Destra di Popolo.net

D’AGOSTINO: “È VERO: IO E ITALO BOCCHINO SIAMO STATI AMICI PER ANNI. E PERCHÉ IL RAPPORTO SI È IMPUTRIDITO ED È FINITO NEL CESSO E’ UNA STORIA POLITICA CHE MERITA DI ESSERE NARRATA”

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

ALL’INIZIO SEMBRAVA CHE STUDIASSE PER DIVENTARE GIANFRANCO FINI: TRAVIATO DA CATTIVE AMICIZIE, DISTINGUENDO POCO LE RELAZIONI POLITICHE E QUELLE D’AFFARI, È FINITO PER DIVENTARE UN BEL AMI CHE SI SBATTE PER RISALIRE SUL CARRO DEL VINCITORE (“MELONI È LA NUOVA MERKEL”)

Lei viene indicato da molti come il giornalista più meloniano in circolazione. Ma secondo Dagospia in realtà la premier la detesterebbe. “Non è assolutamente così, Dagospia sta conducendo una battaglia contro il governo e la Meloni, quindi mette un po’ di zizzania e ci sta. D’altra parte Roberto è bravissimo a farlo, ora è contro di me ma siamo stati amicissimi per 20 anni, anzi molti articoli del sito li abbiamo scritti pure insieme”.
Ciò che dice Bocchino nell’intervista a “Un giorno da pecora” è del tutto vero, verissimo: siamo stati amici per anni. Ma mi piace aggiungere alle sue parole, perché quel rapporto si è imputridito ed finito nel cesso.
Tutto era nato con le nozze, nell’anno di grazia 1995, con la mia carissima amica Gabriella Bontempo, erede dell’immobiliarista napoletano Eugenio, simpatizzante socialista, nonché nipote amatissima della mecenate e collezionista d’arte Graziella Lonardo.
All’inizio della nostra amicizia sembrava che Bocchino studiasse per diventare Gianfranco Fini, il Conducator del revisionismo che, un bicchiere dopo l’altro di acqua di Fiuggi, aveva evacuato le scorie del fascismo (“Male assoluto”), quindi pronto per fondare quella “destra di sinistra”, conservatrice e liberale, sempre annunciata e mai realizzata.
Invece, una volta metabolizzati i funerali della “destra di sinistra”, il braccio destro di colui che aveva battagliato l’autoritarismo di Silvio Berlusconi spezzando il Popolo della Libertà (“Che fai, mi cacci?”, reagì Fini), conquistando tra gli osanna della sinistra paginate di articoli e interviste su “Repubblica” (grazie anche al rapporto stretto con Fabrizio Dini, lobbista principe di Carlo De Benedetti ), oggi è diventato un ex politico che se ne inventa una al giorno per risalire sul carro del vincitore.
Ecco farsi avanti un “Melonino” tromboneggiante le consuete overdose ingenuamente ‘’salivari’’: “Meloni è la nuova Merkel, ha preso un paese dissestato per colpa di Conte”; ‘’Alla Meloni devo la mia rinascita pubblica. Nei talk smonto le falsità contro il governo”; “A FdI do il voto e il due per mille”; “Meloni ha fatto un capolavoro, rimettendo insieme tutti i cocci della diaspora a destra”;”Sono rinato grazie a Meloni, per fare una come lei ci vogliono mille Schlein”; ‘’Mi sono convertito al melonismo, ci credo come un ortodosso. E come tutti i convertiti sono più convinto di altri”; “I Meloni? Meglio dei Kennedy…”, e via salivando.
Per la verità, non c’è mai stata una rottura ufficiale tra l’ex colonnello di Gianfranco Fini e Fratelli d’Italia. Semplicemente, quando nel 2012 Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni fondarono FdI, Bocchino non fu considerato e viceversa.
Quando la Meloni vinse le elezioni del 2022, lui pensava di essere rivalutato. Invece, come direbbe la buonanima di Funari, “gna fatta”.
Troppo inquieto e pretenzioso e soprattutto inaffidabile, contornato com’è da amicizie del tipo: Marco Mancini, ex spione del Sismi di Pollari, che quando scende a Roma è suo ospite; l’altro spione, Giuliano Tavaroli, coinvolto nello scandalo dei dossier illegali Telecom-Sismi; l’algido Riccardo Pugnalin, un tempo segretario di Marcello Dell’Utri, poi convertito alla causa renziana, sempre di casa nei Servizi, ed oggi scodinzolante melonismo che gli ha prodotto un posto ai rapporti istituzionali all’Aspi.
§Se poi vogliamo aggiungere una spruzzata di Bisignani, la filiera delle cattive amicizie è fatta ( “Repubblica”, 2011: ‘’Sarebbe stato Italo Bocchino a rivelare a Luigi Bisignani che la procura di Napoli stava indagando su Alfonso Papa”; “La Stampa”, 2011: “Parlando a telefono con il suo amico Italo Bocchino, Luigi Bisignani afferma: “L’Eni è l’ente più grosso amico mio…perché sono molto legato a Scaroni. Ribadisco che ho facilitato la costituzione di rapporti commerciali tra Visibilia (ovvero tra la Santanchè) ed Eni, Enel e Poste italiane”).
Da bravo Bel-Ami, Bocchino non ha mai distinto troppo le relazioni politiche da quelle d’affari. L’imprenditore napoletano Alfredo Romeo lo ebbe come consulente per riferimento nel mondo politico e giornalistico, al punto che nel 2008 risultarono intercettazioni che provocarono la richiesta d’arresto di Bocchino, nel frattempo diventato vice presidente vicario di Fabrizio Cicchitto del gruppo parlamentare del Pdl. Archiviato: nulla di illecito.
E siamo ai pasticci familiari: l’uomo che avrebbe dovuto salvare l’Italia dal berlusconismo-padrone e invece non ha salvato neanche il suo partito, dalla presunta “macchina del fango” diventa protagonista della macchina del gossip. Deflagra nel 2011 la liason di Bocchino con Mara Carfagna, all’epoca ministro per le Pari opportunità. E Gabriella Bontempo si fa intervistare da Vanity fair, dove dichiara: “Sono due anni e mezzo che so della relazione di mio marito con la Carfagna”.
Bocchino, nel frattempo diventato l’uomo più in vista di Fli dopo Fini, non poteva far finta di niente. E, anche lui durante un’intervista (con Fabio Fazio a Che tempo che fa) frigna mea culpa: “A prescindere dal merito che riguarda il privato di alcune persone, ho capito che si tratta di un elemento di forte sofferenza per mia moglie. Quindi colgo l’occasione per chiedere scusa degli errori che ho commesso”.
Della serie: chiagne e fotti. Durante l’estate, i paparazzi lo fotografano sparanzato a Ravello con Sabina Began. L’”ape regina” del Banana squaderna a ‘’Vanity Fair’’ gli sms ricevuti e lui si difende con un video-post su Facebook: ““La macchina del fango’’ è sempre al lavoro ma al posto di Lavitola viene utilizzata la cosiddetta ‘ape regina”, una persona che avrei fatto bene a non frequentare, sebbene questo sia accaduto attraverso amici comuni””.
Quindi l’Italo in calore annuncia una querela per diffamazione. Risposta di lei: “Il signor Bocchino continua a cercarmi ogni giorno con sms e telefonate. Se va avanti così lo denuncio per stalking”.
Ecco perché le Meloni Sisters, Scurti e Fazzolari (Mantovano compreso) non gli fanno mettere nemmeno il nasino a Palazzo Chigi; e quando appare smaltato come una vasca da bagno sugli schermi de La7 l’orticaria non viene solo a loro ma anche a me, che ho creduto in lui (cazzo, non c’è mai un cartello che ti avvisa…).
Roberto D’Agostino
(da Dagospia)

