LE LARGHISSIME INTESE CHE SERVONO A RENZI PER NON FRANARE ALLA PROVA DELL’AULA
LA DOPPIA MAGGIORANZA DEL PREMIER PER EVITARE LA DOPPIA OPPOSIZIONE
A Renzi serve la doppia maggioranza per evitare che in Parlamento si formi la doppia opposizione, vissuta dal premier come un’autentica minaccia.
Ecco il motivo che l’ha indotto a stringere l’intesa sulle riforme con Berlusconi, conscio che, se Forza Italia si saldasse all’ostruzionismo dei Cinquestelle, il governo finirebbe per impantanarsi nelle Aule
L’agibilità parlamentare è un vero cruccio per il presidente del Consiglio, già costretto a caricarsi l’onere di alcuni decreti ricevuti in eredità da Letta e sui quali aveva espresso giudizi a dir poco negativi.
Il «caso salva Roma» è stato solo il primo intoppo, il resto deve ancora venire.
Ma il problema di Renzi è come assicurare un iter veloce ai suoi provvedimenti, e certo la riforma dei regolamenti parlamentari – citata nel discorso per la fiducia – se mai fosse varata non arriverebbe in tempo utile per i primi mesi del suo governo, i più importanti, perchè gli servono per far dimenticare il peccato originale della «staffetta» e per lanciarlo verso le Europee.
Il test elettorale di primavera sarà determinante per il premier, anche per soffocare la resistenza interna al Pd.
Ma un conto sarà arrivarci dovendo fronteggiare solo Grillo e i suoi parlamentari, altra cosa sarebbe se anche Berlusconi portasse i suoi deputati e senatori sulle barricate.
Il modo «responsabile» con cui (per ora) il Cavaliere promette di fare opposizione al governo è legato agli impegni che il premier ha assunto con il capo di Forza Italia.
E in Consiglio dei ministri molti rappresentanti dell’esecutivo – compresi alcuni democratici – hanno avuto la netta sensazione che il patto c’è e (per ora) regge.
Quando il Guardasigilli Orlando ha letto la lista dei sottosegretari assegnati al suo dicastero, ha chiesto conto a Renzi: «È rimasto Ferri, allora al Nuovo centrodestra non sono toccati nove posti, ma dieci».
In effetti Ferri – ex esponente di Magistratura Indipendente – era giunto in via Arenula con il governo Letta su indicazione di Berlusconi.
E al momento della scissione nel Pdl – pur non aderendo a Ncd – non si era dimesso: «Sono un tecnico», aveva spiegato.
Il neo ministro della Giustizia pensava tuttavia che fosse stato Alfano a indicarlo, ed è rimasto a bocca aperta quando si è sentito rispondere da Renzi: «No, è una roba di Firenze… L’ho scelto io».
E infatti, a legger bene, sul foglio delle nomine c’era scritto in piccolo: «Tecnico/Pd».
Da quel momento è stato tutto un pissi-pissi nel salone di Palazzo Chigi, su quale definizione dare all’esecutivo: la più gettonata è stata «governo delle larghissime intese». È un «governo politico», ha sorriso il capogruppo di Ncd Sacconi, come a evocare i gabinetti della Prima Repubblica, quelli dove le scelte venivano fatte misurando la forza dei partiti e delle loro correnti. Ognuno ieri si è sentito soddisfatto, compreso Alfano, che ai suoi ha spiegato come Renzi – completando la squadra – abbia «dato prova di rispettarci».
I rapporti tra il premier e il titolare dell’Interno sembrano (per ora) marciare, così raccontano i ministri centristi presenti al dibattito sull’addizionale della Tasi.
Tema spinoso per Ncd, visto che Forza Italia ha subito iniziato a sparare sull’aumento delle tasse sulla casa. Ma l’approccio di Lupi in Consiglio è stato conciliante: «…Mi raccomando però di spiegarlo bene alla stampa. I comuni che vorranno applicare l’aumento dell’otto per mille, dovranno aumentare anche le detrazioni».
E il presidente del Consiglio ha condiviso il ragionamento del ministro delle Infrastrutture.
Ma il vero banco di prova per la tenuta della maggioranza di governo tra Pd e Ncd arriverà la prossima settimana alla Camera, quando sulla legge elettorale verrà messa alla prova la tenuta della maggioranza per le riforme tra il premier e il Cavaliere.
«Sulla legge elettorale Renzi ha già un patto con noi», assicura Alfano.
Sarà , però nel discorso per la fiducia a Montecitorio, è stato proprio Renzi a dire: «Manterrò gli impegni con tutti», rivolgendosi ai banchi di Forza Italia.
Il nodo è il famoso emendamento Lauricella, che rimanda l’entrata in vigore della legge elettorale alla riforma del Senato.
Attorno a quella modifica, che è stata ribattezzata «norma salva-legislatura», già si notano strane manovre, e la richiesta di farla «comunque» votare a scrutinio palese.
Non è dato sapere al momento da chi arriverebbe questa richiesta.
È certo che sulla questione la presidente della Camera Boldrini ha già messo al lavoro gli uffici di Montecitorio: ma il caso – per quanto tecnico – è anzitutto politico.
Se l’emendamento venisse votato a scrutinio palese, infatti, Renzi sarebbe costretto a prendere posizione, e dovrebbe abbandonare l’ambiguità che ha salvaguardato finora la sua strategia della doppia maggioranza.
Il voto a scrutinio segreto, invece, garantirebbe al premier la possibilità di affidare il destino dell’emendamento ai giochi d’Aula.
Giochi nei quali entrerebbe anche di un pezzo di Forza Italia…
Ecco il primio bivio per Renzi, che ambisce alla doppia maggioranza per non dover contrastare una doppia opposizione.
D’altronde, ora che è diventato presidente del Consiglio, ha concentrato su di sè la cabina di regia sul governo e sulle riforme.
Perciò starà a lui sciogliere questi nodi, sapendo che se non ci riuscisse potrebbe rimanere impigliato in uno dei due.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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