Destra di Popolo.net

LO SGARBO DI MELONI E MANTOVANO AL CAPITONE: SALTA LA NORMA CHE ESCLUDEREBBE PER TRE ANNI LA SOCIETÀ STRETTO DI MESSINA DALLA SPENDING REVIEW

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

ELLY SCHLEIN, ANGELO BONELLI E NICOLA FRATOIANNI PRESENTANO UN ESPOSTO IN PROCURA PER L’OPERAZIONE PONTE SULLO STRETTO: “È UNO SPRECO ED È DANNOSO, CHIEDIAMO MASSIMO TRASPARENZA”

Gli incontri prima di far arrivare il decreto in Consiglio dei ministri con il principale imprenditore privato coinvolto nell’opera, ma anche la revisione del progetto più importante in Europa consegnato appena 24 ore dopo la formalizzazione della richiesta da parte del committente statale.
Sono i passaggi fondamentali dell’esposto presentato in procura a Roma da Pd e Alleanza Verdi e Sinistra con le firme dei segretari Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, contro il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini per l’operazione Ponte sullo Stretto. «Il progetto del Ponte è uno spreco ed è dannoso – dice Schlein chiediamo massima trasparenza».
In particolare l’esposto chiede di indagare sull’iter che ha portato a rimettere in piedi la società Stretto di Messina e a far rivivere i contratti della vecchia gara fatta nel 2008 dal governo Berlusconi, ministro Pietro Lunardi, e vinta dal consorzio Eurolink che ha come principale azionista Pietro Salini di Webuild.
Il ministro ha confermato di aver incontrato Lunardi e Salini. «Ma Lunardi ha anche incontrato Alberto Prestininzi, responsabile del comitato scientifico del Ponte sullo Stretto – dice Bonelli – l’ex ministro lo ha definito un amico di famiglia. Insomma, lo Stato decide di far rivivere vecchi contratti preparando prima gli incontri con chi aveva vinto la vecchia gara. E chi valuterà per la Stretto di Messina il nuovo progetto? Un amico di famiglia di Lunardi» .
Nell’esposto si chiede ai magistrati anche di verificare eventuali favori ai privati, che avevano avviato un contenzioso dopo lo stop al progetto voluto dal governo Monti: contenzioso da 700 milioni.
«Adesso il governo Meloni ha deciso che lo Stato rinuncia al contenzioso, non i privati, e per giunta rimette in pista quegli stessi privati impegnando risorse statali per 14,6 miliardi di euro», dice Fratoianni . Dalla Stretto di Messina assicurano che tutto è in regola: «La relazione del progettista è nelle fasi finali di approvazione. Non esistono segreti e l’ad Pietro Ciucci già a giugno aveva dato incarico di rivedere il progetto ».
La combo è casuale, ma sufficiente a complicare i piani di Matteo Salvini per il Ponte sullo Stretto di Messina. Palazzo Chigi ha infatti deciso di fermare la norma che escluderebbe per tre anni Stretto di Messina, la società concessionaria incaricata di realizzare l’opera, da quelle pubbliche a cui si applica la spending review.
La norma bloccata da Chigi, rivelata dal Fatto, è prevista da un emendamento al decreto Milleproroghe in discussione alla Camera. Formalmente è firmato da alcuni deputati leghisti ma è una precisa richiesta di Ciucci scritta direttamente dagli uffici di Salvini. In sostanza fa slittare (per ora) al gennaio 2027 l’inserimento di Stretto di Messina nell’elenco dei soggetti pubblici stilato dall’istat a cui si applica la spending review.
Parliamo di norme che impongono riduzioni di spese anno per anno: consulenze, emolumenti, consumi, gettoni per gli organi collegiali, ma anche disposizioni per la trasparenza dei bilanci e la gestione del debito.
Sdm ha spiegato che la ragione è solo tecnica, visto che la società è tornata operativa solo a giugno scorso grazie al decreto di Salvini che a marzo 2023 ha fatto rinascere il progetto del ponte dopo lo stop voluto dal governo Monti nel 2012.
La portata, però, è molto più ampia, visto che la deroga è per ben tre anni e non prevede eccezioni se non “gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti in materia di finanza pubblica”: tutto il resto dei limiti, insomma, salta, compreso quello agli stipendi per i vertici, Ciucci compreso, che già prendono il massimo possibile (240 mila euro annui) grazie a un’altra deroga voluta da Salvini.
Se passasse l’ultima modifica, in teoria, gli stipendi potranno salire ancora. Grazie a una serie di modifiche parlamentari, Sdm è stata di fatto resa un unicum tra le società pubbliche: niente tetto agli stipendi per dipendenti e consulenti, niente limiti di cumulo tra emolumento e pensione e la possibilità di derogare a tutte le norme per il reclutamento del personale, gli obblighi di trasparenza e gli obiettivi di performance.
Su indicazione di Palazzo Chigi l’emendamento è stato accantonato e ieri non è stato votato. Visti i tempi, solo un intervento del governo (che può presentare modifiche in ogni momento) può salvarlo. La questione, che è ormai uno scontro tra amministrazioni, sarà affrontata nel pre-consiglio dei ministri di giovedì. Già a marzo scorso, su input del Sottosegretario Alfredo Mantovano, braccio destro di Meloni, il decreto di Salvini era stato fermato per diverse settimane.
(da Il Fatto Quotidiano)