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CODICE ETICO, FRATELLI D’ITALIA NE HA UNO TUTTO SUO: DALL’OBBLIGO DI “FREQUENTARE GLI INCONTRI FORMATIVI DI FDI” (I MAGGIORENTI CHE HANNO MARCATO VISITA A ATREJU ERANO PASSABILI DI PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE?) A QUELLO DI “NON ANDARE IN CONFLITTO PUBBLICO CON ALTRI ESPONENTI DI FRATELLI D’ITALIA”

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

ESILARANTE ALLA LUCE DI QUELLO CHE È ACCADUTO A BIELLA LA NOTTE DI CAPODANNO TRA POZZOLO E DELMASTRO

«Chi è senza peccato scagli il codice etico», si potrebbe dire oggi rivedendo la massima resa immortale dal Vangelo secondo Giovanni a proposito della prima pietra, il cui utilizzo per la lapidazione andava riservato a chi di peccati ne aveva sommati zero, non pochi o meno degli altri, nessuno proprio.
E adesso che tra le carte delle indagini della Procura di Bari (l’assessora dimissionaria della giunta Emiliano, centrosinistra), l’inchiesta di Torino (big del Partito democratico locale, centrosinistra) e gli arresti di Palermo (un ex consigliere di Fratelli d’Italia, centrodestra) — solo per rimanere agli ultimi giorni — la questione morale torna sulla scena con una certa prepotenza, ecco che si rinfresca anche la mitologia del Codice etico, che come molte figure mitologiche sembra metà «codice» e metà «etico».
Formalmente indispensabile come i bugiardini nei medicinali ma verosimilmente compulsato dallo stesso numero di lettori del genere di cui sopra (cioè pochini), il Codice etico torna di tanto in tanto a regolare conti che sembrano chiusi per sempre salvo poi riaprirsi come una ferita mal rimarginata.
Nonostante il Pd sia stato il primo partito a dotarsene sin dal momento della sua fondazione, Elly Schlein ha intenzione di rimetterci mano per vagliare al meglio le candidature delle prossime Europee.
Il Movimento 5 Stelle ne ha scoperto l’esistenza con leggero ritardo rispetto ai suoi primi vagiti ma comunque ce l’ha, datato 2017, giusto in tempo per la campagna elettorale dell’anno successivo, guarda caso apertasi con alcuni dei candidati che baravano sui bonifici dei rimborsi e che vennero eletti lo stesso perché era troppo tardi per rimuoverli (uno degli «impresentabili», Andrea Cecconi, nel collegio di Pesaro sconfisse nientemeno che Marco Minniti, l’uomo d’ordine per antonomasia del centrosinistra).
«Sempre in voga perché non è di moda mai», come cantava della figura mitologica del «tamarro» il duo rap Articolo 31 alla fine del Novecento, il Codice etico ha vissuto picchi di celebrità negli anni Dieci del nuovo millennio. La Camera dei deputati ne ha approvato uno che regolamenta i rapporti tra gli eletti, collegandolo al varo di un Regolamento dell’attività di lobbying (tra le altre cose, dentro c’è scritto che un deputato non può accettare un regalo dal valore superiore ai 250 euro); e le «gravi e reiterate» violazioni del Codice etico dell’Associazione nazionale magistrati sono state alla base dell’irreversibile provvedimento di espulsione del suo ex numero uno Luca Palamara, in tempi più recenti.
Fratelli d’Italia, anche se all’inizio non lo aveva, adesso ha un Codice etico tutto suo. In cui, oltre alle prescrizioni sui comportamenti che hanno a che fare con il rispetto delle leggi e i casellari giudiziari, trova spazio un po’ di tutto: dall’obbligo di «frequentare gli incontri informativi e formativi di FdI» (i maggiorenti che hanno marcato visita all’ultima domenica di Atreju erano passabili di provvedimento disciplinare?) a quello di «non andare in conflitto pubblico con altri esponenti di Fratelli d’Italia», che alla luce di quello che è accaduto a Biella e dintorni negli ultimi quattro mesi ha forse mostrato un tocco di inefficacia.
(da corriere.it )

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LUCA BIZZARRI: “INCREDIBILE, LA POLITICA HA PAURA DI NOI COMICI”

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

“E’ UN PERIODO D’ORO PER LA SATIRA, ABBIAMO I DELMASTRO, I RENZI, I SANGIULIANO”

