di Firenze, al quale il leader di Italia viva aveva qualcosa da reclamare, le cose devono aver preso una piega non sai se più paradossale o sfacciata: «Quando è venuto a casa mia, mi ha detto chiaramente che aveva bisogno di litigare con me perché così nel Pd come minimo lo fanno segretario».
Ora Matteo sarà anche parecchio auto-centrato e ego-riferito, ma l’impressione è che di questo genere di fiction viva la fase costituente dem, con le sue eterne chiacchiere, le comode ipocrisie, le vane dispute valoriali, i generici luoghi comuni sul riformismo e, da qualche tempo con una sintomatica insistenza, l’inesorabile retorica dei “territori” in nome dei quali il governatore Bonaccini e il sindaco Nardella muovono alla conquista del Nazareno.
Nel 2013, con qualche sorpresa, da uomo-macchina della ditta di Bersani, Bonaccini cambiò cavallo diventando il campaign-manager della corsa del giovane rottamatore al vertice del partito. Di lì puntò alla Regione.
Per quanto ancora lontano dalla trasfigurazione per opera dello strategist Daniel Fishman e che oggi nel look lo fa somigliare a un tronista over, Bonaccini concluse la campagna su un palco ricalcato sul più tipico scenario da Leopolda: addio alle belle bandiere, una fiammante moto Ducati e una macchina da gelati Carpigiani, poi una quantità di prodotti d’eccellenza, prosciutti, mortadelle, piadine, vini e aceto balsamico, una specie di supermercato. Brani soul di Alice Keys e video emozionali. L’astensionismo fu terribile, però pazienza, lui fu eletto e anche nel 2020 rieletto.
Creatura del Giglio magico ante-marcia, più o meno negli stessi anni Nardella ereditò Palazzo Vecchio. Posto che è difficile definire cosa sia oggi la sinistra e ancor più quale debba essere il suo mestiere, è altrettanto arduo pensare che in quella direzione siano andati gli attacchi mossi dal sindaco alla Cgil, la guerra iper-securitaria contro l’accattonaggio, le ruspe nei campi rom. Dopo aver dichiarato la morte della socialdemocrazia e prima del referendum con cui Renzi volle scavarsi la fossa, proclamò Nardella: «Con la stessa maggioranza silenziosa che ha fatto vincere Trump in America, vincerà il Sì in Italia». Ma il ricordo è sfumato e la girandola di posizioni nel Pd sconsiglia qualsiasi controllo di coerenza.
(da La Stampa)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
“LOTTEREMO CONTRO OGNI DISEGUAGLIANZA. E’ ORA DI TORNARE IN MEZZO AI CITTADINI”
«Grazie avevo proprio bisogno di vedervi sono stati giorni difficili, mando un
abbraccio forte alla mia famiglia». Blazer blu copiativo, camicia a righe e jeans, visibilmente commossa,
Eddy Schlein al Monk di Roma ha esordito con questa frase all’iniziativa “Parte da Noi» l’atteso discorso di stamattina in cui è atteso il lancio alla sua candidatura alla segreteria del Pd. La deputata ed ex vicepresidente della regione Emilia Romagna non ha parlato dal palco.
Un linguaggio del corpo già eloquente del cambio di registro del suo Pd: in mezzo alla gente, non sopra, ex cathedra. Due sgabelli e un leggio sono stati preparati al centro della sala, con le sedie disposte in modo circolare. Pochi i volti noti sin qui presenti: ci sono la portavoce della conferenza delle donne Cecilia D’Elia, Arturo Scotto, voce di Art.1, l’ex Governatore del Lazio Piero Badaloni.
