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IMMIGRAZIONE, QUELLE LEGGI FATTE PER CRIMINALIZZARE

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

IL DECRETO DEL GOVERNO MELONI RINNOVA I CATTIVI INSEGNAMENTI DEL PASSATO

Ogni tragedia dovrebbe impartirci una lezione. Quella di Cutro (79 vittime, fra cui 24 bambini) rinnova viceversa i cattivi insegnamenti del passato. Con il decreto legge n. 20 del 10 marzo – l’ennesima stretta sull’immigrazione. Crimmigration, la definisce Judith Resnik, docente all’università di Yale: la criminalizzazione dell’immigrato irregolare.
Una storia punteggiata da interventi normativi sempre più fitti, e giocoforza più confusi, che lascia gli immigrati alla mercé di chi dovrà applicarli. Tanto che interrogando sul termine “straniero” Normattiva (la banca dati dello Stato che contiene le norme in vigore) vengono fuori 1.044 risultati; e 305 digitando “immigrazione”. Ma il timbro di tutto questo concerto normativo è univoco, ed è un timbro repressivo.
Le prove? Si leggono nella Gazzetta ufficiale. La legge Martelli del 1990 e la Turco-Napolitano del 1998 usavano già il bastone, benché quest’ultima garantisse agli stranieri “i diritti fondamentali della persona umana”.
Poi, nel 2002, entra in vigore la legge Bossi-Fini, che immediatamente diventa la seconda causa d’arresti in città, dopo il furto ma prima dei reati legati al traffico di droga o alle rapine.
Quella legge – unica in Europa – brevetta infatti il reato di immigrazione clandestina; commina l’arresto per chi dia lavoro a un extracomunitario irregolare; e per sovrapprezzo impone agli stranieri l’obbligo di lasciare le proprie impronte digitali negli uffici di polizia. Succede pure agli italiani, ma solo quando varcano i cancelli d’un penitenziario; quindi da allora in poi il nostro Stato considera ogni straniero un criminale.
Successivamente, nel 2008, il governo Berlusconi vara il primo “pacchetto sicurezza”, che introduce l’aggravante della clandestinità: se a rubarmi dentro casa è un clandestino, il suo furto vale doppio, merita un doppio castigo. Nel 2009 la legge Maroni aggiunge il reato di clandestinità.
Nel 2010 la Consulta fa saltare l’aggravante, giacché quest’ultima punisce la qualità della persona, non la gravità del fatto, trasformando i reati dei clandestini in altrettanti delitti d’autore. Nel 2011 la Corte di giustizia dell’Unione europea boccia anche il reato di clandestinità. E, nondimeno, nel 2017, si elimina la possibilità per l’immigrato di ricorrere in appello contro la sentenza che neghi l’asilo
E c’è infine quest’ultimo decreto, che introduce un ultimo reato: “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” (pena massima 30 anni). Domanda: ma perché, forse in passato gli scafisti ricevevano sul petto una medaglia? No, la loro condotta era già punita dal codice penale. Però occorre gonfiare i muscoli, anche a costo di gonfiare come un dirigibile l’ordinamento giuridico italiano, dove già s’addensano 35 mila fattispecie di reato.
L’unica semplificazione che il governo Meloni ha in mente d’imbastire consiste in un tratto di gomma sulla “protezione speciale”, che s’aggiunge alla protezione internazionale (riconosciuta ai rifugiati dalla Convenzione di Ginevra del 1951) e a quella sussidiaria (per chi rischi la morte o la tortura rientrando nel proprio Paese).
Ne hanno diritto gli stranieri in gravi condizioni di salute, le vittime di violenze e sfruttamento, o quanti erano perseguitati in patria per ragioni sessuali, razziali, religiose. O meglio, ne avevano diritto, giacché il decreto n. 20 opera già una sforbiciata. Ma a breve – ci promettono – il governo sostituirà alle forbici una scure.
Si dirà: niente di nuovo, anche il fascismo additava lo straniero come un nemico potenziale, tenendolo in perenne stato d’incertezza sulla permanenza nel nostro territorio. Sennonché la Costituzione antifascista reca una norma di tutt’altro stampo, dove risuona la xenia, il rito sacro dell’ospitalità in uso presso i Greci, al tempo in cui la democrazia fu battezzata.
Dice l’articolo 10: lo straniero privato delle libertà nel suo Paese “ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma sta di fatto che la legge generale sul diritto d’asilo, a 75 anni di distanza, non è mai uscita dal libro dei desideri costituzionali.
Ecco, se proprio il governo vuole aggiungere altre norme al castello delle troppe già esistenti, farebbe meglio a scrivere l’unica legge che non c’è.
(da La Repubblica)

