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IL LEGHISTA GIAN MARCO CENTINAIO: “NON VOTERÒ VANNACCI, I FASCISTI PICCHIARONO MIO NONNO”

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

“VANNACCI NON C’ENTRA NULLA CON NOI. CONTINUA A DIRE CHE DELLA LEGA NON GLIENE FREGA NIENTE, LA COSA È RECIPROCA”

Senatore Gian Marco Centinaio, lei alle Europee voterà per il generale Vannacci?
«No. Voterò per uno della Lega. E come me tanti altri».
Che aria tira nel partito?
«Massimiliano Fedriga ha appena detto la stessa cosa: voterà i tre candidati del Friuli-Venezia Giulia».
Il governatore che molti danno come il successore di Salvini.
«Sì, darà la preferenza solo a esponenti del partito. E come lui in precedenza anche il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari e quello al Senato Massimiliano Romeo si erano espressi allo stesso modo».
Anche l’assessore veneto Roberto Marcato l’ha appena dichiarato.
«Sì, ha detto che Vannacci non c’entra nulla con noi. Vero».
Non era quasi mai successo che il suo partito candidasse un acchiappavoti da fuori.
«Mai successo. Io ho 34 anni di militanza nel partito, conservo la prima tessera, avevo 17 anni, s’immagini se alla mia età voto uno che viene da fuori».
Perché Salvini l’ha imposto? Perché vale un paio di punti sicuri?
“Lo chieda a lui. Avrà le sue ragioni».
Lei il 25 aprile sui social ha ricordato di essere antifascista.
«Sono anche anti comunista. Sono per la democrazia».
Umberto Bossi era antifascista.
«Ed è stata una delle ragioni per cui mi sono iscritto alla Lega».
Vannacci dice che le vostre critiche non lo toccano.
«Affari suoi» .
Non le dà fastidio?
«Continua a dire che della Lega non gliene frega niente, la cosa è reciproca».
La Lega quindi non è di destra?
«Io ho avuto un nonno picchiato dai fascisti a Pavia. La mia famiglia ha un’altra storia».
Come spiegherà in seno al partito la sua ribellione?
«Semplicemente voto uno che si è fatto il mazzo».
(da agenzie)

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TONINELLI SULLA DISCESA IN CAMPO DI VANNACCI CON LA LEGA: “IL GENERALE INTERCETTA IL VOTO IGNORANTE, PERCHÉ ’ LE STUPIDAGGINI CHE HA SCRITTO SONO MOLTO POPOLARI”

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

“LA SUA CANDIDATURA È L’ULTIMA SPIAGGIA PER SALVINI”

“La candidatura del generale Vannacci è stata l’ultima spiaggia. Salvini avrà fatto una spesa di qualche migliaio di euro per un sondaggista, gli avrà detto che all’interno della platea degli elettori leghisti Vannacci è benvisto e di conseguenza l’ha candidato”.
Così ha dichiarato Danilo Toninelli, ex ministro dei trasporti e delle infrastrutture, intervenuto a Radio Cusano Campus durante ‘L’Italia s’è desta’, programma d’informazione condotto dal direttore del giornale radio Gianluca Fabi e dalla giornalista Roberta Feliziani.
“Vannacci intercetta il voto ignorante, perché se guardiamo un po’ le stupidaggini che ha scritto, soprattutto nel primo libro, sono molto popolari”, ha continuato Toninelli. “La sua idea generale è quella dove la donna sta a casa a fare le faccende domestiche e l’uomo fuori a guadagnarsi la pagnotta.
L’idea culturale della società di Vannacci è riassunta in questo, lui va a intercettare il voto ignorante. Ricordiamo come in Italia secondo me circa 10milioni di italiani sono analfabeti reali, e almeno altri 20milioni sono analfabeti funzionali, di conseguenza Vannacci è la scelta strategica giusta per intercettare il voto ignorante. Poi fa anche ragionamenti che coincidono molto con quelli salviniani e dunque si trovano bene insieme”.
In merito a queste scelte da parte dei partiti, Toninelli ha voluto aggiungere: “Per Salvini candidare Vannacci o per il PD candidare chi ha idee molto diverse dal PD stesso (Tarquinio ndr.) ha semplicemente una funzione elettorale. Si tratta di un declino del valore della politica, non più basata e fondata sulle idee, ma basata sul consenso, funzionale all’occupazione di posizioni di potere e alla gestione del potere, e quindi del denaro. Sapete perché sono state chiuse le sedi del PD? Perché non c’era dentro più nessuno. La politica deve tonare ad appassionare, oggi siamo allo stadio zero dell’attaccamento e della passione politica”, ha ribadito Toninelli.
E sulla possibilità di eventuali sorprese per queste elezioni europee: “Sono molto critico – ha continuato – sono tendenzialmente ottimista, però devo anche essere realista. Non vedo all’orizzonte nessuna prospettiva che possa trasformarsi in speranza, perché le scelte che dobbiamo fare oggi sono le scelte che ci permetteranno tra 10-20 anni di avere qualche risultato in più, ma non c’è nessuno oggi”, ha evidenziato l’ex ministro cinque stelle.
“Gli unici che penso abbiano la libertà mentale, l’indipendenza, l’onestà intellettuale e l’intelligenza per salvare l’Italia sono i giovani. Io darei in mano il paese ai venticinquenni, perché non vedo nessuna speranza. Mi dite in quest’anno e mezzo di governo se c’è stata un’idea? Parlano di condoni fiscali, di pace fiscale, di condoni edilizi, di aborto che non dovrebbe più essere un diritto, di fascismo, antifascismo. Hanno ampiamente stufato!”, ha concluso Toninelli.
(da Radio Cusano)

