Novembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
MENU’ RAFFINATO E PREZZI STRACCIATI PER I DIPENDENTI DELLA REGIONE…INSALATA A 1 EURO, CAFFE’ A 45 CENTESIMI….OGNI MESE LA REGIONE RIPIANA ALLA SOCIETA’ DI GESTIONE 31.000 EURO
Una frittura mista di triglie o calamari costa 3 euro e 38 centesimi. Lo stesso prezzo di un vasto assortimento di ottimo pesce locale alla griglia.
Per la mitica pasta al forno bastano invece 2 euro e 25 centesimi, ma in alternativa si può optare per un ottimo piatto di cannelloni.
A prezzi stracciati antipasti e contorni: un’insalata mista costa un euro e tredici centesimi, per un euro e cinquanta si può invece chiedere una caprese o una squisita parmigiana.
Poco più di un euro infine il prezzo delle bibite, dall’acqua al vino bianco.
Costo totale dell’ottimo e abbondante pasto? Undici euro, molto meno di una pizza e una birra in una qualsiasi pizzeria media.
Basta un rapido confronto con i menù degli altri ristoranti per sciogliere ogni dubbio: in Sicilia il posto in cui si mangia meglio in cambio di pochi spiccioli è la mensa dell’Assemblea regionale siciliana.
Dove per consumare simili leccornie si usano piatti di ceramica e posate d’argento. Un ristorante dei sogni in cui perfino il caffè o i pezzi di rosticceria sono sottocosto: per un espresso i deputati del parlamento più antico d’Europa pagano infatti 45 centesimi, 38 per un cornetto, 90 per un’arancina.
Prezzi davvero stracciati, soprattutto se si pensa che a poche centinaia di metri da Palazzo dei Normanni, gli studenti dell’università di Palermo fanno colazione alla mensa universitaria pagando il caffè ben 60 centesimi.
Ma all’Assemblea regionale siciliana non vogliono farsi mancare nulla: almeno una volta al mese è servito un menù tipico siciliano, mentre su richiesta è possibile anche farsi preparare pietanze etniche e aperitivi rinforzati.
Ma come fanno alla mensa dell’Ars a praticare prezzi così irrisori, senza fallire in meno di un mese, avendo anche l’obbligo contrattuale di servire “vini di prima qualità ” e “pesce esclusivamente fresco del Mediterraneo”?
Il pranzo completo, che ai deputati costa appena 11 euro, ha infatti un valore che oscilla dai 35 ai 45 euro.
E infatti per i dipendenti dell’Ars i prezzi sono un po’ superiori rispetto a quelli praticati agli onorevoli.
La differenza però non è così ampia.
Chi paga il resto?
“I prezzi cambiano improvvisamente quando a pagare sono i cittadini” rispondono gli attivisti siciliani del Movimento Cinque Stelle.
I ragazzi di Beppe Grillo, che alle ultime elezioni regionali hanno eletto ben quindici deputati all’Ars, hanno pubblicato sul loro sito il menù della buvette del parlamento più ricco d’Europa.
E spulciando nel capitolato della gara d’appalto bandita dall’Ars per il servizio di bar e ristorante si sono accorti che i prezzi irrisori pagati dagli onorevoli per pranzi luculliani sono stabiliti da contratto.
“La ditta — si legge nel bando — dovrà praticare la percentuale di ribasso del 35% rispetto alla media dei prezzi di listino, consigliati dalle associazioni di categoria più rappresentative operanti nella piazza di Palermo”.
Come fa dunque la ditta che gestisce la buvette dell’Ars a rientrare del maxi sconto praticato agli onorevoli? Semplice, ogni mese l’Ars provvede a integrare il prezzo dei menù degli onorevoli con 31 mila euro ( più Iva) che elargisce direttamente all’azienda.
Ma non è finita.
Perchè un capitolo del bando di gestione del ristorante più conveniente di Sicilia è dedicato anche allo staff che dovrà servire i pasti agli onorevoli.
Uno staff d’eccellenza che dovrà avere “il gradimento dell’Assemblea”.
Un gradimento tutto particolare.
Perchè all’Ars, anche i camerieri e i cuochi possono accedere a privilegi che altrove semplicemente non esistono.
Per esempio ai lavoratori della buvette che hanno raggiunto “una continuità lavorativa di almeno 10 anni, ancorchè con diversi appaltatori” spetta un “premio di gradimento” che equivale praticamente ad un benefit mensile di mille e cento euro in più in busta paga. In pratica un secondo stipendio che viene sommato al primo, ogni mese, per ben 14 mensilità .