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I MIGRANTI USATI COME UNA BOMBA

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

L’ULTIMA BALLA SOVRANISTA

L’ultima bufala è la “bomba migratoria” che si starebbe abbattendo sull’Italia. Il capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo, ci vede lo zampino della Russia e chiede l’intervento della Nato.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto definisce i migranti “un modo per colpire l’Italia” e chiede, ovvio, aiuto alla Nato e ripete la barzelletta delle “infiltrazioni russe in Africa”. Sono in guerra contro i disperati e non c’è da stupirsi.
Scatenati i quotidiani: c’è chi in prima pagina parla di 600mila arrivi, chi di 685mila, qualcuno immagina milioni. L’invasione è servita.
Anche se sono passati anni a smentire la bufala dalle parti del governo (e non solo) hanno capito che funziona ancora, complici la memoria scarna degli italiani, la paura, e l’imbarazzante impreparazioni dei politici e di certi giornalisti.
Come spesso accade si distingue il quotidiano Libero che il 2 dicembre scorso titolava “Tam tam tra i migranti in Libia. Ora c’è Giorgia Meloni non partiamo più”. E adesso titola: “Allarme: non si fermano più”. Senza nemmeno un briciolo di vergogna.
L’allarme invasione secondo “sedicenti 007” si rinnova tutti gli anni, sempre nel periodo preprimaverile. Il numero massimo degli arrivi è stato di 180mila e solo questo basterebbe per evidenziare la cretinaggine della consuetudine.
Ma la domanda che nessuno pone è chi sarebbero questi 007 e soprattutto su che dati poggerebbero le loro stime. Calcolano i migranti illegalmente detenuti in Libia? La somma è praticamente impossibile visto che i centri di detenzione (illegali, ma questo non sembra interessare nessuno) sono diretti da bande diverse.
Flavio di Giacomo, responsabile comunicazione Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) lo spiega così: “è possibile prevedere il numero di persone che potrebbe partire dalla Libia. La decisione di partire, e la possibilità di poterlo fare, dipendono da dinamiche mutevoli e non quantificabili. Va inoltre sottolineato che oltre l’80% dei flussi migratori africani resta in Africa, non va in Europa.
Dati alla mano, nessuna emergenza numerica”. Di sicuro paventare un’orda impossibile di arrivi fa molto comodo a chi, come i diversi clan che presidiano la Libia, può usare i migranti come arma di pressione politica per spingere l’Ue a chiedere di “controllare” ancora di più le frontiere e quindi ottenere più soldi.
Libia e Turchia aprono e chiudono i rubinetti dei migranti per ingrossare i bonifici da anni. Da anni continuiamo a cascarci.
Stessa cosa per un governo che non riesce ad uscire dall’imbarazzo per la strage di Steccato di Cutro e per le polemiche di questi ultimi giorni con le circostanziate accuse della Ong Alarm Phone che accusa l’Italia per trenta dispersi e 17 superstiti salvati da un mercantile in acque internazionali.
Anche in questo caso a fare da padrone è l’ignoranza e la disinformazione. Si fa riferimento a una cosiddetta zona Sar libica fingendo di non sapere che la cosiddetta Guardia costiera libica non fa né ricerca né soccorso: accalappia i disperati per riportarli nelle prigioni e pestarli, violentarli, ricattarli e farsi pagare.
L’incidente è accaduto in acque internazionali. Delegare il salvataggio di chi scappa dalla Libia alla Libia è un controsenso naturale. L’ennesima mistificazione. Ieri Maurizio Gasparri ha detto bene: “Con argomenti falsi si specula sulla tragedie in mare”. Ha completamente ragione.
Solo che dovrebbe dirlo ai suoi ministri che vorrebbero governare qualcosa che nemmeno conoscono. Intanto quelli muoiono.
(da La Notizia)

