Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
LA DDA REGGINA INDAGA SU RICICLAGGIO DEL DENARO DELLA COSCA DE STEFANO PER CUI E’ INDAGATO ANCHE L’EX TESORIERE DELLA LEGA.. LA TESTIMONIANZA DELLA SEGRETARIA DI VIA BELLERIO
Conti correnti fantasma, amiche pagate con i fondi del partito, regali ad amici e protettori politici.
Sullo sfondo un flusso di milioni di euro della Lega Nord che la Direzione investigativa antimafia sta ricostruendo nei minimi particolari partendo dalle rivelazioni della segretaria di via Bellerio Nadia Dagrada che, per prima, aveva svelato l’esistenza di due conti correnti “sconosciuti al partito”.
Questa mattina sono scattate le perquisizioni a Reggio Calabria, Milano e Genova.
Il sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo sta seguendo la pista dei soldi sporchi che sarebbero stati investiti dalla ‘ndrangheta utilizzando i canali finanziari dell’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito, arrestato per appropriazione indebita, riciclaggio e truffa.
Il filone calabrese dell’inchiesta “Breakfast”, che oltre un anno fa ha travolto il Carroccio, potrebbe arrivare a una svolta.
Su richiesta del procuratore Federico Cafiero De Raho e del pm Lombardo, il blitz della Direzione investigativa antimafia è scattato all’alba quando gli uomini del colonnello Gianfranco Ardizzone si sono presentati nelle filiali di sei istituti bancari a Milano e nelle sedi di tre importanti società reggine che, negli anni scorsi, hanno avuto rapporti con lo studio Mgim guidato dall’ex tesoriere dei Nar Lino Guaglianone e con il sedicente avvocato Bruno Mafrici.
Si tratta delle società dei fratelli Mucciola, che hanno sede a Reggio Calabria e a Milano, e di quelle degli imprenditori Michelangelo Tilaldi e Pietro Cozzupoli, soci privati della Multiservizi, la municipalizzata del Comune di Reggio infiltrata dalla cosca Tegano.
Nel tentativo di ricostruire gli investimenti della cosca De Stefano, 70 uomini della Dia hanno eseguito 25 perquisizioni domiciliari a Reggio, Milano e Genova.
Le accuse ipotizzate dalla Direzione distrettuale antimafia sono di associazione mafiosa e associazione segreta (la legge Anselmi) di cui farebbero parte personaggi legati alla massoneria e alla destra eversiva.
Ipotesi che hanno spinto gli uomini della Dia a ritornare a distanza di un anno nuovamente in via Durini, sede dello studio Mgim.
L’accesso ha riguardato anche l’abitazione di Bruno Mafrici che era stato interrogato il 3 aprile 2012 dai magistrati reggini.
Proprio il suo verbale e quello redatto in seguito al’interrogatorio di Belsito sono stati incrociati con la relazione sui server dello studio Mgim e hanno portato alle 15 pagine che compongono il provvedimento di perquisizione eseguito oggi dalla Dia di Reggio Calabria.
Provvedimento che riguarda anche l’ex consigliere comunale reggino di centrodestra Giuseppe Sergi il quale, stando a quanto trapela dagli ambienti investigativi e giudiziari, è indagato nell’inchiesta “Breakfast” assieme ad alcuni destinatari della perquisizione: Romolo Girardelli, Pasquale (Lino) Guaglianone, il suo socio Giorgio Laurendi, Bruno Mafrici, Michelangelo Tibaldi, l’investigatore privato genovese Angelo Viola (che aveva redatto il dossier contro l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni su incarico di Belsito) e il dipendente di una banca, Ivan Petroziello.
Non sono ancora iscritti nel registro degli indagati, invece, gli imprenditori Mucciola e Cozzupoli la cui posizione dipende, adesso, dall’esito della perquisizione.
Al magistrato Lombardo, il tesoriere della Lega ha riferito che tutte le operazioni finanziarie da lui effettuate sarebbero state autorizzate dal segretario Umberto Bossi.
“Non avevamo neanche la documentazione — aveva spiegato ai magistrati — I conti erano uno alla Banca Aletti e uno alla Banca popolare di Novara. Da questi venivano emessi tutta una serie di assegni. Secondo me Belsito pensava di creare confusione per evitare di far risalire dove fossero finiti i soldi, soprattutto per i prelievi di cassa che erano delle cifre spropositate sia per il Banco di Napoli, sia per Aletti”.
Per gli inquirenti, quei due conti correnti “segreti” rappresentavano il canale per “ripulire” i fondi neri.
Lo stesso canale che sarebbe stato messo a disposizione di personaggi interessati a ripulire i milioni di euro riconducibili alla cosca De Stefano.
È a questo punto, secondo la Dda di Reggio, che nell’inchiesta spuntano i nomi di Romolo Girardelli, detto “l’ammiraglio”, e del reggino Bruno Mafrici, l’ex consulente del ministro Calderoli sospettato di essere uno degli uomini chiave di cui si sarebbe servita la ‘ndrangheta per riciclare milioni di euro nei paradisi fiscali.
Un giro vorticoso di faccendieri, conti correnti e affari che incrociano le loro traiettorie in via Durini presso lo studio Mgim che prestava la sua consulenza a importanti società che operano a Reggio: aziende in odor di mafia, ma anche società miste come la Multiservizi per la quale Lino Guaglianone era stato interpellato per gestire l’ingresso dei prestanome della cosca Tegano nella municipalizzata del Comune di Reggio, sciolto nell’ottobre scorso per infiltrazioni e contiguità mafiose.