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LA DERIVA UNGHERESE

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

LA PROVA DI TROVARCI IN UNA DEMOCRAZIA ILLIBERALE

Ha ragione da vendere Antonio Scurati, quando dice che in Italia la “svolta illiberale” è già cominciata. Possono negarla solo gli onorevoli con le lingue chiodate di casa Meloni, che per zelo e malafede ricordano le “vedette della montagna” care a Mussolini, come Giacomo Matteotti chiamava i fedelissimi del Duce alla vigilia del suo ultimo discorso in Parlamento prima dell’assassinio, il 10 giugno 1924. Ma si rassicurino, i volonterosi carnefici di Giorgia: qui nessuno teme che il disegno meloniano di oggi contempli il ritorno alla dittatura fascista. Come avvertiva Michela Murgia – vittima da viva e da morta dello squadrismo digitale – non siamo così imbecilli da credere che il fascismo ci bussi alla porta di casa con il fez. Purtroppo ci sono anche quelli, i vecchi nostalgici che si inginocchiano davanti alla fiamma eterna di Predappio e i giovani arditi che tendono il braccio davanti alla croce celtica di Acca Larentia. Ma fanno parte del brodo di coltura, non di un “progetto” totalitario. Quello che dobbiamo temere, invece, sono le democrazie illiberali. La prova l’abbiamo avuta proprio nel giorno della Festa della Liberazione. Con notevole sprezzo del ridicolo, e pur di non pronunciare l’abiura del Ventennio, la premier ha attribuito la caduta del fascismo non alla Resistenza e al sangue versato da migliaia di partigiani, rossi e bianchi, azionisti e liberali, comunisti e socialisti, laici e cattolici, insieme alle truppe di Roosevelt, di Churchill e di Stalin. Giammai: pare sia stato un destino insondabile, o forse il maltempo, l’estinzione dei dinosauri, la deriva dei continenti.
Nelle stesse ore, il Parlamento Europeo ha votato sulla risoluzione di condanna delle interferenze russe nelle elezioni europee, e Fratelli d’Italia e Lega si sono astenuti, appoggiandosi sulla stampella multiuso dei pentastellati: giù le mani da Putin, che con tutta evidenza ha fatto “anche cose buone” (chiedere a Zelensky e a Navalny). Mercoledì scorso i patrioti tricolori avevano fatto anche di peggio, unici a votare no alla mozione di condanna dell’Ungheria per violazione dello Stato di diritto: nessuno tocchi Orban, che sta facendo cose egregie (chiedere a Ilaria Salis e ai cronisti di Klubràdiò). Eccoli, i riferimenti politico-culturali di chi ora ci governa: i burocrati cresciuti al di là dell’ex cortina di ferro trasformati in autocrati con l’inganno dei popoli. Anche qui, torniamo a Scurati: i nemici delle liberaldemocrazie non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni.
Per questo Meloni non può permettersi di dire quello che disse Gianfranco Fini a Fiuggi, nel 1994: “E’ giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenze che l’antifascismo fu un momento essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”.
E non può permettersi di ripetere neanche quello che disse Silvio Berlusconi a Onna, nel 2009: “Il nostro compito è costruire finalmente un sentimento nazionale unitario, una democrazia pacificata”. A lei questa svolta è preclusa, pena la rottura con un pezzo del suo passato di militante missina. Movente tattico, quindi. Ma anche politico. Come scrive Francesco Piccolo: per dichiararsi antifascisti, bisogna esserlo. E Meloni, fino a prova contraria, non lo è. Semmai è “a-fascista”, ed è anche questa la ragione per la quale ha bisogno di una riforma come il Premierato Forte, indispensabile per rifondare una nuova Costituzione nella quale la “destra esclusa” di Almirante diventa “madre costituente”, senza mai aver chiuso i conti con i lasciti tragici di nonno Benito. E allora, armiamoci e partiamo, e che elezioni siano. Senza troppa enfasi, ma davvero e per mille ragioni – le guerre e le crisi, l’Occidente e il Medioriente, l’Ucraina e la Cina – sul voto europeo del 9 giugno batte l’ora della Storia. Domenica, alla conferenza programmatica dei suoi Fratelli a Pescara, la Sorella d’Italia annuncerà la discesa in