Dopo aver premesso che «il nostro Noi non è escludente, chi arriva oggi parte alla pari»,. Schlein è partita nel suo discorso «dai disastri »creati dal nuovo governo: «Il governo di Giorgia Meloni ha già mostrato il volto della peggiore ideologia di destra, la crudeltà di bloccare le persone in mezzo ai porti quando è la legge che lo vieta, i ministri che propongono l’umiliazione come metodo educativo, e poi una bella manovra contro i poveri: una redistribuzione verso l’alto e punisce gli evasori, restaura i voucher e abolisce il reddito di cittadinanza. Il cambiamento parte da noi un noi che significa che i grandi cambiamenti partono dalle mobilitazioni collettive: percorso collettivo per un nuovo partito democratico. Processo costituente per ritrovare il consenso, ricucire un rapporto con la gente andato in frantumi».
Partendo dal fatto che il lavoro «deve tornare a essere un tema centrale» Schlein ha toccato davvero ogni argomento, dalla sanità che non deve più essere un privilegio per pochi al «neoliberismo insostenibile per persone e pianeta» alla riduzione di tutte le disuguaglianze fra donne e uomini, fra Sud e Nord, fra ricchi e poveri. E poi ha parlato anche di bollette, della giustizia sociale, con toni convincenti e trascinanti, interrotta da decine di applausi. «Diciamo alla destra che il welfare non è un costo, ma un investimento che rende ed è fondamentale».
E sulla Meloni: «Non tutte le leadership femminili sono femministe, non ce ne facciamo niente di una premier donna che non aiuta le altre donne, che non ne difende i diritti. Nella manovra si restringe opzione donna e si differenziano le donne sulla base dei figli».
Infine manda un abbraccio a Roberto Saviano augurandosi che la premier voglia ritirare la sua querela: «Perché è evidente la disparità di livello di tutele e perché non si possono colpire gli intellettuali».
Cita più volte Barcellona e la Spagna più volte, come sui nuovi contratti dei rider. Poi un attacco a testa bassa agli ex compagni di partito, (leggi Renzi) ai «distruttori» del medesimo: «Non ci faremo dire a chi sta già ammiccando alla destra che cosa dovremo fare per ricostruire la sinistra». Quindi un saluto affettuoso a Stefano Bonaccini e anche a Enrico Letta, mentre sulla diretta social si moltiplicavano cuoricini e pollici all’insu sotto i messaggi: «Non sentivamo parole così nette e chiare da tempo». Io mi rimetto in viaggio con lo zaino e il taccuino per ascoltare la base perché il mondo non comincia e non finisce con le primarie. Serve una cosa nuova, una sfida che riguarda tutti»
Prima di lei la parola era andata alla trentenne Giulia Pelucchi, presidente del municipio 8 di Milano, una giovane e abile amministratrice che si è subito presentata dicendo «non appartengo a nessuna corrente del Pd e l’unico modo che conosco per fare politica è stare in mezzo alle persone». E poi «non possiamo più permetterci tentennamenti. Essere plurali vuol dire prendere posizione, smettere di tentennare, non possiamo più permettercelo».
E cita commossa Antonio Prisco, sindacalista simbolo della battaglia dei riders prematuramente scomparso «cui proprio oggi verrà dedicato un murale». Anche la tragedia di Ischia ha trovato posto nel suo discorso: «basta alla politica dei condoni, e delle immani somme stanziate dopo le tragedie anziché investire anche solo la metà in prevenzione».
La seconda testimonianza è di Elvira Tarsitano, assessore alla Bioeconomia di Mola di Bari: «Il Pd era diventato una monocrazia, ora dobbiamo abbattere gli stereotipi come quello del Sud piagnone, c’è un Sud che innova». E ancora: «Non esiste transizione ecologica senza giustizia sociale».
Il microfono è poi passato a Michele Franco sindaco di Arquata del Tronto colpito duramente dal terremoto del 24 agosto 2016: «I cinque stelle hanno preso tutta la nostra parte progressista, ma non perchè il programma fosse sbagliato, lo erano le persone. Ecco perché bisogna ripartire da te Elly, dal basso, da noi, dagli ultimi, perché vogliamo metterci la faccia per darti una mano».
