Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
MA LA MELONI NON SI PUÒ PERMETTERE DI CAMBIARE IL “GUARDIANO DEI CONTI” PRIMA DELLA SESSIONE DI BILANCIO LACRIME E SANGUE… IL QUIRINALE DELUSO DAL SILENZIO DELLA MELONI SULL’ATTACCO LEGHISTA A MATTARELLA
Giancarlo Giorgetti è il più disperato tra i ministri del Governo Meloni. I conti pubblici versano in una condizione disastrata, i suoi colleghi ministri fanno promesse che non si potranno mantenere, e lui si ritrova a dover fare il custode del forziere (mezzo vuoto) attirandosi gli strali di tutti.
Nella sua ferocia al semolino, il bocconiano di Cazzago Brabbia, ha fatto presente che, attuali condizioni economiche, sarà impossibile mantenere il taglio del cuneo fiscale.
Un annuncio che, ovviamente, il Governo rifilerà tra le chiappe degli italiani solo dopo il voto europeo. Alla penuria di danaro, si aggiunge la crescente difficoltà a piazzare i Btp, che diventeranno sempre meno appetibili con il prevedibile (e richiesto da tutti i Paesi, Italia in testa) taglio dei tassi da parte della Bce.
Nemmeno i fantomatici Btp Valore, che il governo dei patrioti aveva varato per riallocare il debito nelle case degli italiani, tirano più come una volta.
L’exit strategy per Giorgetti, ormai stanco di essere il parafulmine dei guai economici del Governo Ducioni, passa o dalle dimissioni o da una “promozione” a commissario europeo.
Le prime sono state minacciate una tale quantità di volte da renderle ormai una farsa: e infatti nessuno ha preso davvero sul serio l’ennesimo annuncio di addio trasmesso ieri via giornali (“Repubblica”).
Sul trasloco a Bruxelles, invece, aleggiano troppe incognite. Prima, sarà necessario valutare l’esito delle elezioni europee. Poi, servirà trovare un accordo politico per la nomina del presidente della Commissione, e non è detto che sia Ursula. Solo a quel punto si aprirà la partita dei commissari.
Dopo il 9 giugno, l’immaginifica Italia dove tutto va bene, madama la Melona, si sgonfierà come un soufflè venuto male: la prevista astensione, superiore al 50%, certificherà la distanza e la disillusione dei cittadini nei confronti della politica e del Governo.
Facile minimizzare la diserzione delle urne come “effetto spiaggia”, “primo weekend estivo”, eccetera: gli italiani, zavorrati dai salari più bassi d’Europa e dall’inflazione galoppante, faticano ad arrivano a fine mese (quasi uno su dieci è in condizione di povertà assoluta).
E se, da un lato, Giorgetti scalpita per darsi alla macchia e a non passare da caprone espiatorio per le future lacrime e sangue, dall’altro Giorgia Meloni è scettica sull’opportunità di spostare il “custode dei conti” proprio alla vigilia dell’apertura della procedura di infrazione contro l’Italia, prevista per il 19 giugno. Così facendo, lascerebbe il Mef senza una guida poco prima della sessione di bilancio, in cui si dovrà mettere nero su bianco la situazione disastrosa dei conti pubblici.
Come scrive oggi Giuseppe Colombo, su “Repubblica”: “Più di tutte contano le ragioni ‘tecniche’ dei conti, che incrociano il futuro assetto dell’Europa, ancora poco chiaro: un azzardo, per l’inquilina di Palazzo Chigi, far gestire la manovra austera a qualcun altro. A via XX settembre il ministro deve restare lo stesso. Anche se Giorgetti va ripetendo che è stufo, assediato, logorato”.
La Meloni ha i nervi scossi perché i sondaggi danno Fratelli d’Italia sotto il 26% anche a causa dell’effetto Vannacci: tra una “decima” Mas e una sparata da “Gladiatore” (“Al vostro segnale, scateneremo l’inferno in Europa”), il generale sta monopolizzando lo spazio a destra, catalizzando il consenso di quell’elettorato post-missino e un po’ fascio che guardava a Fdi.