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CASO ILARIA SALIS, LA PRESSIONE INTERNAZIONALE STA METTENDO ALL’ANGOLO ORBAN: IL PROCESSO ANTICIPATO AL 28 MARZO E IL LEGALE E’ OTTIMISTA SUGLI ARRESTI DOMICILIARI A BUDAPEST

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

ENTRO FINE MESE VERRA’ FORMALIZZATA DALLA DIFESA LA RICHIESTA, DEPOSITATA ANCHE UNA CAUZIONE DI 51.000 EURO

Entro fine mese saranno richiesti gli arresti domiciliari a Budapest per Ilaria Salis, l’insegnante di 39 anni che è stata arrestata l’anno scorso proprio nella città ungherese con l’accusa di aver aggredito un nazifascista.
A confermare la notizia all’agenzia di stampa Ansa è stato l’avvocato ungherese della 39enne. Salis è l’attivista che ha denunciato le condizioni disumane in cui è rinchiusa in carcere.
Il legale ha assicurato che saranno completato le procedure necessarie e sarà versata una cauzione di venti milioni di fiorini ungheresi che corrispondono a oltre 51mila euro. Sarà inoltre necessario trovare un domicilio sicuro e sorvegliato. Ieri, infatti, il padre della donna ha spiegato che bisognerebbe trovare le condizioni di sicurezza considerato che, alcuni giorni fa durante il Giorno dell’onore, è apparso un murales che rappresenta Salis impiccata.
L’udienza è stata anticipata al 28 marzo
L’avvocato ha precisato che il giudice ha accelerato il caso anticipando la seconda udienza: prima era prevista per il 24 maggio, adesso per il 28 marzo.
L’udienza sarà un luogo che sarà utilizzato per insistere sulla richiesta di domiciliari: “Penso che questa volta verrà accolta”, ha detto il legale.
(da Fanpage)

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“DIAMO UN SEGNALE. PORTA IL GOVERNO SUL CESSATE IL FUOCO. LO CHIEDE L’EUROPA, CI LAVORA BIDEN. COME FAI A LASCIARE L’ITALIA COSÌ INDIETRO?”: LA TELEFONATA DELLA SCHLEIN ALLA MELONI CHE HA PROPIZIATO L’ACCORDO BIPARTISAN SUL MEDIO ORIENTE

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

ELLY HA TOLTO LE CASTAGNE DAL FUOCO ALLA DUCETTA CHE EVITA COSÌ DI RITROVARSI ISOLATA RISPETTO ALLA POSIZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DELLA CASA BIANCA