E ancora: «Dobbiamo ripartire a fare politica casa per casa. E tu vai tranquilla perché vinceremo». Più che parole, fatti ed esperienze concrete al meeting «Parte da noi!» come quelli raccontati dall’imprenditrice Noemi De Santis fondatrice dell’app gratuita Junker (che ha lo scopo di identificare il tipo di rifiuto al quale appartiene un oggetto qualsiasi) che ha raccontato la sua esperienza come simbolo di un nuovo modo di offrire servizi avanzati a costo zero: «Non bisognava fare pagare gli utenti, ma i Comuni. Oggi 1800 amministrazioni sono abbonate e tutti partecipano su una materia delicata come i rifiuti».
Quindi la parola è passata a un’architetta («nonostante le sue tre lauree ha faticato parecchio con il gender gap» spiega Schlein), Michela Vailati, che spiega come sia stato difficile lavorare come donna in una comunità di uomini: «Lavoro in un settore, l’ufficio tecnico dell’aeroporto da sempre appannaggio di un mondo maschile. E vedo che la mia posizione da 30 anni è quella di quando entrai in quell’azienda. Non mi hanno fatto sentire parte di un sistema, non hanno investito sugli intelletti. Il mio spesso è un lavoro di back office e quando ho chiesto il motivo di questo ruolo mi hanno risposto ubi maior minor cessat». E sullo smart working: «Per me è una grandissima opportunità, pensando al lavoro in modo diverso, usciamo dalla confort zone: concentriamoci sugli obiettivi, lo smart work limita incidenti e inquinamento, ragioniamoci».
L’ultimo intervento è stato di Matteo Rossi presidente della Provincia di Bergamo che ha parlato dell’esperienza atroce del Covid come esperienza da cui imparare nuove lezioni, nuove pratiche di buona politica. «Dobbiamo dare l’idea che noi siamo l’indirizzo a cui spedire le proprie domande di chi finora è stato inascoltato dalla politica. Dobbiamo ricucire lo strappo fra politica e società civile, partito dal grande referendum sui beni comuni. Noi abbiamo bisogno di una leader collettiva non solitaria, grazie Elly perché hai accesso questa speranza».
Chi è Eddy Schlein
Vicepresidente dell’Emilia Romagna e capolista indipendente della lista Pd nel collegio bolognese alla Camera, 37 anni, da anni si batte per i diritti civili, l’ecologia e la giustizia fiscale. Il «Guardian» l’ha definita «stella nascente della sinistra italiana» paragonandola alla pasionaria deputata neyorkese Alexandria Ocasio-Cortez. Nata 37 anni fa a Lugano da madre italiana e padre americano, la progressista, femminista ed ecologista Elly Schlein è vicepresidente dell’Emilia Romagna – con deleghe al contrasto alle diseguaglianze e alla transizione ecologica – e capolista indipendente della lista Pd nel collegio bolognese alla Camera.
Dall’università a Bologna al Parlamento europeo
Dopo il diploma al Liceo di Lugano decide di tornare in Italia per frequentare l’università a Bologna. Frequenta il Dams per un anno e poi si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nel 2008 partecipa come volontaria alla campagna elettorale del futuro presidente degli Stati Uniti Barack Obama contro John McCain. Da quell’esperienza, racconta Schlein sul suo sito, crescerà la sua passione per la comunicazione politica. Si laurea poi con due tesi sulla criminalizzazione e la sovrarappresentazione dei migranti in carcere, e sui diritti dello straniero nella giurisprudenza costituzionale.
Nel 2013 gira l’Italia con settanta tappe in pochi mesi, impegnata al fianco di Giuseppe Civati e di tutti i «Civoti» nella campagna per la segreteria Pd. Nel 2013 è candidata alle elezioni europee. L’anno successivo, nel maggio 2014 viene eletta al Parlamento europeo con 54.802 preferenze.