Una “mancia” facilmente raggiungibile dato che il contratto che l’Ars stipula per appaltare la gestione del ristorante obbliga la società di catering a riassumere tutto il personale già impiegato precedentemente alla buvette.
Come dire: squadra di camerieri che vince, non si cambia. Anche lì, chi paga questa mancia contrattuale a cuochi e camerieri?
“Ovviamente i cittadini (a loro insaputa)” scrivono sempre gli attivisti del Movimento Cinque Stelle.
Che poi si chiedono: “Un momento in cui la disoccupazione nazionale ha raggiunto livelli record sfiorando l’11% (aumentata del 25% rispetto al 2011), come si può giustificare una svista di tale entità da parte di tutte le forze politiche che hanno permesso un doppio stipendio a delle figure gradite?”.
Giuseppe Pipitone
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Novembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
NEL 2008 IL 10% SI ERA ASTENUTO, L’ 8% AVEVA SCELTO LA DESTRA… IL 77% NON E’ ISCRITTO AD ALCUN PARTITO, IL 42% NON AVEVA MAI PARTECIPATO ALLE PRIMARIE… I PRO-MONTI SCELGONO RENZI
Tre milioni e centomila elettori alle primarie del centrosinistra.
Chi sono? Da dove vengono? E soprattutto, con chi vanno?
La Sisp, Società italiana di Scienza Politica, ha istituito un gruppo di ricerca sulle primarie, guidato da i professori Luciano Fasano e Fulvio Venturino, che in collaborazione con «Il Mulino» ha sondato i votanti del centrosinistra.
Scoprendo che non tutti sono dei militanti di sinistra, anzi.
La scelta del candidato premier ha attratto anche chi nel 2008 aveva votato l’Idv (3,5% del totale): otto elettori su cento avevano votato il centrodestra, il 10 per cento non aveva votato.
Come già più volte evidenziato, Matteo Renzi, rispetto agli altri candidati, è stato più in grado di attrarre voti «nuovi».
Il 16% del suo elettorato, quattro volte più di Bersani.
«Questa è una capacità innata di Renzi spiega Fasano -. Anche nelle primarie per il sindaco di Firenze più di un elettore su dieci proveniva da chi in passato aveva votato per il centrodestra». L’esatto opposto di Bersani, che ha un elettorato più militante (l’88% è del Pd contro il 64% del «rottamatore»).
È anche per questo che quasi la metà (il 42%) dei sostenitori di Renzi è «matricola», non aveva cioè mai votato prima alle primarie; mentre Bersani ha fatto il pieno tra i «veterani» (85% come Puppato, tra l’altro), coloro che avevano già votato nel 2005 per la scelta del premier o nel 2007 (o nel 2009) per la scelta del segretario del partito.
Per Fasano, «la distinzione fra veterani e matricole demarca una sorta di confine fra i candidati che raccolgono consensi prevalentemente nel tradizionale recinto dei partiti di una coalizione che ha ormai familiarizzato i propri elettori al rito delle primarie e candidati che, viceversa, sono in grado di mobilitare un elettorato nuovo rispetto a questo tipo di consultazione».
Il 77% dei votanti non è iscritto ad alcun partito.
Secondo Fulvio Venturino, «per costoro, cioè il bersaglio grosso, Renzi è il candidato preferito, mentre Bersani risulta essere sottorappresentato. Il segretario del partito è invece molto popolare fra gli iscritti al Pd, che sono un quinto del totale, ma ben un terzo dei suoi votanti». Gli iscritti al Pd, però, «sono abbastanza ecumenici, visto che si distribuiscono in una certa misura anche fra gli altri due candidati del partito, Renzi e Puppato».
All’opposto, tutti gli iscritti a Sel hanno votato compatti per Vendola.
Gli elettori di Bersani sono più «anziani» rispetto a quelli degli altri candidati.
Ha più di 55 anni il 56% dei suoi votanti (il 28% tra 55 e 64 anni, il 28% oltre i 65 anni), Renzi e Vendola, invece, hanno un’equa distribuzione del proprio elettorato.
Infine il giudizio su Monti: spiega Venturino che, nel complesso, «l’operato di Monti riceve un giudizio positivo dal 69% dei votanti.
Questa ampia maggioranza di cittadini vota in modo pressochè indifferenziato per i due candidati del Pd.
