Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
“NOI GIOVANI VOGLIAMO LAVORARE MA NON VOGLIAMO ESSERE SCHIAVI”
“Sono una ragazza di 20 anni, vivo a Palermo. Sono diplomata in amministrazione, finanza e marketing già da un anno. Ho sempre amato studiare ma ho dovuto rinunciare all’università per problemi economici.
Ho deciso di lavorare per essere indipendente. Come già ben si sa qui a Palermo se vuoi lavorare devi lavorare in nero. Lavoro in nero da quando ho 16 anni, faccio la donna delle pulizie facendomi pagare 8 euro all’ora, che ormai non sono neanche troppi. In questo arco di tempo ho conosciuto maniaci, famiglie benestanti, universitari…
Da quando mi sono diplomata ho cercato in tutti i modi possibili di trovare un altro lavoro, quello che mi valorizzava, quello per cui valeva la mia dignità, ho sempre voluto il meglio per non fare la fine dei miei genitori che mi hanno cresciuta in strada non facendomi mancare mai nulla. Ho fatto centinaia di colloqui in questi mi sono sentita dire: “La cerchiamo con esperienza”, “Non hai la patente”, “Sembri una bambina, non va bene per il negozio”. Per non parlare di tutte le altre candidature che non sono mai state prese in considerazione
Quest’oggi sono stata licenziata perché ho chiesto e non preteso dei diritti sul lavoro, mi hanno umiliata per il lavoro che svolgo, al punto che ho pensato di pregarli per non licenziarmi per bisogno. Questa sera ho deciso di scrivervi per sfogarmi, chiedere alla Meloni cosa stia facendo per noi giovani.
Noi giovani che continuiamo a illuderci per uno stipendio che possa garantire le nostre future famiglie, noi giovani che continuiamo a illuderci di poter realizzare i nostri sogni, ma i sogni con un contratto da stage per 6 mesi per poi mandarti a casa perché non servi più, come li realizziamo?
Ho pensato persino a suicidarmi perché comincia a pesarmi troppo la questione del “lavoro” mi sono stancata di soffrire, di illudermi di arrivare dove è proprio impossibile arrivare. Ho preso in considerazione l’idea di andare al nord ma ho un cane di taglia piccola che in casa non accetta nessuno. Cara Meloni, sono divisa a metà tra la voglia di vivere e la voglia di non voler più soffrire, ho rinunciato agli studi per essere indipendente, per non dipendere mai da un uomo. Spero che questo messaggio possa arrivare a lei, non parlo solo per conto mio perché sono sicura che la maggior parte dei giovani si trova nella mia stessa situazione.
Noi giovani vogliamo lavorare ma non vogliamo essere schiavi di nessuno!”.
(da Fanpage)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
LO CHEF GIANFRANCO VISSANI SOFFRIGGE I GESTORI DELLE ATTIVITÀ CHE SPENNANO I VACANZIERI: “I CLIENTI DOBBIAMO TRATTENERLI, COSÌ INVECE FUGGONO DAL PAESE. GLI ITALIANI? PREFERISCONO ANDARE ALL’ESTERO PERCHÉ PAGANO MENO”
«Questo è il primo Ferragosto che viviamo senza l’assilo del Covid, ma è un Ferragosto sottotono». A dirlo all’ANSA è Gianfranco Vissani, il maestro della cucina italiana. «Le famiglie italiane soffrono la situazione economica che stiamo vivendo, fare spesa è diventato un lusso e poi mancano gli stranieri che arrivavano dall’est Europa e in particolare i russi», aggiunge.
Vissani se la prende con gli operatori dell’accoglienza. «Stanno uccidendo il turismo italiano – afferma -, non è possibile pagare una camera 1.600 euro a notte. I clienti li dobbiamo trattenere, invece così fuggono dal nostro Paese e lo fanno gli stessi italiani che preferiscono andare all’estero perché pagano meno».
Lo chef definisce una «provocazione, utile solo a far parlare», gli euro aggiunti sullo scontrino fiscale per aver portato i piattini della condivisione o per il taglio del toast. «Io – sottolinea – non lo avrei mai fatto». Infine, la richiesta del maestro al governo Meloni di «entrare a gamba tesa sui prezzi, perché così non si va avanti».