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
AVVISO A LETTA: “ORA TUTTO E’ POSSIBILE”… “DELUSO DA NAPOLITANO”
Adesso che la “pacificazione è finita”, come ripete un Cavaliere “stordito”, perfino “sconvolto” –
raccontano – dalla sentenza di “inaudita violenza”, adesso tutto può succedere.
E la crisi in autunno diventa sempre più concreta, perfino probabile, stando a chi parla col leader. Di certo, parte subito una mobilitazione del Pdl per chiamare in causa direttamente il capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Arcore, interno tramonto, fortino blindato. Accessibile telefonicamente solo ad Alfano e a pochi dirigenti.
Silvio Berlusconi accusa il colpo, di più, non ha quasi la forza di reagire, mentre sui siti di tutto il mondo campeggia la sua condanna più pesante sotto il profilo dell’immagine.
La forza c’è giusto per buttare giù poche righe di reazione col portavoce Paolo Bonaiuti, ma per la prima volta in quelle righe non viene garantita la sopravvivenza del governo, non viene distinto il piano giudiziario da quello politico.
Non a caso. Tutto può succedere, appunto.
Nel faccia a faccia che il leader Pdl dovrebbe avere con il premier Enrico Letta, Berlusconi intende mettere in chiaro che così “non si va lontano”.
Si doveva parlare dell’imminente Consiglio europeo.
In realtà il Cavaliere fisserà un nuovo pesante paletto a un presidente del Consiglio che pure considera amico.
“A questo punto la riforma della giustizia dovete inserirla tra le priorità , è un’emergenza democratica e può riguardare qualunque cittadino, lo pretendo” ha preannunciato al vicepremier Angelino Alfano.
Lui, come gli altri tre ministri Pdl, questa volta sono usciti allo scoperto esprimendo piena solidarietà al capo. A tutti loro ha assicurato che il governo non cadrà per i processi, “ma per le emergenze economiche, se l’esecutivo non sarà in grado di farvi fronte, se continueranno a non arrivare risposte”.
La dead line insomma si sposta in autunno, ma diventa concreta, minacciosa come mai prima d’ora, nella strategia di un leader che intravede il virtuale patibolo giudiziario all’orizzonte.
Subito dopo l’estate, dunque a ridosso della sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset (con relativa interdizione dai pubblici uffici) ogni momento diventerà quello propizio per staccare la spina.
“È la fine del governo, è la fine del governo”, gongolava ieri sera più di un falco.
Del resto, il fedelissimo Sandro Bondi lo dice apertamente che sarebbe “assurdo pensare che il governo possa lavorare tranquillamente mentre si massacra politicamente” Berlusconi.
Oggi salta la prevista riunione dei gruppi parlamentari Pdl.
Troppo alto il rischio che finisse in scontro aperto tra moderati e pasdaran pronti a ritirare il sostegno e i ministri al governo fin da subito.
Del resto, gli umori del Cavaliere in queste ore sono quelli che sono.
Lo sconforto di cui parlano gli interlocutori serali si trasforma in amarezza profonda per “una sentenza da Unione sovietica, da stato etico” è il commento a caldo subito dopo aver assistito in diretta televisiva alla sentenza di Milano.
Ma è un’amarezza che sfocia in sconforto e, spiegano i suoi, anche in delusione nei confronti del capo dello Stato che secondo lo stesso Berlusconi avrebbe deluso certe aspettative.
“Ho fatto tanto per dare un governo al Paese, per garantire davvero la pacificazione e questo è il risultato” è l’altro sfogo.
E allora è proprio per chiamare in causa il presidente della Repubblica Napolitano che Brunetta e altri dirigenti stanno pianificando una iniziativa “clamorosa”.
Al momento si parla di una raccolta di “milioni di firme” da raccogliere in estate per invocare l’intervento del Colle contro la “persecuzione” del leader vittima della “guerra dei vent’anni”. “Sta alla sua coscienza da primo magistrato d’Italia” intervenire, è la tesi del capogruppo alla Camera.
Strategia di pressione che correrà parallela al battage mediatico-televisivo che sulle reti Mediaset su questo tema è già partito.
Già , l’impero Mediaset. In famiglia sono rimasti colpiti dal mezzo tracollo subito in borsa dal titolo, meno 5,3 per cento in un lunedì molto nero.
Sarà anche per quello che – anche in questo caso per la prima volta – i figli Marina e Pier Silvio intervengono per dirsi amareggiati e indignati contro il “castello di falsità ” su cui a loro dire sarebbe costruita la sentenza.
Adesso i passaggi cruciali incalzano, destinati ad alzare la tensione uno dopo l’altro. All’incontro con Letta di oggi Berlusconi farà seguire la direzione del partito di domani.
Sarà il momento della verità sul da farsi.
Poi l’escalation: giovedì il giudizio della Cassazione sul ricorso sul Lodo Mondadori, per il quale il Cavaliere è stato condannato a pagare 560 milioni di euro alla Cir, e nello stesso giorno si apre a Napoli l’udienza preliminare per la compravendita dei senatori.
È l'”accerchiamento” tanto temuto, che sembra ormai stringere il fortino di Arcore. Dice: “Vogliono eliminarmi, farmi fuori e hanno trovato il modo per farlo”.
Lui resta pronto comunque a vendere cara la pelle.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
“SILVIO LA CONDANNA SE L’E’ CERCATA, FINCHE’ AVEVA SOLO NOI MAGGIORENNI TUTTO E’ FILATO LISCIO”…MICHELLE E’ TRA COLORO CHE DOVRANNO RISPONDERE DI FALSA TESTIMONIANZA
“Non ho detto la verità perchè avevo paura di lui, ho anche ricevuto delle minacce”. Michelle Coincecao è una delle oltre venti ragazze per cui il tribunale di Milano ora valuterà la falsa testimonianza.
