Destra di Popolo.net

CHI E’ NICOLA COLAIANNI, IL CANDIDATO SINDACO CHE POTREBBE RIUNIRE PD E M5S A BARI

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

L’INTERESSATO: “STO VALUTANDO LA PROPOSTA, SAREI ORIENTTO AD ACCETTARE”

È Nicola Colaianni il nome che potrebbe tenere unito il centrosinistra alle elezioni comunali di Bari di giugno. Ex parlamentare, considerato vicino a Nichi Vendola, potrebbe essere lui a rappresentare il centrosinistra nel capoluogo pugliese, guidato negli ultimi dieci anni da Antonio Decaro. «Sono stato contattato da Nichi Vendola per una ipotetica candidatura unitaria nel centrosinistra e abbiamo valutato questa possibilità», conferma Colaianni dall’Ansa. «Mi risulta – aggiunge – che ora si stiano riunendo e vedremo. In linea di massima c’è una mia disponibilità, sarei orientato ad accettare». Una sua eventuale candidatura dovrebbe ricevere il benestare sia di Vito Leccese, il candidato sostenuto da Pd e Verdi, sia dell’avvocato Michele Laforgia, appoggiato da Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana.
Le primarie saltate
Le elezioni comunali a Bari si terranno l’8 e 9 giugno, in concomitanza con le Europee. In vista dell’appuntamento elettorale, Pd e M5s si erano accordati per svolgere le primarie e scegliere un candidato unitario per tutto il campo progressista. Le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto prima il Comune di Bari e poi la Regione Puglia hanno spinto però Giuseppe Conte a rivedere i propri piani, rompendo coi Dem. Il partito di Elly Schlein punta su Vito Leccese, il Movimento sponsorizza Michele Laforgia. Nessuno dei due si è ancora ritirato definitivamente dalla corsa, ma da giorni i dirigenti di Pd e M5s sono al lavoro per trovare un nome terzo in grado di mettere tutti d’accordo.
La possibile soluzione
Nel pomeriggio di oggi, sabato 13 aprile, si è svolta una riunione della Convenzione, il cartello elettorale che sostiene la candidatura di Michele Laforgia. Tra le proposte sul tavolo c’è anche l’eventuale candidatura unitaria di Colaianni, a cui lo stesso candidato del Movimento 5 stelle concede un’apertura: «È notoriamente vicino alla mia sensibilità e alla nostra cultura giuridica e politica», precisa Laforgia al Corriere della Sera. Ma la decisione, puntualizza, spetta prima «alla Convenzione e al Movimento 5 Stelle».
Chi è Colaianni
Classe 1946, Nicola Colaianni è stato magistrato della Corte di Cassazione e della Commissione tributaria centrale. Nel 1992 è stato eletto in parlamento con il Partito democratico della sinistra (Pds). Alla politica e alla magistratura Colaianni ha affiancato anche l’attività accademica. In particolare all’Università di Bari, dove ha insegnato Diritto ecclesiastico, Diritto costituzionale della pace e Ordinamento giudiziario. Dal 2008 al 2012 è stato avvocato coordinatore della Regione Puglia, mentre l’anno successivo il suo nome è stato proposto dal Movimento 5 stelle (e sostenuto anche dal Partito Democratico) per riempire uno dei seggi “laici” del Consiglio superiore della magistratura.
(da agenzie)

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CUTRO, ECCO CHI FERMO’ LA GUARDIA COSTIERA: “NUOVE REGOLE DETTATE DAL LIVELLO POLITICO”