Mittente: Giorgia Meloni. Destinataria: Elly Schlein. «Sentiamoci adesso, se puoi». Il primo sms spunta sul cellulare della segretaria Pd verso mezzogiorno. «Sono in conferenza stampa contro il Ponte — replica la leader dem — ti posso richiamare? ». Così, a ora di pranzo, la premier e la segretaria del Pd preparano l’accordo bipartisan sul Medio Oriente.
Si inseguono su WhatsApp proprio nei minuti in cui se le danno di santa ragione su un altro dossier, quello del progetto che dovrebbe unire Calabria e Sicilia.
Andrà così per tutto il giorno: battaglia su tutto, ma non sulla politica estera. Con il Nazareno che incassa un risultato politico, spingendo Palazzo Chigi fino al cessate il fuoco, un concetto mai sposato dall’attuale governo. E con la premier che evita di ritrovarsi sola e isolata oltreconfine, in ritardo rispetto alla posizione del Parlamento europeo e alla sensibilità della Casa Bianca, che lavora da settimane a una tregua.
La prima mossa del risiko è dunque il messaggio che rompe il ghiaccio. Ma la novità si costruisce soprattutto attorno a due telefonate successive. Schlein chiama Meloni a ora di pranzo. E le dice: «Diamo un segnale, insieme. Porta il governo sul cessate il fuoco. Lo chiede l’Europa, ci lavora Biden. Come fai a lasciare l’Italia così indietro?».
La presidente del Consiglio replica giurando di aver premuto già in passato per una conclusione rapida del conflitto. Ma aggiunge: «Provo a lavorarci, sentiamoci tra un po’». Si attivano i canali diplomatici.
Meloni richiama Schlein, le preannuncia che l’intesa è a un passo. Gli emissari si scambiano le righe che contengono la formula del «cessate il fuoco ». È il risultato politico a cui puntava Schlein, che infatti benedice la riscrittura: «Procediamo, è la nostra linea». Sul traguardo, però, qualcosa rischia di incepparsi. Il Pd propone al governo di accettare anche un altro comma, quello che contiene il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Su questo, però, la presidente del Consiglio è irremovibile: non se ne parla. Rilancia, proponendo un’altra soluzione: «Lasciate soltanto la formula “due popoli, due Stati”, fin lì ci arrivo».
A quel punto è Schlein a opporsi. Traballa il patto, per alcuni minuti. Fino allo scambio che permette di superare le divergenze tra le due leader: «Asteniamoci reciprocamente sui punti concordati, è comunque un risultato ».
(da La Repubblica)

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UNA SLINGUAZZATA SUL CAV: L’ITALIA STAMPERÀ UN FRANCOBOLLO IN OMAGGIO A SILVIO BERLUSCONI. USCIRA’ IL PROSSIMO SETTEMBRE

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

LO HA DECISO IL MINISTERO PER IL MADE IN ITALY, LE CUI PRATICHE FILATELICHE SONO SEGUITE DALLA SOTTOSEGRETARIA MELONIANA, FAUSTA BERGAMOTTO,,, FINORA BERLUSCONI ERA “DIVENTATO” UN FRANCOBOLLO SOLTANTO IN CINQUE PAESI DELL’AFRICA, DALLA LIBIA ALLA LIBERIA