Lei è la brasiliana a cui viene affidata la marocchina da Nicole Minetti la notte del 27 maggio 2010 dopo il fermo in Questura e le insistenze di Silvio Berlusconi.
Da mesi in Brasile, la donna ha raccontato più volte la sua difficile convivenza con Karima e i resoconti delle serate ad Arcore cui ha partecipato Ruby e a volte anche lei in prima persona.
Inizialmente considerata una testimone chiave, ha perso credibilità dopo aver ritrattato la sua posizione, quando i riscontri investigativi hanno accertato che lei non era presente a Villa San Martino le sere in cui c’era la marocchina.
“Su questo io però non ho mai mentito – garantisce – ho magari evitato di dire delle cose per paura di vendette”.
Ma, aggiunge commentando la condanna, “se l’è cercato lui… fin quando aveva solo noi che non siamo minorenni tutto era più tranquillo. Spero che Ruby paghi per tutto il male che ha fatto, mi dispiace invece per Minetti”.
Poi si dice pronta a “raccontare se servirà qualunque cosa”. Ma ormai è tardi.
Falsa testimonianza. Per lei e le altre ragazze
Ma c’è anche chi si è affacciata nel circo del bunga-bunga e ne è scappata disgustata. Come Melania Tumini.
“So della sentenza, ma come sempre ho altro cui pensare”, evita di commentare.
E gentilmente ringrazia, ma lei, assieme a poche altre ragazze aveva denunciato quello che succedeva ad Arcore: “Un puttanaio”, racconta al telefono al padre e lo ripete ai pm in aula.
Tumini era stata reclutata da Nicole Minetti che la chiama per istruirla in vista della serata: “Ti volevo un attimo briffare. Cioè, ne vedi di ogni, la desperation più totale. C’è gente per cui è l’occasione della vita. Ci sono varie tipologie di… persone. C’è la zoccola, c’è la sudamericana che non parla l’italiano e viene dalle favelas, c’è quella un po’ più seria, c’è quella via di mezzo tipo Barbara Faggioli. E poi ci sono io che faccio quel che faccio, capito? ”.
Melania va, ma ne rimane scioccata.
Come lei si sottraggono al circo del bunga-bunga anche Imane Fadil, Ambra Battilana, Chiara Danese, Maria Makdoum e Natascha Teatino.
Le loro testimonianze hanno permesso di ricostruire il quadro di quanto effettivamente accadeva nella villa dell’ex premier, in quelle che il Cavaliere si ostinava a definire “serate innocenti”, “cene eleganti”.
Ma di altro, appunto, si trattava. Danese e Battilana sono considerate le testimoni chiave. Raccontano di essere state presentate a Emilio Fede.
Insieme si trovano ad Arcore il 22 agosto 2010. Raccontano che erano presenti, fra gli altri, Minetti, Marysthell Polanco, le gemelle De Vivo e Roberta Bonasia.
“Le ragazze si dimenavano, ballavano, cantavano ‘meno male che Silvio c’è’, si facevano baciare i seni dal presidente, lo toccavano nelle parti intime, e poi facevano lo stesso con Fede. Eravamo scioccate, in una situazione più grande di noi. A un certo punto Berlusconi, visibilmente contento, disse ‘siete pronte per il bunga-bunga?’, e tutte in coro hanno urlato ‘Siiii!’”, raccontano le due.
Il Cavaliere “si fece portare una statuetta di Priapo e la fece girare tra le ragazze, chiedendo loro di inscenare un giochino erotico”.
Disgustate se ne andarono e Fede le rispose: “Se volete andare via, va bene, ma non pensate di fare le meteorine o miss Italia”.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
ORA TRENTA TESTI RISCHIANO DI ESSERE INCRIMINATI PER FALSA TESTIMONIANZA…E BERLUSCONI RISCHIA L’IMPUTAZIONE PER CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI
Rischiano un processo per falsa testimonianza a favore di Silvio Berlusconi alcuni membri di
governo e parlamentari, oltre che diverse arcorine e ospiti delle serate del bunga-bunga ad Arcore.
Ieri, infatti, il tribunale di Milano ha rinviato gli atti alla procura di 30 testimoni, compresi il viceministro agli esteri Bruno Archi, la deputata del Pdl Maria Rosaria Rossi, l’europarlamentare del Pdl Licia Ronzulli, l’ex parlamentare del Pdl e attuale consigliere per la politica estera di Berlusconi Valentino Valentini.
Il tribunale propone l’indagine anche per la funzionaria di polizia Giorgia Iafrate che la sera del 27 maggio 2010 mandò a casa di una prostitutta, Michelle Coincecao, la minorenne Ruby, formalmente affidata alla consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti.
Una scelta rivendicata in aula, quando Iafrate alzò la voce in risposta alle domande di Ilda Boccassini.
La scelta del tribunale fa pensare (anche se bisogna aspettare le motivazioni) che le giudici abbiano pienamente creduto alla pm dei minori Annamaria Fiorillo.
Chiamata a testimoniare, aveva confermato di aver disposto per Ruby o la comunità per minori o il fermo in questura.
Per aver dichiarato questo in televisione, quando l’allora ministro Roberto Maroni disse in Parlamento (supportato da un comunicato di Bruti Liberati) che la questura aveva fatto il proprio dovere, è stata condanna dalla sezione disciplinare del Csm.
Tra i possibili falsi testimoni, anche l’ex direttore del Tg1 e del Tg5 Carlo Rossella e Giorgio Puricelli, ex consigliere regionale in Lombardia del Pdl e fisioterapista del Milan.