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LARGO AI GIOVANI? COL CAZZO! PER PROVARE A CONFERMARE IL 74ENNE PRESIDENTE DELL’ISTAT, GIAN CARLO BLANGIARDO, SALVINI HA INSERITO UNA NORMA “AD PERSONAM” NEL DECRETO PNRR

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

IL LEGHISTA BLANGIARDO NON POTREBBE NEANCHE ESSERE ESSERE A CAPO DELL’ISTAT

Può sembrare una questione bizzarra, di certo il governo l’ha sottovalutata e nelle prossime ore la maggioranza rischia di far conoscenza col primo flop parlamentare della sua navigazione.
L’apparente bizzarria sta in questo: il placet parlamentare alla nomina del presidente dell’Istat richiede una maggioranza dei due terzi, più alta persino di quella necessaria per l’elezione del presidente della Repubblica.
Nei giorni scorsi il governo ha cambiato in tutta fretta le regole del gioco, pur di trainare verso la conferma l’attuale presidente Gian Carlo Blangiardo, molto benvoluto da Matteo Salvini e che ha guidato l’Istituto di statistica dal 2018 ad oggi. Ma lo ha fatto con una norma “ad personam” aggregata a un convoglio improprio: il Decreto Pnrr. Un piccolo passo indietro.
La conferma di Blangiardo, già professore alla Bicocca e protagonista di una presidenza sulla quale non si sono concentrate critiche di merito, fino a qualche settimana fa era out. Nel senso che era improponibile: il professore ha 74 anni e la legge 95 del 2012 vieta il conferimento di incarichi direttivi ai pensionati, se non limitatamente a un anno e a titolo gratuito.
Un anno fa il governo Draghi aveva previsto una parziale eccezione. Davanti alla difficoltà di attivare una macchina amministrativa capace di assorbire l’impatto del Pnrr, aveva previsto la possibilità di richiamare temporaneamente alcuni “esperti” già in pensione, purché inquadrati «presso le Amministrazioni titolari di progetti Pnrr».
Ma pur di assecondare Salvini, il governo ha inserito proprio nel Decreto Pnrr una norma che consente il recupero dei pensionati anche per gli «incarichi di vertice presso enti e istituti di carattere nazionale». Nessi con Pnrr? Neppure l’ombra.
Si può immaginare che Matteo Salvini abbia informato Giorgia Meloni di tutto. Anche del risvolto più delicato: Blangiardo non risponde ad alcuno dei requisiti previsti per essere nominati presidenti dell’Istat dal Decreto legislativo 322, articolo 16. Il presidente deve essere «scelto tra i professori ordinari in materie statistiche, economiche e affini».
Con tutta evidenza Blangiardo è stato professore ordinario, ma – essendo in pensione – non lo è più. E a questo punto si torna alla apparente bizzarria della maggioranza qualificata necessaria per “validare” la proposta del governo.
Nella commissione Affari costituzionali del Senato, chiamata oggi ad esprimersi, la maggioranza può contare su 12 senatori ma il quorum dei due terzi è a quota 14 e dunque, se a scrutinio segreto i senatori dell’opposizione resteranno compatti, sarà complicato per Blangiardo conquistare la promozione.
(da agenzie)

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BALNEARI, FLAVIO BRIATORE: “E’ VERO, ABBIAMO SEMPRE PAGATO POCO O NIENTE ALLO STATO”

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

“PER IL TWIGA DOVREI PAGARE ALMENO 500.000 EURO ALL’ANNO”