L’Italia si allinea finalmente alla Libia, alla Liberia, alla Sierra Leone, al Mozambico e al Niger. Un passo di civiltà che ha sembianze filateliche: come finora avevano fatto soltanto una manciata di Stati africani, quest’anno anche il nostro Paese stamperà un francobollo in omaggio a Silvio Berlusconi.
Lo ha deciso il ministero per il Made in Italy guidato da Adolfo Urso, le cui pratiche per l’emissione di francobolli sono seguite dalla sottosegretaria in quota FdI Fausta Bergamotto. Dai corridoi del ministero la notizia è arrivata a Vaccarinews.it, testata online che si occupa proprio di filatelia e che per prima ha anticipato il lieto evento.
Ora il Mimit non solo conferma la sua decisione al Fatto, ma specifica pure che per Silvio sono arrivate due diverse richieste da esponenti di Forza Italia, oltreché da privati cittadini. Il ministero ha quindi accolto i voleri di FI integrando il Programma d’Italia 2024 con il francobollo in onore di B., chiarendo che uscirà a settembre in coincidenza con quello che sarebbe stato l’88esimo compleanno dell’ex premier.
Una chicca da collezionisti che completerà una serie bizzarra, visto che finora Berlusconi era diventato un francobollo soltanto in cinque Paesi dell ’Africa per i motivi più svariati.
In Liberia, per esempio, gli avevano dedicato ben due emissioni. La prima nel 2011, quando Silvio era comparso in una serie sui successi internazionali del Milan. La seconda, dalle fattezze bizzarre, uscì nel 2021 e vedeva il faccione serio di Berlusconi dipinto tra il disegnino del coronavirus e lo stemma della Croce Rossa. Su eBay è malinconicamente disponibile a 2 dollari e 50.
E se anche il Mozambico aveva celebrato il “club più titolato al mondo”, nel 2008 la Sierra Leone aveva immortalato Berlusconi in occasione del G8 di L’Aquila.
Ma gli omaggi più pittoreschi sono quelli di Niger e Libia. In Niger, un ritratto solo apparentemente innocuo di Silvio comparve nel 2019 in una serie dal titolo inequivocabile: “Francs-Macons”, Liberi Muratori. Massoni, insomma, come chiarivano anche squadra e compasso a lato del disegno. Segno che un’iscrizione alla P2 è per sempre.
Più romantico invece il francobollo libico del 2010: in occasione del 40esimo anniversario del regime di Gheddafi, Tripoli pensò di stampare una sorridente stretta di mano tra B. e l’amico dittatore, ignaro della sorte che l’avrebbe atteso di lì a pochi mesi.
(da Il Fatto Quotidiano)

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FERRARA, INNEGGIARONO A HITLER IN UN LOCALE NEL QUARTIERE EBRAICO: 24 INDAGATI PER APOLOGIA DI FASCISMO E ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

IL GRUPPO E’ ACCUSATO ANCHE DI MINACCE E VILIPENDIO DELLE FORZE ARMATE

Un gruppo di 24 persone è indagato per apologia di fascismo, istigazione all’odio razziale, minacce e vilipendio alle Forze armate. Da questa mattina, martedì 14 febbraio, dalle prime ore del giorno, sono in corso a Ferrara le perquisizioni nelle abitazioni di ciascun partecipante a un blitz avvenuto pochi giorni prima di Natale in un locale del quartiere ebraico della cittadina emiliana.
In quella occasione si sono presentati indossando una tuta arancione inneggiando ad Adolf Hitler, al nazismo e a Benito Mussolini, minacciando di morte chi cercava di interromperli.
Durante la serata sono anche stati diffusi dei volantini contenenti minacce alle forze dell’ordine. L’operazione soprannominata «Bravi ragazzi» è coordinata dalla direzione centrale della polizia di prevenzione, mentre i provvedimenti di perquisizione sono eseguiti dalla polizia di Ferrara, Bologna e Ravenna. Tra le squadre coinvolte, anche gli agenti specializzati della polizia postale che dovranno analizzare il materiale informatico contenuto sui dispositivi sequestrati.
Gli accertamenti sono necessari anche per verificare se quello segnalato è stato un episodio isolato o se il gruppo è più strutturato. Nelle perquisizioni sono stati trovati manganelli, una katana, coltelli a serramanico, calendari e santini con le immagini di Mussolini, una pistola finta, tute arancioni con numeri sule spalle.
(da agenzie)