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

LA MAIL DEL COMANDANTE D’AGOSTINO CONFERMA LE RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO

C’è un documento che certifica una verità sconcertante: l’ingerenza del livello politico nella definizione delle regole di ingaggio per gli interventi in mare nell’ambito del fenomeno migratorio.
Quelle regole di ingaggio a cui, davanti alla camera ardente per le 94 vittime ritrovate del naufragio di Cutro, fece riferimento l’allora comandante della capitaneria di porto di Crotone Vittorio Aloi per giustificare il mancato intervento della Guardia costiera in soccorso del caicco Summer love.
Il documento ridefinisce l’operatività in mare, dà priorità alle operazioni di law enforcement condotte dalla Guardia di finanza, ma – per la prima volta – limita espressamente l’intervento della Guardia costiera ( unico corpo con mezzi e professionalità adatte) ai casi dichiarati eventi Sar, cioè di ricerca e soccorso. In altre parole, solo nei casi di imbarcazioni a rischio conclamato.
Le nuove regole di ingaggio
Eccolo dunque il documento, tirato fuori dalla trasmissione “Il Cavallo e la Torre” di Marco Damilano. È una mail firmata dal capitano di vascello Gianluca D’Agostino, capocentro operativo nazionale e dell’ Imrcc ( il centro di ricerca e soccorso della guardia costiera) e inviata a tutte le capitanerie locali. È qui che, nero su bianco, viene tirato in ballo il «livello politico».
Scrive il capitano di vascello D’Agostino: « A seguito di tavoli tecnici interministeriali sono state impartite dal livello politico alcune disposizioni tattiche per gli assetti della Guardia di finanza che, di fatto, in parte impongono alcune riflessioni sul nostro modus operandi. A far data dalla presente, le attività di intervento delle unità navali della Guardia costiera, in caso di eventi connessi al fenomeno migratorio, si dovranno sviluppare nel rispetto dei seguenti parametri».
Seguono una serie di disposizioni tecniche che prevedono che, di fatto, l’intervento della guardia costiera,sia entro che oltre le 12 miglia ( limite delle acque territoriali), «potrà essere eseguito solo dichiarando evento Sar».
Dunque, se una barca carica di migranti non viene classificata come evento Sar ( classificazione che per altro proprio alla sala operativa del centro di ricerca e soccorso di Roma), le motovedette della guardia costiera restano in porto e l’intervento è di polizia ed è di competenza della Guardia di finanza
La ricostruzione di quella notte
Esattamente quello che è avvenuto la notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 quando, arrivata la segnalazione dalla sala operativa di Frontex di quel caicco evidentemente carico di migranti ma mai dichiarato a rischio navigazione nonostante il meteo proibitivo, i mezzi della Guardia di finanza uscirono in mare e poi rientrarono con il peggiorare del tempo mentre quelli della Guardia costiera, adatti alla navigazione con ogni tipo di meteo, rimasero tranquillamente in porto.
«Abbiamo operato secondo le nostre regole di ingaggio che non promanano neanche dal nostro ministero ( quello delle Infrastrutture e trasporti) ma da quello dell’Interno. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose, dovreste conoscere le regole che ci sono a livello interministeriale», le parole dette nell’immediatezza dei fatti dal comandante della capitaneria di porto Aloi ( mesi dopo trasferito ad altro incarico) che l’ufficiale non ha mai più voluto( almeno pubblicamente) chiarire. E che adesso questo documento, datato sette mesi prima della strage di Cutro, potrebbe bene spiegare
Le conseguenze delle nuove disposizioni
La mail firmata dal capitano di vascello che dà conto delle nuove disposizioni «impartite dal livello politico» è del 27 giugno 2022: sono le ultime settimane del governo Draghi di unità nazionale a cui partecipa la Lega. Al ministero dell’Interno c’è Luciana Lamorgese, suo vice il leghista Nicola Molteni.
Cosa significano queste nuove disposizioni nell’operatività in mare è evidente. Il livello politico modifica l’organizzazione del soccorso in mare rendendo di fatto discrezionale l’intervento della Guardia costiera che, per istituto, è sempre uscita in mare ovunque e comunque senza attendere il permesso di nessuno e senza mai condizionare il proprio operato a quello di un altro corpo di polizia, in questo caso la guardia di finanza.
Se e come queste disposizioni possano aver pesato in quello che è successo la notte tra il 25 e il 26 febbraio lo valuterà l’inchiesta sui mancati soccorsi della Procura di Crotone, con sei indagati tra Guardia di finanza e Guardia costiera, ormai in dirittura d’arrivo. I legali di alcuni familiari delle vittime hanno annunciato il deposito di questo documento agli atti dell’inchiesta.
(da agenzie)