A vederlo proprio non si direbbe. Cosa? Quasi tutto. Tutto quello che in questi anni Luca Bizzarri ha mostrato, raccontato, doppiato e scritto, sbucando dagli schermi piccoli e grandi, dalle tavole dei palcoscenici, e ora persino dal podcast delle meraviglie, ascoltato al punto da essere diventato uno spettacolo teatrale, ecco quell’attore di cui si pensa di conoscere ogni smorfia arguta in realtà è anche qualcosa di diverso, che arriva all’improvviso.
L’inaspettata solitudine di un comico che lavora in coppia con Paolo Kessisoglu («ormai conosco ogni suo respiro, quando scrivo sento la sua voce, e so già come la farà»), la malinconia del giullare, che sbuca tra i colpi di clava, la tenerezza cinica, che lo porta a parlare d’amore sì, ma che alla fine al vaporoso sentimento di Fabio Concato sceglie i versi di Ivano Fossati. E ci piange un po’ su.
«È il meccanismo ottuso di un orologio falso americano che misura il tempo e tempo non c’è più, ma fermava il tempo se passavi tu». Così si chiude il suo spettacolo “Non hanno un amico” che non è esattamente un monologo romantico, anzi e in un mondo in cui ormai vale tutto cerca di andare avanti a colpi di buonsenso. Eppure quella chiusa ci sta benissimo, racconta tanto di Bizzarri, e pure di chi lo spettacolo lo guarda battendo le mani. «La teoria dell’underdog che va tanto di moda di questi tempi è la più grande fortuna della mia vita, il fatto che nessuno si aspetti mai niente da me poi si gira a mio vantaggio», dice ridendo, e facendoti ridere, senza fatica. Perché Luca Bizzarri l’ironia la manifesta anche mentre sgranocchia le noccioline di un aperitivo dopo teatro, «giusto due bibini, per non rovinare l’appetito».
Genovese di carne e di spirito, nasce nel mondo del teatro, quello vero, studiato all’Accademia e poi messo in pratica con soddisfazione e due modelli da imitare, Giorgio Gaber e Marco Pannella: «Ascoltando le notti di Pannella ho imparato da questo grande oratore i toni, i colori, quando accelerare e quando rallentare».
E da Gaber? «Tutto il resto. La prima volta che ho pensato di fare l’attore è stato dopo avere visto un suo spettacolo. Una volta feci un fioretto: se fossi riuscito a entrare alla scuola dello Stabile sarei andato a vedere tutte e 15 le repliche. E la bidella della scuola alla quindicesima mi ha detto: vabbè, ti ho fatto un regalo, il signor Gaber ti aspetta in camerino. Abbiamo fumato 5 Marlboro in mezz’ora e mi ha detto tutto quello che mi sarebbe servito».
Certo passare dalla tragedia di Shakespeare alle gesta di Salvini è stato un bel salto, niente da dire. «Ah certo, posso vantarmi di avere fatto Amleto con Benno Besson anche se tenevo solo l’alabarda, poi è arrivato il momento in cui ho dovuto decidere tra il continuare così a centomila lire al giorno oppure fare “Ciro, il figlio di Target” su Italia 1 a un milione e mezzo a puntata e non c’è stato proprio il dibattito. Fare teatro significava andare avanti col bancomat di mamma in tasca, scegliere la televisione invece voleva dire avere un bancomat mio».
Ma quindi era proprio questo che voleva fare da grande? «Io da grande volevo essere Gabriele Lavia, non uno simile, proprio lui. Ma non ce l’ho fatta. Per adesso però, mica è finita».
C’è tempo Bizzarri, c’è tempo. «Vero, però ormai sono vecchio, ho fatto un sacco di cose anche se mi sembra di avere fatto sempre la stessa. Doppiare un cartone, presentare Sanremo o fare il mio spettacolo, alla fine è sempre la stessa messa in scena. Indossare una maschera e mettersi nei panni di qualcun altro. Io sono profondamente contrario al detto “sii te stesso”».
La maschera dell’attore, qualcosina sopra è stato scritto. Ma si potrebbe a questo aggiungere una postilla sui social, di cui Bizzarri è imperatore molesto, il twittarolo che litiga e non molla per il semplice gusto di farlo. «Certo, anche la mia attività social è una messa in scena. Ma sa perché rintuzzo fino all’esaurimento? Le racconto una cosa che viene da lontano. Il mio papà carabiniere era un gran rompicoglioni e quando si discuteva metteva sempre un “però” alla fine della frase: sì sono d’accordo però… Mi faceva impazzire, possibile che non fosse mai d’accordo fino in fondo neanche una volta? E io ho preso da lui in questo senso». Ma non si annoia a discutere sempre? «In realtà discuto proprio perché mi annoio, tipo se sono in treno. Apro Twitter e cerco qualcuno con cui bisticciare, tanto è facile. In questo momento è tutto così poco serio, anche le morti, anche le guerre, ti viene sempre richiesto di prendere posizione a tutti i costi, come se fosse sempre possibile sapere qual è la parte giusta in cui stare».
È facile litigare di questi tempi, ma anche facile far scattare la risata. «Per gente come me che fa satira questo è davvero un periodo d’oro. Abbiamo i Delmastro, ma anche gli Emiliano, i Calenda e i Renzi, insomma di qua e di là, non importa, non ce n’è uno che non possa darti un bello spunto, basta aspettare e poi arrivano tutti. E di questo gli sono un po’ grato».
Un grande mischione indistinto, dove non ci sono i buoni e neanche i cattivi, che cos’è la destra, cos’è la sinistra, come cantava Gaber. «A volte mi chiedo come sia possibile che oggi i potenti se la prendano tanto per le parole di un comico e poi mi dico che semplicemente non ci sono più i potenti di una volta. Siamo giullari, non dovremmo contare più di tanto. Eppure, questi qua hanno paura di noi, e non si ricordano che un uomo come Berlusconi, che è stato l’oggetto di milioni di sberleffi, persino sulla flaccidezza delle natiche, ha sempre preso milioni di voti per quasi 30 anni. Questo avrebbe dovuto insegnare a questi poveretti che ci sono ora che la cosa migliore sarebbe lasciarci stare».
Invece si lamentano e fanno chiamare dai loro assistenti il mercoledì mattina, dopo la copertina di “DiMartedì”. «Una volta mi ha chiamato Rocco Casalino piccato per una battuta. Cioè, il portavoce del presidente del Consiglio che perde dieci minuti della sua preziosa vita per parlare con me. Incredibile no?».
Effettivamente non è un bel segnale. «No per niente, anche perché o fanno così, si incazzano, strepitano o ancora peggio vogliono salire sul palco con te. E a me non piace neanche questo. Il politico non deve esserci né per ridere né per offendersi, con il comico non si deve neanche sfiorare. Io faccio il mio e lui fa il suo, ognuno ha il suo mondo. Invece ora tutti vogliono dirti: “Io sono come te”. Ma io non voglio che tu sia come me sennò ci vado io».
Però non ci è mai andato e non ci pensa proprio («È l’ultima cosa che farei nella vita, non potrei mai vivere in questa perenne campagna elettorale»), anche se con la politica ha dovuto avere a che fare giocoforza, da presidente di Palazzo Ducale. «Quando mi hanno chiesto se ero disponibile ho pensato: sono capace di farlo? No. Mi conviene farlo? No. Quindi ovviamente ho accettato. L’unica condizione posta a Toti era di potere continuare a fare satira tranquillamente, anche su di loro. Sono stati talmente d’accordo che a fine mandato hanno cacciato via sia me sia la direttrice. Mi sono accorto che sarebbe stato molto complicato quando in una delle prime riunioni è arrivato l’assessore alla Sicurezza con una ruspa sulla cravatta. E ho pensato: ma come posso rimanere serio?».
Effettivamente difficile, ma anche oggi a parlare di cultura viene un po’ da ridere, se non ci fosse da piangere: «Io Sangiuliano davvero non lo capisco, più che della Cultura mi sembra il ministro della promozione di sé stesso. Ma parliamoci chiaro: credo che questa destra non farà molti più danni di quelli fatti dalla sinistra. Sino a ora ha evitato i disastri perché di cultura non si è mai occupata. Una volta il sindaco di Genova Bucci mi chiese di fare una mostra per insegnare ai cittadini a fare la raccolta differenziata. Ho provato a spiegargli che questa era educazione civica, che la storia dell’arte veniva all’ora dopo, ma capivo che loro non avessero proprio idea di cosa fosse il “fare cultura”. La sinistra invece l’ha trasformata in cosa nostra, un amico lì, l’altro là, ci scambiamo i premi e così via. Insomma, prima di dare grandi colpe alla destra la sinistra dovrebbe fare un bell’esamino di coscienza».
E la televisione? Non tira una bella aria soprattutto in Rai e soprattutto per la satira. «La satira politica è sparita in Rai da almeno 10 anni, dal momento in cui ha cominciato a dare fastidio alla politica tutta. È vero che c’è un’occupazione della destra, ma quando mai non c’è stata? Io ho sempre detto e fatto quello che volevo, ci sono riuscito con Paolo persino a Sanremo sotto la direzione di Mazzi che è un uomo di Meloni, e ho detto tutto. Però le dico anche che l’unica volta che sono stato censurato è stato per un artista di sinistra che ha preteso il taglio di un pezzo in cui lo prendevamo bonariamente per il culo. Mi sono arrabbiato? No, ho riso molto».
Oggi Luca Bizzarri gira l’Italia in tournée («abbiamo date fino a dicembre»), cura il suo podcast («sta diventando una dipendenza, e io sono un po’ facile alle dipendenze»), resta nella sua isola felice de La7 anche se alla parola Discovery appare una smorfia da monello («Quelle sono cose di Caschetto, io non dico niente») e per il momento va bene così: «Non so se in questo momento in televisione farei altro. Neanche una prima serata, l’idea di ricominciare quella vita di merda in attesa degli ascolti del giorno dopo, no grazie. Ormai ho un’età che mi permette di pensare cosa voglio fare più che al dove lo voglio fare. Sono nella fase “Colpi di timone” di Gilberto Govi, che pensa di stare per morire e quindi dice tutto quello che pensa. Govi o Vittorio Feltri, che più o meno siamo lì». Una bella immagine di speranza, grazie Bizzarri. «Non scherziamo, io messaggi di speranza? Un genovese che ti dà speranza non esiste».
(da lespresso.it)