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IMPOVERITI E INCATTIVITI

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

L’INDIVIDUALISMO E L’AVIDITA’ DI DENARO SEMBRANO LA CIFRA NELLA MEDIA BORGHESIA

Il Bel Paese”, così aveva fama l’Italia, tanto che a fare il cosiddetto tour d’Italie venivano i grandi intellettuali e artisti, da Goethe a Stendhal a Oscar Wilde.
E in effetti l’Italia è un unicum, dal punto di vista storico, culturale, artistico, e anche geografico e ortografico. Abbiamo le Alpi, col monte Bianco di quasi 5 mila metri, gli Appennini, il Delta del Po che ricorda un po’ quello del Mississippi e soprattutto 8.300 chilometri di coste. Peccato che le coste ce le siamo rovinate da soli cementificandole, coinvolgendo in questa cementificazione anche alcuni siti archeologici di grande importanza, come quello di Agrigento.
L’Italia è unica per la cultura. Viene dalla latinità e anche dal pensiero greco (la “Magna Grecia”) e lo è rimasta col Rinascimento (Leonardo da Vinci, Michelangelo, Botticelli per dire solo di alcuni).
L’Italia rimarrebbe un “Bel Paese” se non fosse abitata dagli italiani di oggi.
Colpisce il suo cinismo da mercato. Si dirà che questo cinismo ormai riguarda tutti nel mondo globalizzato a eccezione di poche enclave, ridotte al margine, dove gli autoctoni hanno conservato la propria dignità.
Ma un padre che specula sulla morte della propria figlia è un unicum, questa volta negativo, di noi italiani. A questa speculazione ha aderito anche la sorella della vittima, Elena, e perfino la nonna. Un tempo, in fondo non poi così lontano se anch’io ho avuto il modo di viverlo, una famiglia colpita da una disgrazia si chiudeva in un dignitoso e silenzioso riserbo.
Fa impressione anche la sciatteria degli italiani di oggi, che coinvolge artigiani, giornalisti e quasi ogni altra categoria (giornalismo: ma è mai possibile trovare certi strafalcioni sul Corriere della Sera, il più importante quotidiano italiano?). Un tempo l’artigiano aveva l’orgoglio del suo manufatto, il “capolavoro”, tanto che, ancora oggi, a Milano puoi vedere certi tombini sui quali l’artigiano aveva messo in sigla il proprio nome.
Adesso l’artigiano fa il suo lavoro alla bell’e meglio, contando sull’ignoranza del committente. Tu chiami, e qui comincio a parlare di esperienze personali, un fabbro. L’appuntamento è per le 2 del pomeriggio e quello alle 5 non si è ancora fatto vedere. Ho un garage dove, non potendo più guidare la macchina, tengo una vecchia bicicletta, una Rossignoli con cinque cambi che mi è emotivamente cara perché mi ricorda un’altra stagione della mia vita.
Che fanno gli operai della commendevole ditta Di Falco che in Milano hanno ottenuto tutti gli appalti dell’Ecobonus (e anche questo meriterebbe un’indagine della magistratura, perché così siamo in un regime che viola la concorrenza)? Entrano nel garage, probabilmente rubano la bici, a meno che non ci abbia pensato prima qualcun altro, e vi mettono i loro arnesi e le loro masserizie, dimenticandosi, anzi sfottendolo, il proprietario. C’è un furto e una violazione di domicilio.
Potrei, naturalmente, rivolgermi alla magistratura, ma con i tempi delle nostre procedure penali e civili otterrei soddisfazione tra una mezza dozzina d’anni e forse più. Anche perché in Italia s’è venuto creando un doppio diritto, uno per “lorsignori”, fra cui oltre ai politici ci sono anche gli imprenditori, e l’altro per i comuni mortali.
È vero che gli artigiani sono tartassati dal fisco, si fa per dire, perché lavorano quasi sempre in nero (ed è anche per questo che possono non presentarsi a un appuntamento già fissato). Ma prova tu, lettore, a fare un’infrazione stradale e il fisco ti è subito addosso con gabelle, tasse e sovrattasse (ricordo una bella vignetta di Giovanni Mosca, l’umorista: si vede un tasso, inteso come animale, con in groppa un tasso più piccolo. “Che cos’è?”, chiede, nella vignetta, l’omino al compagno: “È il tasso col sovratasso, è un animale che esiste solo in Italia”). Del resto se sei ricco e famoso le cose si svolgono molto diversamente.
Ricordo i casi di Valentino Rossi e di Luciano Pavarotti che patteggiarono col fisco ottenendo una riduzione della metà, milioni di euro o miliardi di lire.
Io sono un “fragile”, sia per età che per la menomazione della mia vista. Mi è capitato di essermi perso in un quartiere a me poco noto. Chiedevo indicazioni ai passanti e quelli tiravano dritto. Siccome ho ancora buoni riflessi, sono caduto solo una volta, inciampando in un gradino in piazza Cavour, finendo lungo disteso sul marciapiede. Nessuno che si sia fatto avanti per darmi una mano.
L’individualismo e l’avidità di denaro sembrano la cifra soprattutto nella media borghesia. Io abito in un palazzo abitato da questo tipo di individui. Non si sono accontentati dei vantaggi dell’Ecobonus, supposto che esistano ma hanno voluto anche un telo pubblicitario che per due anni ci ha tolto la vista, il sole, l’aria. Credo, come ho già detto l’altra volta, che se tu proponessi a un bangla: ti do del denaro ma tu per due anni rinunci all’aria, al sole, alla vista, quello ti manderebbe a dar via il culo.
Non abbiamo più valori né ideali. Il Fascismo li aveva, sbagliati, ma li aveva. Siamo il Paese record con quattro mafie: la mafia propriamente detta, la ’ndrangheta, la camorra, la Sacra Corona Unita. Ma al di sopra di queste si eleva una supermafia, più occulta, che si chiama partitocrazia. È quello che oggi si chiama “amichettismo”, che ha gli stessi metodi della mafia: offre protezione in cambio di sudditanza.
Anzi oggi che la mafia ha rinunciato, intelligentemente, a spargere sangue, la similitudine è perfetta. In peggio, perché la mafia conserva un codice d’onore (si veda la dignitosa morte di Matteo Messina Denaro) quella dei colletti bianchi no. Basta pungerli con uno spillo e spifferano tutto, tanto sanno che, in un caso o nell’altro, la galera è solo un’idea platonica, al peggio andranno ai “domiciliari” evidenziando anche qui una sperequazione fra i reati dei ceti sociali alti, per così dire, e quelli da strada, commessi in genere dai poveracci, per i quali vale il brocardo di madama Santanchè: “In galera subito e buttare via le chiavi”.
Scrivevo in un libro pubblicato nel 2010 da Chiarelettere: “Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza più essere divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia senz’anima”.
Il Bel Paese? Una fogna a cielo aperto.
Massimo Fini
(da ilfattoquotidiano.it)