«È vero, sarebbe giusto che pagassi molto di più». Flavio Briatore torna sulla questione delle concessioni balneari e, in particolare, dei canoni demaniali troppo bassi sulle pagine del Corriere della Sera.
Ad oggi infatti la maggior parte degli stabilimenti balneari paga una quota annuale inferiore a mille euro, anche quando il giro di affari della spiaggia o la sua posizione geografica giustificherebbero un canone molto più alto.
«Al demanio abbiamo sempre pagato poco o niente. Credo che lo Stato ricavi meno di cento milioni all’anno», confessa Briatore. Persino il suo Twiga, uno dei locali più esclusivi di Forte dei Marmi, paga una quota annuale di poche migliaia di euro, anche se – precisa l’imprenditore – nel 2022 ha fatturato dieci milioni di euro.
500 mila euro di concessione
«Sarebbe giusto che pagassi 500 mila euro di concessione», insiste Briatore. Il titolare del Twiga e del Billionaire, quindi, avanza una sua proposta. «L’ho detto anche a Daniela Santanché, che era mia socia prima di diventare ministro. Io non posso fare un centesimo di nero perché ho tutti gli occhi addosso, ma in generale partirei dal valore della zona: una cosa è Catanzaro mare e un’altra Portofino. Poi farei un tot a ombrellone. Basterebbero pochi mesi e la mappatura si fa», spiega l’imprenditore.
Secondo il Corriere, erano 10.812 le concessioni balneari nel 2019. E durante il Covid sono pure aumentate, fino a raggiungere quota 12.166. Un numero enorme, soprattutto se si pensa che – secondo Legambiente – il 70% delle spiagge di Liguria, Emilia-Romagna e Campania è occupato da stabilimenti privati.
La questione delle concessioni§
In Francia, giusto per fare un confronto, esiste una legge che stabilisce che l’80% della superficie della spiaggia deve essere libera da costruzioni per almeno sei mesi all’anno. Il problema più grave, però, resta il fatto che – nonostante l’alto numero di concessioni rilasciate a livello nazionale – lo Stato italiano sembra non riuscire a incassare quanto dovrebbe.
Secondo il Corriere, per esempio, Roma dovrebbe ricavare dai suoi stabilimenti balneari circa 2,4 milioni di euro all’anno, ma risulta riceverne solo 1,9 milioni.
Lo stesso vale per Alassio, in Liguria, che dovrebbe ottenere 300mila euro all’anno ma ne porta a casa solo 25mila.
A febbraio, la Commissione europea è tornata a strigliare il governo italiano, invitandolo ad applicare la «direttiva Bolkestein» del 2006. Nei giorni scorsi, poi, una sentenza del Consiglio di Stato ha bocciato una nuova proroga delle concessioni balneari, convincendo il governo ad aprire un tavolo interministeriale per affrontare il dossier.
(da agenzie)

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STABILIMENTI BALNEARI: L’ALBERGO DI LUSSO DA 230 EURO A PASTO CHE VERSA 520 EURO ANNUO DI CANONE PER LA SPIAGGIA

