Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
CHE RAZZA DI CLASSE POLITICA E’ STATA ALLEVATA IN ITALIA? CON QUALI CRITERI E’ STATA SELEZIONATA?…. LA FINE DELL’ILLUSIONE CHE LE AMMINISTRAZIONI LOCALI SIANO PIU’ CONTROLLABILI DA PARTE DEI CITTADINI
C’è una lettura politica immediata: lo scandalo alla Regione Lazio non sta devastando solo la destra romana, ma rischia di essere il detonatore di quella spaccatura nel Pdl nazionale che, ormai da qualche mese, è sempre più evidente.
Tra il gruppo degli ex An e quello degli ex Forza Italia, il collante di Berlusconi non basta più, perchè non assicura più l’unica condizione che lo sigillava, la probabilità della vittoria.
Ma le convulsioni della giunta Polverini, in una agonia che trascina la sua fine oltre la decenza, dopo i casi Lusi, Penati, Lombardo, Formigoni suggeriscono una riflessione più profonda e qualche domanda inquietante.
Gli interrogativi sono almeno due.
Che razza di classe politica e amministrativa è stata allevata in Italia negli ultimi anni?
Con quali metodi di formazione è stata coltivata e con quali criteri si è selezionata la carriera dirigente?
E, poi, lo spettacolo di sfascio democratico, civile e morale, con punte di squallida farsa, come quelle testimoniate dalle foto durante le feste nel costume di una pseudo Roma antica, non segnala anche la fine di un’illusione?
Quella delle virtù del potere diffuso sul territorio, meno esposto alle tentazioni perchè più prossimo e, quindi, più controllabile da parte del cittadino.
Una illusione e pure una speranza, alla base di quei consensi popolari che, negli ultimi tempi, hanno fatto crescere l’idea federalista in Italia.
Ma anche l’alibi dietro il quale un famelico assalto alla diligenza è dilagato tra pletorici Consigli regionali, provinciali, comunali, di quartiere, tra migliaia di poltrone dove all’ideale democratico della partecipazione si è sostituito il costume criminogeno della spartizione.
La risposta alla prima domanda è facile, basta guardare alla realtà dei partiti italiani, così come si è modificata negli ultimi decenni.
Finita la forte motivazione ideologica che divideva gli animi, ma che accendeva la passione di un impegno che pensava di poter cambiare se non il mondo, almeno l’Italia, l’ingresso in un partito non è più una scelta di vita, ma l’opportunità di acchiappare un tenore di vita.
La conferma dell’obiettivo viene data, poi, dalla selezione delle carriere, perchè chi avesse altre intenzioni viene subito emarginato e, infine, costretto all’abbandono o a ricoprire ruoli marginali. Criteri di promozione che sono necessitati, peraltro, dalla mutata natura della lotta politica: dallo scontro tra correnti ideologiche alle rivalità tipiche dei «partiti personali».
Un modello di organizzazione che, dall’alto, si è ormai propagato nelle realtà periferiche, anche le più piccole.
Con la ovvia conseguenza che la fedeltà è più utile della capacità , l’obbedienza fa premio sull’indipendenza.
Come in tutte le società , anche in quella politica, il peggioramento della classe dirigente diviene, a un certo punto, talmente insopportabile e manifesto che il sistema non regge più e l’attuale situazione sembra potersi configurare sul crinale di questa drammatica svolta.
Come fu all’epoca di «Mani pulite», quando il meccanismo della diffusa pratica di «dazione ambientale» si spezzò clamorosamente e tutto in una volta, così, adesso, la corruzione e il malcostume della classe politica locale pare annunciare una vera e propria crisi della democrazia italiana.
La necessità di un profondo rinnovamento della classe politica, nazionale e locale, non può che partire là dove il male si è annidato e ha prosperato: la vita dei partiti.
Se la democrazia non si riesce a concepire senza i partiti, questi partiti non sono concepibili in una democrazia.