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IL RITORNO DELL’EIAR

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

PRONTI I CARTELLI IN RAI: “QUI NON SI PARLA DI POLITICA”

Lei è poeta? Bene, allora faccia il poeta e non rompa i coglioni. In sintesi la serena posizione della sedicente destra fantasy al potere in Italia su argomenti come “arte e politica”, “arte e società” e altre questioncelle di cui si dibatte da alcune migliaia di anni è questa, come potete vedere, molto articolata.
In confronto, le scritte nelle osterie ai tempi del Ventennio – “Qui non si parla di politica” – erano un trattato di densa complessità semantica.
Ora no, niente di tutto questo, ora si va per le spicce, come dice il deputato Giorgio Mulè di Forza Italia: “A Sanremo si va per cantare”. Ecco, bon, finito. E se qualcuno, oltre a cantare (e magari pure cantando!) dice delle cose sul mondo – dall’immigrazione all’ambiente, dalla guerra al genocidio di Gaza, alla fame nel mondo, ai salari bassi – ecco che “è uno sproloquio”, oppure (per i più colti) “le cose vanno dette nel loro contesto”, oppure, “ecco vuole farsi pubblicità”, o ancora “non sa quel che dice”.
All’ultimo step c’è anche il non mettere in difficoltà la sora Mara Venier, poverina, che all’età di 73 anni, e installata in tivù da quando c’erano i tram a cavalli, si presta alla lettura di un comunicato Eiar sollecitato dall’ambasciatore di Israele per paura di non fare carriera. Cerchiamo di capirla.
Gli argomenti per dire ad artisti, cantanti, scrittori, registi e altri esponenti della cultura il classico e volitivo “Stai al posto tuo” sono numerosi e, ahimè, sempre gli stessi.
Il primo e più gettonato è l’intramontabile “non è il momento”, “non è il posto giusto”, “il contesto non è quello adatto”. Insomma, come ha detto zia Mara, “Questa è una festa e si parla di musica”, mica di immigrati (questo zittendo Dargen D’Amico), anche se poi ha letto il famoso comunicato, che non parlava di musica per niente. E vabbè.
Poi c’è un altro classico e sempreverde manganello per chi si ostina a occuparsi del mondo oltre a cantare una canzone (come se cantare una canzone non fosse occuparsi del mondo, poi!), ed è l’accusa di guadagnarci qualcosa, di lucrare in popolarità. “Vuole farsi notare!”, è la terribile accusa, magari pronunciata da politici di seconda, terza e quarta fila che venderebbero la madre per veder pubblicata una loro dichiarazioncina con fotina annessa.
Questo fa sempre molto ridere, perché di solito – come nel caso di Ghali – quello accusato di volersi fare pubblicità dicendo “cessate il fuoco” è già molto, ma molto, ma molto più popolare e noto del pupazzetto che si indigna.
Seguendo lo stesso ragionamento potremmo dire che Mulè (e altri) si fanno pubblicità parlando di Ghali, sarebbe più sensato, perché sono in effetti meno popolari e molto meno amati dal pubblico.
L’ultima cartuccia per tenere gli artisti “al posto loro” se la giocano in molti, compresi corsivisti, commentatori e paraguru dell’informazione, ed è – nell’impossibilità di smontare l’argomento – l’operazione di svilire chi lo pronuncia. Insomma, siccome è difficile di fronte a un “Basta con il genocidio!” rispondere “No, no, avanti con il genocidio!”, si contesta la lucidità, o la conoscenza dei fatti, o l’autorevolezza di chi lo dice. Come se si dovesse essere chissà quanto autorevoli per dire che non bisogna assassinare donne e bambini. Insomma è una variante del “Che ne sai tu che fai il cantante!”, detto quasi sempre da gente che ne sa infinitamente meno, ma si adegua.
Deve sembrare ai volenterosi censori un’arma invincibile e acuminata. Insomma! Che ne sa un cantante di genocidi? Chi si crede di essere, eh, la Corte dell’Aja? Ops…
(da il lfattoquotidiano.it)