Ci sono pure i musicisti Mariano Apicella e Danilo Mariano che, in pieno processo, hanno venduto le loro case, a un ottimo prezzo, a un’agenzia immobiliare legata a Berlusconi.
L’elenco dei possibili imputati di un possibile “Ruby 3” comprende anche diverse “Papi girl”. Alcune di loro continuano a beneficiare di uno stipendio al di sopra della media per un italiano, 2.500 euro, o hanno ricevuto bonifici e altri regali: Eleonora e Concetta De Vivo, Marysthell Polanco, Raissa Skorkhina, Roberta Bonasia, Michelle Coincecao, Barbara Faggioli, Lisney Barizonte, Joana Visan, Cinzia Molena, Marianna Ferrara, Manuela Ferrara, Miriam Loddo, Joana Claudia Arminghioali, Francesca Cipriani.
Inviate ai pm anche le deposizioni di Antonio Passero, Serena Facchineri, Renato Cerioli, Lorenzo Brunamonti e Simonetta Losi.
Ora la palla passa alla procura di Milano che deve valutare se chiedere il rinvio a giudizio per falsa testimonianza di chi è stato indicato dal Tribunale.
In astratto, la procura potrebbe anche ravvisare nuovi reati a carico di Silvio Berlusconi: quello di corruzione in atti giudiziari o di subornazione di testimoni.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
IN PUNTA DI DIRITTO LA SPIEGAZIONE TECNICA ALLA BASE DELLA PESANTE CONDANNA DEL CAVALIERE
Con la sentenza Ruby i nodi, per Berlusconi, vengono finalmente al pettine.
E il Presidente, dopo una prima condanna a quattro anni di reclusione confermata in appello, è stato ieri condannato a sette anni dalla IV sezione del Tribunale di Milano.
Sentenza giusta? Sentenza ingiusta? Non mi si chieda, su tale profilo, una valutazione.
Non avendo studiato gli atti del processo, ma avendo soltanto letto le cronache giornalistiche, non sono in grado di formulare un giudizio che vada aldilà dell’impressione personale.
E sulle impressioni personali non è consentito esprimere giudizi o valutazioni.
Non sarebbe serio.
Piuttosto, mi sembra utile commentare, in punto di diritto, il ragionamento che, stando al dispositivo letto in aula ieri pomeriggio, devono avere fatto i giudici per giungere alla pesante condanna pronunciata
Nel dispositivo i giudici hanno innanzitutto scritto di ritenere «Berlusconi responsabile dei reati a lui ascritti»; qualificato quindi «il fatto di cui al capo “a” dell’imputazione come concussione per costrizione» (dando quindi al fatto «una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione», come consentito dalla legge), e «ritenuta la continuazione», lo hanno condannato «alla pena di anni sette di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali». Hanno infine soggiunto che «visti gli artt. 317 bis sulle pene accessorie, 29 e 32 del c. p. (rispettivamente in tema di interdizione dai pubblici uffici e di interdizione legale) », si dichiara l’imputato «interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, nonchè in stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena».
Entrambi i profili così enunciati meritano una spiegazione tecnica.
Berlusconi era imputato di due reati: del delitto di concussione previsto dall’art. 317 c. p. per avere telefonato in Questura da Parigi la sera del fermo di Ruby pretendendo il suo rilascio (avvenuto secondo le modalità ormai ampiamente note), del delitto di prostituzione minorile nella forma meno grave prevista nel comma 2 dell’art. 600 bis c. p. («atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o altra utilità »).
Il Tribunale ha giudicato il Presidente responsabile di entrambi i reati.
Con riferimento alla concussione è interessante rilevare che il collegio ha ritenuto di dovere specificare di avere assegnato al fatto una definizione giuridica diversa da quella originaria, qualificandolo come «concussione per costrizione».
Questa precisazione è conseguenza della circostanza che, nelle more del processo, la disciplina del delitto di concussione (oggetto dell’imputazione originaria) è cambiata, in quanto la riforma Severino della corruzione ha«spacchettato» tale delitto in due diversi reati: la «concussione per costrizione», mantenuta nell’art 317 c. p. con pena invariata, e la «induzione a dare o promettere» (sostitutiva della originaria «concussione per induzione»), spostata in un articolo autonomo e considerata reato meno grave assimilabile alla corruzione piuttosto che alla concussione (tanto che è stata prevista anche la punibilità del soggetto «indotto»).
Il Tribunale avrebbe, a questo punto, potuto qualificare il fatto come concussione per costrizione, ovvero secondo la nuova, meno grave, configurazione di «induzione a dare o promettere».
L’avere optato per la prima configurazione significa, evidentemente, che ha ritenuto che nel comportamento dell’allora Presidente del Consiglio non fosse ravvisabile una mera«induzione», cioè una«spinta» più o meno forte della Questura ad agire in conformità ai propri desideri, bensì una pressione più intensa, qualificabile come una, sia pure implicita, minaccia.
Il che, sul terreno della ricostruzione del fatto, mi sembra alquanto significativo.
Ma non solo.
Nella configurazione giuridica del fatto come concussione per costrizione si ritrova anche la spiegazione della misura della pena concretamente inflitta.
La concussione per costrizione continua ad essere punita dal codice penale con la pena della reclusione da quattro a dodici anni.
Ebbene, a fronte di una pena edittale così elevata, sette anni di pena concretamente irrogata (che tiene oltre tutto conto anche della pena inflitta per la prostituzione minorile), appare assolutamente ragionevole, in linea con i criteri usualmente utilizzati nel commisurare in concreto la sanzione penale.