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PONTE DI MESSINA, I TECNICI FANNO A PEZZI IL PROGETTO

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

I PARERI ARRIVATI ALLA COMMISSIONE VIA: 530 PAGINE DI RILIEVI SU FATTIBILITA, AMBIENTE E BENEFICI

Il dato forse più eloquente si trova già a pagina 15: “Dei 9.537 elaborati – si legge – la quasi totalità (circa il 95%) sono stati redatti nel 2011 o nel 2012”. Significa che oltre 9mila pagine depositate nella procedura di Valutazione d’impatto ambientale del Ponte sullo Stretto di Messina – apertasi il 14 marzo scorso – risalgono a più di 11 anni fa, cosa che “di fatto lascerebbe insuperata la Valutazione di incidenza negativa espressa nel 2013”. È il cuore delle osservazioni critiche agli atti depositati dai proponenti – Stretto di Messina, la società pubblica che deve realizzare l’opera, e il consorzio Eurolink (capitanato da Webuild), che deve costruirla – inviate l’11 aprile scorso. Un materiale enorme: 536 pagine redatte da 38 esperti, di cui 12 docenti (di 9 atenei diversi) per conto di ambientalisti (Wwf, Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente), Associazioni e comitati. Sono i rilievi che contestano il progetto sul piano ingegneristico, ambientale, trasportistico e di sostenibilità economica e si aggiungono a quelli di uguale tenore dei comuni di Villa San Giovanni e Messina.
Le osservazioni mostrano quanto sia complesso il lavoro che attende la Commissione Via, ma sono anche la spia degli ostacoli di una procedura che rischia già di fermarsi. Giovedì sono scaduti i 30 giorni per le osservazioni del pubblico, ma è pressoché certo che oggi, alla scadenza, la Commissione Via invierà a Stretto di Messina ed Eurolink una richiesta di integrazione degli atti, evidentemente lacunosi. Non si sa quanto sarà estesa, ma il fatto che ancora ieri non fosse arrivata alle due società significa che i 50 esperti del ministero dell’Ambiente si sono presi tutti i giorni disponibili per redigere la richiesta: questo lascia supporre che sarà corposa.
Una mossa che può allungare di molto tempi già dilatati. La commissione avrebbe 60 giorni per esprimersi, ma è in scadenza il 24 maggio. La palla passerà quindi alla prossima, ma la procedura di nomina (gli esperti salgono a 70) è solo agli inizi e potrebbe richiedere mesi. La richiesta di integrazione, peraltro, sospende il decorrere dei termini. Insomma, è impossibile “avere il progetto definitivo approvato al Cipess entro l’estate e poi aprire i cantieri”, come ripetono il ministro Matteo Salvini o l’Ad di Sdm, Pietro Ciucci. E ora veniamo alle osservazioni.
Kamasutra burocratico
Per le associazioni quello consegnato “non può essere considerato un progetto definitivo”. Così è stato costruito “un sistema grottesco di scatole cinesi che fa riferimento a 11 diverse norme, 7 derivanti dalle procedure accelerate del Codice appalti 2006” per blindare il progetto e dimezzare a 30 giorni il tempo concesso per le critiche. Il decreto di marzo 2023 con cui Salvini ha fatto rinascere l’opera ha “riavviato” la procedura di valutazione ambientale, conclusasi nel 2013 con una sonora bocciatura che ha riguardato la Valutazione di Incidenza sui siti tutelati dall’Europa e 18 richieste solo in parte ottemperate. Per gli esperti delle associazioni, il progetto definitivo 2024 manca “di tutte le indagini occorrenti di tipo geognostico, idrogeologico, sismico, agronomico, biologico e chimico” e “non è stato aggiornato e integrato con risposte esaurienti alle 18 prescrizioni”.
I problemi ingegneristici
