PD, LA RIVOLTA DELLA BASE CONTRO IL DIALOGO CON IL PDL
SULWEB PIACE LA LINEA DURA DI BERSANI…VOLANO INSULTI AI POST-DEMOCRISTIANI
«Meglio la spaccatura del partito che l’inciucio con Berlusconi e Monti!», grida via facebook uno dei tantissimi estimatori della linea dura di Bersani: quel «no al governissimo» ribadito ieri con una lettera a Repubblica, che ha scatenato un’ondata di entusiasmo dei duri e puri.
E se ai falchi della rete, quelli di «accordi con nessuno, o si governa a mani libere o si torna al voto», si sommano le invettive contro i «vecchi democristiani di m…», spuntate come funghi dopo l’apertura di Franceschini al dialogo con Berlusconi, si capisce perchè siano in molti ormai a temere che si riaffacci lo spettro di una scissione.
«Mi aspettavo reazioni negative al governo di transizione col Pdl, ma non gli inviti ad andarsene via dal Pd a quelli che non vengono da una storia di sinistra», ragionava ieri con i suoi uomini lo stesso Franceschini.
Per la prima volta preoccupato per la tenuta del partito, che stavolta potrebbe rischiare una seria frattura.
Ed è facile immaginare che questi segnali di apprezzamento che escono dalla pancia di una sinistra desiderosa di non deporre le armi risultino graditi al segretario: che infatti, anche ad uso tattico, è tornato a mostrare la faccia dura.
La guerra delle piazze con Berlusconi però si tramuterà in una manifestazione in solitaria che Bersani terrà sabato in un teatro della periferia di Roma: senza il supporto di altri big che non apprezzano l’iniziativa, soprattutto quelli dell’area più moderata. Di colpo diventati molto scettici, grazie anche alle voci di un possibile accordo tra renziani e «giovani turchi» per «sparigliare» con un nome «nuovo» per il Quirinale, sulla possibilità che si riesca a votare con un metodo di larga condivisione il prossimo capo dello Stato nella figura di Franco Marini; e ancor di più scettici, di conseguenza, che poi si riesca a formare un «governo del Presidente».
«Perchè è un’operazione talmente complessa che non la si fa senza l’appoggio del segretario», dicono i «trattativisti» del Pd.
Che adesso prevedono tempi cupi e scenari nefasti, come un rotolare verso le urne e una spaccatura del Pd, con la parte ex diessina che si ritroverebbe in una sorta di forza socialdemocratica e Renzi che darebbe vita ad una sua lista civica autonoma.
Non è passato inosservato che il segretario del Pd romano e quello di Sel evochino una lista «Roma Bene Comune» per la sfida del Campidoglio, senza il simbolo del Pd, «un altro segnale di accelerazione verso una saldatura della sinistra», dicono gli ex Dc. Convinti che vi siano spinte per tornare a uno schema in cui il Pd si divide in due, «una cosa al centro con dentro Renzi e un partito identitario a sinistra».
Bersani è consapevole che gli animi sono agitati e domani proverà a sedarli nell’assemblea del gruppo della Camera, dove si parlerà dei criteri per il Colle, ma si voterà un pacchetto di nomine interne: quattro vicecapigruppo e tre segretari d’aula da ripartire tra franceschiniani, renziani, bindiani, fioroniani, veltroniani e «turchi».
E malgrado il tentativo di riportare la quiete tra le correnti, gli ex Ppi mettono in conto un ritorno delle lancette della storia indietro di una decina d’anni.
«Con il Pdl erano ad un passo dall’accordo e ora è più complicato, vogliono far saltare il Capo dello Stato condiviso da tutti. Se non si dà alcun segnale di apertura è chiaro che è così», dice Beppe Fioroni.
«E se si ricade nella tentazione di trincee contrapposte, facendosi interdire il dialogo da Grillo e Casaleggio si rischia una china pericolosa…».
Carlo Bertini
(da “La Repubblica”)
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