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“AMADEUS LASCIA LA RAI”: LE VOCI SULL’INCONTRO CON VIALE MAZZINI E L’ANNUNCIO DEL PASSAGGIO ALLA NOVE

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

IL CONDUTTORE ALLA NOVE AVREBBE LA GESTIONE DI TUTTO L’INTRATTENIMENTO… A FORZA DI ROMPERE LE SCATOLE A TUTTI, TELEMELONI TRASMETTERA’ SOLO I MONOLOGHI DI SORA GIORGIA

Il primo accenno è arrivato stamattina di buonora, durante Viva Rai 2, quando Fiorello ha parlato di “cambiamenti in atto”: “Non sono autorizzato a dire niente, ma vi dico solo che ieri Amadeus è salito al Colle a dare comunicazioni su qualcosa…”. E alla domanda “Amadeus resta in Rai o va altrove?”, Fiorello ha risposto accennando con la tromba il motivo del Silenzio fuori ordinanza, dicendo “questo lo dedico alla Rai”. Tra una battuta e una risata, la questione però esiste: e riguarda il futuro di Amadeus che, dopo un tira e molla lungo due mesi (iniziato più o meno all’indomani della finale del suo ultimo Festival di Sanremo, o forse anche prima, chissà) sarebbe segnato: secondo indiscrezioni, il conduttore avrebbe avuto un incontro con i vertici di Viale Mazzini comunicando, in via ufficiosa, l’intenzione di lasciare la Rai per passare alla Nove.
La notizia di possibili abboccamenti (e sontuose offerte) da parte del canale che già ha accolto Fabio Fazio e il suo Che tempo che fa non è nuova, circola da settimane benché nessuno dei diretti interessati abbia, a questo proposito, proferito parola. Stavolta ci sarebbe un elemento in più, ovvero la proposta che la Nove avrebbe fatto ad Amadeus, quella cioè di diventare responsabile di tutto l’intrattenimento del canale, qualcosa di analogo a quel che gli avrebbe offerto Viale Mazzini ma con un cachet nettamente superiore.
I rumors, partiti non senza fragore dal sito TvBlog, si spingono a ipotizzare una possibile sostituzione per la prossima stagione di Affari tuoi, il programma che in questa stagione Amadeus ha portato a risultati d’ascolto invidiabili. Si parla di Stefano De Martino ma al momento sono pure illazioni, anche perché lo stesso problema riguarderebbe I soliti ignoti, altro show “a marchio” Ama, la cui conduzione resterebbe così vacante, a meno che non “segua” il conduttore alla Nove e allora sarebbe una perdita non indifferente per la Rai. Un’altra.
Quel che è certo, finora, è che il contratto di Amadeus scadrà in estate, che mai è arrivata una sua smentita alle voci che lo vorrebbero in uscita dalla tv pubblica, e che di Sanremo 2025 non se ne parla proprio, al punto che la stessa Rai, un mese fa, fu costretta a smentire le voci su un accordo raggiunto tra la Rai e il conduttore per la 75esima edizione del festival.
(da agenzie)

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UN CAV DA SLINGUAZZARE: IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA DATO IL VIA LIBERA ALL’EMISSIONE DI UN FRANCOBOLLO COMMEMORATIVO DI SILVIO BERLUSCONI, SU PROPOSTA DI ADOLFO URSO

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

USCIRA’ IL PROSSIMO SETTEMBRE, L’ASSOCIAZIONE WIKIMAFIA LANCIA UNA PETIZIONE PER CHIEDERE A MATTARELLA DI NON AUTORIZZARE L’EMISSIONE: “È DISEDUCATIVO”

Un francobollo commemorativo con impressa l’effige di Silvio Berlusconi. All’inizio sembrava una provocazione e invece è arrivato anche il via libera del Consiglio dei ministri. A un anno dalla scomparsa dell’uomo di Arcore, dunque, sarà emesso un francobollo col suo volto.
Non è ancora chiaro in che modo sarà raffigurato Berlusconi e neanche se si tratterà del primo pregiudicato omaggiato con un’emissione filatelica.
Di sicuro la decisione del ministero per il Made in Italy guidato da Adolfo Urso fa esultare Licia Ronzulli e Paolo Emilio Russo, parlamentari di Forza Italia: “È il giusto riconoscimento a un grande italiano che ha servito e onorato la Repubblica in tutti i ruoli che ha ricoperto”.
Di segno completamente opposto, invece, la reazione dell’associazione Wikimafia che da alcune settimane ha lanciato una raccolta firme che sarà inviata al Quirinale, per chiedere al presidente della Repubblica di non autorizzare l’emissione. Nell’appello a Sergio Mattarella gli attivisti dell’associazione antimafia sottolineano “una fondamentale pregiudiziale etica che non può essere ignorata, legata non solo e soltanto alle sue vicende giudiziarie, nelle quali rimediò una condanna definitiva per frode fiscale, ma anche alla sua condotta non penalmente rilevante”.
L’Italia, in ogni caso, non sarà la prima Nazione a dedicare un francobollo a Berlusconi. Come ha raccontato Il Fatto Quotidiano, infatti, alcuni Paesi africani hanno già omaggiato l’uomo di Arcore dedicandogli un’emissione: si tratta della Libia, della Liberia, della Sierra Leone, del Mozambico e del Niger.
Sono francobolli emessi quando Berlusconi era ancora in vita, spesso dedicati alle vittorie del Milan o ai rapporti dell’ex premier con Gheddafi. Nel 2019, invece, il Niger ha ritratto il leader di Forza Italia in una serie di francbolli titolata: “Francs-Macons”, Liberi Muratori. Massoni, insomma. E Berlusconi, come è noto, fu tra gli iscritti alla P2 di Licio Gelli
(da Il Fatto Quotidiano)