Salvini l’ha capito e preme sull’acceleratore: la sparata di Borghi contro Ue e Mattarella, a cui il “Capitone” ha dato manforte, strizzava l’occhio agli euroscettici di Fratelli d’Italia, rimasti delusi dal “camaleontismo” di Giorgia, che prima tuonava contro l’Euro e i poteri di Bruxelles, e ora flirta con Ursula von Der Leyen.
Che ha fatto Giorgia Meloni? Invece di dissociarsi subito e pubblicamente dalla parole contro il Colle, come auspicato dal sottosegretario Mantovano e dallo staff del Quirinale, la Ducetta ha taciuto, quasi avallando gli inaccettabili toni del Carroccio contro il Presidente. Un silenzio deludente, finito nel già ricco cahier de doleances su Giorgia Meloni che al Quirinale consultano periodicamente.
Ps. Comunque vada il voto europeo, dal 10 giugno inizierà un regolamento di conti nei partiti, anche in Fratelli d’Italia, dove sono molti i galletti con la pretesa di comandare. Se il giustizialista Delmastro carica le pistoline contro il ministro garantista Nordio, e La Russa esonda a ogni piè sospinto invece di mantenersi super partes, anche le seconde file Donzelli e Montaruli ambiscono al loro quarto d’ora di gloria (la popputa ex sottosegretaria si sente in charge al punto da rimbalzare il Guardasigilli dal comizio di chiusura della campagna elettorale di Fratelli d’Italia)
(da Dagospia)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
LE OPPOSIZIONI OTTENGONO UN RISULTATO BEN AL DI SOPRA DELLE ASPETTATIVE
È tempo dello spoglio dei voti nella più grande consultazione democratica al mondo. Il primo ministro uscente Narendra Modi ha rivendicato la vittoria delle elezioni in India e sembra sulla buona strada per ottenere un terzo mandato. Le preferenze ottenute dal suo partito, lo Bharatiya Janata Party (Bjp), si attestano però al di sotto delle aspettative. Secondo il Times of India, il partito nazionalista di Modi dovrebbe ottenere 240 seggi in parlamento, ben al di sotto dei 303 ottenuti alle elezioni del 2019. I primi risultati danno la NDA, la coalizione che supporta la candidatura del premier uscente, a 292 seggi, venti in più di quelli necessari nella camera bassa del parlamento indiano per avere la maggioranza.
INDIA, la coalizione di opposizione che comprende 26 partiti ed è guidata da Rahul Gandhi, dovrebbe ottenere invece 235 seggi.
Un risultato non sufficiente per conquistare la maggioranza, ma comunque al di sopra delle aspettative e delle stime dei sondaggisti. A differenza del 2019, il partito Bjp potrebbe dunque non avere più la maggioranza dei seggi, ma il risultato ottenuto dalla coalizione che lo sostiene gli dovrebbe permettere di ottenere un terzo mandato da primo ministro.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA REPLICA: “PAGA 28.000 EURO DI CANONE PER LA SPIAGGIA E FATTURA 8 MILIONI”… “VOGLIAMO CHE GLI ITALIANI POSSANO ANDARE AL MARE ANCHE IN SPIAGGE LIBERE”… “CI PERDONI, NOI SIAMO UN PO’ ALL’ANTICA, LE TASSE LE PAGHIAMO IN ITALIA”
Alcuni attivisti nei giorni scorsi hanno fatto irruzione nello stabilimento dopo la sentenza che ha stabilito che le concessioni sono scadute e che vanno messe a bando.
Una protesta che non è piaciuta a Flavio Briatore che si è scagliato contro Bonelli e Fratoianni in un video postato sul suo profilo Instagram.