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

LE GARE PUBBLICHE NON SONO PIU’ RINVIABILI

«L’hotel Cala di volpe, a puro titolo di esempio, versa quale canone demaniale 520 euro all’anno…». E meno male che i clienti non leggono le denunce degli ambientalisti del Grig, il Gruppo intervento giuridico! Una coppia di stranieri, per dire, ha lasciato tra i commenti messi online dall’albergo, della catena Mariott, parole estasiate per il lusso e la bellezza del posto, ma santo cielo, «ci è stato consegnato un menu che mostrava un prezzo di 250 dollari a persona per il pranzo a buffet. Che shock pensare a 500 dollari per il pranzo!». Fate voi i conti.
Certo, il depliant virtuale magnifica una «cucina per epicurei», al canone balneare probabilmente ne vanno aggiunti altri (non è così facile individuare i dettagli) per il pontile o chissà cos’altro e magari qualche ritocco all’insù ci sarà pure stato.
Ma certo non incoraggia leggere sull’ultimo rapporto di Legambiente che «nel Comune di Arzachena ci sono 41 stabilimenti balneari con canone annuale inferiore a 1.000 euro, mentre degli altri 23 non esistono dati». E parliamo della Costa Smeralda.
Possibile? Spiega Legambiente che secondo il Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.) le concessioni balneari nel 2019 erano 10.812.
Da allora, nonostante il Covid, sono salite ad almeno 12.166. Più quelle delle tre regioni autonome marine: Friuli, Sicilia e Sardegna. E sono talmente tante che è occupato dai «bagni» quasi il 70% delle spiagge in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, e quasi il 90% in luoghi come Pietrasanta, Camaiore, Laigueglia e Diano Marina dove «rimangono liberi solo pochi metri, spesso agli scoli di torrenti in aree inquinate». Una politica di sviluppo insensata, impensabile nel resto d’Europa a partire dalla Francia: «L’80% della lunghezza e l’80% della superficie della spiaggia deve essere libera da costruzioni per sei mesi l’anno: gli stabilimenti vengono quindi montati e poi smontati». Magari!
Ma in cambio di cosa, poi? «Dal 2016 al 2020», accusa la Corte Dei Conti, «la media dei versamenti totali rilevata, pari a 101,7 milioni di euro, risulta inferiore alla media delle previsioni definitive di competenza pari a 111 milioni di euro». Un ottavo di quanto lo Stato dovrebbe incassare, secondo lo stesso proprietario del Twiga Flavio Briatore. Si intende: quando ce la fa a incassare. Una tabella del S.I.D. (ne pubblichiamo a parte un estratto, dati 2020) mostra come lo Stato, a prescindere che poi giri i soldi a questa o quella regione, questo o quel comune, ottiene spesso molto meno di quanto dicano i canoni. C’è chi rastrella la metà, chi un terzo, chi un quarto.
Come Roma che dai suoi stabilimenti balneari sul litorale dovrebbe ricavare 2.432.160 ma risulta sotto addirittura di 1.954.352. Per non dire di casi come Alassio che dagli affitti delle sue spiagge dovrebbe avere 300.378 euro ma riesce a portarne a casa solo 25.279. Un dato regionale? Lo denuncia Pablo Sole in un’inchiesta a puntate sul giornale online indip.it partendo da un dossier interno all’amministrazione regionale sarda: «A fronte di 8,3 milioni di incassi stimati, Regione e comuni ne hanno riscosso appena 5,2. Per strada insomma si sono persi 3 milioni di euro».
A farla corta: sul fronte delle concessioni balneari e della cocciuta insistenza nel tentativo di una parte della destra (e non solo) di rinviare ancora e poi ancora e ancora la messa a gara dei vecchi contratti come chiede la «direttiva Bolkestein» dell’Ue del 2006, recepita obtorto collo (con proroghe a catena) nel 2010 dall’ultimo governo Berlusconi ma mai digerita, la situazione è sempre più pesante. Al punto di unire tra quanti non ne possono più di nuovi rinvii anche sindaci di opposti schieramenti.
Come lo storico braccio destro di Berlusconi a Olbia Settimio Nizzi (che fu addirittura contestato da democratici e grillini locali per la scelta «testarda» di incaponirsi sul tema) e il sindaco di sinistra di Lecce Carlo Salvemini, il primo a fare ricorso contro la famosa proroga al 2035. Ricorso perso al Tar ma stravinto al Consiglio di Stato, che a novembre del 2021 stabilì il divieto di nuove proroghe. Tesi confermata il 1° marzo scorso per metter fine a un andazzo di una parte della maggioranza governativa che pareva teorizzare che forse, chissà, nonostante quel verdetto… Macché. Parole definitive: ogni nuova proroga «si pone in frontale contrasto con la disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato». Fine.
Tanto più che, come ricorda il «giurista-ambientalista» Stefano Deliperi, gli italiani rischiano davvero di pagare di tasca loro la violazione della direttiva europea: «La sanzione minima per l’Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell’infrazione». Questo è il minimo. Poi si vedrà. Un punto è fuori discussione. E cioè che, come spiega ad esempio il sindaco leccese, il nodo principale da sciogliere non è neppure quello delle concessioni «regalate» per una pipa di tabacco ma quello ancora più vitale di definire nuove regole chiare, pulite e trasparenti per la distribuzione, a chi dimostri d’averne diritto, di questo immenso patrimonio demaniale. Che non può appartenere a dinastie familiari o peggio ad amici degli amici perché è un tesoro di cui sono proprietari tutti i cittadini italiani.
(da Il Corriere della Sera)