Sono necessari statuti rigorosi, controlli di autorità esterne, regole di finanziamento trasparenti, ma, e soprattutto, una modifica profonda e radicale dei criteri di formazione e di selezione delle carriere.
Lo spettacolo che, dalla Sicilia alla Lombardia, passando per la capitale, sta squadernandosi sotto gli occhi degli italiani, però, dovrebbe limitare anche gli entusiasmi, come si è detto, per certi dogmatismi federalistici troppo sbandierati, in buona o cattiva fede.
La moltiplicazione dei poteri e la loro diffusione sul territorio, di per sè, non è una garanzia democratica.
Può diventare anche la moltiplicazione e la diffusione di ruberie, sprechi, alimento di corruzioni spicciole e grandi.
Perchè in politica, non ci sono buone ricette, se non sono preparate da un bravo cuoco.
Luigi La Spina
(da “La Stampa“)
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
BIANCHI, IL TESORIERE DELLA CAMPAGNA: “POCHE MIGLIAIA DI EURO IN CASSA”…MA I PERPLESSI SONO MOLTI
Il numero di telefono di Alberto Bianchi? No, non ce l’ho”.
Oppure: “Sì, un momento, ora lo cerco. Ah, no, mi dispiace, non lo trovo”.
L’oggetto della richiesta è Alberto Bianchi, l’avvocato di Matteo Renzi, nel ruolo di presidente della Fondazione Big Bang, deputata a trovare i soldi per la campagna per le primarie del sindaco di Firenze.
“Il tesoriere”.
E le risposte arrivano dagli uomini dello staff dello sfidante di Bersani, quelli a lui più vicini.
Sabato mattina Dagospia pubblica una notizia, poche righe: “Operativa da poco più di 10 giorni la Fondazione Big Bang” (in realtà è stata costituita all’inizio dell’anno) che “sarà il braccio logistico, gestionale ed economico della campagna elettorale per le primarie di Matteuccio Renzi”.
A presiederla “c’è l’avvocato Alberto Bianchi”.
Nel Cda ci sono Giuliano Da Empoli (ex assessore alla Cultura nella giunta di Renzi), Marco Carrai (imprenditore), Federico Berruti, ex sindaco di Savona, Ernesto Carbone, “pupillo di Prodi” (per dirla con Dagospia).
Dunque, l’uomo con cui parlare è Bianchi.
A questo punto inizia la ricerca di un contatto. Per vie ufficiali: perchè il sindaco ‘Rottamatore’, che vuole mandare in pensione i dinosauri del Pd, in nome del rinnovamento della politica, dovrebbe avere qualcosa da nascondere?
Forse perchè nessuno ha ancora capito chi paga per la sua campagna per le primarie? Fatto sta che la struttura renziana fa resistenza.
A “bucare” il muro di gomma ci vuole qualche giorno.
Ma alla fine il contatto con Alberto Bianchi arriva e lui si dice pronto a rispondere.
Avvocato, come funziona la Fondazione Big Bang?
È dedicata non solo alle primarie di Renzi, ma al rinnovamento della politica. Ed è in via di riconoscimento giuridico.
Dovete raccogliere dei soldi. Che regole vi siete dati?
Ci sono dei limiti alle donazioni: 50mila euro (nell’arco dell’anno) per le persone fisiche e 100mila per le persone giuridiche. Non si accettano offerte da enti pubblici o organi della Pa. E noi possiamo decidere di rifiutare un’offerta.
La lista dei contribuenti però non dovrebbe essere pubblica?
C’è una legge sulla privacy. Faremo un’istanza al garante della privacy alla fine di questa settimana o all’inizio della prossima per vedere come è possibile coniugare la trasparenza con la legge. Se il garante ci dice che si può fare pubblicheremo i nomi. (Poi ci pensa, e sintetizza) Nel rispetto delle leggi: trasparenza, trasparenza, trasparenza.
Quanti soldi ha in cassa la Fondazione?