In questo segmento si riscontra in realtà una lieve prevalenza di Renzi su Bersani, troppo lieve però perchè qualcuno possa ergersi a unico erede dell’agenda del Professore.
Come da aspettative, coloro che riservano un giudizio negativo all’operato di Monti sono maggiormente propensi a votare per Nichi Vendola».
Sei su dieci bocciano il professore.
Marco Castelnuovo
(da “La Stampa“)
argomento: Primarie | Commenta »
Novembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO IL GIP AL GOVERNATORE LA REGIA DELLE PRESSIONI… LA LETTERA A BERSANI
Nell’estate 2010 il gruppo Riva si giocava tutto. E giocava su tutti i tavoli: minacciava di far saltare il ministro Stefania Prestigiacomo, gongolava per il “regalo” ricevuto da Silvio Berlusconi, scriveva a Pier Luigi Bersani per bloccare il senatore del Pd Roberto della Seta, spingeva sul governatore pugliese Nichi Vendola per “frantumare” il presidente dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato, incassando – su quest’ultimo progetto – la complicità della Cisl.
E nessuno — a giudicare dagli atti — che osasse contraddirli. Il tutto sotto la regia di Girolamo Archinà , dirigente Ilva per le relazioni istituzionali.
Il regalo di Berlusconi
Il senatore del Pd della Seta si oppone al disegno di legge che agevola l’Ilva sulle emissioni di benzo(a) pirene.
Fabio Riva parla con suo padre Emilio e gli dice “Archinà vuole che lui (Emilio) faccia una lettera a Bersani, in merito alla polemica sul benzoapirene (…). Fabio dice che il senatore Della Seta ha detto delle falsità assolute (…) che Berlusconi ha fatto un regalo all’Ilva e aggiunge che la lettera serve per dire a Bersani di non fare il ‘coglione’”.
Caro Pierluigi
L’email viene spedita: “Mi rivolgo a lei per un episodio di cui è stato protagonista il senatore Della Seta che mi ha molto sconcertato (…) Scusi lo sfogo ma, proprio per quello che negli anni di reciproca conoscenza, ha potuto constatare in merito a come la mia azienda opera, confido che saprà comprenderlo…”. Tra gli anni di reciproca conoscenza, spicca il 2006, quando il gruppo Riva finanziò la campagna elettorale di Bersani con 98mila euro
Far uscire il sangue a Della Seta
E mentre i Riva pensavano di scrivere a Bersani, il deputato del Pd Ludovico Vico veniva intercettato.
E, parlando con un dirigente Ilva, commentava: “Ora, a questo punto… lì alla Camera dobbiamo farli uscire il sangue a Della Seta…”.
Salta la Prestigiacom
Tra gli obiettivi dell’Ilva, nel 2010, c’è l’acquisizione di un’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) favorevole al gruppo. L’avvocato Franco Perli riferisce a Fabio Riva di essersi mosso con Luigi Pelaggi, capo dipartimento del ministero dell’Ambiente, retto all’epoca dalla Prestigiacomo e in cui lavorava con la qualifica di direttore generale, l’attuale ministro Corrado Clini (che ha sempre declinato qualsiasi responsabilità nelle procedure sull’Ilva).
L’Aia fu firmata nel 2011 e, secondo l’accusa, fu “rilasciata aderendo il più possibile alle richieste dell’Ilva”.
Un anno prima l’avvocato Perli diceva a Fabio Riva: “Gli ho detto (a Pelaggi, ndr) che i Riva sono incazzati come delle bisce (…) hanno già scritto a Letta… gli ho detto che se le cose stanno così (…) noi mettiamo in mobilità 5 o 6mila persone… gli ho detto guarda che su sta roba qui salta la Prestigiacomo… cazzo gli ho detto, scusa è da novembre che io vengo qui in pellegrinaggio da te….. è una roba allucinante! Cioè cosa dobbiamo fare di più, ve l’abbiamo scritta noi! ”
Le pressioni su Pecorella
Archinà al telefono è irrefrenabile.
Contatta il senatore Pdl Pietro Franzoso (scomparso a novembre 2011): è il segretario della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti.
È a lui che affida il compito di fare pressioni sul presidente della Commissione, Gaetano Pecorella, che intende accollare ai Riva i costi delle bonifiche. Archinà dice della visita della Commissione parlamentare all’Ilva: “à‰ tutto pilotato”.
