SI CHIAMA “ITALIA LAVORO” E INFATTI LICENZIA I DIPENDENTI: L’AGENZIA E’ CONTROLLATA DAL MINISTRO POLETTI.
MIRACOLO JOBS ACT: I MILLE DELL’ENTE DEL MINISTERO CONTRO LA DISOCCUPAZIONE RISCHIANO DI NON VEDERSI RINNOVATI I CONTRATTI A PROGETTO O A TERMINE
“Io lavoro in ‘Italia lavoro’ ma dal prossimo anno forse non ci lavoro più”. Lo scioglilingua è utile per esprimere il paradosso delle politiche renziane sul lavoro.
In tempi di approvazione del Jobs Act, con la disoccupazione alle stelle, uno dei pilastri dell’intervento pubblico orientato al lavoro rischia di lasciare a casa quasi mille precari che hanno deciso di manifestare il prossimo 22 ottobre, sotto le finestre del ministero di Giuliano Poletti.
Italia Lavoro, infatti, è “un ente strumentale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale”.
Anche se è una società per azioni è equiparato a un ente pubblico.
Una struttura del genere dovrebbe essere al centro delle attenzioni di chi governa nonostante la sua nascita ed evoluzione siano state caratterizzate dal sospetto verso l’ennesimo “carrozzone”.
L’attuale presidente, Paolo Reboani, si è formato nella Prima Repubblica alla segreteria di Gianni De Michelis quando questo era ministro degli Esteri e poi a Palazzo Chigi con Giuliano Amato.
È stato direttore generale del ministero del Lavoro sia nel secondo governo Berlusconi (2001-2006) che nel terzo (2008-2010) quando a seguire il settore era un altro ex socialista, Maurizio Sacconi.
Curriculum dei vertici a parte, quello che preoccupa i circa 800 dipendenti con posizioni a progetto e a tempo determinato è il fatto che a fine anno, cioè fra poco più di due mesi, i loro contratti andranno in scadenza.
“Finirà infatti — spiega al Fatto Davide Scialotti, della Fisac-Cgil interna a Italia Lavoro — i progetti cofinanziati dal Fondo sociale europeo. Ma nessuno ci ha ancora detto che succederà dopo”.
Cgil, Cisl e Uil hanno scritto già lo scorso marzo al ministro Poletti, appena insediatosi, per affrontare la questione. Ma, da allora, non hanno avuto nessuna risposta alla loro richiesta di incontro.
I lavoratori hanno quindi cominciato a preoccuparsi. Ma il timore di perdere il posto di lavoro è aumentato quando hanno letto il Jobs Act, appena approvato dal Senato, e saputo della volontà del governo di creare una nuova Agenzia nazionale per l’occupazione.
L’acronimo, A.n.o., è già motivo di sberleffo anche perchè il progetto sembra fatto apposta per insidiare i lavoratori stessi.
Il Jobs Act, infatti, prevede che l’A.n.o. si dovrà avvalere delle “risorse umane e finanziarie già disponibili a legislazione vigente” mediante “la razionalizzazione” degli enti strumentali esistenti (e Italia lavoro lo è) e che bisognerà far confluire nella nuova Agenzia il personale delle amministrazioni periferiche e dei vari enti che, a loro volta, andranno ridotti e soppressi.
Con queste premesse la sensazione di essere agnelli sacrificali sta diventando una certezza tra i dipendenti precari (circa 800), e non solo (quelli a tempo indeterminato sono 360), che si sono ritrovati in un’assemblea particolarmente numerosa pochi giorni fa.
Da lì la proposta, presa all’unanimità , di uno sciopero di 4 ore e un presidio al ministero del Lavoro il prossimo 22 ottobre.
“Quello che ci sembra assurdo — continua il delegato della Cgil — è che da una parte si parla di creazione di posti di lavoro e dall’altra si chiude una comunità professionale coesa e competente”.
I dipendenti sono per lo più collaboratori, con contratti vanno dai 950-1.000 ai 1.400 euro al mese.
Eppure, parlando con qualche precario che ci tiene a non far sapere il proprio nome, si coglie un forte senso di appartenenza a una struttura che, dicono i lavoratori, potrebbe costituire una posizione di forza per politiche attive del lavoro: “I centri per l’impiego in Germania hanno dieci volte di più gli addetti italiani e questo la dice lunga sull’arretratezza del nostro paese”.
Inoltre, fa notare un altro, “se invece di creare una Agenzia dal nulla, si fossero potenziate, collegandole, le strutture esistenti (oltre a Italia lavoro dal governo dipende anche l’Isfol e altre strutture diverse, ndr.) si sarebbe risparmiata una nuova struttura e dato uno sbocco a persone che lavorano da anni su questo terreno”.
La richiesta dei sindacati, al momento, è di avere un confronto con il governo. Interpellato dal Fatto, il ministro Poletti ha fatto sapere di “non avere nulla da dichiarare”.
La parola, per ora, passa alla protesta.
Aspettando il Jobs Act.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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