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
L’INFANZIA A PALERMO E IL PASSAPORTO VERDE… “I RAZZISTI? NON LI ODIO, MA NON PERDONO”
Myriam Fatime Sylla è capitana della nazionale femminile di volley dal 2021. Gioca nel Monza. E in un’intervista al Corriere della Sera racconta oggi la sua carriera e il razzismo. Iniziando dal punto di partenza: Palermo. «Sono andata via quando avevo 5 anni, poi ho vissuto Palermo, grazie ai miei nonni, fino ai 14. Quando lo sport mi ha riempito le estati, non sono più potuta tornare. Ma un mese fa ho fatto una sorpresa alla nonna, che non mi vedeva da un bel po’: mi ha trovato un po’ cresciuta», racconta a Flavio Vanetti.
I genitori di Sylla sono originari della Costa d’Avorio anche se lei è nata nel capoluogo siciliano 28 anni fa. «Papà era arrivato a Bergamo. Dormiva alla Caritas. Ma faceva freddo e mio zio soffriva: così si trasferirono al Sud. Una sera quella signora, rientrando a casa in macchina, vide mio padre e lo aiutò. Lui cominciò a lavorare per la famiglia, quindi mia mamma lo raggiunse: quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. Alla nursery facevano vedere a mia nonna tutti i bimbi bianchi. E lei: “No, è quella lì”. L’infermiera strabuzzava gli occhi…».
Cittadina d’Italia
Sylla si sente cittadina d’Italia. I suoi si sono trasferiti: «Ci vivono mio papà, che lavora sui treni, oltre a mio fratello e a mia sorella. La famiglia mi manca e quando avevo 25 anni ho perso un cardine: la mamma è sempre… la mamma. Ed è morta tra le mie braccia. In quel momento, però, ho avuto anche grandi testimonianze d’affetto. Ad esempio, quella di Paola Egonu, una persona per me speciale: mi disse che avrebbe mollato ogni cosa e sarebbe venuta con me. Non è da tutti e lei all’epoca giocava ancora a Novara».
E dice che quando la chiamano “negra” «che lo si dica per insultare o tanto per parlare, io correggo sempre. E spiego che i compagni mi prendevano in giro, mi svuotavano lo zaino nel pullman e non mi facevano sedere accanto a loro. Non gliela farei passare liscia: non odio, però evito di perdonare».
Si è battuta per lo ius soli: «Per 10 anni ho avuto un passaporto verde, pur non essendo stata in Costa d’Avorio ed essendo nata e vissuta in Italia. Ad un certo punto ho avuto una crisi d’identità e mi sono detta: sono italiana oppure no?».
(da Open)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
DUE GRUPPI ARMATI, LA BRIGATA 444 E LA FORZA AL RADAA SI SONO FRONTEGGIATI… E NOI FINANZIAMO UN PAESE IN BALIA DEI TRAFFICANTI
Si contano almeno 27 morti e 106 feriti negli scontri armati in corso in queste ore a Tripoli, in Libia. Da oltre due giorni a tenere alta la tensione nella capitale nordafricana sono la Brigata444 e la Forza Al Radaa nota anche come forza speciale di dissuasione.
Ai due gruppi armati sono imputati anche diversi rapimenti avvenuti nel corso delle ostilità, a cui il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah ha cercato di porre fine recandosi nei quartieri meridionali della città, mentre la Camera dei Rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato, riporta il Lybia Observer, hanno condannato gli atti dei due gruppi armati chiedendo di interrompere immediatamente i combattimenti, ripristinare il dialogo e aprire un corridoio sicuro che garantisca la sicurezza dei civili e la loro libertà di movimento.