È sempre l’Aia il pallino dei Riva. E gli inquirenti — spiegando le pressioni su Giorgio Assennato, presidente dell’Arpa Puglia — scrivono che le sollecitazioni, su iniziativa dell’Ilva, non giungevano solo dai palazzi pugliesi, ma anche direttamente dal ministero dell’Ambiente.
“Non mi sono defilato”
“Archinà ”, dice al telefono Nichi Vendola col manager Ilva, “State tranquilli, non è che mi sono scordato”.
Archinà l’ha incontrato pochi giorni prima, per segnalargli che Assennato gli sta creando problemi. Invece che difendere il lavoro di Assennato, Vendola elogia i Riva: “L’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare — dice il governatore — e quindi, fermo restando tutto, dobbiamo vederci … dobbiamo ridare garanzie, volevo dirglielo perchè poteva chiamare Riva, e dirgli che il presidente non si è defilato”.
Non si defila, Vendola, ma non si espone: “Ho paura che metto la faccia mia e si possono accendere ancora più fuochi”.
Vendola ieri ha assicurato di non aver mai fatto pressioni su Assennato. Eppure, nella ricostruzione offerta dagli atti, dopo queste conversazioni,
Assennato viene effettivamente redarguito da Vendola e dal suo staff. Ed è lo stesso Assennato a confermarlo in un’intercettazione con Archinà . Per l’accusa è “la prova dell’avvenuto intervento di Vendola”.
“Sono senza palle”
il 23 giugno 2010 Assennato chiama Archinà : “Girolamo sono molto incazzato! La dovete smettere di fare così (…) andare dal presidente e dire che siete vittima di una persecuzione dell’Arpa (…). Vendola questa mattina ha convocato Massimo Blonda (direttore scientifico dell’Arpa, ndr) … vi siete trovati di fronte a persone senza palle! ”.
“La Fiom è vostra alleata”
Nel frattempo Vendola trova il modo di dire ad Archinà : “I vostri alleati principali, in questo momento, lo voglio dire, sono quelli della Fiom”.
E di aggiungere: “Le ho fatte veramente le battaglie… le difese sulla vita e sulla salute”. Archinà , in Vendola, però intravede un altro aspetto: “Lui ormai aspira e penso che è di levatura nazionale… secondo me lui ci riesce … ad avere dei successi … per cui a noi della Puglia va bene un discorso del genere”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Giustizia | Commenta »
Novembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
“NON SI TRATTA PIU’ DI UN COLLETTIVO, MA DI UN MANIPOLO CHE PER VARIE RAGIONI SI E’ APPROPRIATO DEL GIORNALE”
Una delle fondatrici de il Manifesto ha lasciato, e l’ha fatto con una lettera pubblicata su MicroMega in cui accusa la direzione e la redazione di “indisponibilità al dialogo”. Non è la prima ad andar via.
La testata – fondata nel 1969 e che si trova in pessime acque finanziarie – nelle ultime settimane è stata abbandonata da altre firme eccellenti. Prima Vauro, poi Marco D’Eramo.
E continua a perdere pezzi.
Anche Joseph Halevi, uno tra i più noti collaboratori del giornale, ha deciso di lasciare, e in una lettera inviata al circolo del Manifesto di Bologna ha usato parole durissime nei confronti della direzione e della redazione: “Non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale”.
Insieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri, Rossana Rossanda contribuì alla nascita de il Manifesto di cui divenne anche direttrice.
Nella sua lettera d’addio annuncia che “Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci .
La lettera con cui Marco D’Eramo ha salutato il giornale, ha avuto in cambio solo poche righe dalla direzione.
Tanto che con una raccolta di firme i lettori hanno deciso di criticare duramente l’atteggiamento nei confronti di una delle figure storiche del Manifesto.
E la stessa amarezza c’è anche nelle parole di Halevi: “Care compagne e cari compagni, non so se avete visto l’andazzo del Manifesto nelle ultime settimane. E’ peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D’Eramo, quelle della redazione non quelle di D’Eramo. Consiglierei di rompere, perchè non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch’io me ne vado, senza alcuna lettera. E’ inutile”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Stampa | Commenta »
Novembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
TOSCANA E UMBRIA PIU’ VICINE AL ROTTAMATORE
Matteo Renzi stravince nella sua Toscana, avanza nelle Regioni «rosse», conquista le Marche e contende l’Emilia Romagna, coglie buoni risultati ma non sfonda nel Nord e si ferma a Roma.
Pier Luigi Bersani dilaga al centro Sud, va bene nelle grandi città , a cominciare da Roma, e tiene nel Nord-est.