Non ricordo esattamente. Poche migliaia di euro.
Però sui giornali sono usciti i nomi di contribuenti illustri, come Oscar Farinetti, inventore di Eataly.
Farinetti oggi non è tra i contribuenti. Anche se spero che lo sarà .
Non avete smentito le notizie uscite, però.
Mica posso smentire tutte le voci.
Mi sta dicendo che non avete contribuenti illustri?
Per ora nessuno. Ripeto, spero li avremo.
E quelle “poche migliaia di euro in cassa” chi le ha versate?
Noi del Cda. Io ho messo 20mila euro.
Renzi sta organizzando eventi su eventi. Chi li paga?
Molte cose non le abbiamo ancora pagate. Mica tutti pretendono un pagamento immediato.
E i contratti delle persone dello staff? Per esempio, Renzi ha nominato Antonella Madeo responsabile dell’ufficio stampa per le primarie.
Il suo contratto lo faremo, la pagheremo. Certo mica è una volontaria. Però, stiamo studiando, ci stiamo lavorando.
E la benzina del camper?
Quella la pagano le donazioni che vengono fatte sul sito di Renzi.
Sempre anonime.
Sì. Per le questioni di privacy di cui sopra.
L’evento di Verona quanto è costato?
(prima risposta) Non lo so. Quelle sono cose che riguardano il comitato organizzatore.
Ma lei gestisce la cassa: sempre di soldi si tratta.
Non lo so. (Poi richiama, seconda risposta) Verona è costata 5.000 euro per le due sale e 1.870 euro per le attrezzature. I 1.870 euro li abbiamo pagati subito. Sui 5.000 stiamo trattando per avere uno sconto.
Renzi ha un evento al giorno: questa settimana Lodi, Rimini, Mantova, Pavia, Monza, Lecco, Varese, Bergamo, Brescia. Quelli quanto costano?
Sono eventi di peso diverso. Stiamo trattando sul prezzo. Poi pagheremo.
Verranno messi dei tetti di spesa a ciascun candidato alle primarie. Se non sapete quanto state spendendo, come farete a rispettarlo?
Ci atterremo al tetto, qualunque sia.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
DENUNCIA DEL CONSIGLIO D’EUROPA CHE CRITICA LA MANCANZA DI STRUTTURE E CITA IL FAMIGERATO “PALAZZO DELLA VERGOGNA” DI ROMA
Martedì il Consiglio d’Europa — l’organizzazione internazionale che si occupa di promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani in Europa — ha pubblicato un rapporto che critica l’Italia per la mancanza di assistenza e infrastrutture per accogliere le persone rifugiate provenienti dall’Africa, che vengono abbandonate a una vita di povertà e isolamento.
La relazione è stata stilata da Nils Muižnieks, Commissario per i diritti umani del Consiglio, e si basa sulle osservazioni da lui raccolte durante una visita in Italia lo scorso luglio.
Il rapporto arriva mesi dopo che la Corte europea per i diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per aver respinto nel 2009 un gruppo di migranti eritrei e somali in Libia — da dove erano partiti — contro la loro volontà , senza essere identificati (alcuni avrebbero potuto avere diritto di asilo) e senza essere informati sulla loro destinazione, dove sarebbero potuti essere perseguitati, torturati o uccisi.
Muižnieks ha lodato l’Italia per aver messo fine alla pratica dei respingimenti illegali e per aver concesso lo status di rifugiato politico — in tutto sono circa 58 mila persone — ma ha criticato la totale mancanza di politiche per integrare e aiutare i rifugiati, che vengono relegati ai margini della società e sono vittime di razzismo e violenza.ù
Muižnieks ha visitato il cosiddetto “Palazzo della vergogna”, un edificio di otto piani abbandonato — faceva parte dell’università Tor Vergata — che si trova nei pressi del Grande raccordo anulare, in cui vivono ammassati 800 immigrati provenienti soprattutto dal Corno d’Africa.