Il cessate il fuoco disatteso
Diverse fonti hanno confermato al Lybia Observer che la Brigata444 e la Forza Al Radaa avevano raggiunto, martedì, un accordo per il cessate il fuoco che è stato evidentemente disatteso nelle scorse ore. A dare ragione di terminare le ostilità sarebbe stata la liberazione da parte della Rada di Mahmoud Hamza il comandante della Brigata 444, il cui arresto ha dato vita agli scontri. La speranza degli osservatori era che questo gesto potesse tranquillizzare gli animi e riportare un clima di relativa normalità nella parte orientale della capitale. Ciononostante, i combattimenti sono proseguiti anche nella giornata di oggi, 16 agosto, secondo quanto riporta Ansa.
L’appello dell’Onu
Appelli sono arrivati anche dalle Nazioni Unite tramite la Missione di Supporto in Libia (UNSMIL) e il rappresentante Abdoulaye Bathily. C’è preoccupazione per i potenziali sviluppi della situazione attuale e per la situazione dei civili, la cui sicurezza, ha ricordato l’Onu, è la priorità assoluta. Bathily ha esortato le parti a fermare le violenze e a rispettare la pace del popolo libico. Infine, ha ricordato come gli scontri attuali siano il risultato di un Paese i cui organi statali sono divisi, invitando a trovare un ampio accordo politico che vada in direzione di nuove elezioni e di unificazione degli apparati statali.
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL CORAGGIO DI UN PICCOLO GRUPPO DI SACERDOTI ORTODOSSI RUSSI
Un piccolo gruppo di sacerdoti ortodossi russi sta manifestando apertamente la loro opposizione al sostegno del loro leader, il Patriarca di Mosca Kirill, all’invasione russa dell’Ucraina, e sta affrontando conseguenze pesanti.
Un caso emblematico è quello del reverendo Ioann Koval. Nella suggestiva cornice di un’antica chiesa ortodossa ad Antalya, con una Bibbia in una mano e una candela nell’altra, il reverendo ha celebrato una delle sue prime funzioni in Turchia dopo essere stato scomunicato dalla Chiesa ortodossa russa a seguito della sua preghiera per la pace in Ucraina.
Lo scorso settembre, quando il presidente Vladimir Putin ha dato il via a una mobilitazione parziale dei riservisti, il patriarca di Mosca Kirill ha chiesto ai suoi ecclesiastici di pregare per la vittoria.
Tuttavia, dinanzi all’altare e alla presenza di numerosi fedeli in una delle chiese di Mosca, Koval ha deciso di porre la pace al di sopra degli ordini del patriarca. Egli ha percepito che l’uso della parola “vittoria” nella preghiera avesse assunto una connotazione propagandistica che andava contro la sua coscienza. Ha affermato: “Non potevo piegarmi a questa pressione politica esercitata dalla gerarchia”.
Nella preghiera che ha ripetuto più volte, il sacerdote di 45 anni ha apportato una modifica minima, sostituendo la parola “vittoria” con “pace”. Tuttavia, questa modifica è stata sufficiente affinché il tribunale ecclesiastico prendesse la decisione di privarlo del suo stato sacerdotale. La vicenda del reverendo Ioann Koval rappresenta un esempio di come le tensioni politiche e le divergenze di opinione possono incidere profondamente sulla Chiesa e sui suoi membri, portando a sfide personali e a una riflessione sulla libertà di espressione all’interno di un contesto religioso.
Pregare pubblicamente o invocare la pace comporta anche il rischio di essere perseguiti dallo Stato russo. Poco dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, i legislatori hanno approvato una legge che permetteva di perseguire migliaia di persone per aver «screditato l’esercito russo», un’accusa che in realtà si applica a tutto ciò che contraddice la narrativa ufficiale, che si tratti di un commento sui social network o di una preghiera in chiesa.
Analogamente al regime autoritario di Putin, Kirill ha costruito una dura gerarchia nella chiesa che richiede una conformità totale, ha dichiarato all’Associated Press Andrey Desnitsky, professore di filologia all’Università di Vilnius in Lituania. Se un sacerdote si rifiuta di leggere la preghiera del patriarca, la sua lealtà è sospetta. «Se non sei fedele, non c’è posto per te in chiesa», ha aggiunto Desnitsky, esperto di lunga data della Chiesa russa.