Entra a fare parte delle Commissioni Sviluppo (DEVE), Libertà civili giustizia e affari interni (LIBE) e Parità di genere (FEMM), diventa Vicepresidente della Delegazione alla Commissione SAPC UE-Albania, e Copresidente dell’Intergruppo ITCO su Integrità, Trasparenza, Anti-corruzione e criminalità organizzata. I temi per cui si batte sono diritti civili, immigrazione, ambiente, giustizia fiscale e lotta alla corruzione e alle mafie.
(da La Repubblica)
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Dicembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
NESSUN COMPORTAMETO SCORRETTO: “C’ERANO DUE GEMELLINI DI NOVE MESI A BORDO DI QUEL BARCHINO, SECONDO QUALCUNO NON DOVEVANO ESSERE SOCCORSI?”… INCREDIBILE CHE UN SOMMERGIBILE DELLA MARINA FOSSE IMPIEGATO PER SPIARE LA ONG INVECE DI DARE L’ALLARME
“Vogliamo ricordare che, a dispetto di tutti i tentativi della difesa di confondere le acque, nel processo Open Arms l’imputato si chiama Matteo Salvini”. All’indomani dell’udienza del processo Open Arms che vede l’attuale ministro delle Infrastrutture imputato per sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per aver impedito per 19 giorni lo sbarco di equipaggio e naufraghi quando era al Viminale, continua a distanza lo scontro fra l’ong spagnola e l’avvocata Giulia Bongiorno.
In aula, la difesa del ministro aveva fatto leva su un video registrato dal sommergibile della Marina Venuti – consegnato al Viminale da non meglio precisati uomini dell’intelligence e senza una relazione di servizio ad accompagnarlo, aveva spiegato nelle precedenti udienze il funzionario Fabrizio Mancini – per sostenere “comportamenti scorretti di Open Arms”.
In realtà, spiega Veronica Alfonsi, presidente di Open Arms Italia, anche lei presente ieri in aula, “nel video si nota solo un barchino blu malandato, carico di persone e con un’evidente falla nello scafo”.
Su quella carretta del mare, ha scoperto poi l’equipaggio, viaggiavano anche due gemellini di nove mesi, poi trasferiti in ospedale con un’evacuazione medica urgente perché uno dei due era affetto da gravi problemi respiratori.
“Se avessero voluto immagini di quell’intervento, bastava chiedere”, dice Alfonsi. Per altro, a disposizione non ci sono solo le immagini dei soccorritori, ma anche quelle registrate da una troupe di Tve, la principale rete spagnola, a bordo durante quella missione.
Nel video che oggi Open Arms decide di mettere a disposizione, si ricostruiscono tutte le fasi del soccorso.
Il mayday arrivato attorno alle cinque di pomeriggio, l’inizio delle ricerche, l’individuazione del barchino e le delicate fasi dell’intervento, con quella tinozza blu che non smetteva di girare su se stessa a causa del timone bloccato. In più, c’è la voce del comandante Marc Reig che spiega: “Abbiamo avvertito tutte le autorità, libiche, maltesi e italiane, abbiamo contattato il centro di coordinamento e soccorso libico, nessuno ha risposto”. A bordo di quel barchino c’erano cinquantacinque persone, incluso sedici donne incinte.
“Non si capisce cosa si voglia dimostrare con questo video. Qualcuno vuole dire forse che questi naufraghi non andassero soccorsi? – commenta la presidente di Open Arms Italia – Piuttosto ci chiediamo come mai quel sommergibile non sia intervenuto o non abbia inviato alcuna richiesta di aiuto”.
Chi stava su quel barchino era in evidente difficoltà, con quella falla nello scafo e il motore bloccato difficilmente avrebbe potuto rimanere a galla a lungo. “Ci sembra di assistere a disperati tentativi di creare confusione, criminalizzando l’operato delle ong. Ma questo processo verte sugli inutili giorni d’attesa a cui sono state costrette centinaia di persone e l’unico imputato è Salvini”.
(da agenzie)
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