Qui gli esperti si rifanno a una relazione dei tecnici guidati da Mario De Miranda, tra i più importanti progettisti italiani di ponti strallati, che critica pesantemente il progetto e invita alla prudenza. Il ponte di Messina supererebbe di 1.300 metri il ponte sospeso più lungo al mondo e sarebbe 2,3 volte quello ferroviario che detiene oggi il record (peraltro “non ancora aperto al transito dei treni” e parzialmente strallato, cioè con tiranti rigidi: il terzo sul Bosforo). Verrà superato a breve dal cinese Xihoumen Railroad Bridge di 80 metri. “Ci sono voluti ben 8 anni per aumentare la luce di campata centrale del ponte ferroviario-stradale più lungo, di appena 80 metri e si pretenderebbe di poter colmare l’ulteriore differenza di ben 1.812 metri in soli 6-8 anni”, si legge. Nel mare di dati spicca la snellezza dell’impalcato: spessore ben 5 volte più sottile di quello del Bosforo, cosa che aumenta la deformabilità e l’oscillazione con i forti venti dello stretto.
Al netto dei dati, i tecnici ricordano le 68 “raccomandazioni” al progetto appena richieste dal comitato scientifico della Stretto di Messina – tra cui quella di aumentare la sismicità di progetto, limitata a 7.1 scala Richter – e le 13 “prescrizioni” date dallo stesso comitato nel 2011. “Dalla quasi totalità dei 9.537 documenti – si legge – emerge chiaramente come moltissimi aspetti, tutt’altro che secondari (ad esempio i pendini, le strutture dei viadotti, la fattibilità ferroviaria, la possibilità di resistere alle azioni del vento) siano ancora da definire in modo completo e adeguato all’importanza dell’opera”. Le conclusioni sono nette: “Ad oggi non esiste un progetto definitivo aggiornato che definisca delle dimensioni e quantità (dei materiali, delle lavorazioni, della manodopera, etc. ) che tengano in debito conto le varie richieste ed esigenze di modifica, integrazioni e nuove indagini, alcune delle quali sono propedeutiche ad una verifica della fattibilità dell’opera che di conseguenza al momento attuale non sussiste. E conseguentemente non potrebbe esistere alcun progetto esecutivo basato, come ci si aspetterebbe per qualsiasi opera e a maggior ragione per una opera inusuale, su una verifica completa e prudente della effettiva fattibilità”. Insomma, “si pretenderebbe, in altre parole, di ri-approvare il Progetto Definitivo del 2011”.
I costi-beneficiGli esperti delle associazioni notano che “il progetto non è accompagnato da studi trasportistici e flussi di traffico aggiornati”, alcuni dei quali commissionati solo ora. “La Domanda di Mobilità non è considerata e non è aggiornata (ma comunque in calo si scrive nello Studio di impatto ambientale ma senza dati e senza spiegazioni di dettaglio sulle componenti merci e passeggeri). Manca del tutto una valutazione delle alternative di progetto”. La stessa analisi costi-benefici prodotta è viziata da una sovrastima dei benefici ambientali che compensano un beneficio economico, per stessa ammissione dei proponenti, incredibilmente negativo per 1,5 miliardi. E ancora: ottimismo nei dati; “modalità di calcolo non chiare” e assunzioni al limite, come la completa chiusura del servizio di traghettamento con l’entrata in funzione del pont
ARIA, ACQUE E SUOLO
Oecondo le associazioni, gli studi prodotti dalle società mostrano una sottostima dei rilevantissimi effetti che l’opera avrà sulla avifauna, in un’area cruciale per la migrazione euroasiatica e totalmente ricompresa in zone di protezione speciale tutelate dall’Europa. Non c’è una chiara valutazione dello scenario meteo-climatico recente che non consente di calcolare gli impatti e i rischi legati agli interventi sui reticoli idrografici coinvolti (19 torrenti). E ancora: l’immenso cantiere, con fondazioni per torri alte 400 metri, “necessita di condizioni non presenti sul territorio” per trasportare 15 milioni di metri cubi di terre da scavo.
(da agenzie)