Quando è iniziata la guerra, la maggior parte dei sacerdoti è rimasta in silenzio, temendo le pressioni della Chiesa e delle autorità statali, solo una piccola parte ha parlato. Su oltre 40.000 ecclesiastici della Chiesa ortodossa russa, solo 300 sacerdoti hanno firmato una lettera pubblica per chiedere la pace in Ucraina. Ma ogni voce pubblica contro la guerra è fondamentale, ha detto Natallia Vasilevich, coordinatrice del gruppo per i diritti umani Christians Against War. «Rompe quella che sembra essere una posizione monolitica della Chiesa ortodossa russa», ha dichiarato all’Ap. Dall’inizio della guerra, il team di Vasilevich ha contato almeno 30 sacerdoti ortodossi che hanno subito pressioni da parte delle autorità religiose o statali. Ma i casi potrebbero essere ancora di più, dice, perché alcuni hanno paura di parlare delle repressioni, temendo di subirne altre.
La Chiesa ortodossa russa spiega che le repressioni contro i sacerdoti che hanno parlato contro la guerra sono una punizione per il loro cosiddetto impegno in politica. «I sacerdoti che da sacerdoti si trasformano in agitatori politici e in persone che partecipano alla lotta politica, ovviamente cessano di adempiere al loro dovere pastorale e sono soggetti a divieti canonici», ha dichiarato all’Ap il vice capo del servizio stampa della Chiesa, Vakhtang Kipshidze. Allo stesso tempo, i sacerdoti che sostengono pubblicamente la guerra in Ucraina non subiscono alcuna ripercussione e sono inoltre sostenuti dallo Stato, ha detto Vasilevich. Il regime russo «è interessato a far sentire più forte queste voci», ha aggiunto. I sacerdoti che si rifiutano di unirsi a questo coro o di rimanere in silenzio possono essere riassegnati, temporaneamente sollevati dalle loro mansioni o radiati.
«Non ho mai messo in discussione la scelta che ho fatto», ha detto Koval, «Era impossibile per me sostenere l’invasione delle truppe russe in Ucraina con la mia preghiera».
Dopo che un tribunale della Chiesa ortodossa russa ha deciso che doveva essere radiato, Koval si è appellato al Patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, che ha rivendicato il diritto di ricevere petizioni di appello da parte del clero di altre Chiese ortodosse, nonostante le obiezioni della Russia.
A giugno, il patriarcato di Costantinopoli ha deciso che Koval era stato punito per la sua posizione sulla guerra in Ucraina e ha deciso di ripristinare il suo grado. Lo stesso giorno, Bartolomeo gli ha permesso di servire nelle sue chiese.
(da Globalist)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
ERANO PREVISTE PER LA GUARDIA COSTIERA ITALIANA… INVECE CHE PER SALVARE I MIGRANTI LI UTILIZZERANNO O TRAFFICANTI
Sergio Scandura ci ha abituati ad anticipazioni e scoop sul fronte migranti, Mediterraneo, Libia. Il giornalista Sergio ha il vizio virtuoso di monitorare praticamente h24 ciò che avviene nelle perigliose acque del Mediterraneo. L’inviato di Radio Radicale è un testimone scomodo per coloro che di testimoni non ne vorrebbero per poter continuare con i loro intrallazzi e le “verità” di palazzo amplificato dal coro di quella comunicazione mainstream che Sergio ha sempre schifato.
L’ultimo scoop in ordine di tempo è sintetizzato in questo tweet: “Altre tre vedette made in Italy- pure nuove di zecca – arrivate in questi giorni a Tripoli: erano previste per la Guarda Costiera italiana sono finite alla c.d. guardia costiera Libica”
Così stanno le cose. Una vergogna che si perpetua. E che è resa ancora più insopportabile, per chi si sente ancora umano, dalle testimonianze dei sopravvissuti all’inferno libico e alle traversate – in mare o nel deserto – della morte.