Come si è rilevato, il Tribunale ha altresì «ritenuto la continuazione» fra i due reati contestati (ha cioè ritenuto che essi sono stati commessi «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso»). Il che, da unpuntodivistapratico, significache, anzichè sommare materialmente le pene previste per i due reati, il giudice ha determinato la pena per il reato più grave (la concussione), aumentandola di una mera percentuale in ragione del secondo reato.
A rigore, un vantaggio per il condannato.
Quanto, infine, all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed all’interdizione legale, vi è poco da discutere: si tratta di conseguenze che seguono ex lege alla condanna pronunciata: l’art. 317 bis c. p. dispone infatti che la condanna per il reato di cui all’art 317 c. p. comporta automaticamente l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (e l’art. 29 c. p. soggiunge che essa segue comunque di diritto ad ogni condanna non inferiore a cinque anni) ; l’art. 32 c. p. prevede a sua volta l’interdizione legale a chi è stato condannato per un tempo non inferiore a cinque anni.
Carlo Federico Grosso
(da “La Stampa“)
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL DIRETTORE DE “LA STAMPA” SULLA CONDANNA A SETTE ANNI COMMINATA A BERLUSCONI
La sentenza con cui il tribunale di Milano ha condannato Berlusconi a sette anni di carcere e
all’interdizione perpetua dai pubblici uffici segna insieme la fine dell’avventura politica del Cavaliere, e più in generale quella della Seconda Repubblica, di cui per altro l’ex-Presidente del consiglio è stato l’uomo simbolo, come Andreotti lo era della Prima.
In passato, anche in tempi recenti (si pensi alle elezioni politiche del 24 febbraio), Berlusconi ci ha abituato ad improvvise cadute e a subitanee resurrezioni.
Ma stavolta è peggio di tutte le altre, come lui stesso sa o incomincia a capire, anche se ieri ha preferito negarlo nella prima reazione ufficiale.
Vent’anni fa, quando Craxi fu colpito dal primo avviso di garanzia, non tutti scommettevano sul suo declino
Lo capirono dopo qualche mese, quando il leader socialista era ormai sommerso da una sequela di comunicazioni giudiziarie, e prima degli ordini di cattura scelse la strada dell’esilio.
Lo stesso accadde quando Andreotti fu accusato di rapporti con la mafia e c’era chi sorrideva sulla scena inverosimile del bacio con Totò Riina.
Al di là dei caratteri, e delle scelte opposte dei due illustri predecessori, sul modo di gestire i propri guai giudiziari, è fin troppo evidente che la magistratura ha riservato a Berlusconi lo stesso destino.
La lezione di vent’anni fa ci dice che è inutile far finta di no, o evitare di prendere atto: tanto è così.
Si potrà discutere – anzi si dovrà – sul comportamento dei giudici di Milano che hanno fatto calare la ghigliottina sul collo del Cavaliere.
La condanna a una pena superiore a quella chiesta dalla pubblica accusa, la scelta di riconoscere la fattispecie più grave del reato di concussione appena riformato dall’ex ministro Severino (con l’introduzione, va ricordato, anche di una contestata versione più lieve che aveva consentito di recente all’ex Presidente della Provincia di Milano, il Pd Penati, di salvarsi), la pena aggiuntiva dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, cioè dalla vita pubblica e parlamentare, oltre alla decisione sorprendente di chiedere alla Procura di incriminare per falsa testimonianza i testi della difesa, sono tutti segnali inequivocabili.
Presto, molto presto, come hanno dimostrato i giudici di appello che in soli tre mesi hanno confermato l’altra condanna a quattro anni per i fondi neri Fininvest, anche questo verdetto subirà la stessa sorte.
A Berlusconi a quel punto resterà solo la carta della fuga, come qualcuno già ieri sera si spingeva a prevedere, o quella, estrema ancorchè più regolare, della Cassazione: ma sarebbe ingenuo illudersi che sentenze così pesanti, ribadite in secondo grado, non influenzino i membri della Suprema Corte, caricando l’imputato di pesanti precedenti che non potranno non condizionare il giudizio definitivo che lo aspetta.
La fine, meglio sarebbe dire l’abbattimento per via giudiziaria, della Seconda Repubblica (già in corso da tempo, va detto, non solo a causa di Berlusconi, ma anche all’ondata generalizzata di corruzione che ha investito le amministrazioni locali) apre un vuoto anche peggiore di quello lasciato dal crollo della Prima.
Allora, infatti, l’onda d’urto di Tangentopoli era stata affiancata, per non dire sovrastata, dalla reazione di indignazione, accompagnata anche dal desiderio di rinnovamento, espressi dai referendum elettorali del 1991 e ’93.
E dall’introduzione del maggioritario e dei collegi uninominali, che offrivano ai cittadini, non va dimenticato, l’occasione – svanita purtroppo assai presto di poter scegliere direttamente i governi e rinnovare radicalmente i rappresentanti da mandare in Parlamento
La transizione cominciata in quegli anni doveva purtroppo arenarsi in breve tempo, approdando alla confusione e allo scontro continuo in cui l’Italia si trascina da quasi un ventennio.
Così, giorno dopo giorno, siamo arrivati a oggi.
Un sistema politico ormai indebolito e incapace di autoriformarsi non ha potuto che soccombere a una magistratura forte; anzi resa più forte, in pratica l’unico potere sopravvissuto alla crisi delle istituzioni, dalla mancanza di riforme.
La caduta di Berlusconi, per quel pezzo del Paese – una metà ridottasi via via a un terzo – che lo aveva seguito come un idolo, affidandogli tutti i propri sogni e i propri timori, cancella di colpo ogni illusione.