Le condizioni igieniche sono tremende, cento persone devono usufruire di uno stesso bagno e come spiega Donatella D’Angelo, un medico che fornisce assistenza volontaria ai migranti, «alcune parti dell’edificio sono allagate, le malattie infettive sono diffuse e ci sono ovunque allacciamenti di energia elettrica illegale».
D’Angelo ha anche detto che i rifugiati hanno ricevuto permessi di soggiorno a casaccio per altri quartieri a Roma, «il che significa che non hanno accesso a scuole vicine o all’assistenza sanitaria».
Dopo la visita al palazzo Muižnieks si è definito scioccato e ha invitato l’Italia a seguire l’esempio di altri paesi che forniscono assistenza ai rifugiati, concedono loro l’accesso alle case pubbliche, alla cittadinanza, al lavoro e organizzano corsi di lingua, istruzione e formazione.
Nel rapporto Muiznieks si è detto soddisfatto per l’adozione da parte dell’Italia della prima strategia nazionale per integrare le minoranze etniche di Sinti e Rom, ma ha criticato gli sgomberi forzati, che continuano a essere praticati, e la segregazione dei campi.
Uno di questi si trova alla periferia di Roma, ospita 1.100 persone ed è recintato con filo metallico, sorvegliato da telecamere e accessibile da un’entrata sorvegliata.
Infine Muiznieks ha criticato l’eccessiva durata dei processi in Italia, un problema «che genera il più alto numero di cosiddetti casi ripetitivi che arrivano alla Corte europea dei diritti dell’Uomo», e ha invitato le autorità nazionali a intervenire per riallineare i processi agli standard europei.
Secondo il rapporto l’inefficienza della giustizia italiana riduce il PIL del Paese dell’un per cento all’anno. Inoltre tra il 2007 e il 2011 la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a pagare circa 30 milioni di euro per le sue violazioni; si stima che anche quest’anno la cifra raggiungerà i dieci milioni di euro.
(da “Il Post“)
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
SIAMO IN CIMA ALLA CLASSIFICA PER IL PREZZO DELLA VERDE E AL TERZO POSTO PER IL DIESEL… SECONDO I DATI UE INCIDE LA MAGGIORE IMPOSIZIONE FISCALE
In Italia la benzina più cara di tutta l’Unione Europa, complice il fisco.
Il prezzo al consumo della verde è al primo posto con uno scarto di 27,4 centesimi rispetto alla media europea.
Per il gasolio siamo al terzo posto, dietro Regno Unito e Svezia, con uno scarto di 30,2 centesimi.
Lo rivela un’indagine del Centro Studi Promotor condotta sui dati ufficiali della Commissione europea aggiornati al primo settembre.
Dai numeri emerge che l’Italia guadagna la maglia nera per il caro-benzina a causa della componente fiscale.
Per quanto riguarda la verde, lo scarto con gli altri paesi è dovuto per 23,5 centesimi alle tasse e per 3,9 centesimi a un prezzo industriale maggiore.
Sul gasolio il peso del fisco è ancora più pesante: per la componente fiscale lo scarto sulla media europea è di 34,9 centesimi, compensato però da un prezzo industriale inferiore alla media di 4,7 centesimi.
Secondo i dati della Commissione Ue, il prezzo medio europeo della verde è di 1,596 euro/litro, mentre in Italia si attesta a 1,870.
Dietro al nostro Paese ci sono Svezia (1,862 euro/litro), Grecia (1,838) e Olanda (1,782).
Il pieno più economico è in Romania, dove la benzina costa 1,335 euro al litro. Per il diesel la media europea è di 1,492 euro/litro.
In questo caso, Il primo posto spetta al Regno Unito (1,794 euro/litro), seguito dalla Svezia (1,789) e dall’Italia (1,759), mentre si risparmia di più in Lussemburgo (1,320).