Racconti dall’inferno
Per sei volte ha provato ad attraversare il Mediterraneo “ma sono sempre stato respinto e riportato in Libia”. Questa volta, la settima, il giovane naufrago 17enne siriano tratto in salvo insieme ad altre 75 persone lo scorso 11 agosto dall’equipaggio della Life Support c’è l’ha fatta. “Le milizie libiche fanno accordi con i trafficanti per riportarci a terra una volta partiti, quindi sanno quando una barca sta partendo e dove si trova”, ha raccontato ai soccorritori di Emergency.
Lui in Libia è rimasto per cinque mesi. “Quattro li ho passati nei centri di detenzione – dice -. La mia famiglia voleva che tornassi in Siria, sapevano che la Libia è un Paese molto pericoloso e non volevano che mi facessero del male”.
L’orrore dei centri di detenzione lo ricorda bene. “Ci picchiavano, a volte con dei bastoni o dei fili di ferro, per poter chiedere più soldi alle nostre famiglie”, racconta adesso che è in salvo in Italia. Dal suo Paese è partito da solo. “È stato molto difficile resistere alla tentazione di tornare, mi mancava tantissimo la mia casa, ma sapevo che non c’era futuro per me in Siria. Adesso non sanno nemmeno che sono vivo, mi hanno preso il telefono in Libia e non ho potuto contattare mia madre per dirle che questa volta, la settima che provavo ad attraversare il Mediterraneo, ce l’ho fatta”.§
La barca su cui viaggiava il diciassettenne era stata segnalat ada Seabird 2 di Sea Watch, poi da Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centre) italiano e infine è stata individuata. A bordo anche 7 donne e 24 minori, di cui 12 non accompagnati. C’era anche una neonata di solo 7 mesi.
“Abbiamo iniziato le operazioni dopo aver comunicato con l’Mrcc italiano, che ha coordinato il salvataggio – afferma Carlo Maisano, capo missione della Life Support di Emergency -. Quando abbiamo effettuato il soccorso, la barca di legno era ferma e sovraccarica, e abbiamo scoperto che la stiva era vuota e questo rischiava di sbilanciarla. A operazioni concluse abbiamo ricevuto un’altra segnalazione da Alarm Phone di un’imbarcazione in difficoltà con caratteristiche analoghe, ma dopo un’ora e mezzo di pattugliamento non siamo riusciti a individuarla e ci siamo confrontati con l’Mrcc che riteneva la segnalazione corrispondesse con l’imbarcazione già soccorsa”.
I racconti: “Nei centri in Libia violenze di ogni tipo”
“I naufraghi, partiti dalle coste libiche il 10 sera ci hanno raccontato di gravi violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente nei centri di detenzione libici – racconta Mohamed Hamdi, mediatore culturale a bordo della Life Support -. Queste sono storie che, seppur nella loro individualità, contengono degli elementi comuni alle testimonianze raccolte durante altri soccorsi di naufraghi partiti dalla Libia. Da quello che ci viene raccontato, violenze di ogni tipo, estorsioni, rapimenti ed esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno in Libia e restano impunite”.
“Ci trattavano come animali”
“Sono partito dall’Egitto perché la vita lì è diventata insostenibile, non si trova lavoro, è tutto troppo costoso, diventa complicato anche permettersi da mangiare – racconta un ragazzo egiziano di 26 anni -. A volte non riuscivo nemmeno a comprare del pane. È vivere questo? Sono il primogenito e i miei fratelli e sorelle più piccoli non hanno modo di procurarsi da vivere in Egitto, quindi ho deciso di partire per cercare lavoro e poter mandare dei soldi a casa. Era la mia responsabilità verso la mia famiglia. Sono stato in Libia per soli tre mesi prima di riuscire a partire, ma sono bastati a farmi vedere cose orribili. Sono stato imprigionato insieme ad altre persone egiziane, ci tenevano in una casa piccolissima tutti insieme e ci trattavano come animali. Ci picchiavano quotidianamente, senza motivo, a volte per il gusto di farlo oppure per farsi mandare più soldi dai nostri familiari. È stato terribile. Quando ho visto la vostra nave, pensavo che foste libici e stavo per buttarmi in mare. Avrei preferito morire annegato che tornare in carcere in Libia. Ancora non riesco a credere di essere stato portato in salvo”.