“C’è un gossip, c’è una nuova coppia: Fratoianni e Bonelli. Questa coppietta di zeru tituli è andata davanti al Twiqa con altri 10 scappati di casa per protestare sulle spiagge. Ma a loro non interessa che al Twiga lavorano 150 persone e che durante la stagione paga quasi 3 milioni di euro di tasse – afferma Briatore nel video – A loro se il Twiga fallisse sarebbero i più felici della terra. Sono talmente invidiosi che la loro soddisfazione è vedere Briatore fallire”.
LA REPLICA DI BONELLI E FRATOIANNI
“E niente! Briatore ci ha scoperti – hanno replicato i due parlamentari – Siamo una coppia e lo ammettiamo, anzi una bella coppia. Ma, spiace deludere Briatore, a muoverci non è l’invidia né l’odio per il suo Twiga. E non sono invidiosi nemmeno i milioni di Italiani che ormai al mare non possono più andare perché non se lo possono permettere e perché le spiagge sono privatizzate”.
I due esponenti di Verdi/Sinistra Italiana, quindi, hanno aggiunto: “Al massimo sono incazzati. E giustamente perché una famiglia per andare al mare deve spendere minimo 30-40 euro al giorno. E lui paga 21mila euro all’anno allo Stato mentre fattura quasi 8 milioni. Per questo rivendichiamo con orgoglio di aver presentato una proposta di legge per il mare libero. Perché il mare e le nostre coste sono innanzitutto un bene comune che noi vogliamo tutelare. Cordiali saluti al signor Briatore. P.S. Siamo una coppia che paga le tasse in Italia. Sa, siamo un po’ all’antica”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
A UNA CERTA’ ETA IL SOLE FA BRUTTI SCHERZI, LA PROSSIMA VOLTA PORTATEGLI UN OMBRELLONE, UNA SDRAIO E FORNITEGLI UN MAGGIORDOMO-BADANTE
Carlo Nordio, al comizio finale di Giorgia Meloni sotto il solleone delle 14 in piazza del Popolo a Roma (temperatura intorno ai 31 gradi, percepita assai più alta), aveva provato a salire nel retropalco all’ombra, ma all’ingresso sia lui che la sua nutrita scorta sono stati bloccati dalla “marescialla” di Giorgia, Augusta Montaruli: «Da qui non si passa. Nemmeno i ministri. Palco solo per candidati e staff». Così ha dovuto riparare in piazza, ansimante, difendendosi dal sole cocente con un cappellino propagandistico acquistato in uno dei banchetti.
Arso dalla sete ha provato a chiedere a una donna lì di fronte se poteva portargli uno spritz. Non era una cameriera, e nemmeno una dell’organizzazione FdI: si trattava dell’inviata di Piazza Pulita, Roberta Benvenuto, che ovviamente non ha preso bene la singolare richiesta.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
IERI AL VEGLIARDO CALTAGIRONE, GIÀ INDISPETTITO PER LA NUOVA LINEA DEL QUOTIDIANO, SI SONO INFIAMMATI GLI OTOLITI QUANDO HA LETTO IL FONDO SUPER-EUROPEISTA (E ANTI-MELONIANO) IN PRIMA PAGINA… I POTERI FORTI AL SERVIZIO DELLA MELONI
La trattativa per intervistare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla vigilia delle elezioni europee andava avanti da giorni. Ma qualcosa si era bloccato: la premier, come fa solitamente con tutti i media, aveva chiesto di poterla fare scritta e non a voce. La testata avrebbe dovuto mandare le domande in forma scritta allo staff della presidente del Consiglio e lei avrebbe risposto in maniera altrettanto scritta . Una cattiva abitudine per evitare la “seconda domanda”, cioè il contraddittorio.
Ma a quella richiesta il direttore del Messaggero, Alessandro Barbano, che si era insediato solo 28 giorni fa, non si è piegato. Nelle ultime settimane aveva chiesto ai giornalisti di evitare interviste scritte. Ma la posizione del direttore non è piaciuta a Palazzo Chigi: nelle ultime ore ci sarebbe stato uno scontro direttamente con l’entourage di Meloni che pretendeva la forma scritta.