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CUCINAVA PER SE’ E MANGIAVA DAVANTI A 4 FIGLI DIGIUNI, CONDANNATO UN PADRE A MANTOVA

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

AI FIGLI NEGAVA ANCHE GLI AVANZI CHE GETTAVA NELLA SPAZZATURA E PICCHIAVA LA MOGLIE: CHE BELL’ESEMPIO DI “FAMIGLIA TRADIZIONALE”

Oltre alle botte e alle continue liti, uno dei maltrattamenti utilizzati da un 58enne residente del Mantovano nei confronti della sua famiglia è stata quella di lasciarla senza cibo.
Mangiando davanti a loro, l’uomo gettava gli avanzi nella spazzatura di fronte alle richieste dei suoi bambini affamati.
Per questo è stato condannato dal Tribunale di Mantova a scontare 3 anni e mezzo di reclusione per maltrattamenti in famiglia, lesioni e violazioni degli obblighi di assistenza familiare.
«Un padre capace di affamare i propri figli», lo ha descritto l’avvocato di parte civile Giada Di Stasio, che ha richiesto così un risarcimento di 70mila euro.
A riferire i dettagli la Gazzetta di Mantova: il 58enne nascondeva il cibo ai figli per poi cucinarlo solo per sé. Faceva la spesa e la teneva addirittura in auto pur di non far toccare nulla ai quattro bambini.
Nei racconti dei piccoli agli inquirenti continue scene di violenza e degrado. L’uomo risulta avere anche un quinto figlio che però vive all’estero per aiutare i fratelli e le sorelle in Italia tutti minorenni.
La moglie poi risulterebbe essere il bersaglio principale degli abusi del marito. Secondo quanto riferiscono gli investigatori, la donna subiva quotidiane aggressioni soprattutto per ragioni di soldi.
Intestataria degli assegni familiari e di una quota di reddito di cittadinanza, riusciva a garantire ai bambini quel tanto che basta per dar loro da mangiare.
Ma l’uomo si presentava spesso da lei pretendendo il denaro che poi, sempre secondo quanto emerso dal processo, sperperava alle slot machine.
Attualmente i cinque componenti della famiglia sono stati accolti in una struttura protetta. Per quanto riguarda il 58enne invece, dopo aver violato le disposizioni del giudice che gli aveva vietato ogni contatto con loro, è stato arrestato e portato in carcere, dove si trova tuttora.
(da agenzie)

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IL CRONISTA DI GUERRA, ALBERTO NEGRI: “IL PROBLEMA DELL’IMMIGRAZIONE DALLA LIBIA NON È LA WAGNER. LE ONDATE DI PROFUGHI DALL’AFRICA SONO INIZIATE CON LA CADUTA DI GHEDDAFI NEL 2011. LA WAGNER NEPPURE ESISTEVA”

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

“IN TRIPOLITANIA CI SONO LE MILIZIE LOCALI E DELLA TURCHIA. IN CIRENAICA I PIÙ INFLUENTI SONO HAFTAR E GLI EGIZIANI. LA MAGGIORANZA DEGLI SBARCHI, UN TERZO, ARRIVA DALLA TUNISIA SULL’ORLO DEL FALLIMENTO FINANZIARIO”

Il problema dell’immigrazione dalla Libia non è la Wagner.
Le ondate di profughi dall’Africa sono iniziate con la caduta di Gheddafi nel 2011 voluta da Francia, Usa e Gran Bretagna. La Wagner neppure esisteva.
In Tripolitania non c’è la Wagner ma le milizie locali e della Turchia.
In Cirenaica i più influenti sono Haftar e gli egiziani che scaricano migliaia di poveri.
Incolpare la Wagner è un modo per lisciare il pelo agli Usa per la guerra in Ucraina e giustificare l’inazione di un governo di modesti parolai. Inoltre oggi risulta che la maggioranza degli sbarchi, un terzo, arriva dalla Tunisia sull’orlo del fallimento finanziario.
Il resto sono chiacchiere.
Alberto Negri