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
LE DONNE PASSANO 21 GIORNI L’ANNO PREPARANDO PASTI…UN CITTADINO SU DUE VIVE CON LA MAMMA
La crisi ha attivato la rete di protezione familiare caratteristica dell’identità nazionale con un terzo degli italiani (31%) che abita con la propria mamma, una percentuale che sale al 60,7 per cento se si considerano i giovani tra i 18 e i 29 anni.
E’ quanto emerge dal rapporto Coldiretti/Censis “Crisi: vivere insieme, vivere meglio”, dal quale si evidenzia che se coabita con la madre il 31% degli italiani, il 42,3% ha comunque la madre che abita a un massimo di trenta minuti dalla sua abitazione. Inoltre – continuano Coldiretti/Censis oltre la metà degli italiani (54%) ha i propri parenti stretti residenti in prossimità , a un massimo di mezz’ora a piedi della propria abitazione.
Questo bisogno di vicinanza riguarda non solo i più giovani tra i 18 e i 29 anni (coabita con la madre il 60,7% e il 26,4% abita a meno di 30 minuti), ma anche le persone più grandi con età compresa tra i 30 e i 45 anni (il 25,3% coabita, il 42,5% abita nei pressi), e addirittura gli adulti con età compresa tra i 45 e i 64 anni (l’11,8% coabita, il 58,5% abita in prossimità ).
In sostanza – spiegano Coldiretti/Censis – l’evoluzione delle funzioni socioeconomiche, con il passaggio alla famiglia soggetto di welfare che opera come provider di servizi e tutele per i membri che ne hanno bisogno, spiega anche la tendenza a ricompattare, in termini di distanza dalle rispettive abitazioni, i vari componenti, anche quando non coabitano.
“Spesso la struttura della famiglia italiana in generale, e di quella agricola in particolare, viene considerata superata – afferma il presidente di Coldiretti Sergio Marini -, mentre si è dimostrata, nei fatti, fondamentale per non far sprofondare nelle difficoltà della crisi moltissimi cittadini”.
In cucina.
Con la crisi, gli italiani riscoprono il piacere di restare e di preparare gustosi menu per parenti e amici soprattutto nei giorni festivi, durante i quali si raggiunge il record di oltre un’ora davanti ai fornelli (69 minuti).
Il rapporto Coldiretti/Censis evidenzia che per le donne italiane la preparazione dei pasti assorbe durante l’anno 21 giorni pieni. In media – sottolineano Coldiretti/Censis – dall’indagine emerge che annualmente ogni italiano dedica alla preparazione dei pasti un tempo pari a 11 giorni, che significa oltre sette ore alla settimana o 56 minuti al giorno nei giorni feriali che salgono a oltre 69 minuti la domenica o nei giorni festivi.
Un interesse che riguarda anche i maschi per i quali il tempo passato in cucina è di 8 giorni pieni all’anno. L’indagine – osserva Coldiretti – mostra che ancora oggi nelle famiglie italiane la cucina è donna, ma anche che torna ad avere un ruolo centrale nella vita delle famiglie italiane.
Il rapporto evidenzia tra l’altro che 21 milioni di italiani dichiara di preparare alimenti in casa come yogurt, pane, gelato o conserve e, di questi, 11,2 milioni di persone lo fanno regolarmente.
“L’attenzione alla cucina e alla qualità dell’alimentazione trova riscontro nel boom degli acquisti di prodotti locali a chilometri zero direttamente dagli agricoltori che garantiscono una maggiore freschezza e genuinità delle ricette”, afferma il presidente di Coldiretti Sergio Marini.
La riscoperta del ‘fai da te’ in cucina si riflette anche nel fatto – aggiunge il rapporto – che 7,7 milioni di italiani si portano al lavoro cibo preparato in casa, e di questi sono 3,7 milioni quelli che dichiarano di farlo regolarmente. Il 15% degli italiani si porta la “gavetta” o la “schiscetta” in ufficio per risparmiare, ma anche per essere sicuro della qualità del pranzo, o semplicemente perchè preferisce ricordare sapori e profumi casalinghi.