campo come capolista, elmetto in testa e manganello in mano, come stiamo mestamente vedendo. E nonostante settimane di apparente complicità con Von der Leyen e mesi di fervente “occidentalismo” – professato sui principi geostrategici ma non praticato sui valori fondanti – la presidente del Consiglio non taglia il filo nero che la unisce alle democrature dell’Internazionale Sovranista (oltre che alla galassia post-missina): quando si va alla conta, preferisce sempre Visegrad a Bruxelles. Alla sua ala più estrema, d’altra parte, c’è voglia di menare le mani. Aiutati da otto svalvolati nordafricani e da duecento sciamannati dei centri sociali vogliosi solo di sputare veleno contro Israele e contro la Brigata Ebraica, i giornali-cognati si affannano a sporcare il 25 aprile, trasformando in un infernale G-8 di Genova due oceaniche e pacifiche manifestazioni riempite da centinaia di migliaia di italiani orgogliosi della Liberazione e della Costituzione. Sempre il 25 aprile – tanto per far capire a tutti dov’è per lui la vera Festa – Capitan Salvini annuncia la discesa in campo del Generale Vannacci, che per la gioia del ministro Crosetto, dell’Esercito e dei malpancisti padani alla Fedriga aggiungerà le sue originali teorie sui “negri” autoctoni e sugli omosessuali “anormali” al mondo al contrario della nobile famiglia degli eurofobici francesi di Le Pen e dei neonazisti tedeschi di Afd.
Di qui al voto si preannunciano settimane di fuoco, con il melonismo da combattimento. Incrocia l’elezione diretta del presidente del Consiglio e l’autonomia differenziata che spacca l’Italia (e in parte anche la stessa coalizione). Prevede il piano-migranti da deportare in Albania a spese della pietà e del contribuente, e il pacchetto-giustizia con la separazione delle carriere tra giudici e pm. Esige la pubblica gogna per gli Scurati e le Mira, il linciaggio mediatico delle Bortone e persino degli Zanchini (uno dei conduttori più seri e più equilibrati della tv), e poi i processi penali per i Saviano e i Canfora, la galera per i giornalisti che diffamano, le nomine blindatissime alla Rai ormai trasformata nell’Eiar 4.0, e in altre 693 controllate dallo Stato. Mentre i Cinque Stelle di Conte inseguono le farfalle del “campo giusto” e il Pd di Schlein si lecca le ferite dell’ultimo autodafè sul nome nel simbolo, la destra comanda e non fa prigionieri. Una delle ultime censure del governo, due mesi fa, era piovuta su un libro: si intitola “Storie di diritti e di democrazia”, scritto da Giuliano Amato e Donatella Stasio. Avrebbero dovuto presentarlo a San Vittore e in altre carceri, ma all’ultimo momento “ordini superiori” lo hanno impedito. A Meloni e ai suoi Fratelli fa paura, un testo che parla della nostra Costituzione, dei diritti fondamentali che sancisce e che la Consulta tutela, supplendo quasi sempre all’ignavia dell’esecutivo e del legislativo. Temono la “democrazia del limite”, il costituzionalismo come bilanciamento dei poteri. E non è un caso se pochi giorni prima lo stesso Amato in un’intervista a Simonetta Fiori su questo giornale aveva lanciato il suo allarme: “Quella di Fratelli d’Italia e Lega continuiamo a chiamarla destra, ma di sicuro non ha la cultura politica di Reagan né della Thatcher: è un’altra cosa, che ha a che fare con l’ideologia dell’ostilità e del rancore”.
Poi denunciava la lunga “lista dei nemici” stilata dalla premier ad Atreju. Tra questi, Amato indicava anche la Corte costituzionale: “Per la destra populista tutte le Corti finiscono per essere espressione e garanzia di quelle minoranze che turbano il loro ordine”. Per questo, concludeva, anche l’Italia può rischiare una deriva ungherese o polacca: “Potrebbe accadere, non c’è nulla che lo impedisca”. Ecco: per gli italiani che non vogliono farsi incantare da un “Mattinale” di Palazzo Chigi o da un Generale sul Carroccio, proprio questa è la posta in gioco della sfida europea di giugno. Votare è importante. È la preziosa lezione di Gramsci: vivere vuol dire essere “partigiani”. E l’indifferenza è il peso morto della Storia.
(da La Repubblica)