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BASILICATA: CASELLATI E FORZA ITALIA IN PELLEGRINAGGIO PER L’IMPRESENTABILE

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

FRANCESCO PIRO E’ NELLA LISTA NERA DELL’ANTIMAFIA, MA IL GOVERNO FA FINTA DI NULLA

Per la commissione parlamentare Antimafia, di cui è presidente la meloniana Chiara Colosimo e vice Mauro D’Attis di Forza Italia, è un “impresentabile”. Ma vaglielo a dire allo squadrone berlusconiano che ieri – in prima fila Maria Elisabetta Alberti Casellati – si è presentato all’appuntamento elettorale organizzato a Lagonegro per tirargli la volata: tutti alla corte del vicepresidente del consiglio regionale lucano Francesco Piro finito nella lista nera stilata da Palazzo San Macuto in vista delle regionali in Basilicata, ma che importa: è una risorsa irrinunciabile, altro che codice di autoregolamentazione che sconsiglierebbe di candidarlo.Piro, che rischia il rinvio a giudizio per l’inchiesta della Dda di Potenza su politica e sanità del 2022 e invece già a processo per autoriciclaggio per un’altra vicenda, è comunque in corsa per portare a casa la solita carrettata di preferenze nella partita delle regionali del 21 aprile. Per lui ieri si son mobilitati il governatore Vito Bardi, ma anche Licia Ronzulli e Fulvio Martusciello. E ancora. Il presidente della commissione parlamentare sull’Autonomia, Francesco Silvestro e poi soprattutto lei: la già Queen Elisabeth del Senato oggi ministro delle agognate riforme Casellati nella sua veste di responsabile del partito in Basilicata, la regione che, dalla natìa Padova, le ha offerto un paracadute di lusso regalandole un altro giro di giostra. Anche grazie a Piro, capolista nel listino che le ha fatto da traino elettorale per le politiche nel 2022 nonché suo navigator personale in terra di Lucania. Un rapporto consolidato nel tempo con le visite di lui a Roma e di lei nel feudo di Lagonegro. Fatto sta che le disavventure, le intercettazioni imbarazzanti e il carcere non hanno impedito a Casellati&Ci di tenersi Piro come capogruppo, di più: vice in consiglio regionale e oggi candidato naturale per il bis nella prossima consiliatura a guida Bardi. Impresentabile per l’Antimafia con imbarazzo zero per gli alti ranghi del suo partito. Che randella il Pd, causa bubbone pugliese, sempre dagli spalti dell’Antimafia intestandosi la battaglia sulla legalità. Ma su Piro sta senza pensieri. E figurarsi lui. Dopo l’arresto del 2022 aveva presentato irrevocabili dimissioni salvo poi ritirarle, giusto il tempo che il Tribunale del riesame lo rimettesse a piede libero: il consiglio regionale a trazione Forza Italia non aveva fatto in tempo, diciamo così, a ratificare il passo indietro annunciato, consentendogli di tornare in sella, come nulla fosse.
L’inciampo della impresentabilità gli fa un baffo: “Per essere chiari con qualcuno che pensa di poter danneggiare la mia campagna elettorale a 10 giorni dal voto mi viene da sorridere… e sorrido: il mio certificato del casellario giudiziale è perfettamente pulito, sono candidato e soprattutto rieleggibile. L’impresentabilità sarebbe semplicemente una questione di opportunità politica, senza valore di legge, per una vicenda giudiziaria del 2015 (la ristrutturazione di un albergo che gli è valsa l’accusa di autoriciclaggio, ndr) di cui non ho mai avuto condanne, nemmeno di primo grado e mai ne avrò perché sono persona trasparente e leale, forse a volte solo troppo disponibile” ha minimizzato Piro indignandosi semmai per “la solita macchina del fango a orologeria”. Anche se a dire il vero qui la macchina del fango non la guida né l’opposizione e nemmeno la solita magistratura trinariciuta. Ma semmai è frutto dell’esito dei controlli che per legge, in occasione delle elezioni, compete alla commissione parlamentare Antimafia. Organismo dove Forza Italia è bifronte, anzi di bosco e di riviera: randella come se non ci fosse un domani sulla questione morale esplosa alle latitudini di Bari. Ma fischietta sull’impresentabile di Lagonegro.
(da agenzie)