(da Globalist)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL MELONIANO IVAN BOCCALI E’ IL NUOVO COMMISSARIO DELL’ENTE DEI CASTELLI ROMANI
“Ancora un incendio al campo rom La Barbuta di Ciampino, ancora roghi tossici. Roma Sud e Castelli Romani ostaggio di questi selvaggi, primitivi, balordi. La politica buonista dell’integrazione ha fallito. Per qual campo nomadi l’unica soluzione è il napalm”.
Era il 2017 quando Ivan Boccali, intervenendo sui problemi del campo rom La Barbuta, si esprimeva così in un post-shock sui social.
Trascorsi sei anni e passato dalla Lega a Fratelli d’Italia, l’ex vice sindaco di Ciampino è stato ritenuto dal governatore Francesco Rocca l’uomo giusto per occuparsi di ambiente.
Si interesserà così sempre di campi dei Castelli Romani, ma di quelli gestiti dall’Ente Parco, di cui è stato nominato commissario straordinario su proposta dell’assessore Giancarlo Righini, Mister Preferenze di Fratelli d’Italia
Il governatore ha inoltre nominato alla guida del Parco dell’Appia Antica il medico e giornalista Roberto Iadicicco, che prende il posto del geologo Mario Tozzi. Come commissario dell’Ente Roma Natura è stato invece scelto Marco Visconti, ex assessore all’ambiente della giunta capitolina di Gianni Alemanno. Per il Parco dei Monti Lucretili è stato infine nominato un esponente di Fratelli d’Italia di Mentana, Marco Piergotti, e per il Parco dei Monti Simbruini, l’ex dirigente Alberto Foppoli.
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL GIUDICE GLI CONTESTA IL REATO DI COSPIRAZIONE… INCREDIBILE CHE UN CRIMINALE SIA ANCORA A PIEDE LIBERO
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato incriminato per la quarta volta. Stavolta nell’indagine sulle sue pressioni per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020 in Georgia. Lo ha deciso il Gran Giurì della contea di Fulton ad Atlanta. L’atto di accusa lo vede in compagnia di altre 18 persone. I capi d’imputazione sono in tutto 13. Tra questi la la legge anti racket, l’aver sollecitato un pubblico ufficiale a violare il suo giuramento di fedeltà, la cospirazione per impersonare un pubblico ufficio (la vicenda dei falsi elettori) e commettere una serie di falsi. Nel comunicato pubblicato dai responsabili della sua campagna su Truth Trump risponde accusando la procuratrice Fani Willis di essere «rabbiosa e schierata». E di aver rallentato l’inchiesta per interferire sulle elezioni 2024.
Cospirazione e falso
Tra gli incriminati anche gli avvocati Kenneth Chesebro e John Eastman, considerati gli architetti del piano per usare elettori pro Trump falsi in Georgia e in altri stati vinti da Joe Biden. La vicenda parte il 2 gennaio 2021 con una telefonata. Trump esorta il massimo funzionario elettorale della Georgia Brad Raffensperger a «trovare» i voti sufficienti per invertire la sconfitta nello stato. Raffensperger si rifiuta. Quattro giorni dopo, il 6 gennaio 2021, arriva l’assalto a Capitol Hill. La procuratrice Willis indaga anche su un presunto trucco messo in atto da Trump per sovvertire il processo elettorale presentando false liste di elettori. Trump si è già dichiarato non colpevole in tre procedimenti penali. Quello nello stato di New York inizierà il 25 marzo 2024. E lo accusa di aver pagato in segreto la pornostar Stormy Daniels.
Le altre accuse
Poi c’è il procedimento in Florida che comincia il 20 maggio e riguarda i documenti segreti federali di Mar-a-Lago. Un terzo atto d’accusa, presso la corte federale di Washington, dice che ha cercato illegalmente di ribaltare la sconfitta elettorale del 2020. Anche in questo caso Trump nega di aver commesso un reato e la data del processo deve ancora essere fissata. Gli esperti hanno affermato che le accuse potrebbero rafforzare il sostegno repubblicano a Trump, Ma potrebbero penalizzarlo nelle elezioni politiche del prossimo anno, quando dovrà conquistare più elettori indipendenti. Intanto il suo vantaggio sui rivali presidenziali repubblicani si è ampliato da quando le accuse di New York sono state depositate ad aprile, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos. Ma proprio il campione di elettori indipendenti al 37% è orma meno propenso a votare per lui, rispetto all’8% che invece si è detto più propenso.