Lo scontro è stato provocato anche dall’editoriale che Barbano ha scritto ieri non proprio morbido con la premier spiegando che l’Europa non si cambia con il “populismo” e che Conservatori e Socialisti devono “collaborare”. Il contrario di quello che dice Meloni, molto irritata.
E ieri pomeriggio, alle 18, dopo un colloquio con l’editore Francesco Gaetano Caltagirone, è arrivata la notizia: Barbano è stato licenziato e da oggi al suo posto si insedierà Guido Boffo, attuale vicedirettore, con il ritorno di Massimo Martinelli come direttore editoriale e Barbara Jerkov come vicedirettrice.
Il clima tra l’editore-costruttore e il direttore non era buono da giorni: a Caltagirone non piaceva il giornale fatto poco di politica e cronaca e meno appiattito sul governo ma più su singoli temi e interpretazioni, a partire dallo spazio dedicato alla giustizia, tema molto caro a Barbano. Ma la rottura con l’editore sarebbe arrivata proprio dopo lo scontro con la Presidenza del Consiglio per la (mancata) intervista a Meloni, anticipata ieri da Dagospia. Palazzo Chigi però smentisce di avere qualsiasi ruolo nel licenziamento di Barbano: “Non ne sappiamo niente e non eravamo in trattativa per interviste”.
Eppure anche l’addio di Barbano porterebbe a questa ipotesi. Il direttore, dopo aver incontrato Caltagirone nel suo ufficio in piazza Barberini, ha comunicato la sua rimozione durante la riunione di redazione delle 18. Un discorso molto accorato, in cui Barbano ha fatto capire di essere stato allontanato per ragioni politiche: “Se accettiamo che il Paese vada in questo modo vuole dire che abbiamo smesso di lottare”.
Di fronte alle ipotesi di sciopero Barbano ha aggiunto: “Non serve a niente, tutto si dimostra col lavoro di ogni giorno”. I motivi ufficiali, ha spiegato il direttore secondo il sito Professione Reporter, sono di aver assunto dei collaboratori senza “formalizzare gli incarichi con la proprietà” e “di far parte di alcuni Cda”. Ma sarebbero delle scuse, a sentire Barbano: “In realtà i collaboratori erano stati scelti prima del mio arrivo e la partecipazione non è in alcuni Cda, ma in Comitati di indirizzo come al San Carlo di Napoli”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
È SALTATO IL “PATTO DELLA STAFFETTA”: GIAMPAOLO ROSSI DIVENTERÀ AD, MA ROBERTO SERGIO NON SARÀ DG, PARTITA IN CUI POTREBBE ENTRARE CHIOCCI – I POSSIBILI CONFLITTI D’INTERESSE DELLA FUTURA PRESIDENTE, SIMONA AGNES
Dopo averla rivendicata in un video autoprodotto, TeleMeloni diventa pigliatutto. Con il rinnovo del Cda, in programma all’indomani delle Europee, la Rai si appresta infatti a virare verso un monocolore tendente al nero. Ogni figura di garanzia verrà spazzata via; l’opposizione (almeno virtualmente) sarà rappresentata dal solo M5S, da tempo specializzato nell’intelligenza coi “fratelli”; la maggioranza di destra farà il pieno nell’organismo di gestione, come mai prima.
Al netto dei risultati elettorali, che potrebbero alzare la tensione fra Lega e FI sulla presidenza — su cui peraltro grava pure un sospetto conflitto di interessi — i giochi sono più o meno fatti. La poltrona dell’amministratore delegato andrà al melonissimo Giampaolo Rossi, il direttore generale che un anno fa mancò la successione a Carlo Fuortes solo per non pregiudicarsi la permanenza al comando per un triennio pieno. Al suo posto, nel ruolo di dg, si profila un derby fin qui inatteso.