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SONDAGGIO GHISLERI: UN PAESE DELUSO DA CORRUZIONE E POLITICA

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

OLTRE IL 56% DEGLI ITALIANI PENSA CHE TANGENTOPOLI NON SIA MAI FINITA

Il 56,8% degli italiani è convinto che rispetto a 10 anni fa la corruzione in politica è rimasta invariata e sempre molto diffusa. Un cittadino su 3 (30,1%) è addirittura convinto che sia aumentata. La denuncia attraversa tutti i partiti politici sfiorando il 70,0% tra gli elettori del Partito Democratico (68,1%) e quelli di Fratelli d’Italia (67,1%). Sono passati 32 anni dallo scandalo di Tangentopoli, eppure sembra che il connubio affari e politica non si sia mai estinto, ma anzi nel tempo, si sia rinvigorito e affinato negli assetti. Dal 1992 abbiamo assistito ad una profonda trasformazione del panorama politico italiano, con il declino dei partiti coinvolti nello scandalo e l’emergere di nuove forze politiche.
Questo ha segnato l’inizio di un periodo di transizione che ha cambiato la società e il suo rapporto con le istituzioni influenzando il corso della politica italiana moderna. La vicenda di Bari sta sensibilizzando – ancora una volta – l’opinione pubblica sul difficile rapporto tra politica, affari e partecipazione civica. Il 72,2% dei cittadini intervistati in un sondaggio condotto da Euromedia Research per la trasmissione «Porta a Porta» afferma che la corruzione in politica attraversa tutto l’arco politico in maniera trasversale, mettendo in discussione la credibilità e l’integrità delle istituzioni politiche non solo locali. Il tono del racconto delle vicende porta con sé un carico importante che mette gli elettori di fronte ad una riflessione: l’incontro tra politica e malaffare è un atto di normale sopravvivenza e convivenza per entrambi?
È bene tenere presente che una volta che il presunto scandalo viene esposto dai media è facile registrare una reazione più o meno forte dell’opinione pubblica. Le vicende che coinvolgono la politica e il malaffare spesso generano facile indignazione tra la gente sollecitando la richiesta di azioni correttive da parte delle autorità e della stessa società civile, ma con la recondita e solida convinzione che nulla possa cambiare. Tutto questo avviene sullo sfondo delle elezioni europee e il rinnovo dell’amministrazione comunale di Bari. Un cittadino su 2 (50,4%) crede che le indagini e le audizioni annunciate dalla commissione Antimafia porteranno a trasformazioni nel rinnovo del parterre politico locale.
Tra questi il 18,5% crede che i cambiamenti potranno essere significativi con una polarizzazione tra gli elettori di Forza Italia (27,5%) e quelli della nuova formazione politica di Matteo Renzi ed Emma Bonino Stati Uniti d’Europa (29,5%), mentre il 31,8% afferma che le modifiche saranno minori. La vicenda di Bari ha già portato all’estremo il rapporto tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.
In campagna elettorale molto è concesso, anche cogliere l’attimo per mettere delle limitazioni e regole nuove ad un rapporto già di difficile convivenza. Entrambe le formazioni gravitano nel medesimo bacino elettorale e nel fare opposizione al governo di Giorgia Meloni hanno mostrato delle evidenti difficoltà nel sapersi distinguere, proprio perché le piattaforme politiche per molti versi sono troppo simili e a tratti totalmente sovrapponibili.
Il caso di Bari ha offerto a Giuseppe Conte la ghiotta opportunità di richiamare il senso dell’identità del Movimento sul valore dell’onestà su cui è stato fondato e spingere sui quei valori portati a bandiera e sempre difesi. Si può dire che la tabella delle intenzioni di voto inizia a registrare i primi movimenti dell’elettorato e, pur restando sempre nel campo degli esercizi matematici perché le formazioni in campo non sono ancora definitive, si evidenzia un avvicinamento tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Il concetto di «superiorità morale» è un tema attuale e dibattuto in politica, specialmente in contesti in cui emergono conflitti ideologici, etici o valoriali; tuttavia oggi non è un argomento che “buca” tra la gente anche se la coinvolge e crea engagement, perché sembra aver perso ogni suo legame con la realtà
In conclusione, mentre la «superiorità morale» può svolgere un ruolo nell’orientare le azioni e le convinzioni politiche, è importante essere consapevoli dei rischi associati a questa impostazione e cercare di promuovere un dialogo costruttivo e inclusivo basato sulla comprensione reciproca e il rispetto delle differenze, perché affrontare un tema di questo tipo può essere percepito come ipocrita… allontanando – ancora una volta – la gente dal voto.
(da Il Corriere della Sera)