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EUROPEE, LE GIRAVOLTE DI RENZI: DAL SUO NOME IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI AL “DECIDERO'”

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

PROSSIMO A UN PASSO INDIETRO?

Le e-news sono il vangelo dei renziani. Una mail che arriva più volte a settimana, scritta in prima persona da Matteo Renzi, che si snoda tra riflessioni personali, analisi geopolitiche e polemiche interne. Già dallo scorso settembre, il leader di Italia Viva aveva iniziato a motivare i seguaci riguardo alla sua corsa europea. Si sarebbe candidato, diceva, nel Nord-Ovest. Poi, a fine febbraio, il rilancio: «Mi candido in tutte e cinque le circoscrizioni». A un certo punto, però, la trattativa con +Europa si finalizza. Carlo Calenda e Azione scelgono la strada solitaria, mentre Renzi e Riccardo Magi – ma il vero kingmaker radicale sembra essere Emma Bonino – si coalizzano nella lista Stati Uniti d’Europa. Da quel momento, Renzi deve ritrattare sulla sua candidatura. «Se noi ci fossimo candidati da soli è evidente che avrei guidato la lista ovunque e se avessimo fatto il 4%, e lo avremmo fatto, io sarei andato al Parlamento europeo come è giusto che fosse», spiega in assemblea il 21 aprile. «Oggi si tratta di fare una scelta che non abbiamo ancora fatto e che farò la settimana prossima. Io metto gli aspetti positivi della mia candidatura: sono anni che mi dicono che non abbiamo voti e l’idea di mettermi ultimo della lista in tutte le circoscrizioni mi affascina perché prenderei un fracco di voti. A quel punto però se mi candido, ragionevolmente vengo eletto e vado a Bruxelles».
Tuttavia, sull’altro piatto della bilancia, il leader di Italia Viva colloca l’importanza dell’opposizione a Giorgia Meloni: «Se non mi candido, e un po’ mi dispiace non candidarmi, è perché capisco che nei prossimi mesi, con questo governo incapace e inconcludente, potrebbe riaprirsi una partita anche in Italia». A Open risulta che Renzi, al momento, sia intenzionato a fare un passo indietro e a non iscrivere il suo nome nella lista degli Stati Uniti d’Europa. Anche perché in caso di elezione, dopo il post pubblicato oggi – 26 aprile – su X, l’ex presidente del Consiglio non avrebbe altra possibilità che lasciare il Senato e iniziare una carriera politica al di là delle Alpi: «Si fa un gran discutere di candidature per le Europee. Io penso una cosa semplice: chi si candida per Strasburgo, se viene eletto, deve andare a Strasburgo. Le candidature “prendi i voti e scappa” non sono serie. Chi le fa considera i cittadini dei “citrulli” da prendere in giro. Le liste che mettono candidati finti non sono liste serie. Noi come Stati Uniti d’Europa siamo seri, spero che lo siano anche gli altri».
Non è un’argomentazione nuova. Nell’e-news del 22 aprile, Renzi aveva chiesto un parere ai suoi sostenitori: «Chi si candida alle Europee dicendo: “Mi candido, ma se vengo eletto non ci vado”, per me prende in giro gli italiani. Voi che dite? Vi leggo». Ancora, sempre nella letterina digitale, il 19 aprile: «Ci vuole serietà per affrontare la sfida europea. La prima forma di serietà è non prendere in giro i cittadini. Se ti candidi in Europa, poi vai in Europa. L’idea che qualcuno, come Meloni o Elly Schlein ad esempio, possa candidarsi per misurare il proprio gradimento e poi non vada a lavorare a Bruxelles tradisce l’impianto di chi non è minimamente interessato alle elezioni europee e vive la politica europea solo come proprio sondaggio di gradimento». Un punto che non ha sollevato solo Renzi. Diversi esponenti di altre forze politiche, più o meno apertamente, hanno criticato la scelta dei leader di scommettere sull’effetto traino del proprio nome. Romano Prodi: «Si chiede agli elettori di dare il voto a una persona che di sicuro non va a Bruxelles se vince. Queste sono ferite alla democrazia che scavano un fosso. Questo ragionamento riguarda Meloni, Schlein, Tajani e tutti i leader che si candidano: non è un modo per sostenere la democrazia».
Comunque, tornando a Renzi e ai suoi e-ripensamenti, «per non prendere in giro – si cita – i cittadini», sarebbe stato meglio non infarcire di certezze i proclami sulla propria candidatura.
(da agenzie)