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IL SILENZIO DELLE SOCIETA’, L’ASSENZA DI UN PROGETTO E I DUBBI DEGLI SCIENZIATI

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

TUTTO QUELLO CHE NON TORNA SUL PONTE SULLO STRETTO… LE CRITICITA’ DELLA GRANDE OPERA VENGONO A GALLA

C’è una società che ha fatto la storia dell’ingegneristica dei ponti. È la Cowi, che nel suo portfolio, di recente, può vantare la collaborazione alla costruzione del ponte sullo Stretto dei Dardanelli – il Çanakkale Boğazı Köprüsü -, finito nel 2022: con una lunghezza pari a 2.023 metri di luce tra le due torri, è il più lungo ponte sospeso al mondo.
Il ponte sullo Stretto di Messina, con la sua campata unica di circa 3.300 metri, è destinato a superare questo e altri record. E la Cowi è tra le aziende protagoniste della grande opera.
Sul sito web del progettista danese, tuttavia, non c’è traccia del ponte che collegherà Sicilia e Calabria. Lo scrive il Fatto quotidiano, in un’inchiesta tesa a portare trasparenza sul fiore all’occhiello della propaganda di Matteo Salvini.
«Non ci fanno parlare con il responsabile del progetto»
Contattata, la Cowi tergiversa, non risponde alle domande e, solo dopo alcune insistenze, manda un virgolettato di Henrik Andersen, senior project director: «Non vediamo l’ora di completare la progettazione. Il ponte di Messina supererà tutti i limiti imposti dalle dimensioni dei ponti». Fine. «Al momento non abbiamo altri commenti da fare». Stessa riservatezza da Eurolink, il consorzio costituito per realizzare il progetto: «Non ci fanno parlare con il responsabile del progetto, né forniscono i nomi dei progettisti o chiariscono quando sono entrate alcune società», denuncia il Fatto.
Introvabile l’elenco completo dei progettisti
Il giornale tira in ballo il nome di Marco Orlandini, «il capo dell’ingegneria di Webuild, l’uomo che firma la “relazione del progettista” sul ponte». Il responsabile per legge del progetto, aggiornato a tutta velocità rispetto a quello del 2011.
Anche il suo nome, per un’intervista, sarebbe stato schermato da Eurolink e Stretto di Messina spa. «Il Fatto avrebbe voluto chiedergli: “Garantisce che il ponte si può fare come da progetto?”». Anche un elenco completo dei progettisti risulta introvabile al quotidiano.
Le criticità notate dall’esperto
Intanto, su Linkedin, l’ingegnere Emanuele Codacci-Pisanelli, «esperto del settore», rimarca alcune criticità dell’opera: l’ultima «relazione porta in sé grandi novità. La prima è certamente quella di introdurre le deroghe ai vincoli normativi. Con buona pace di chi affermava il contrario, ora il treno che viaggia dritto ma è inclinato potrebbe farlo. La seconda è certamente quella che se finora le prove aeroelastiche su modello del progetto definitivo non sono state fatte non è importante. Sono riprogrammate sul solo esecutivo in data da destinarsi e, si badi bene, solo a Milano. Certamente apprezzabile è poi il greenwashing secondo cui l’acciaio dei cavi, che viene ridotto, consente di ridurre la CO2».
«In molti casi la relazione rimanda al progetto esecutivo, cosa che non ha alcun senso»
Sentito dal Fatto, l’ingegnere sintetizza che la relazione attuale è, in sostanza, il progetto del 2011 approvato a tempo record. L’aggiornamento, invece, altro non è che un elenco di impegni sulle modifiche da fare. «In molti casi si rimanda al progetto esecutivo, cosa che non ha alcun senso.
Una delle più inconcepibili è lo studio sismico e aeroelastico senza prima definire le masse di impalcato. Se poi si considera che nella relazione di Orlandini vengono preannunciate variazioni di sezione di cavi e pendini, è impossibile solo pensare di poter sviluppare un serio modello di calcolo». A far riemergere i dubbi, tuttavia, non è solo l’ingegnere Codacci-Pisanelli.
Le 68 raccomandazioni del comitato scientifico
Lo stesso comitato scientifico nominato da Salvini lo scorso febbraio ha dato un parere favorevole al progetto, ma condizionato da «68 raccomandazioni»: materiali, carichi combinati, prove in galleria del vento, aggiornamenti sismici.
«Si capisce che alcuni nodi rilevanti su deformabilità e percorribilità del ponte non sono stati ancora sciolti», scrive il Fatto. «La parola “prove” compare 63 volte in 57 pagine. Il ponte sorgerebbe su una delle aree più sismiche d’Europa, con forti turbolenze di venti e sarebbe 2,3 volte più esteso del ponte ferroviario più lungo al mondo».
Manca il progetto esecutivo, ma si accelera sugli espropri e i proclami
È proprio la fattibilità di adeguarsi a quelle 68 raccomandazioni che preoccupa gli esperti. Antonino Risitano, già preside della facoltà di Ingegneria di Catania, spiega: «La storia si ripete.
Nel 2011, il comitato scientifico diede parere positivo con 13 prescrizioni, alcune a mio parere insormontabili. Ora dà 68 “raccomandazioni”. Alcune, se svolte in modo completo, impegnerebbero anni di campagne di prova e i risultati potrebbero contraddire la certezza sulla fattibilità dell’opera. Nel frattempo si corre ad avviare il cantiere».
Altra dose di incertezza, al momento, la restituisce l’assenza del progetto esecutivo. Eppure già si corre a proclamare la data di partenza dei lavori, si avviano le procedure per gli espropri e si fanno promesse temporali che, in parte, sembrerebbero essere già state disattese.
Stretto di Messina Spa: «Iniziamo con un piano di opere anticipate»
«Il senso comune suggerirebbe che non si può procedere senza prima accertare oltre ogni ragionevole dubbio che il ponte si può fare come da progetto», scrive il giornale. Che riporta anche la spiegazione che Pietro Ciucci, alla guida di Stretto di Messina spa, ha dato a Rai Radio 1: «Ci sono 40 chilometri di strade intorno da fare e quindi la progettazione esecutiva potrà essere fatta per tranche, in modo da accelerare al massimo l’avvio dei lavori. Entro fine giugno, il Cipess, insieme al definitivo, approverà un piano di opere anticipate che potranno essere avviate ancor prima della progettazione esecutiva, già in estate».
«Che succede se il progetto esecutivo non dovesse essere approvato?»
Solo per creare il cantiere, la Stretto di Mesisna spa prevede che siano svolte 422 operazioni, tra cui la bonifica dei terreni, le indagini – di tipo archeologico, geotecnico, geognostico, tipografico e ambientale -, le demolizioni, gli allestimenti, le opere di compensazione ambientale. Opere che, stimate, da sole valgono quasi 700 milioni, al netto degli espropri. E che andranno a impattare in modo irreversibile sul territorio. Allora il Fatto pone questo interrogativo: «Che succede se, per assurdo, il progetto esecutivo – che andrà sottoposto di nuovo al comitato scientifico -, non dovesse essere approvato o richieda modifiche tali da essere antieconomiche?». Ciucci, replicando a un ascoltatore, ha dichiarato di non vedere motivi per cui non si debba procedere, «ma che nel caso a pagare i danni “sarebbe lo Stato”».
(da Open)