Il centrosinistra non è più in grado, al momento, di rappresentare l’alternativa, con o senza l’ausilio della dissidenza grillina e di qualche maggioranza raccogliticcia.
Il governo delle larghe intese, che doveva favorire la pacificazione, dopo l’inutile e infinita epoca della guerra civile, sopravviverà , in una sorta di sospensione, magari ancora per un po’.
Ma senza alcuna agibilità politica e senza la forza necessaria per affrontare la gravità del momento.
Saranno in tanti, malgrado tutto, ad aggrapparcisi.
Come a una zattera in mezzo alla tempesta.
Marcello Sorgi
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELL’EDITORIALISTA DI “LIBERO” SULLA CONDANNA A SETTE ANNI COMMINATA A BERLUSCONI
Ilda Boccassini non c’era, ieri, e non c’era neanche Silvio Berlusconi.
Lui fu inquisito per la prima volta nel 1994, quando aveva 58 anni ed era presi- dente del Consiglio; Ilda Boccassini nel 1994 aveva 45 anni ed era reduce da esperienze importanti in Sicilia sulle orme degli assassini di Falcone e Borsellino, e stava appunto per coinvolgere Berlusconi in inchieste pesantissime su corruzioni giudiziarie.
Poi c’eÌ€ un terzo soggetto, Karima el Mahroug, detta Ruby, in quel 1994 si limitava a ciucciare il biberon percheÌ aveva un anno.
Ora, una ventina d’anni dopo, Berlusconi ha 77 anni e poco tempo fa era (ancora) presidente del Consiglio oltre a essere (ancora) processato dalla Procura di Milano, sempre per mano di (ancora) Ilda Boccassini, che ora ha 62 anni e ha finalmente ottenuto una pesante condanna: e per che cosa?
Per una concussione che resta improbabile e per un’ipotesi di prostituzione minorile a cui non crede nessuno. EÌ€ la veritaÌ€. Comunque fosse andata, ieri, ci piace credere che Ilda Boccassini non avrebbe saputo come gestire la propria reazione: l’amarezza per una sconfitta, l’amarezza per una vittoria.
Non ci credevano neanche i giornalisti: nessuno pronosticava una condanna del genere.
C’erano cronisti che scrissero del celebre invito a comparire del 1994 (quello di Napoli, quello che affossoÌ€ un governo e fece eco in tutto il mondo) e che da tre anni si occupano di mignotte e di «bunga bunga» come se fosse normale, come se non fosse una parodia che finisce in farsa. Giornalisti che sono italiani come gli altri, divisi tra chi pensa che l’affare Ruby corrisponda a fatti privati senza importanza e altri, invece, che ne ha fatto materia per serissime concussioni e tratte di minori spolverate di mera prurigine; divisi, pure, tra chi pensa che certe cose fossero degne delle prime pagine dei quotidiani e chi invece pensa che lo fossero solo di «Chi» e rotocalchi del genere.
Per anni i giornalisti hanno fatto questo: hanno tirato l’affare da una parte o dall’altra.
Bene, ora abbiamo la risposta: era una cosa seria.
Dopo vent’anni hanno incastrato Berlusconi, che emozione. Una grande vittoria della giustizia italiana.
Era il 27 maggio 2010 quando la diciassettenne marocchina Karima El Mahroug, sospettata di furto e senza documenti, venne portata alla Questura milanese di via Fatebenefratelli.
La prostituta brasiliana Michelle Conceicao, che ospitava Ruby a casa sua, decise di telefonare a Berlusconi che eÌ€ uno fatto cosiÌ€, di questo eÌ€ sicuramente colpevole: eÌ€ un signore che alla sua bell’etaÌ€ e nella sua posizione si mette nella condizione di farsi telefonare da una prostituta brasiliana.
EÌ€ un signore capace di telefonare al Capo di Gabinetto della Questura per chiedere che Ruby sia affidata a Nicole Minetti (invece che a una comunitaÌ€ per minorenni) percheÌ la marocchina era comunque un’amichetta sua.
Fu quello che accadde. Secondo i giudici non telefonoÌ€ nell’esercizio delle sue funzioni di premier, percheÌ i capi di governo in genere non si occupano della liberazione di giovani marocchine: fece valere, dunque, il peso del suo potere. EÌ€ un concussore.
EÌ€ vero che mancano i concussi (nessuno, in questura, ha mai detto d’aver subito pressioni) ma ai giudici eÌ€ bastato.
Il reato «maggiore» dunque si eÌ€ consumato liÌ€ — in questura — e ha trascinato con seÌ€ la prostituzione minorile che invece ci sarebbe stata ad Arcore, sede giudicata dal tribunale di Monza: cosiÌ€ Milano si eÌ€ presa tutto.
Ma la telefonata di Berlusconi era solo il preludio che introduceva la seconda ipotesi di reato, senz’altro meno «evidente» e piuÌ€ indiziaria.
Ed ecco il mitico quesito: Berlusconi sapeva che Ruby era minorenne, al momento della chiamata?
I pm hanno evidenziato una «prova logica» piuÌ€ alcune testimonianze: se non l’avesse saputo — hanno detto — non c’era ragione di chiedere a Nicole Minetti che Ruby le fosse data in affido; inoltre la funzionaria che si occupava dell’identificazione, Giorgia Iafrate, ha messo a verbale che «il questore mi disse che la ragazza era l’unica minore presente in questura».
E il questore come faceva a sapere che era una minore? L’ha messo anche lui a verbale: «Nel corso della telefonata con il premier, era implicito che si parlasse di una minorenne percheÌ si parloÌ€ di affido di una persona priva di documenti».