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SECONDO IL “WASHINGTON POST” ALL’UCRAINA MANCANO TRUPPE E MUNIZIONI, MA ANCHE I RUSSI NON GODONO DI BUONA SALUTE

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

PESSIMISMO SU OFFENSIVA UCRAINA DI PRIMAVERA, MA ANCHE I RUSSI NON VANNO MOLTO LONTANI

Dagli Stati Uniti avanza il pessimismo circa l’eventuale offensiva ucraina su Bakhmut. Secondo il Washington Post, infatti, Kiev sarebbe a corto di truppe e munizioni, il che complica le operazioni nella cittadina dell’Est del Paese, da settimane al centro di pesanti combattimenti tra russi e ucraini.
La qualità delle forze militare ucraine – è l’analisi del quotidiano a stelle e strisce -, un tempo considerata un punto di forza sostanziale rispetto alla Russia, si è degradata nel corso di un anno di guerra, di feriti e vittime, che ha ridotto il numero dei più esperti presenti sul campo di battaglia. Tanto da far dubitare alcuni funzionari ucraini dell’immediata capacità di Kiev di organizzare la tanto attesa offensiva primaverile.
Secondo le stime di “funzionari statunitensi ed europei, fino a 120mila soldati ucraini sono stati uccisi o feriti dall’inizio dell’invasione della Russia, rispetto ai circa 200mila da parte russa.
Mosca ha un esercito molto più numeroso e una popolazione circa tre volte più grande alla quale attingere per richiamare i coscritti. L’Ucraina mantiene il massimo riserbo sul numero delle sue vittime, anche ai suoi più fedeli sostenitori occidentali”.
Ma anche Mosca presenta gli stessi problemi legati a uomini e munizioni. Secondo l’ultimo aggiornamento del Ministero della Difesa inglese sugli sviluppi della guerra in Ucraina, nelle ultime settimane, “la carenza di munizioni per l’artiglieria russa è probabilmente peggiorata, tanto che in molte zone del fronte è in vigore un razionamento estremamente stringente delle munizioni”.
Secondo l’analisi, “sarebbe proprio questo il motivo fondamentale per cui nessuna formazione russa è stata recentemente in grado di generare un’azione offensiva operativamente significativa. La Russia ha quasi certamente fatto ricorso al rilascio di vecchie scorte di munizioni precedentemente classificate come non utilizzabili”, afferma il report. Mosca sta applicando sempre di più i principi dell’economia di comando al suo complesso militare industriale, perché riconosce che la sua capacità di produzione di difesa è una vulnerabilità chiave nell’ “operazione militare speciale”, sempre più in difficoltà.
L’incapacità dell’Ucraina di organizzare una controffensiva tanto annunciata alimenterebbe nuove critiche. Secondo le quali gli Stati Uniti e i suoi alleati europei hanno aspettato troppo a lungo per incrementare i programmi di addestramento e fornire veicoli corazzati da combattimento, inclusi i carri armati Bradley e Leopard.
(da Fanpage)

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SIAMO AL DELIRIO: COPIA IL DISCORSO DI MUSSOLINI CHE RIVENDICACA L’OMICIDIO MATTEOTTI, SI DIMETTE CLAUDIO ANASTASIO, IL MANAGER NOMINATO DALLA MELONI

Marzo 14th, 2023 Riccardo Fucile

LE OPPOSIZIONI: “QUESTO NON E’ UN GOVERNO, E’ QUOTIDIANA APOLOGIA DI FASCISMO”