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IN CAMBIO DEI VOTI PROMESSI POSTI DI LAVORO AI FIGLI DEI MAFIOSI MA ANCHE SOLDI, PACCHI DI PASTA E BUONI BENZINA

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

A PALERMO ARRESTATO L’EX CONSIGLIERE FDI MIMMO RUSSO CON L’ACCUSA DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA E VOTO DI SCAMBIO POLITICO-MAFIOSO… “DOBBIAMO VOTARE TUTTI MIMMO”, È STATO PER DECENNI L’ORDINE DI SCUDERIA DEI BOSS DEI QUARTIERI POPOLARI

Per un ventennio è stato il chiacchierato ras dei voti nelle borgate di Palermo, leader dei precari che in questi giorni stanno firmando, dopo vent’anni di attesa, i contratti di stabilizzazione con la pubblica amministrazione.
«Tu devi votare che i figli di quelli in galera devono entrare», diceva Mimmo Russo. Si fidava solo dei “cristiani”. E cioè dei mafiosi. Se non davano certe garanzie «io li butto», diceva. Russo, 69 anni, ex consigliere comunale approdato per ultimo in Fratelli d’Italia (che lo ha sospeso), è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso, oltre che per estorsione aggravata e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.
La notizia ha allarmato la Commissione parlamentare Antimafia che ha chiesto gli atti delle inchieste di Palermo, Bari, Torino. Tutte e tre riguardano, con vicende differenti, il mercimonio dei voti.
Quattro mandati elettorali in cui, secondo l’accusa e i tanti pentiti che lo tirano in ballo, Russo (subito sospeso da Fdi) ha goduto dell’appoggio costante di Cosa Nostra. Contatti trasversali, i suoi, con diverse famiglie mafiose. Da Porta Nuova, che ingloba la parte centrale della città compreso il rione Borgo Vecchio dove Russo ha impiantato il suo Caf, alla periferia dello Zen, uno dei quartieri più popolari di Palermo.
In cambio Russo avrebbe inserito i mafiosi e i loro parenti nell’orbita delle cooperative e delle associazioni finanziate con fondi pubblici per svolgere lavori socialmente utili. Oppure li raccomandava per farli lavorare nei supermercati di un noto marchio.
Altre volte impiegava i mafiosi nel suo Caf affinché ottenessero la scarcerazione grazie all’affidamento in prova ai servizi sociali. È accaduto ad esempio con Antonino Siragusa, condannato per l’omicidio dell’avvocato penalista Enzo Fragalà, barbaramente ucciso a bastonate sotto il suo studio ad una manciata di metri dal palazzo di giustizia. Siragusa è uno dei dieci pentiti che accusano Russo.
«Dobbiamo votare tutti Mimmo», è stato per due decenni l’ordine di scuderia dei mammasantissima dei quartieri popolari, capaci di controllare gli elettori davanti ai seggi. Come? «Pigliamo i ragazzi e gli diciamo mettiti qua tu porta i tuoi parenti», ha raccontato un collaboratore di giustizia. I voti non erano gratis: Russo avrebbe messo a disposizione dei mafiosi anche soldi, buoni benzina e pacchi di generi alimentari da distribuire agli elettori. Altre volte avrebbe promesso la sponsorizzazione delle feste di quartiere con la musica dei neomelodici che tanto piacciono ai mafiosi che si gonfiano il petto sotto il palco.
L’ex consigliere, che nel 2022 mancò la rielezione, una volta rischiò grosso. Tradì l’impegno di fare avere un finanziamento pubblico ad un comitato e lo volevano ammazzare. «Mimmo Russo è un morto che cammina, dentro il pozzo lo dovevamo buttare, io l’ho salvato», raccontò un altro collaboratore di giustizia. Poi arrivò il perdono e tutto riprese a funzionare come prima.
L’accordo con i mafiosi si sarebbe concretizzato anche quando Russo ha ricoperto il ruolo di presidente della Commissione urbanistica del Consiglio comunale di Palermo.
(da agenzie)

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CRESCONO LE POSSIBILITA’ DI AVERE DRAGHI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE, LE QUOTAZIONI DI VON DER LEYEN SONO IN CALO

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

MACRON VUOLE UN “PESO MASSIMO” PER FRONTEGGIARE LE SFIDE DELL’UE DEI PROSSIMI ANNI CONTRO PUTIN, XI JINPING E FORSE TRUMP … LA CARTA DRAGHI ANDREBBE BENE ANCHE A GIORGIA MELONI: EVITEREBBE UN NOME IMPOSTO DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA; AVREBBE UN “AMICO” CON CUI TRATTARE LA GESTIONE (CON EVENTUALE SLITTAMENTO) DEL PNRR, LA CORREZIONE DEI CONTI PUBBLICI ITALIANI E GLI IMPEGNI DA ASSUMERE CON BRUXELLES PER RIPORTARE IL DEFICIT E IL DEBITO SOTTO CONTROLLO