Dalle motivazioni della sentenza capiremo meglio, ma va ricordato che ieri i giudici hanno anche disposto un’indagine per falsa testimonianza contro un agente della questura.
La versione dei funzionari dello Stato del resto non eÌ€ mai piaciuta, e basti ricordare le reazioni scomposte che registroÌ€ il procuratore Capo Edmondo Bruti Liberati quando disse che secondo lui in Questura non aveva mentito nessuno: «I giudizi di Bruti Liberati non erano richiesti, avrebbe fatto bene a tacere, le sue dichiarazioni diventano una forma di pressione nei confronti della Magistratura» disse per esempio l’europarlamentare Sonia Alfano, spalleggiata dal Fatto Quotidiano.
Lo schema era delineato sin dall’inizio: da quel tardo ottobre 2010, cioeÌ€, in cui fuggirono le prime notizie su un interrogatorio estivo di Ruby. Repubblica scrisse addirittura che «l’inchiesta giudiziaria eÌ€ forse giaÌ€ compromessa da un’accorta fuga di notizie»: divertente.
Che poi erano, le notizie, i parziali deliri della marocchina: cene ad Arcore con George Clooney (ed Elisabetta Canalis e Daniela SantancheÌ€) piuÌ€ «due ministre» nude e una sola certezza: Ruby aveva detto a Berlusconi di avere 24 anni ed escludeva di aver fatto sesso con lui. Vero? Falso? Ma soprattutto: reato?
Il 21 dicembre 2010 Berlusconi venne indagato.
Emerse che nella sua residenza di Arcore si sarebbero svolti dei festini con ragazze dello spettacolo piuÌ€ vile»: come se i rapporti tra giustizia e politica prima andassero a meraviglia.
Il 14 gennaio 2011 il procuratore Bruti Liberati inviò la domanda di autorizzazione a procedere in Parlamento.
Il 15 febbraio Berlusconi venne rinviato a giudizio con rito immediato, mentre Nicole Minetti, piuÌ€ l’allora direttore del Tg4 Emilio Fede e il manager Lele Mora, verranno imputati separatamente per induzione e favoreg- giamento della prostituzione minorile.
Questo in ottobre, proprio quando furono pubblicate le 389 pagine di intercettazioni (più un supplemento di altre 227) disposte dalla procura milanese: finì tutto sui giornali e sul web, compresi i numeri di cellulare.
I primi a diffondere le carte furono il sito Dagospia e quello di Libero, poi chiunque abbia voluto. Conversazioni, gente che non c’entrava niente, una miriade di ragazze accompagnate da una didascalia virtuale: puttane. A vita.
Ad Arcore c’era una discoteca priveÌe, e una specie di casting. Il priveÌe aveva i divanetti, il banco bar e i bagni come una discoteca.
Il casting consisteva nell’essere invitate a cena da due o tre personaggi dedicati.
Chi voleva, alla fine, poteva scendere in questo priveÌe (soprannominato Bunga Bunga) ma non era mica obbligatorio.
Giù le ragazze si travestivano, ballavano, facevano le sceme, trenini, ammiccamenti, cazzate, messa in mostra.
L’ultimo step era scegliere se fermarsi a dormire, opzione che molte partecipanti cercano di favorire.
Tutto il resto era a discrezione, compresa la facoltà del proprietario di fare regali, favori o, come si dice, di rimborsare le spese.
Qualcuno — la magistratura — ha sostenuto che fu invitata anche una minorenne, e che Berlusconi abbia fatto pressioni indebite per non farla chiudere in una comunitaÌ€.
E gli hanno dato l’ergastolo politico.
Filippo Facci
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL DIRETTORE DI “REPUBBLICA” SULLA CONDANNA A SETTE ANNI COMMINATA A BERLUSCONI
Un’Italia compiacente e intimidita si chiede che cosa succederà adesso, dopo la sentenza sul caso
Ruby del Tribunale di Milano che condanna in primo grado Silvio Berlusconi a sette anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nessuno si pone la vera domanda: cos’è successo prima, per arrivare ad una sentenza di questo genere?
Cos’è accaduto davvero negli ultimi vent’anni in questo sciagurato Paese, nell’ombra di un potere smisurato e fuori da ogni controllo, che concepiva se stesso come onnipotente ed eterno?
E com’è potuto accadere, tutto ciò, in mezzo all’Europa e agli anni Duemila?
La condanna sanziona infatti due reati molto gravi – concussione e prostituzione minorile – sulla base del codice penale, dopo un processo di due anni e due mesi, con più di 50 pubbliche udienze.
L’accusa ha dunque avuto ragione, vedendo un comportamento criminale nel tentativo di Silvio Berlusconi di sottrarre una minorenne accusata di furto al controllo della Questura, imponendo ai funzionari la sua autorità di presidente del Consiglio, addirittura con l’invenzione di uno scandalo internazionale, perchè Ruby era «la nipote di Mubarak».
La difesa sostiene che non ci sono vittime per i reati ipotizzati, non ci sono prove e c’è al contrario la criminalizzazione di uno stile di vita e di comportamenti privati (le cosiddette “cene eleganti”), distorti da una visione voyeuristica e moralista che li ha abusivamente trasformati in crimine, fino alla sanzione di un Tribunale prevenuto, anche perchè composto da tre donne.
Io credo in realtà che ci sia un metro di giudizio che viene prima della condanna e non ha nulla a che fare con il moralismo.
Si basa su due elementi che Giuseppe D’Avanzo quando rivelò questo scandalo richiamò più volte – da solo e ostinatamente – sulle pagine di “Repubblica”.
Sono la dismisura e l’abuso di potere.