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AMADEUS CONTRO L’AMBASCIATORE D’ISRAELE: “ALL’ARISTON DIFFUSO ODIO? NO, SOLO APPELLI PER LA PACE”

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

L’ORMAI EX DIRETTORE ARTISTICO DEL FESTIVAL RISPONDE PER LE RIME AD ALON BAR

Ora che è libero dalla veste ufficiale di conduttore e direttore artistico di Sanremo, incarico portato a termine sabato notte dopo cinque edizioni di grande successo, Amadeus torna sul caso politico più scottante dell’edizione appena conclusasi: gli appelli di varia forma e natura per la pace e/o contro il presunto «genocidio» in corso a Gaza dal palco dell’Ariston, e le conseguenti proteste di Israele e di alcune comunità ebraiche. Amadeus, semplicemente, non ci sta ad accettare la tesi – contenuta nella nota del day after di Sanremo dell’ambasciatore d’Israele in Italia – secondo cui questo Festival sarebbe stato «sfruttato per diffondere odio» contro lo Stato ebraico. «Rispetto le decisioni di tutti, ma non sono assolutamente d’accordo con questa affermazione, nella maniera più totale», replica ora lo showman ospite di Porta a Porta. Che difende a spada tratta ciò che è accaduto nell’ultima settimana sul palco del “suo” Ariston: «Il festival di Sanremo non ha mai promosso l’odio, ha sempre parlato di inclusione, di libertà: i cantanti che sono saliti sul palco hanno chiesto la fine della guerra, hanno chiesto la pace. Richiedere la pace vuol dire seminare odio?», chiede Amadeus: «Esattamente il contrario». Eppure tra tutte le testimonianze portate sul palco dagli artisti – primi fra tutti Ghali e Dargen D’Amico – non è forse mancata almeno una menzione anche delle vittime di parta israeliana dell’ultima tragica guerra, come ha notato l’ambasciatore Alon Bar? La domanda è sollevata ad Amadeus da Bruno Vespa: «Non è che avete dimenticato il massacro di 1.200 israeliani» lo scorso 7 ottobre? «Assolutamente no», replica l’ormai ex direttore artistico del Festival. «La guerra da qualsiasi parte è da condannare, non c’è guerra da un lato o dall’altro, c’è la guerra che va fermata, qualsiasi guerra al mondo va fermata. Mai mi sarei mai sognato di portare l’odio, e così anche i cantanti». Anzi, incalza Amadeus difendendo i “suoi” artisti a spada tratta: «Portiamo esattamente l’opposto. I ragazzi in gara fanno messaggi e appelli di pace, di libertà di idee, di pensiero, di uguaglianza di pelle, di valori. A Sanremo nella storia, e senza sembrare presuntuoso, in questi anni, c’è un grande senso di inclusione che va rispettato e mai cambiato, sennò torniamo indietro».
(da Open)