L’indagine
L’indagine di Willis si è basata sulla testimonianza dei consiglieri di Trump, tra cui proprio Giuliani. Che nel dicembre 2020 ha esortato i legislatori statali a non certificare l’elezione. Ma anche di alleati come il senatore repubblicano degli Stati Uniti Lindsey Graham, che ha chiesto ai funzionari statali di esaminare le schede degli assenti dopo la sconfitto di Trump. Hanno testimoniato anche i repubblicani che si sono allontanati da Trump, tra cui Raffensperger e il governatore Brian Kemp. Mentre molti funzionari repubblicani hanno fatto eco alle false affermazioni elettorali di Trump, Kemp e Raffensperger si sono rifiutati di farlo. Raffensperger ha affermato che non c’erano basi fattuali per le obiezioni di Trump. Mentre Kemp ha certificato i risultati elettorali nonostante le pressioni all’interno del suo partito.
Gli altri problemi legali
Trump ha altri problemi legali. Una giuria di New York a maggio lo ha ritenuto responsabile per aver abusato sessualmente e diffamato la scrittrice E. Jean Carroll e le ha assegnato 5 milioni di dollari di risarcimento in una causa civile. Un processo è previsto per il 15 gennaio su una seconda causa per diffamazione dove sono in ballo 10 milioni di dollari di danni. Infine, c’è il processo a ottobre in una causa civile a New York che accusa lui e la sua azienda di famiglia di frode per ottenere condizioni migliori da istituti di credito e assicuratori. La società di Trump è stata multata di 1,6 milioni di dollari dopo essere stata condannata per frode fiscale in un tribunale di New York a dicembre.
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2023 Riccardo Fucile
A SOVERATO, IN CALABRIA, LA SALVEZZA HA I NOMI DI CLOE, RAY, LOLA, BIRBA E ZOE
Due cugini di 8 e 9 anni sono stati soccorsi dai cani bagnino della Scuola Italiana Cani Salvataggio a Soverato, in provincia di Catanzaro, in Calabria. A salvare i due minori, 4 labrador e un golden retriver di 9, 2, 4 e 6 anni. I bimbi sono stati salvati nel giorno di ferragosto sulla spiaggia libera dell’Ipoccampo dove le Unità Cinofile della SICS operano da sette anni.
Intorno alle 15.30, i due bambini giocavano a palla sulla riva. A un tratto, il vento ha spinto il pallone in acqua e uno dei due bimbi si è tuffato per recuperarlo. Dopo un breve tratto, il bimbo ha chiesto aiuto verso la spiaggia.
Anche il secondo bambino si era allontanato in mare per raggiungere la palla, ma impaurito dalle grida del cuginetto si è arreso. I cani si erano già tuffati per recuperarli e sono riusciti a recuperare i due piccoli per riportarli a riva. I due minori sono stati tranquillizzati poi dallo staff della Guardia Costiera con la quale le Unità Cinofile SIC operano in stretta e costante collaborazione.
I due bambini sono stati poi riconsegnati ai genitori, che hanno potuto riabbracciarli e tornare al loro pomeriggio di vacanza. La famiglia dei due bimbi ha ringraziato più volte gli uomini della Guardia Costiera e quelli delle Unità Cinofile che hanno fornito il pronto soccorso.
I cagnoloni Cloe, Ray, Lola, Birba e Zoe, si sono poi riposati sulla spiaggia, tra le coccole di genitori e bambini che in quel momento si trovavano sotto gli ombrelloni per la giornata di ferragosto. In poche ore, quando si sono tranquillizzati, i bimbi si sono poi avvicinati ai cani per ringraziarli con carezze e coccole.
(da Fanpage)
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