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DAGOSPIA: DANIELA SANTANCHE’ HA MENTITO SULLA SUA DICHIARATA LAUREA IN PSICOLOGIA

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

PARE CHE PER UN CERTO PERIODO, VANTANDO UN’INESISTENTE LAUREA IN PSICOLOGIA, DANIELONA ABBIA RICEVUTO, NELLO STESSO STUDIO MILANESE DELL’ALLORA ANCORA MARITO PAOLO SANTANCHE’, PAZIENTI CHE NON ACCETTAVANO IL PROPRIO ASPETTO CON TANTO DI TARGA SULLA PORTA, ”DOTTORESSA GARNERO, PSICOLOGA”

Su un antico numero del rinomato e patinato mensile di architettura e arredamento “AD”, spicca un servizio nel quale si legge: “Daniela e Paolo Santanchè lei è una psichiatra che lavora nella comunicazione, lui è un chirurgo delle dive” – vedi foto.
Essì, pare che per un certo periodo, vantando un’inesistente laurea in psicologia, Danielona abbia ricevuto nello stesso studio milanese dell’allora ancora marito Paolo Santanchè, pazienti a disagio per il loro aspetto. Sarebbe anche l’unico periodo in cui la Pitonessa avrebbe usato il suo cognome con tanto di targa sulla porta, ”Dottoressa Garnero, psicologa”…
Estratto da “AD Italia”
“Volevamo almeno cinque camere da letto, con i relativi servizi”, riprende Daniela Santanchè, “una per noi e quattro per gli ospiti. Più l’alloggio per le persone di servizio. Lo stazzo non poteva darci nemmeno cento metri quadrati: e il rispetto per l’ambiente, più ancora dei vincoli edilizi, ci impediva di progettare una costruzione del tutto nuova, di maggiori dimensioni. Era stato per questo che molti prima di noi avevano finito per rinunciare”.
Come sia successo che proprio quello stazzo sia diventato la casa che sognavano Daniela e Paolo Santanchè: lei è una psichiatra che lavora nella comunicazione, lui è un chirurgo delle dive, perché è alle sue mani che soprattutto le attrici affidano il proprio fascino compromesso dal tempo, con la certezza del risultato e, naturalmente, dal più assoluto segreto.
Ma né lui né lei vogliono arrendersi, e per questo coinvolgono un amico designer, Marco Fumagalli, che sta per laurearsi in architettura. Lo stazzo è nuovamente esaminato e si arriva a concludere che almeno il tetto bisogna salvarlo, anche perché appoggia su maestose travature di ginepro e su quattro pilastri portanti di granito
(da Dagospia)

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LOLLOBRIGIDA ESILARANTE: VUOLE MODIFICARE LA COSTITUZIONE INSERENDO IL PRINCIPIO DELLA SOVRANITA’ ALIMENTARE

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

“LA REPUBBLICA GARANTISCE LA SANA ALIMENTAZIONE DEL CITTADINO”… MA PENSA ALLE FILE ALLA MENSA DELLA CARITAS PIUTTOSTO, POVERI A CUI AVETE TOLTO ANCHE IL MINIMO SOSTENTAMENTO DEL REDDITO DI CITTADINANZA, INVECE CHE A QUESTE CAZZATE