“Comunico la volontà irrevocabile di rassegnare le mie dimissioni dall’incarico di componente del Cda e presidente della società 3-I S.p.A. con effetto immediato”. Firmato Claudio Anastasio.
Una email chiara fin dall’Oggetto: “Dimissioni”. Il manager nominato dal governo Meloni presidente di 3-I, la società pubblica che dovrebbe gestire il software di Inps, Istat e Inail, fa un passo indietro dopo la notizia di Repubblica che ha riportata una sua mail al Cda dell’azienda con una citazione di Benito Mussolini.
Il discorso con cui il 3 gennaio del 1925 il Duce rivendicava la responsabilità politica del delitto Matteotti. Un’orazione considerata dagli storici come l’inizio alla dittatura. Nero su bianco in una mail che, dopo la rivelazione, ha scatenato immediate polemiche e richieste di dimissioni delle opposizioni.
Ma non è servito attendere molto. Anastasio ha inviato di primo mattino una mail all’azienda pubblica che guidava. Questo il testo, che Repubblica è in grado di anticipare: “Comunico la volontà irrevocabile di rassegnare le mie dimissioni dall’incarico di componente del cda e presidente della società 3-I S.p.A. con effetto immediato. Ringrazio per l’opportunità e porgo alla società i migliori auguri di ogni successo. Claudio Anastasio”.
Le reazioni alla lettera con la citazione del Duce
Tra i primi a commentare il discorso del Duce copiato è stato il deputato del Pd, Claudio Mancini: “L’uso della rivendicazione dell’omicidio Matteotti è vomitevole – dichiara – Il governo spieghi in Parlamento perché è stato nominato e quali interessi muovono una lettera di minacce così esplicita ai componenti del Cda”, aggiunge il deputato dem.
Una “vergogna” per Simona Malpezzi, capogruppo dem al Senato: “Questa è la cifra della classe dirigente scelta dalla destra”, il commento su Twitter. Insieme a quello del senatore del Pd Antonio Misiani: “Questo signore dovrebbe vergognarsi” per poi aggungere: “Le dimissioni erano un atto dovuto, dopo quello che era accaduto. Meglio aver chiuso subito questa vicenda. Per lo meno si è risparmiata agli italiani una giornata di inutili e imbarazzanti tira e molla”.
Per il deputato del Partito democratico, Roberto Morassut, vicepresidente della Fondazione Matteotti, Anastasio “è soltanto un poveraccio esaltato che probabilmente non si rende conto di quello che ha fatto e scritto. Si sta parlando del delitto di Stato più atroce della storia d’Italia. Dovrebbe essere duramente smentito dalla stessa Presidente del Consiglio”.
Ha chiesto le dimissioni del manager anche Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra. “Le parole del presidente Claudio Anastasio sono gravissime. Giorgia Meloni dovrebbe sapere che Matteotti fu rapito e ucciso dal regime fascista proprio perché denunciava le violenze di Mussolini in Italia – ha osservato Bonelli – Le parole di Anastasio rappresentano il modo di portare avanti quel revisionismo storico che la destra vorrebbe compiere. Siamo con Ezio Mauro quando sostiene che Giorgia Meloni si rifiuta di fare “un gesto di chiarezza rispetto al mondo da cui proviene” mentre ordisce il disegno di “neutralizzare la memoria del fascismo” e di cancellare “l’antifascismo come cultura civile del Paese”. Anche perché voglio ricordare che gli storici ricordano proprio quelle parole di Mussolini come l’esatto momento che ha portato alla trasformazione del regime fascista in dittatura”.
Al coro si è aggiunto anche Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra italiana: “Un manager? No, un aspirante gerarca che rozzamente cerca di imitare Benito Mussolini copiando un suo macabro discorso dittatoriale e inviandolo via email al Cda di un società pubblica. Un episodio incredibile ma che è accaduto davvero nel 2023, in Italia con l’amministratore delegato della 3-I nominato da questo governo” ha commentato Fratoianni. Che dopo aver richiesto le dimissioni ha aggiunto: “Meloni lo nomini guardia d’onore del Duce e lo mandi a Predappio davanti alla Cripta così lui sarà contento e il nostro Paese non dovrà continuare a pagare con i soldi dei contribuenti un simile personaggio”.
Indignato anche Filiberto Zaratti, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra in commissione Affari costituzionali, primo firmatario, con Arturo Scotto del Pd, della proposta di legge per celebrare Giacomo Matteotti nel centenario del suo assassinio. “Giorgia Meloni spieghi come sia stato possibile la nomina di quel manager”.
(da La Repubblica)

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