La spesa alimentare.
L’importante è restare vicino l’abitazione. L’85 per cento degli italiani continua a fare la spesa alimentare quotidiana sottocasa, frequentemente nei piccoli e spesso antieconomici negozi di quartiere che tuttavia svolgono un rilevante ruolo sociale.
La spesa è l’attività svolta dal maggior numero di persone nel raggio di 15-20 minuti a piedi dalla propria residenza.
Il crescente desiderio di fare comunità – sottolinea Coldiretti – è avvertito soprattutto dalle persone che vivono sole. In Italia sono 7,4 milioni e sono aumentate del 24% tra il 2006 e il 2011, con punte del +54% in Sardegna, +45% in Abruzzo, +42% in Umbria. Il momento di fare la spesa è quello più importante per parlare e stringere rapporti e supera addirittura le attività spirituali (il 76,6%), la visita medica (71,6%), la scuola per i figli (65,2%) e la cura del corpo (54,2%).
Ricette sul web.
Oltre il 29% degli italiani dichiara di fare ricerche in Rete per confrontare prezzi e qualità dei cibi, si tratta di quasi 15 milioni di persone.
In particolare sono oltre 5,7 milioni a farlo regolarmente. “Quello che è interessante – sottolineano Coldiretti/Censis – è la tendenza a formare community, aggregati di individui uniti da interessi, passioni, valori comuni.
Così ci sono oltre 415mila italiani che dichiarano di partecipare regolarmente a community sul web centrate sul cibo, e sono invece complessivamente oltre 1,4 milioni quelli che vi partecipano, comprendendo coloro che lo fanno di tanto in tanto”.
Aperitivo. Il rito che piace sempre di più e che coinvolge ormai 16,5 milioni di italiani, 2,5 milioni in modo regolare.
Un’abitudine che non si perde neanche in vacanza e che anzi, nei momenti di riposo si rafforza, portando ben 23,6 milioni di italiani ad ampliare e arricchire questa esperienza partecipando alle sagre paesane, di cui 5,3 milioni in modo assiduo.
Un fenomeno di grande valore culturale, oltre che economico, sottolineano Coldiretti e Censis, con un coinvolgimento trasversale rispetto alle classi di età , ai ceti sociali, alle aree geografiche di appartenenza.
Sono numeri che descrivono fenomeni di massa, ad alto impatto relazionale per i territori che ne sono coinvolti e con rilevanti implicazioni socio-economiche, come nel caso del turismo enogastronomico, che coinvolge 12,2 milioni italiani, di cui 2,3 milioni in modo regolare.
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
SONO 800.000 LE DONNE SPINTE A LASCIARE IL POSTO TRA IL 2008 E IL 2009
È fin troppo scontato in un Paese come l’Italia dove alle donne spettano i record di precarietà e disoccupazione anche in tempi normali.
La crisi sta colpendo senza pietà soprattutto loro e soprattutto le più deboli: quelle con almeno due figli, quelle che non hanno la laurea, le straniere.
È l’amaro scenario disegnato dal rapporto di Save the Children «Mamme nella crisi» presentato ieri.
Le speranze di poterle aiutare sono poche, ha ammesso la ministra al Welfare e alle Pari Opportunità Elsa Fornero.
Pur condividendo e capendo, ha ricordato a tutti la difficile situazione dei conti, il debito da restituire e quindi ha escluso iniziative forti, ad ampio raggio.
Qualcosa però è allo studio per le donne che soffrono di più ha assicurato – si tratta di «aree di intervento mirate, circoscritte per massimizzare le probabilità di riuscire».
La ministra avrebbe voluto anche introdurre cinque giorni di paternità obbligatoria. «Ma come le paghiamo? Ogni giorno costa 70 milioni di euro».