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ATTACCO A ISRAELE, PER L’IRAN “LA QUESTIONE E’ CHIUSA”, NETANYAHU DEVE DECIDERE SE RISPONDERE, BIDEN FRENA

Aprile 14th, 2024 Riccardo Fucile

IN GIORNATA RIUNIONE DI EMERGENZA DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

Nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile si è consumata l’annunciata e attesa rappresaglia dell’Iran contro lo Stato ebraico. Quasi 400 tra droni e missili sono stati lanciati contro Israele in un attacco che è proseguito per cinque ore. La maggior parte delle munizioni è stata intercettata e abbattuta, anche prima che entrasse nello spazio aereo israeliano, sopra Iraq e Siria in testa, dai sistemi di difesa di Tel Aviv supportati da quelli degli alleati, soprattutto Stati Uniti e Regno Unito. Dal presidente Joe Biden sono arrivate dichiarazioni di sostegno al premier Netanyahu e al suo Paese, condannando «nei termini più duri» l’attacco «senza precedenti» dell’Iran e ribadendo il sostegno «incrollabile» a Israele. Ma qui le posizioni dei due alleati divergono. Il presidente americano, nel colloquio telefonico di circa mezz’ora con Netanyahu ha spiegato che, pur sostenendo gli sforzi difensivi di Israele non ha intenzione di seguirlo in nessuna operazione offensiva contro Teheran, come riferisce Axios. Per l’Iran, invece, la questione è chiusa: «Non abbiamo intenzione di continuare questa operazione».
I droni intercettati
È stato il portavoce dell’Idf, l’esercito israeliano, Daniel Hagari ha stilare il bilancio della nottata di guerra. L’attacco dell’Iran per in risposta al raid del 1° aprile attribuito allo Stato ebraico sul consolato iraniano di Damasco è stato condotto con quasi 400 tra missili balistici, da crociera e droni, una pioggia di proiettili che aveva il compito di saturare le capacità di reazione della difesa aerea. Nell’offensiva, Teheran ha chiesto il coinvolgimento anche dei paesi dell’asse, ovvero Siria, Libano e Iraq, per bucare lo schermo protettivo intorno a Israele. Secondo alcune fonti militari, sono stati lanciati e abbattuti 185 droni kamikaze, 36 missili da crociera, 110 missili balistici (103 intercettati). Secondo Hagari, quasi tutte i colpi di artiglieria sono stati intercettati e distrutti, impedendo arrivassero a bersaglio. Danni minori sono stati registrati in una base militare nel Negev Secondo la Croce rossa israeliana, un bambino di 10 anni sarebbe stato ferito gravemente ad Arad, città del Sud di Israele ai bordi del deserto del Negev.
Iran: «Non abbiamo intenzione di continuare questa operazione»
