Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
PREVISTO UN INCREMENTO DEL 36% ENTRO IL 2026
I pensionati tedeschi possono guardare con fiducia al futuro. 
I loro assegni mensili aumenteranno significativamente nei prossimi anni, grazie all’ottimo stato di salute del sistema previdenziale pubblico che ha beneficiato della crescita degli occupati e dei loro stipendi.
Questo è il quadro contenuto nel Rentenversicherung, il rapporto annuale redatto dal governo di Berlino e pubblicato ieri.
A differenza di numerosi Paesi europei — Italia inclusa — che hanno sforbiciato le pensione, la Germania intende aumentarle nel periodo 2013-2016 dell’8,27% nei Laender occidentali e dell’11% in quelli dell’ex Germania dell’Est.
L’anno prossimo l’aumento sarà dell’1% nell’Ovest e del 3,49% nell’Est, il maggior aumento dal 1997.
I cittadini dell’Ovest potranno recuperare il terreno perduto nel 2015, quando vedranno salire le pensioni del 2,55%, il maggior rialzo dal 1993.
Questi dati hanno immediatemente infiammato la discussione politica, con l’Spd (i socialisti attualmente all’opposizione) che ha accusato il cancelliere Angela Merkel di volersi ingraziare gli elettori con regalie pre-elettorali.
Il prossimo 22 settembre — data fissata oggi, anche se non ancora ufficialmente — i cittadini tedeschi saranno infatti chiamati alle urne.
E per raccogliere voti anche presso i lavoratori il governo ha deciso che a partire dal prossimo primo gennaio il prelievo in busta paga per la previdenza scenderà dall’attuale 19,6% al 18,9%, livello a cui dovrebbe restare fino al 2018.
Questa misura è resa possibile dal florido stato del sistema pensionistico: a fine anno le riserve saranno pari a 1,69 mesi di pagamenti (29,4 miliardi di euro), contro gli 1,5 mesi previsti dalla legge. Chi critica l’aumento delle pensioni deciso dalla Merkel punta il dito contro le previsioni di crescita dell’occupazione e degli stipendi contenuti nel rapporto (gli incrementi previdenziali dovranno infatti essere rivisti se la congiuntura sarà più debole del previsto).
Per rispettare la tabella di marcia fissata gli stipendi lordi dovrebbero crescere annualmente ad una percentuale compresa fra il 2,5% e il 2,8% nei prossimi quattro anni, mentre il numero dei disoccupati dovrebbe scendere dagli attuali 2,89 milioni a 2,85 milioni del 2016.
Implicitamente, dunque, il governo Merkel ha rivisto le proprie previsioni sul mercato del lavoro che, fino a oggi, prevedevano la creazione di 250 mila posti di lavoro entro il 2016.
Altri interessanti dati contenuti nel Rentenversicherung riguardano le pensioni medie percepite nel 2012 dai 20 milioni di tedeschi che ne hanno diritto: le coppie di marito e moglie hanno potuto contare su complessivi 2.433 euro, gli uomini soli su 1.560 e le donne sole su 1.292.
Entro il 2030, inoltre, le pensioni dell’Est dovrebbero essere uguali a quelle dell’Ovest: oggi sono solo l’88,8%.
Entro il 2026, infine, le pensioni tedesche dovrebbero crescere complessivamente del 36% rispetto ai livelli attuali. Crisi dell’euro permettendo.
Giorgio Faunieri
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’IMBARAZZANTE CASO ILVA: RIVA LATITANTE RAPPRESENTATO DA FERRANTE, UN EX PREFETTO CHE AVEVA GIURATO SULLA LEGALITA’ E IL RISPETTO DELLE ISTITUZIONI
Sono tante le ragioni per cui Fabio Riva deve consegnarsi immediatamente alla giustizia. Ma la prima è il rispetto di un principio fondamentale del vivere civile troppo spesso considerato un optional: la legalità .
La sua azienda attraversa il momento più difficile della propria storia.
Al punto che la stessa esistenza dell’Ilva di Taranto viene messa in discussione, con il rischio della desertificazione industriale di una delle poche aree del Sud dov’è presente la grande impresa.
Il passaggio è delicatissimo, visto che si tratta di conciliare l’imprescindibile tutela della salute con la difesa di migliaia di posti di lavoro: un’emergenza sociale, che spinge il governo a prendere un provvedimento senza precedenti come un decreto legge per impedire (trombe d’aria a parte) la serrata degli impianti.
Le accuse sono pesantissime.
I magistrati arrivano a parlare di «infiltrazione e manipolazione delle istituzioni da parte dei vertici Ilva» per ottenere autorizzazioni ambientali compiacenti.
Fatti che vanno accertati al più presto, disinnescando quella bomba sociale che rischia di esplodere dopo la decisione di chiudere gli stabilimenti, contestuale all’ultima iniziativa della Procura.