La geografia elettorale del voto è complessa e più frastagliata di quel che sembra, anche perchè si intrecciano dati politici nazionali con vicende locali e i consensi di Nichi Vendola e Laura Puppato, molto localizzati, influiscono sui rapporti di forze dei due principali sfidanti.
Che leggono i dati, manco a dirlo, in modo diametralmente opposto.
Per i renziani, «al Nord e nelle regioni rosse ha prevalso il voto d’opinione, mentre al Sud hanno vinto l’apparato e le clientele».
Per i bersaniani, il segretario «ha interpretato meglio le esigenze del lavoro e dell’unità ».
Renzi ha rivendicato subito di avere «vinto, se non stravinto, nelle regioni rosse, noti covi di reazionari».
Bersani ieri ha dato la sua interpretazione, diversa: «Magari in Toscana. In Emilia non direi, visto che abbiamo 10 punti di distacco e nell’Umbria siamo pari e patta». Inevitabilmente gli sfidanti hanno ottenuto buoni risultati nel loro territorio d’elezione. Bersani ha vinto nella sua città natale, Bettola, e a Piacenza; Vendola ha superato il 50 per cento nella sua Bari; Laura Puppato ha avuto una buona performance a Montebelluna (43%) e si è difesa bene in tutto il Veneto (quasi il 10); Renzi ha superato il 54 per cento a Firenze; solo l’1,47 a Milano per l’assessore al Bilancio Bruno Tabacci.
Ma è sulle Regioni che il ragionamento si fa più interessante.
Al Sud Bersani poteva contare su molti uomini forti, da Gianni Pittella ad Andrea Cozzolino, da Enzo Amendola a Paolo De Castro, fino a Vincenzo De Luca (a Salerno Bersani ha preso il 64 per cento).
Davide Zoggia, veneziano e bersaniano, la vede così: «Nel Sud il dato è omogeneo: Bersani supera ovunque il 50 per cento, tranne che in Puglia. Nelle regioni centrali non “rosse”, va bene. Così come nelle grandi città : Roma, Milano, Genova, Venezia, Trieste. Al Nord va bene in Liguria e in Lombardia, dove conquista 11 città capoluogo su 12. Nel Nord-est anche, sia in Friuli sia in Veneto».
Ma le roccaforti di sinistra traballano: «È vero, ci si aspettava di più, ma non c’è stata una slavina. In Umbria vinciamo a Terni e non a Perugia. Nelle Marche ad Ascoli e Ancona, ma non a Pesaro-Urbino, Macerata e Fermo».
Discorso più complesso per la Toscana, dove Renzi ha vinto con il 52 e rotti, con ottimi risultati ad Arezzo e Siena, dove il Pd sconta problemi locali e una gestione del governatore che evidentemente non convince.
Il bersaniano Enrico Rossi, sconfitto anche nella sua città (Pontedera), ammette: «Renzi ha incarnato meglio il messaggio del rinnovamento, dobbiamo riflettere». Ma molti accusano il centrodestra, in particolare i leghisti a Modena, di aver dato un aiutino a Renzi.
L’analisi di Zoggia su Renzi ne mette in luce i punti deboli: «Perde al Sud perchè manda messaggi che criminalizzano quei territori. Ma il suo vero fallimento è non aver conquistato il Nordest, da dove aveva fatto partire la campagna e su cui contava. In alcune città , poi, è persino terzo, come a Roma e a Napoli».
Decisamente opposta la visione di Roberto Reggi, coordinatore renziano: «Al Sud non è scattato il voto di opinione. Noi partivamo da zero, Bersani aveva pezzi da novanta. Ma nonostante colonnelli e generali, le truppe non erano così numerose: a Napoli Bersani ha diminuito di molto il suo numero di voti. Vogliamo parlare di Piacenza? Quella è la sua città , lì è venuto più volte Errani, ma alla fine ha preso il 50 e noi il 40. Caro segretario, te lo dico amabilmente, la tua euforia non è obiettiva: con quelle forze avresti dovuto prendere il 90 per cento».
Interessante anche il voto in Piemonte: Bersani prevale a Torino, Renzi ad Asti e Cuneo, terra di Tav, criticata dal sindaco di Firenze.
Reggi è stupito dal dato di Firenze: «Renzi è andato benissimo. Non pensiate che essere sindaco avvantaggi. Anzi, prendere decisioni impopolari spesso fa perdere consensi».
Alessandro Troncino
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: Primarie | Commenta »