Inizialmente il “patto della staffetta” studiato a Palazzo Chigi prevedeva che l’attuale ad Roberto Sergio si scambiasse la carica con Rossi, ma poi i rapporti si sono rovinati: l’ex direttore della Radio ha difatti cercato il sostegno di Matteo Salvini per restare n.1, giubilando il predestinato sponsorizzato dalla premier. Il quale se la sarebbe legata al dito.
A spuntarla potrebbe essere allora il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, amico personale della presidente del Consiglio, a riprova che trattasi di una partita tutta interna a FdI: […] Chiocci sarebbe favorito dalla stessa Meloni che non ha gradito alcuni passi falsi — dal calo degli ascolti alla censura di Scurati — compiuti da Rossi. Che tuttavia si starebbe di nuovo mettendo di traverso, in ragione dei pessimi rapporti fra i due.
Per la presidenza, invece, il nome più gettonato è quello della forzista Simona Agnes. Su di lei pesano però due incognite. La prima è la Lega: se le Europee confermeranno il partito di Salvini seconda forza della coalizione, il Carroccio potrebbe rivendicare quel posto per sé. L’altra è legata a un possibile conflitto di interessi: nel ‘21, dopo l’ingresso di Agnes in Cda, è riapparso sui canali Rai il programma di medicina Check-up, ideato e prodotto dal padre Biagio. Se venisse accertato che la famiglia Agnes ne incassa i diritti, lo scandalo potrebbe azzopparne la corsa.
Comunque sia, nella settimana fra il 17 e il 21 giugno le Camere dovrebbero riunirsi per eleggere i quattro consiglieri di nomina parlamentare. Oltre all’ad, FdI destinerà nel board Valeria Falcone, ora in Enel e in passato portavoce di Meloni quand’era ministra della Gioventù. La Lega dovrebbe indicare Alessandro Casarin, il direttore della TgR a un passo dalla pensione, tornato in auge dopo che la stella di Antonio Marano — candidato del sottosegretario Alessandro Morelli — si è appannata a seguito dell’inchiesta sulla Fondazione Milano-Cortina.
Per quanto riguarda i due consiglieri in quota opposizione, uno — quello del M5S — è certo: l’uscente Alessandro Di Majo, già distintosi nella sponda offerta ai vertici sovranisti. […] L’ultimo posto, che dovrebbe spettare al Pd, resta invece un buco nero: la segretaria Elly Schlein è tentata dall’Aventino, per tenersi le mani libere nella denuncia di una TeleMeloni vorace e illiberale. Mentre in quota dipendenti è stato confermato Alessandro Di Pietro, appoggiato dal sindacato di destra UniRai. Risultato? Su sette consiglieri, cinque sono di area governativa e uno di minoranza, ancorché addomesticata.
(da la Repubblica)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA DESTRA CLASSICA NON ESISTE PIU’, NEMMENO IN GRAN BRETAGNA
Come tutti i populisti, Nigel Farage non è la medicina e neanche la malattia, ma il termometro. Candidandosi alle imminenti elezioni inglesi, l’uomo che inventò la Brexit certifica come la destra classica, moderata nei costumi e aperta in economia, non esista più nemmeno nel Paese che ne fu la culla.
La mia generazione è cresciuta con, o contro, i democristiani in Italia e Germania, i gollisti in Francia, i conservatori in Gran Bretagna e i repubblicani in America.
Partiti e movimenti che, pur avendo una base popolare, rappresentavano l’anello di congiunzione tra il ceto medio e l’establishment. Erano i portavoce della maggioranza silenziosa che si faceva sentire soltanto nelle urne. Gli interpreti di una società capitalistica che riusciva ancora a garantire stipendi dignitosi e (almeno in Europa) assistenza e istruzione gratuite a quasi tutti. Adesso che quei diritti acquisiti sono diventati privilegi di minoranze anch’esse sempre più impaurite, non molti possono concedersi il lusso di demonizzare la beceraggine e la mancanza di scrupoli dei leader populisti, a cominciare da quel Trump che tutti li contiene.