Soprattutto, avendo ben chiaro che la necessaria assunzione di responsabilità non prevede la fuga all’estero dell’imprenditore.
E che la fine della sua latitanza favorirebbe anche le ragioni dell’impresa, in un Paese dove per meccanismi assai singolari la magistratura finisce per assumere ruoli propri di altri pezzi dello Stato.
Una contumacia, quella di Riva, tanto più grave se si considera che il legale rappresentante della sua impresa è stato per trent’anni un uomo delle istituzioni: il presidente Bruno Ferrante.
È l’ex vice capo della polizia ed ex prefetto di Milano, il quale nel corso della sua lunga e molto apprezzata carriera pubblica ha ricoperto incarichi importantissimi.
Per esempio, quello di capo di gabinetto dell’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando questi era ministro dell’Interno, oppure quello di alto commissario di governo per la lotta alla corruzione.
Nel 2006 ha pure conteso senza successo a Letizia Moratti la poltrona di sindaco di Milano, dopo aver sconfitto alle primarie del centrosinistra il premio Nobel Dario Fo. Proprio durante quella campagna elettorale ha dichiarato in un’intervista a Repubblica: «Ho vissuto tutta la mia vita credendo nel rispetto della legalità e delle regole».
Può un ex prefetto restare presidente di un’azienda il cui imprenditore è destinatario di un ordine di cattura e sceglie la strada della latitanza? Crediamo di no.
Qui si capisce quanto certe scelte «professionali» possano risultare insidiose.
Quando un ex servitore dello Stato passa a occuparsi di interessi privati può capitargli di trovarsi un giorno dalla parte opposta della barricata.
Anche soltanto mettendo la propria firma sui ricorsi contro le decisioni dei magistrati. E non deve succedere.
Chi ha avuto responsabilità pubbliche di questo calibro dev’essere ben conscio che esiste un serissimo problema di opportunità nel caso in cui si accetta un incarico privato.
Perchè oltre alla coerenza personale c’è in ballo il prestigio delle istituzioni che si sono servite.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
DECISIVA LA PROSSIMA SETTIMANA: PREMIER DEL CENTROSINISTRA, LEGGE ELETTORALE E SCELTE DI BERLUSCONI SARANNO LE SCADENZE DELLA POLITICA
L’ impressione è che la prossima settimana definirà il grosso delle alleanze per le
elezioni politiche; e forse anche alcuni dei candidati a palazzo Chigi.
Non soltanto dunque quello del centrosinistra, deciso nel ballottaggio di domenica fra Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, e il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Diventeranno più chiari anche i contorni ed i termini della frattura e del vuoto che si stanno creando nel fronte berlusconiano: a cominciare dalla «lista personale» di Silvio Berlusconi, ai rapporti col «suo» Pdl e alla possibilità che Angelino Alfano celebri davvero le primarie.
Il contestato ritorno del Cavaliere sta avendo come primo effetto quello di affossarle.
Ma soprattutto, presto si capirà se il margine sottile per approvare una riforma elettorale esiste davvero o è l’ennesima schermaglia.
Le tre scadenze sono destinate a intrecciarsi al di là dell’esito di ciascuna.
La sfida fra Bersani e Renzi è osservata da alcuni spezzoni del centrodestra con l’interesse di chi punta sul «primo cittadino» di Firenze per destabilizzare la candidatura del segretario alla presidenza del Consiglio.
Un Pdl tormentato dai conflitti interni guarda, magari in modo strumentale, alla conta in atto nel Pd.
Approva l’aggressività di un Renzi che ritiene vantaggioso attaccare per strappare voti a Bersani; e che per questo lo accusa di essere «candidato ma anche arbitro»: un’allusione velenosa alle regole del ballottaggio come un vantaggio per il segretario.
Non è chiaro se sia un’arma per giustificare in modo preventivo una sconfitta; oppure solo una polemica passeggera.
Il tentativo di calamitare quanti domenica scorsa hanno votato per Nichi Vendola è esplicito da parte di entrambi.
Il segretario di Sel si prepara ad appoggiare Bersani: “Pier Luigi sta dicendo parole che profumano di sinistra», afferma Vendola.
Ma Renzi tenta di convincere almeno una parte di quei 500 mila che non hanno più un candidato a scegliere lui in nome del rinnovamento.
Il centrosinistra, tuttavia, si muove come chi pensa di avere già la vittoria in tasca.
È il campo opposto a presentarsi come una voragine disseminata di macerie e segnata dall’incertezza.
L’idea di Berlusconi sarebbe quella di creare una sorta di federazione di movimenti che marciano divisi e colpiscono uniti; e questo comporterebbe di fatto la liquidazione del Pdl. L’istinto di sopravvivenza porta invece Alfano e la sua nomenklatura a contrapporsi alla strategia berlusconiana.
Ma è una resistenza disperata, che conferma quanto sia difficile guidare e cambiare il Pdl contro la volontà del suo fondatore.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)
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