BERSANI GELATO DALL’USCITA DEL COLLE: “IO IL GOVERNO COL PD NON LO FARO’
META’ PD SPINGE VERSO SILVIO… D’ALEMA VA DA RENZI
L’ennesima incomprensione tra il Pd e Napolitano.
Quando il vertice Bersani-Berlusconi è ormai imminente, quando mancano solo dieci giorni alle votazioni per il nuovo capo dello Stato.
A Largo del Nazareno vivono con stupore l’uscita del presidente della Repubblica, la richiesta di «coraggio », il richiamo all’accordo politico che segnò la stagione della solidarietà nazionale. «Allora uno governava, l’altro consentiva», si limita a commentare Bersani parlando con i suoi collaboratori.
Ossia, le parole dell’inquilino del Quirinale non si devono leggere in contrapposizione con la proposta del governo di cambiamento.
«L’accordo politico con Berlusconi si realizza nella Costituente per le riforme – spiegano dalla sede del Pd –. Che è qualcosa di più di una Bicamerale. I costi della politica, la riduzione del numero dei parlamentari, la stessa modifica della legge elettorale toccano direttamente i cittadini. Come dimostra il successo dei 5stelle».
Ma il discorso di Napolitano viene decrittato in maniera opposta dai sostenitori del piano B.
Da chi sta facendo pressioni sul segretario per arrivare a un’intesa “vera” con il Cavaliere. Anche rinunciando al suo tentativo, sostituendolo nel ruolo di candidato principale a Palazzo Chigi.
Quello del capo dello Stato si trasforma così in un assist per questa parte del Pd. «Tutti sappiamo che Napolitano era favorevole alle larghe intese», avrebbe confidato Dario Franceschini ai suoi fedelissimi ricordando il passaggio delle consultazioni.
Dunque, in questo senso bisogna leggere il suo invito.
Significa indicare una rotta diversa dalla “non sfiducia” che fu la formula di quel lontano 1976.
E dalla “non maggioranza” predicata da Bersani fin dal giorno successivo al voto. Insomma, all’incontro con il Cavaliere (che potrebbe avvenire senza troppa pubblicità tra oggi e domani) occorre arrivare con una proposta davvero aperta.
Non solo con il no al governissimo, che in queste settimane è stato caldeggiato soltanto da Graziano Delrio e Matteo Renzi.
Si può trovare una via di mezzo per dare un esecutivo al Paese.
Abbandonando la minaccia di mettersi di traverso a governi di scopo o del Presidente.
Se questa è l’interpretazione che una fetta del Partito democratica può dare alle frasi di Napolitano non è certo un buon viatico per la difficile strada di Bersani, confermata nella lettera di ieri a Repubblica.
La partita adesso è quella sul Quirinale.
Deciderà sia il nuovo capo dello Stato sia il governo del futuro.
Bersani la gioca guardando alle risposte del centrodestra, ma continuando a monitorare i movimenti nel fronte grillino. Non a caso il circolo dei suoi fedelissimi — Vasco Errani, Maurizio Migliavacca ed Enrico Letta — si è diviso i compiti.
Fra loro, c’è chi segue da vicino gli sviluppi della discussione all’interno dei 5stelle, pur sapendo che una maggioranza organica con i parlamentari del comico rimane impossibile.
Ma dietro al lavoro del segretario le manovre di altri dirigenti non sono più nemmeno tanto nascoste.
Un’eco si potrebbe sentire già oggi nella riunione dei gruppi parlamentari.
Giovedì, invece, è praticamente sicuro un incontro a quattr’occhi tra Renzi e Massimo D’Alema, i due grandi nemici delle primarie.
“Rottamatore” e “rottamato” si annusano da una settimana.
L’ex premier sarà a Firenze tra due giorni per un convegno e gli staff, a cominciare dall’ex vicesindaco Dario Nardella, preparano una visita di “cortesia” a Palazzo Vecchio.
Come se fosse un incontro istituzionale. Non sarà così.
Sul tavolo ci sono gli assetti del Pd, la candidatura di Renzi, la nascita dell’esecutivo e l’atteggiamento dei 51 parlamentari renziani nelle votazioni per il Colle. D’Alema del resto rimane stabilmente nel toto- Quirinale.
È il momento perciò di siglare una tregua stabile con il sindaco di Firenze.
Senza il Pd non si può fare nulla, ripetono a Largo del Nazareno.
Ma se il Pd si presenta agli appuntamenti-chiave diviso, allora la posizione del segretario si indebolisce. Per i bersaniani l’assenza di un’alternativa è nei fatti, «verificata dallo stesso Napolitano nel suo giro di consultazioni».
Però se il partito ha cambiato posizione, non sarà facile, anche per il nuovo presidente della Repubblica, non tentare una strada che eviti il ritorno alle urne a giugno.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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