Chi, pur lavorando come una bestia, fatica a mantenersi da solo — figuriamoci a sfamare una famiglia — vede nei politici tradizionali i colpevoli di questo declino e nei Farage che li attaccano i megafoni del proprio disagio. Darà retta ai populisti fino a quando avrà la sensazione che siano gli unici interessati a parlare con lui e, soprattutto, di lui.
(da corriere.it)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
“IL VEZZO DI UTILIZZARE LA COSA PUBBLICA PER INTERESSE DI PARTE C’E’ SEMPRE STATO, MA MAI COSI'”
“Almeno la vecchia casta quando la beccavi con le mani nella marmellata unpo’, in fondo in fondo, si vergognava. Invece ora siamo al salto di qualità. Manca completamente il senso del limite: chi è al potere si sente proprietario delle istituzioni. È la nuova casta degli intoccabili, nel segno del Marchese del Grillo”.
Sergio Rizzo giornalista di lungo corso è tornato sul luogo del delitto de La Casta con un nuovo saggio (uscito per Solferino).
Il titolo è tutto un programma: “Io so io…”. Siamo all’ultracasta?
Poco ci manca. Abbiamo un ministro con 83 persone di staff, che dire… E un governo dove il conflitto d’interessi è di nuovo la regola e per cui le critiche sono reato di lesa maestà.
Stavamo peggio quando stavamo meglio?
Per niente. Solo mi chiedo: che altro dobbiamo vedere? Santanchè continua a fare il ministro nonostante l’indagine per la truffa all’Inps e la storia delle cartelle esattoriale. Ma è possibile che nessuno dica che forse è un po’ troppo? È normale che il sottosegretario leghista Freni vada a cena con il quasi suocero di Salvini, Verdini, mentre quest’ultimo è ai domiciliari e nessuno gli contesti alcunché?
Ci sarebbe pure il ministro cognato…
Sì, che ferma i treni! Lollobrigida poteva scegliere di ammettere di aver fatto una leggerezza. Invece pur di giustificare l’ingiustificabile ha costretto l’azienda, il cui amministratore delegato è nominato dal governo, a dire che qualunque cittadino può ben pretendere di scendere dall’Alta velocità. Ovviamente non è così, ma tutto si tiene.
Come Giorgia&C. nessuno mai?
Non siamo ipocriti: il vezzo di utilizzare la cosa pubblica per interessi di parte o di partito c’è sempre stato. Ma mai così. Guardi questa campagna elettorale…
I ministri sono in tour. Paga Pantalone.
A dispetto di quello che abbiamo denunciato per anni a proposito delle auto blu e degli aerei di Stato usati come taxi… Come niente fosse i nostri ministri stanno utilizzando mezzi e comunicazione istituzionale per eventi di pura propaganda elettorale: Salvini peraltro lo sta facendo grazie a una società pubblica ai cui vertici ha piazzato un funzionario del suo partito che peraltro è pure candidato alle Europee. Già nel 2019 da ministro dell’Interno gli era stato contestato l’utilizzo di aerei di Stato per i suoi giri su e giù per l’Italia. Poi c’è il resto che è pure peggio
Cioè?
Al di là della zona grigia degli appuntamenti che stanno a cavallo tra gli impegni istituzionali e quelli elettorali, c’è poi la questione del vero costo della campagna elettorale pagata da tutti noi. Mi riferisco alle leggi fatte o annunciate per andare all’incasso alle urne, come sugli incentivi per le auto elettriche promessa a gennaio e poi messa sotto al naso degli elettori solo ora. O il salva casa per non dire della pantomima sul redditometro sì, redditometro no. Pure le riforme bandiera che siano l’autonomia o la giustizia. Ognuno ha la sua mercanzia da esporre, ma il conto lo paghiamo noi.
È una guerra all’ultima preferenza.