Lo stesso vale per eventuali misure sulla social card e sulla non autosufficienza: per il momento sono in fase di solo di studio perchè non si sa come pagarle.
E, quindi, la situazione resta quella che è.
Nel 2010 ad avere un lavoro è una donna su due (il 50,6%) se non ha figli, cifra molto al di sotto della media europea pari al 62,1%.
Ma scende al 45,5% già al primo figlio (sotto i 15 anni) per perdere quasi 10 punti (35,9%) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3% nel caso di 3 o più figli.
Nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 800 mila mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni per andare via in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie al meccanismo delle «dimissioni in bianco».
Le interruzioni del lavoro alla nascita di un figlio per costrizione, che erano il 2% nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro.
Anche le donne che hanno avuto la fortuna di conservare un posto di lavoro nonostante la crisi, sono andate incontro a problemi.
Nel 2010 è diminuita l’occupazione qualificata, tecnica e operaia. È cresciuta la bassa specializzazione: dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center.
Aumenta il part-time, «ma non quello scelto dalle donne» – precisa Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat.
È dovuto quasi esclusivamente all’aumento del part-time accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9% sul totale dell’occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media Ue (23,8%).
Vita sempre più difficile per le mamme di origine straniera: già all’arrivo del primo figlio subiscono un aumento notevole dell’indice di deprivazione materiale dal 32,1% al 37% contro il 13,3% e il 14,9% delle madri italiane, e le mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà con una percentuale del 28,5% contro il già gravoso 22,8% della media dei minori in Italia.
Poche speranze anche per le donne senza laurea.
Il loro tasso di occupazione è molto inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2% contro il 50,8%.
E, quindi, è inevitabile che dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% viva ancora con i genitori.
Calano le nascite di 15mila unità tra il 2008 e il 2010 e nessuno offre aiuti. Nel 2009, la spesa per la protezione sociale per famiglie e minori raggiungeva appena l’1,4% del Pil, rispetto ad una media europea del 2,3%.
Ovvio che solo il 13,5% dei bambini fino a 3 anni viene preso in carico dai servizi, una percentuale lontanissima dall’obiettivo europeo del 33%, con una forte penalizzazione del sud.
Flavia Amabile
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Settembre 21st, 2012 Riccardo Fucile
NELLA PATRIA LEGHISTA DI BOSSI E MARONI NON VA MEGLIO RISPETTO AL SUD: IN SEGUITO A CONTROLLI DELLA G.D.F. SU 113 NEGOZI IN CITTA’ BEN 58 NON ERANO IN REGOLA… SONO 913 LE IRREGOLARITA’ SCOPERTE DALL’INIZIO DELLL’ANNO
Quello che non ti aspetti, dopo tante chiacchiere sul meridione pieno di evasori fiscali e il nord costretto a pagare le tasse “anche per loro”, certe volte si verifica.
Smentendo tanti luoghi comuni, spesso interessati.
In provincia di Varese un commerciante su due non emette lo scontrino fiscale.
E’ quanto è riscontrato dopo una serie di controlli condotti dalla guardia di finanza, che ha riscontrato irregolarità in 58 esercizi commerciali su un totale di 113.
Oltre la metà dei negozi controllati, quindi, ha commesso violazioni alle leggi.
In tutto sono 913 le irregolarità in materia di ricevute e scontrini fiscali già individuate dall’inizio dell’anno.
Insomma dietro tante battaglie “padane” sulla necessità di stanare gli evasori fiscali da Roma in giù, ecco che emerge la verità , sulla base dei dati reali.
L’abitudine a non battere lo scontrino è diffuso da nord a sud, come quello di non pagare le tasse: una abitudine trasversale che pone fine a certe manifestazioni di vittimismo leghista che sono campate in aria e spesso nascondono invece la volontà di evaderle sotto alibi di comodo.
Anche nella patria di Bossi e Maroni, in attesa della secessione con la pistola ad acqua, è meglio che prendano l’abitudine a rilasciare lo scontrino.
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