La platea della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, in corso a Pescara, attende un annuncio: quello di Giorgia Meloni candidata alle elezioni europee. Intanto, però, anche altri esponenti di Fratelli d’Italia si adoperano per diffondere comunicazioni roboanti. È il caso del cognato della presidente del Consiglio, Francesco Lollobrigida.
Dal palco, il ministro dell’Agricoltura ha invocato la modifica dell’articolo 32 della Costituzione: «Chiederemo di aggiungere questo passaggio: “la Repubblica garantisce la sana alimentazione del cittadino. A tal fine persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell’Identità nazionale”. Un dovere non della destra, non della sinistra, ma di tutti gli italiani», ha chiosato il ministro.
Mentre sono in corso i passaggi per riformare la Costituzione istituendo il premierato, i meloniani pensano a in che altro modo poter cambiare la Carta. «Ogni tanto qualche annuncio piacevole lo voglio fare. Ne voglio fare uno adesso, proprio in linea con quanto io credo sia necessario per l’Italia», ha introdotto Lollobrigida, per poi fare l’annuncio. Concludendo, invece, ha ringraziato il collega Tommaso Foti, «che porterà questa modifica della Costituzione in discussione al Parlamento» e il collega Lucio Malan, «che credo la condivida ampiamente e farà lo stesso in Senato. Una modifica dell’articolo 32: perché nella nostra importante e bella Costituzione ci sono delle cose che all’epoca non era necessario ribadire, ma che noi riteniamo oggi sia utile ribadire».
(da agenzie)

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MANETTE PER GLI SCOOP, COSI’ SOVRANISTI E AZIONE SILENZIANO IL GIORNALISMO

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

PREVISTI 3 E 8 ANNI DI CARCERE PER CHI PUBBLICA NOTIZIE DA DATABASE SECRETATI… COSI’ NON SAREBBERO MAI EMERSI I PANAMA PAPERS, IL WIKILEAKS E GLI SCANDALI IN VATICANO

La sintesi è che le manette ai giornalisti non vanno cancellate. O meglio si finge di volerle cancellare con il ddl Balboni che elimina il carcere per il reato di diffamazione, ma si fanno rientrare dalla finestra – con pene molto più pesanti – con il ddl Cybersicurezza ora in commissione Giustizia alla Camera. Artefici: i tre partiti centristi Forza Italia, Azione e Italia Viva, che spesso hanno fatto del garantismo la loro battaglia e per questo vogliono l’abolizione del reato di abuso d’ufficio che colpisce i pubblici ufficiali che violino specifiche regole di condotta per procurarsi un vantaggio ingiusto. In questo caso, invece, hanno scelto un metro decisamente diverso. Anzi, il carcere diventa il perfetto deterrente alla pubblicazione di notizie, nel caso in cui il giornalista sia consapevole che siano frutto di reato.
Gli emendamenti portano le firme di Enrico Costa di Azione, Maria Elena Boschi di Iv – formalmente all’opposizione ma quasi sempre allineati al governo nei voti in materia di giustizia – e Tommaso Calderone di Forza Italia. Quello di Costa con la firma anche di Boschi prevede da sei mesi fino a tre anni di carcere per chiunque, fuori dai casi di concorso, divulghi «mediante qualsiasi mezzo» informazioni provenienti da sistema informatico conoscendone la provenienza illecita. L’emendamento Calderone, invece, equipara la divulgazione «con qualsiasi mezzo» di dati sottratti da un sistema informatico alla ricettazione, al riciclaggio e all’autoriciclaggio e dunque prevede una pena fino a 8 anni. Entrambe le proposte hanno ricevuto il via libera dell’autorità delegata per la sicurezza, che fa capo al sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha proposto il ddl cybersicurezza. «L’esecutivo deve ancora riservare una riflessione sugli emendamenti», ha detto in settimana Mantovano nel tentativo vano di smorzare la polemica, visto che il testo del governo non prevedeva sanzioni per chi utilizza i dati acquisiti illecitamente. Eppure non è arrivato alcun no da parte della maggioranza e il tempo stringe: gli emendamenti verranno votati la prossima settimana.
GLI EFFETTI
Anche se nessuno degli emendamenti cita mai i giornalisti, è evidente come si tratti di comportamenti che toccano in particolare il lavoro giornalistico. Del resto, l’ispirazione sembra essere il caso della fuga di notizie dal database delle segnalazioni di operazioni sospette dalla direzione nazionale antimafia, di cui si sta occupando la procura di Perugia e che vede indagati anche i giornalisti d’inchiesta di Domani per concorso in accesso abusivo a un sistema informatico con il finanziere che materialmente è entrato nel database riservato.
L’obiettivo è quello di rendere più difficile – o meglio ancora impedire – il lavoro dei cronisti, usando il carcere come deterrente. Se uno dei due emendamenti passasse, infatti, chiunque pubblichi una notizia – anche se vera – sapendo che la fonte ha commesso un reato per fornirgliela verrà indagato direttamente per reati che prevedono pene molto alte. A un prezzo altissimo per la collettività, però: minare la libertà di stampa e il pluralismo dell’informazione, facendo sì che il giornalista ci pensi due volte a pubblicare notizie anche di grande interesse pubblico. E soprattutto se riguarda il potere.
NIENTE PULITZER
Con questo sistema, inoltre, si mette anche in discussione la segretezza delle fonti giornalistiche, come i cosiddetti whistleblowers che spesso hanno accesso a database riservati.
E’ stato infatti grazie a un informatore come Edward Snowden, ex tecnico della Cia e consulente della National Security Agency, che i giornali Guardian e il Washington Post hanno potuto pubblicare nel 2013 i dettagli dei programmi top secret di sorveglianza di massa sia telefonica che su internet messi in atto dal governo americano e da quello britannico. In quel caso Snowden ha rivelato ai giornalisti documenti secretati su programmi di intelligence e con le loro inchieste i due giornali hanno vinto il premio Pulitzer nel 2014.
Lo stesso è successo nel 2017, quando il Pulitzer è stato assegnato al team internazionale di giornalisti autori dell’inchiesta Panama Papers, condotta dal Süddeutsche Zeitung e dal consorzio internazionale di giornalisti d’inchiesta ICIJ. Anche in quel caso, tutto è nato grazie alla divulgazione illecita di 11,5 milioni di documenti che mettevano in luce i legami tra il paradiso fiscale panamense e personalità di primo piano in molti paesi del mondo. Documentazione segreta e riservata, infine, era anche quella che ha permesso di far conoscere i dossier sui detenuti della prigione di Guantánamo, divulgati da Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange. In Italia, anche il caso Vatileaks, sugli scandali finanziari del Vaticano del 2012 e del 2015 è emerso in seguito alla diffusione di informazioni riservate e documenti interni.
Se passassero gli emendamenti al ddl Cybersecurity, invece di aspirare al Pulitzer i giornalisti rischieranno la galera.
(da editorialedomani.it)