Il bello verrà dopo: chi cilecca le elezioni rischia di non toccare palla sulle nomine nelle società di Stato, alcune scadute da tempo. Ma anche il fatto che sia ritenuto normale che le nomine siano state rinviate in vista del risultato che ci consegneranno le Europee appartiene a una visione proprietaria dello Stato. Che in queste forme non s’era mai vista.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Giugno 4th, 2024 Riccardo Fucile
FORTISSIME LE DIFFERENZE TERRITORIALI
I servizi educativi per la prima infanzia – nidi e scuole dell’infanzia – costituiscono un tassello fondamentale del Pilastro sociale europeo. Aiutano i genitori, e in particolare le madri, a conciliare un’occupazione remunerata con le responsabilità di cura.
Soprattutto sostengono lo sviluppo delle capacità di tutti i bambini e le bambine, riducendo le disuguaglianze e ponendo le basi per la crescita di cittadini, lavoratori e lavoratrici competenti.
Lo sostiene la Dichiarazione de La Hulpe sul “Futuro dell’Europa Sociale”, adottata il 16 aprile scorso dai ministri degli Affari sociali europei, dal Parlamento e dalla Commissione europea.
È una dichiarazione impegnativa trasmessa ai futuri Parlamento e Commissione europei, sulla quale sarebbe utile conoscere l’opinione dei candidati dei diversi partiti. Ma è impegnativa anche per governo, parlamento e parti sociali italiani.
Come è noto, infatti, mentre la scuola dell’infanzia in Italia è vicina ad essere un servizio universale, anche se con qualche difformità a livello territoriale (nel Mezzogiorno non sempre c’è la mensa e talvolta l’orario è solo a tempo parziale), per i nidi le cose vanno diversamente. Tra nidi pubblici e privati c’è posto solo per 3 bambini su dieci a livello nazionale, ma con fortissime differenze territoriali.
I nidi mancano proprio là dove la diffusione della povertà minorile rende più probabile anche la diffusione della povertà educativa. Il Pnrr avrebbe dovuto iniziare sia ad ampliare la copertura, sia a ridurne le differenze territoriali, dando al, pur ridotto, 33% di copertura a livello locale lo status di Livello essenziale di prestazione. Un obiettivo modesto, che rischia di non essere raggiunto, tra riduzione dei posti previsti, ricorso ai bandi che lasciano l’iniziativa ai Comuni, come se non si trattasse di garantire un diritto dei bambini, incertezza sui fondi per la loro gestione a regime (acuita dai previsti tagli alla spesa corrente dei comuni).
A ciò si aggiunga che se anche tutti i posti effettivamente finanziati venissero approntati e fondi per la loro gestione garantiti, non ci sarebbe un numero sufficiente di educatrici/educatori in possesso della laurea triennale richiesta.
Sarebbe necessaria una sistematica programmazione e promozione delle iscrizioni al corso di laurea in Scienze della formazione che dà accesso a questa professione, accompagnata da una revisione del curriculum, che attualmente distingue le educatrici dei nidi dalle maestre della scuola dell’infanzia, in contrasto con la definizione del sistema educativo 0-6 come integrato e in continuità.
La scarsità di iscrizioni alla laurea triennale necessaria è in larga parte dovuta alla scarsa appetibilità economica della professione di educatrice. Come in troppe professioni della cura, lo stipendio è basso a fronte di un lavoro sia fisicamente sia psicologicamente impegnativo. Inoltre non esiste un unico contratto nazionale nei settori privato e non profit (che costituiscono oltre la metà dei posti disponibili), dove ci sono almeno sedici diversi contratti, di norma con paghe e diritti inferiori a quelli delle educatrici dei nidi pubblici.
L’appello di Alleanza per l’Infanzia a tutte le forze politiche italiane e ai candidati al Parlamento europeo è un richiamo ad uscire da affermazioni retoriche e ad assumersi la responsabilità nei confronti dei diritti dei più piccoli alla formazione e alle pari opportunità.
(da La Stampa)
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