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DI BATTISTA, VIRGINIA RAGGI E DAVIDE CASALEGGIO STANNO LAVORANDO A UN NUOVO PARTITO, OBIETTIVO PROSSIME POLITICHE

Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROGETTO PUNTA A CONTRASTARE IL M5S PER TORNARE AL VECCHIO ANIMO GRILLINO… IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE “SCHIERARSI” DI DIBBA, È LUCA DI GIUSEPPE, EX M5S E DIRIGENTE DELLA SOCIETÀ DI CASALEGGIO

Dibba, i’ vorrei che tu Davide e io fossimo presi per incantamento. Sabato scorso, come non accadeva da tempo, ecco che è successo: Virginia Raggi si è presentata ad autenticare le firme di “Schierarsi”.
E’ l’associazione che, citiamo testuali, “prende posizione con coraggio su temi nazionali e globali” di cui Alessandro Di Battista (l’eterna promessa dei grillini, partito di cui non fa più parte) è vicepresidente oltre che animatore totale in giro per l’Italia. Il presidente di “Schierarsi” è Luca Di Giuseppe, un altro ex M5s, che nella vita è responsabile commerciale di Camelot. Come cos’è? E’ la piattaforma di Davide Casaleggio (figlio di Gianroberto) e della moglie Enrica Sabatini, un altro pezzo importante della burocrazia grillina che fu, finito a piatti in faccia con l’ex premier.
Dibba, Raggi e Casaleggio junior: quanto basta per far arricciare il ciuffo a Conte, diventato padre padrone del M5s, partito quasi personale che guida con pugno duro e un discreto successo mediatico con buone capacità di manovra parlamentare.
Di Battista e l’ex sindaca di Roma hanno un rapporto di lunga data e assai consolidato. Per dire: nel 2016 fu lui, una volta ascoltato il parere del suo meccanico (non è battuta) a dirle di rifiutare la candidatura della Capitale alle Olimpiadi. E così andò. Nel corso degli anni, tutte le volte che si metteva male, è stato sempre Dibba a correre in supporto della “regina di Roma” e a immolarsi per lei al cospetto dei vertici del partito che la percepivano come fonte di guai più che di vanto. Quanto alla presenza del giovane Di Giuseppe si può affermare – senza tema di smentita – che rappresenta un contatto fra Dibba e il mondo casaleggiano, da venti anni ormai in grado di fornire servizi e piattaforme alla politica (oltre che alle aziende): dall’Italia dei Valori di Di Pietro al M5s.
L’occasione di sabato scorso è servita ad autenticare le firme – Raggi è consigliera comunale di opposizione – per “il progetto di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dello Stato di Palestina lanciato dall’associazione Schierarsi”, ha spiegato la grillina, che fa parte, seppur in maniera molto critica, del comitato di garanzia del M5s (su nomina di Beppe Grillo).
Conte si attacca al malleabile statuto del M5s per non ricandidarla in quanto – regolamenti alla mano – ha esaurito tutte le possibilità (è al terzo giro in Campidoglio, anche se uno, quello ai tempi di Marino sindaco, si interruppe prima del tempo). Dibba invece non ha intenzione di scendere in campo per le europee perché preferisce coltivare la sua associazione che vanta circa diecimila iscritti. Una piattaforma che dovrebbe diventare qualcosa di più: un partito alle prossime politiche, quando saranno.
E anche Raggi a quel punto potrebbe essere della partita, arrivata ormai al capolinea. Siamo a metà fra la suggestione e il progetto che inizia a prendere piede.
(da Il Foglio)

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