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NON SOLO UN INDAGATO DALLA PROCURA MILITARE PER CORRUZIONE E TRUFFA (VANNACCI), SALVINI METTE IN LISTA PURE UN RINVIATO A GIUDIZIO PER TRUFFA (MANCUSO)

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

ALTRO CHE CANDIDATI ALL’EUROPARLAMENTO, QUA SIAMO VICINI ALLA CASA CIRCONDARIALE… DOPO L’AUTOGOL DI VANNACCI, MOLTI POTENZIALI LEGHISTI DELLE ORIGINI POTREBBERO NON CANDIDARSI

Come un ciclone l’effetto-Vannacci sulle liste della Lega si è subito fatto sentire. Ma non nel senso sperato da Matteo Salvini. Appena è stata annunciata la notizia della candidatura del generale alle europee sotto le insegne leghiste, le tensioni si sono moltiplicate e molti potenziali candidati si sono irrigiditi. Prendendosi un supplemento di riflessione sulla loro presenza in lista.
La frustrazione è montata in particolare al Nord tra i “portatori di voti”. Quei profili che sarebbero scesi in campo per dare una mano al partito e raggranellare preferenze sui territori. Al di là delle effettive speranze di strappare il seggio.
Alla fine Salvini sta trovando la quadra, ma con più fatica del previsto e dovendo gestire una cascata di malumori, che hanno trovato sfogo nelle dichiarazioni dell’ex ministro e attuale vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio: «Voterò per altri candidati della Lega», ha messo agli atti.
Intenzione che fa il paio con quella di Massimiliano Fedriga, presidente della regione Friuli Venezia-Giulia. «Voterò per i candidati del mio territorio (Anna Maria Cisint, Stefano Zannier e Elena Lizzi, ndr)», ha detto salomonicamente.
«Candidiamo dall’onorevole Patriciello – che ha sostenuto Ursula von der Leyen per 5 anni – a Vannacci. Speriamo di candidare anche qualcuno della Lega…», ha annotato con sarcasmo Paolo Grimoldi, voce critica ed ex segretario leghista in Lombardia. Vannacci non sembra toccato dalla questione: «Problemi loro», ha sentenziato.
Del resto lo stesso segretario leghista ha messo il silenziatore ai borbottii della base. Anzi lo raccontano come «gongolante» per la prova di forza e l’arruolamento del generale, che considera un campione di preferenze.
. Sono stati ignorati i suggerimenti dei dirigenti, che gli spiegavano come, con Vannacci, si stia portando in casa un competitor per la guida del centrodestra. Il più tradizionale dei cavalli di Troia.
LISTE CONTROVERSE
L’autore del libro Il mondo al contrario non è un tipo disposto a fare da portatore d’acqua a Salvini, tanto da aver chiesto e ottenuto – per sua ammissione – il posto da capolista nel Centro e la candidatura in tutt’Italia. Soprattutto ha tenuto a precisare il suo carattere da indipendente. La Lega è un taxi per pesarsi politicamente e ottenere un euroseggio. Nulla di più. L’affaire-Vannacci ha ingolosito addirittura il fondatore della lista Libertà, il sindaco di Taormina Cateno De Luca, che ha svelato un retroscena o presunto tale: «Vannacci mi aveva chiesto di essere candidato in tutta Italia. Gli ho detto di no».
L’immagine è quella di un profilo intenzionato a trovare la soluzione ideale per mettersi al centro della scena politica. A dispetto pure dell’inchiesta aperta sul suo conto dalla procura militare con le ipotesi di reato di peculato e truffa: avrebbe percepito indennità e benefit che non gli spettavano.