Confronti informali. Discussioni del tutto ufficiose. Ma concrete. Con tanto di nomi, opzioni e possibilità. La corsa alla presidenza della nuova Commissione europea è iniziata di fatto nell’ultima settimana. Non si tratta di uno “start” protocollare. Questo avverrà solo dopo le elezioni europee del 9 giugno. Ma le Cancellerie dell’Unione hanno iniziato in questi giorni a fare le prime valutazioni.
§Da Parigi a Berlino, da Vilnius a Bucarest le riflessioni sono sempre le stesse: per il piano alto di Palazzo Berlaymont non c’è solo Ursula von der Leyen. Sul tavolo c’è anche ’ipotesi di Mario Draghi. il nome dell’ex premier italiano è tornato ciclicamente. Il senso di queste prime discussioni si concentrava sull’idea che non si può arrivare a giugno pensando che i leader debbano confrontarsi solo su una candidatura.
Anzi, sul banco è stato messo un terzo nome: l’attuale presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Draghi, che ha sempre allontanato le indiscrezioni sul suo nome, ieri ha parlato dell’Europa da New York, dove ha ricevuto il prestigioso premio dell’American Academy in Berlin al Metropolitan Museum of Art. L’Ue, ha avvertito, deve affrontare sfide «senza precedenti» per preservare la sua prosperità e indipendenza e deve costruire il suo «futuro sull’unità». Perciò l’ex premier invoca una «politica economica estera» che rimuova le barriere e garantisca «le risorse a cui nessun Paese può accedere da solo». E la necessità di «aumentare la capacità di difesa».
Ma perchè l’opzione “draghiana” in Ue si è ripetuta in questi giorni? Le riflessioni fanno riferimento alla fase complicata che l’Unione deve affrontare. Il lavoro che sta compiendo l’ex presidente della Bce in relazione alla “competitività” dell’Ue, viene considerato una base fondamentale di un’eventuale piattaforma programmatica dei prossimi cinque anni. Draghi, insomma, viene valutato il migliore interprete per rimettere in sesto la prossima stagione economica del Vecchio Continente.
Il confronto con la Cina, ad esempio, viene giudicato fondamentale nel prossimo futuro e richiederebbe un “rappresentante europeo” in grado di interloquire da pari a pari con il leader cinese Xi. Stesso discorso per quanto riguarda il “rischio” che negli States venga eletto presidente Donald Trump e per il conflitto latente con la Russia di Putin. Un po’ tutti, poi, sono consapevoli che tra le sfide più urgenti ci sia il completamento del mercato unico dei capitali. Un settore su cui Draghi, proprio per la sua esperienza, viene ritenuto quello con più “skills”.
L’altro aspetto è strettamente politico. Macron alla fine dell’ultimo Consiglio europeo si era dichiarato contrario alla regola degli Spitzenkandidat (i candidati al vertice della Commissione) perché politicizzano troppo l’Istituzione. Un chiaro riferimento al fatto che non apprezzava la corsa di von der Leyen in qualità di “campionessa” del Ppe. L’inquilino dell’Eliseo parlava esplicitamente della necessità di un nome fuori dai partiti.
Nei contatti con Berlino, la Cancelleria ha ricordato che esiste un impegno formale a sostenere una presidenza tedesca. Ma se non ci fossero le condizioni nell’esecutivo “semaforo” di Scholz nessuno si straccerebbe le vesti per Ursula.
Le azioni della presidente uscente appaiono quindi in calo. Metsola ha due frecce pronte a scoccare dal suo arco. La prima riguarda il Ppe: i popolari saranno il primo gruppo anche nella prossima Eurocamera e reclameranno la poltrona più alta di palazzo Berlaymont. La seconda freccia è speculare all’identikit di Draghi: la soluzione potrebbe accontentare i governi che non puntano a una Commissione forte.
La prossima settimana si riunirà un Consiglio europeo e anche questo tema verrà informalmente trattato. Tra i nodi ci sono anche i tempi per l’elezione della presidenza della Commissione. Von der Leyen punta a chiudere tutto a luglio per evitare una “graticola” di due mesi. Le Cancellerie stanno già parlando di settembre per prendere tutto il tempo possibile al fine di maturare la decisione.
Non è più una suggestione, e neanche una possibilità: è una prospettiva solida, un piano B sempre più concreto da mettere in atto se le condizioni politiche lo consiglieranno. Giorgia Meloni potrebbe lanciare la candidatura di Mario Draghi alla guida delle istituzioni europee, senza attendere che lo facciano altri leader. Per mettere in sicurezza il Pnrr, gestire il rientro per deficit eccessivo e una fase straordinaria dettata da una minaccia militare alle porte dell’Europa.
Per indole, Meloni preferirebbe evitare una svolta così radicale, rimettendo al centro della scena una personalità di peso – per certi versi ingombrante – capace di smuovere gli equilibri congelati della politica italiana. Ritiene inoltre di aver imparato a conoscere la macchina continentale, giura di trovarsi a suo agio nel trattare in seno al Consiglio. In altri termini: preferirebbe non dover sentire parlare di un “ombrello” garantito a Roma da un italiano alla guida della Commissione.
E però, nelle ultime settimane sembrano aver preso il sopravvento altre valutazioni. La prima: con Draghi il rapporto continua a essere buono. i due si sono confrontati personalmente anche di recente. Sono le nuove condizioni politiche a Bruxelles, Parigi, Berlino e Varsavia a spingerla pragmaticamente verso questa novità.
Il precipitare delle quotazioni della candidatura di Ursula von der Leyen rappresenta il tassello da cui partire. Meloni aveva investito molto sulla politica tedesca, adesso ha cambiato rotta. Il 17 aprile, per dire, volerà in Tunisia: stavolta però senza la Presidente della Commissione (poi, a fine mese, si recherà anche in Arabia Saudita da Bin Salman, ma questa è un’altra storia). Perdere la scommessa su Ursula potrebbe costringerla all’isolamento dopo le Europee.
Il timore è che il formato di Weimar – che coinvolge Francia, Germania e Polonia – possa imporre il nuovo presidente della Commissione. Meloni potrebbe insomma ritrovarsi sul tavolo un’opzione decisa da altri, se non addirittura sgradita. Da queste riflessioni nasce la carta Draghi, per blindarsi. È ovvio, il voto del 9 giugno potrebbe sempre stravolgere questi calcoli, ma siccome i sondaggi spingono per un quadro da “maggioranza Ursula” (senza Ursula), la tentazione di Meloni diventa interesse politico.
È un’opzione che inevitabilmente rischia di deludere i big di FdI, che si contendono un posto da commissario europeo. Ma che invece potrebbe rasserenare Giancarlo Giorgetti: anche lui è tra i potenziali aspiranti a un portafoglio di peso a Bruxelles, ma potrebbe beneficiare di una promozione dell’ex banchiere. A lui lo lega un rapporto solido e un interesse concreto: evitare il fallimento del Pnrr e governare il rientro di Roma nei parametri Ue. Ecco, è questo un altro punto decisivo che spinge Meloni nella direzione di Draghi. Nelle ultime ore è emersa la richiesta italiana di prorogare di un anno, fino al 2027, l’attuazione del Recovery. È una proposta di cui si è fatto portavoce proprio Giorgetti, incontrando il fermo no dell’attuale Commissione.
La partita andrà gestita con la prossima. Uno slittamento del Pnrr, inoltre, renderebbe meno serrato il ritmo della correzione dei conti pubblici, che rappresenta l’altra vera ipoteca sul futuro del governo. Bisogna concordare con Bruxelles il Piano fiscale-strutturale di medio periodo, che dovrà essere pronto entro il 20 settembre: in quel testo – di fatto, la traduzione del nuovo Patto di Stabilità – saranno contenuti gli impegni che Roma sarà chiamata a rispettare per riportare il deficit e il debito sotto controllo.
E non potrà reggere a lungo l’alibi del superbonus utilizzato in un Def senza quadro programmatico per giustificare la risalita del debito. Meglio per Meloni trattare con Draghi che con un rigorista del Nord Europa. E lo stesso vale per la manovra 2025: senza risorse liberate da Bruxelles, la legge di bilancio rischia di ricorrere a tagli e tasse. Bisognerà combattere per ogni centimetro di flessibilità. Meglio farlo conoscendo l’interlocutore.
(da La Repubblica)

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I FRATELLI BIANCHI NON SI SONO MAI PENTITI, E’ DI NUOVO IN BALLO L’ERGASTOLO PER I KILLER DI WILLY MONTEIRO DUARTE, IL RAGAZZINO PESTATO A MORTE A COLLEFERRO