L’operazione denominata “Promessa mantenuta” «è stata condotta con successo tra ieri sera e stamattina e ha raggiunto tutti i suoi obiettivi», ha dichiarato alla televisione il generale iraniano Mohammad Bagheri, il quale ha precisato che i due siti principalmente presi di mira sono stati «il centro di intelligence che ha fornito ai sionisti le informazioni necessarie» per l’attacco al consolato iraniano a Damasco del primo aprile, e «la base aerea di Novatim, da cui è decollato l’aereo F-35» che l’ha bombardata. Entrambi i centri sono stati «danneggiati e messi fuori uso», ha aggiunto. Per questo motivo «non abbiamo intenzione di continuare questa operazione, ma se il regime sionista agisce contro la Repubblica islamica dell’Iran, sia sul nostro suolo che nei centri di nostra proprietà in Siria o altrove – ha avvertito l’alto ufficiale – la nostra prossima operazione sarà molto più dura di questa». Il generale Bagheri ha anche affermato che le autorità iraniane hanno «inviato un messaggio agli Stati Uniti avvertendoli che se collaboreranno con Israele in qualsiasi azione futura, le loro basi non saranno al sicuro».
Attesa la decisione del gabinetto di guerra israeliano
Mentre ancora cadevano i colpi sullo Stato ebraico, intercettati per il 99 per cento dalla contraerea con il supporto degli alleati, i ministri israeliani hanno votato nel cuore della notte per delegare la decisione di rispondere all’attacco iraniano al gabinetto di guerra, composto dallo stesso Netanyahu, dal ministro della Difesa Yoav Gallant e da Benny Gantz, che si riunirà oggi alle 15.30 (14.30 ore italiane). L’ipotesi di una risposta preoccupa anche il più solido alleato di Tel Aviv, gli Stati Uniti. Secondo i media israeliani ci sarebbero «pressioni Usa» affinché Israele non decida un contrattacco nei confronti dell’Iran. «Una riposta israeliana non arriverà immediatamente», spiegano alcune fonti ai giornali locali. Il problema – aggiungono- è individuare una «risposta che non porti necessariamente a un’escalation». Nel frattempo, dalla Casa Bianca è trapelata la posizione che adotterà Biden: sostegno pieno a Israele ma nessun coinvolgimento militare nella temuta offensiva. Gli Stati Uniti non parteciperanno a nessuna operazione offensiva contro Teheran e non sosterranno una tale operazione, rivela Axios. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha poi confermato: «Non cerchiamo un conflitto con l’Iran ma non esiteremo ad agire per proteggere le nostre forze e sostenere la difesa di Israele». Washington considera «una vittoria» per Tel Aviv la notte appena conclusa, considerando che il massiccio attacco non ha avuto successo e non ha colpito alcun obiettivo sensibile
Si muovono le diplomazie
Mentre Biden fa capire che non intende essere coinvolto in una operazione militare offensiva in Medio Oriente, cerca di attivare la via diplomatica per mostrare il fronte unito in sostegno di Israele. Intorno alle 22 di domenica 14 aprile si svolgerà una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come confermato dall’ambasciatrice di Malta che è al momento presidente di turno del Consiglio di sicurezza. Biden ha poi convocato una riunione con i leader del G7 per «coordinare una risposta diplomatica unitaria allo sfrontato attacco dell’Iran».
(da Open)

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