Ma alle europee è in buona compagnia. Salvini salta a piè pari le singole situazioni giudiziarie. Se da un lato bersaglia Ilaria Salis, candidata da Alleanza verdi sinistra sotto processo a Budapest, nelle liste inserisce nella circoscrizione Sud, Filippo Mancuso, presidente del Consiglio regionale in Calabria, rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento “Gettonopoli”. Insieme ad altre 28 persone è accusato di aver percepito indebitamente i gettoni di presenza per le sedute delle commissioni nel Consiglio comunale di Catanzaro, quando ricopriva quella carica.
Nel mosaico delle liste della Lega, nella circoscrizione Centro figura Davide Bordoni, indagato per «finanziamento illecito» in un’inchiesta sul pagamento di un locale per una cena elettorale.
«Il conto è stato saldato con bonifico», garantisce il legale di Bordoni, uomo forte della Lega nella capitale e fresco di dimissioni dal Consiglio comunale di Roma proprio per la corsa verso l’Europa. In attesa dell’esito delle indagini, il leghista romano veste il triplo ruolo di candidato, consulente di Salvini a palazzo Chigi (per 40mila euro lordi all’anno) e amministratore unico (al momento con rinuncia al compenso) della Ram spa, società del ministero delle Infrastrutture. Guidato da Salvini.
(da agenzie)

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“DISINFESTAZIONE DOPO IL 25 APRILE” LA VIGNETTA DELIRANTE DEL CONSIGLIERE COMUNALE DI FRATELLI D’ITALIA DI PESCIA

Aprile 27th, 2024 Riccardo Fucile

EDUCAZIONE E RISPETTO, QUESTE SCONOSCIUTE… IL PARTITO DELLA MELONI NON HA NULLA DA DIRE?

Una caricatura postata sui social dal consigliere comunale di Pescia, Giacomo Melosi di Fratelli d’Italia, ha scatenato una tempesta di polemiche nella comunità locale.
Nella vignetta, l’avatar dell’autore è raffigurato sdraiato a terra mentre ride, con uno sfondo che mostra un uomo con tuta e maschera impegnato nella disinfestazione di un luogo, accompagnato dalla didascalia: “Quando è appena terminata la manifestazione del 25 aprile”.
Una rappresentazione offensiva che ha scatenato, ovviamente, rabbia e polemiche nel giro di poche ore, con il Partito Democratico che ha subito chiesto spiegazioni al partito di Giorgia Meloni per l’accaduto.
Il deputato Emiliano Fossi, segretario regionale del Pd in Toscana, ha dichiarato: “C’è chi ancora si ostina a negare la storia del nostro Paese. Questo comportamento è totalmente inaccettabile e manca di rispetto per coloro che hanno lottato e sacrificato le proprie vite per la nostra libertà. Ci aspettiamo una netta presa di distanza da parte di Fratelli d’Italia”.
Ancora più severa è stata la critica del consigliere regionale del Pd, Marco Niccolai, che ha evidenziato il passato politico di Melosi, candidato con CasaPound nel 2018. Niccolai ha sottolineato che Fratelli d’Italia ha accolto Melosi senza problemi e lo ha ricandidato nel 2023, invitando il partito a fare chiarezza sulla sua posizione.
Il sindaco Franchi, nel sottolineare l’importanza storica di Pescia come medaglia di bronzo al valore militare per le lotte partigiane, ha chiesto pubbliche scuse da parte di Melosi e ha invitato il consigliere a partecipare alle celebrazioni del 25 aprile anziché deridere coloro che festeggiano con orgoglio questa giornata.
(da agenzie)

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