Aprile 10th, 2024 Riccardo Fucile

LA CASSAZIONE HA DISPOSTO UN PROCESSO DI APPELLO BIS PER I DUE FRATELLI: NEL NUOVO PROCEDIMENTO POTREBBERO NON ESSERE RICONOSCIUTE LE ATTENUANTI GENERICHE, CHE AVEVANO RIDOTTO LA LORO PENA DALL’ERGASTOLO A 24 ANNI… LA MAMMA DI WILLY: “DAGLI IMPUTATI NESSUN PENTIMENTO”

È di nuovo in ballo l’ergastolo per Marco e Gabriele Bianchi. Ieri la Corte di Cassazione – dopo aver riconosciuto per tutti e quattro gli imputati la responsabilità per il reato di omicidio volontario in relazione al brutale pestaggio di Willy Monteiro Duarte – ha disposto un processo di appello bis solo per i due fratelli e limitatamente alle attenuati generiche: se non dovessero essere più accordate, i Bianchi rischiano di trascorrere il resto della loro vita in carcere.
La Corte d’appello di Roma, lo scorso 12 luglio, aveva ridotto la pena per loro a 24 anni di reclusione, rispetto all’ergastolo inflitto il 4 luglio 2022 dalla Corte d’assise di Frosinone, proprio sulla base delle attenuanti. Secondo il sostituto procuratore generale Marco Dall’Olio, «erano consapevoli delle conseguenze dei loro colpi, estremamente violenti, inferti con tecniche di lotta Mma contro punti vitali, su un corpo particolarmente esile» come quello del 21enne, ucciso la sera tra il 5 e il 6 settembre 2020 nel centro di Colleferro, a circa 60 chilometri dalla Capitale.
Con la stessa sentenza i giudici della prima sezione penale della Suprema Corte hanno dichiarato definitive le condanne a 23 anni per Francesco Belleggia e a 21 anni per Mario Pincarelli, gli amici dei Bianchi che, davanti al locale “Due di picche”, innescarono la lite finita in tragedia
Nella sua requisitoria il pg ha sottolineato che «Willy riceve almeno due colpi potenzialmente mortali; dopo il primo colpo riesce ad alzarsi ma nuovamente viene colpito ancora per 40-50 secondi di follia»
Nell’atto con cui avevano riconosciuto le attenuanti generiche i magistrati di secondo grado hanno spiegato che «l’aggressione inizia con il violento calcio sferrato da Gabriele Bianchi al petto di Willy con tecnica d’arti marziali e con potenza tale da sospingerlo di schiena contro un’autovettura e al quale segue un pugno sferrato sempre da Gabriele al momento in cui il giovane tenta di rialzarsi.
A sua volta Marco Bianchi, in sinergia con il fratello, colpisce con un calcio al livello del collo e poi con un pugno in pancia un amico di Willy intervenuto a sua difesa e poi lo stessa vittima con calci e pugni».
Gli altri due imputati «si affiancano da subito ai fratelli Bianchi e colpiscono Willy con un violento calcio alla testa e con calci pugni quando ormai il ragazzo è a terra inerme». Per questo, per i giudici di secondo grado, «deve ritenersi accertato che tutti gli imputati hanno partecipato al brutale pestaggio di Willy colpendolo ripetutamente con violenza con calci pugni».
Per i legali di Gabriele Bianchi, gli avvocati Ippolita Naso e Valerio Spigarelli, «la risonanza mediatica del caso ha influito sulla vicenda processuale, introducendo un “pregiudizio”: Gabriele è stato tramutato in una icona della violenza». Ma evidentemente il pregiudizio di cui parlano non è così forte se una ragazza, guardando Mario Pincarelli al telegiornale nelle veste di imputato, se n’è innamorata.
Anche se la Cassazione ha confermato i 21 anni di reclusione, il giovane di Artena martedì prossimo convolerà a nozze in carcere a Civitavecchia, dove è detenuto, con la sua futura sposa.
“Non ho visto ancora nessun segno di pentimento da parte di questi ragazzi che dimostri che hanno capito il male che hanno fatto a mio figlio”. Così Lucia Duarte, mamma di Willy, commentando la decisione della Cassazione. La donna era presente oggi in udienza assistita dall’avvocato Vincenzo Galassi
Il rappresentante dell’accusa aveva sollecitato l’annullamento della prima sentenza di appello perché i due fratelli “erano consapevoli delle conseguenze dei loro colpi, estremamente violenti, inferti con tecniche di lotta Mma contro punti vitali, su un corpo particolarmente esile come quello di Willy”, ha detto il sostituto procuratore generale Marco Dall’Olio chiedendo la revoca delle attenuanti. Durante il pestaggio, ha sottolineato il sostituto procuratore generale di Cassazione, “Willy riceve almeno due colpi potenzialmente mortali, dopo il primo colpo riesce ad alzarsi ma nuovamente viene colpito ancora per 40-50 secondi ‘di follia’”.
Nel corso dell’udienza hanno preso la parola le difese. Per quelli di Gabriele Bianchi, gli avvocati Ippolita Naso e Valerio Spigarelli, “è escluso che il loro assistito sia sceso dall’auto per uccidere Willy. È arrivato sul posto convinto erroneamente di dover intervenire in difesa dei propri amici, infatti appena arriva dice ‘qua si stanno menando'”. Dal canto loro i difensori di Marco Bianchi, gli avvocati Leonardo Bianchini e Vannina Zaru hanno chiesto di derubricare l’accusa in omicidio preterintenzionale. Nelle motivazioni della sentenza di appello i giudici ricostruirono le fasi dell’aggressione.
Per i magistrati “resta dato inalienabile, riferito da tutti i testi, dei micidiali colpi sferrati da Gabriele e Marco Bianchi contro Willy. Certa è anche la condotta violenta tenuta da Belleggia costituita in particolare nel colpire Willy con un calcio alla testa, nella fase finale del pestaggio”. Nell’atto con cui hanno motivato il riconoscimento delle attenuanti generiche i giudici affermano, inoltre, che “deve ritenersi accertato che l’aggressione inizia con il violento calcio sferrato da Gabriele Bianchi al petto di Willy con tecnica d’arti marziali e con potenza tale da sospingerlo di schiena contro un’autovettura e al quale segue un pugno sferrato sempre da Gabriele al momento in cui il giovane tenta di rialzarsi.
A sua volta Marco Bianchi, in sinergia con il fratello, colpisce con un calcio al livello del collo e poi con un pugno in pancia un amico di Willy intervenuto a sua difesa e poi lo stessa vittima con calci e pugni”. Gli altri due imputati “si affiancano da subito ai fratelli Bianchi e colpiscono Willy con un violento calcio alla testa e con calci pugni quando ormai il ragazzo è a terra inerme”. Per questo, conclusero i giudici, “deve ritenersi accertato che tutti gli imputati hanno partecipato al brutale pestaggio di Willy colpendolo ripetutamente con violenza con calci pugni”.
(da agenzie)

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