Di questo si tratta, e cioè di due categorie politiche, pubbliche, e impongono un giudizio politico per un leader politico che nel periodo in cui è scoppiato il caso Ruby aveva anche una responsabilità istituzionale di primissimo piano, come capo del governo italiano.
«La questione – scriveva D’Avanzo – non ha nulla a che fare con il giudizio morale, bensì con la responsabilità politica. Questo progressivo disvelamento del disordine in cui si muove il premier e della sua fragilità privata ripropone la debolezza del Cavaliere, tema che interpella la credibilità delle istituzioni», perchè tutto ciò «rende vulnerabile la sua funzione pubblica, così come le sue ossessioni personali possono sottoporlo a pressioni incontrollabili».
La dismisura dunque come cifra dell’eccesso di comando, grado supremo della sovranità carismatica, con il voto che cancella ogni macchia e supera ogni limite, rendendo inutile ogni domanda, qualsiasi dubbio, qualunque dovere di rendiconto.
E l’abuso di potere come forma politica di quella sovranità sciolta da ogni controllo, e insieme sua garanzia perenne.
Perchè nel sistema berlusconiano, dice D’Avanzo, «il potefondo:re statale protegge se stesso e i suoi interessi economici, senza scrupoli e apertamente.
Con l’intervento a favore di Ruby quel potere che sempre privatizza la funzione pubblica muove un altro passo verso un catastrofico degrado rendendo pubblica finanche la sfera privatissima dell’Eletto.
In un altro Paese appena rispettoso del canone occidentale il premier già avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni.
Nell’infelice Italia invece l’abuso di potere è il sigillo più autentico del dispositivo politico di Silvio Berlusconi. È un atteggiamento ordinario, un movimento automatico, una coazione meccanica».
Questo è ciò che ci interessa.
Il disvelamento clamoroso di comportamenti privati di un uomo politico che imbarazzano le istituzioni e addirittura le espongono al ricatto, e spingono quel leader ad alzare la posta dell’abuso, imprigionandosi ogni volta di più in una rete di richieste esose, traffici pericolosi, intermediari vergognosi, pagamenti affannosi: fino al momento in cui si avvera la profezia di Veronica Lario sul «ciarpame senza pudore» delle «vergini offerte al Drago», si costruisce un castello di menzogne sui rapporti con la minorenne Noemi, si soffoca nel taglieggiamento incrociato dei profittatori e mezzani Lavitola e Tarantini, e infine si inciampa nel codice penale sul caso Ruby, perchè qualcosa di inconfessabile spinge il premier a strappare quella ragazza dalla Questura, affidandola ad una vedette del bunga-bunga spacciata per “consigliere ministeriale”, per scaricarla subito dopo da una prostituta brasiliana.
Si capisce che questo processo milanese, costruito sull’inchiesta di Ilda Boccassini, sia stato vissuto da Berlusconi come la madre di tutte le accuse.
L’ex premier nei due anni del dibattimento ha potuto giocare tutte le carte della sua difesa, compreso lo straordinario peso mediatico di un leader politico che ha invocato “legittimi impedimenti” ogni volta che ha potuto spostando ad hoc persino le sedute del Consiglio dei ministri, e ha addirittura imbastito due serate di gran teatro televisivo (una prima della requisitoria, l’altra prima della sentenza) sulle reti di sua proprietà con una sceneggiatura che sembrava anch’essa di sua proprietà , per parlare direttamente alla pubblica opinione sanzionando in anticipo la propria innocenza.
Questo “concerto” aveva da qualche mese una musica di la “pacificazione”, che è il concetto in cui l’egemonia culturale berlusconiana tenta di trasformare la ragione sociale del governo Letta, nato dall’emergenza e dalla necessità , e dunque senza radice e cultura ideologica, com’è naturale per un esecutivo che tiene insieme per un breve periodo gli opposti, cioè destra e sinistra.
Questa necessità , e questa urgenza, per il Pdl e per i suoi cantori sono diventate invece qualcosa di diverso, quella “pacificazione” che dovrebbe chiudere i conti con il passato, sacralizzare Berlusconi come punto di riferimento istituzionale del nuovo quadro politico e del nuovo clima, farlo senatore a vita o vertice di un’improvvisata Costituente, in modo da garantirgli un salvacondotto definitivo.
Praticamente, è la proposta di prendere atto che lo scontro tra la legalità delle norme e delle regole e la legittimità berlusconiana derivata dal voto popolare sta sfibrando il sistema senza un esito possibile.
Dunque il sistema costituzionalizzi l’anomalia berlusconiana (reati, conflitti d’interesse, leggi ad personam, strapotere economico e mediatico) e la introietti: ne risulterà sfigurato ma infine pacificato – appunto – perchè nel nuovo ordine tutto troverà una sua deforme coerenza.
L’egemonia culturale crea senso comune, che in Italia si spaccia per buon senso. E dunque la destra pensava che il “clima” avrebbe prima addomesticato la Consulta, chiamata alla pronuncia definitiva sul legittimo impedimento che avrebbe ucciso il processo Mediaset, dove l’ex premier è già stato condannato a quattro anni.
Poi l’“atmosfera” avrebbe dovuto contagiare il Tribunale di Milano, già avvertito fisicamente del cambio di clima dalla manifestazione dei parlamentari Pdl sul suo piazzale e nei corridoi.
Infine la “pacificazione” dovrebbe salire le scale della Cassazione, per il giudizio Mediaset, sfiorare il Colle che ieri Brunetta chiamava in causa dopo aver definito la sentenza «atto eversivo», bussare alla porta di Enrico Letta (che ha già detto di no) e soprattutto del Parlamento, visti i tanti vagoni fantasma che aspettano nell’ombra delle stazioni morte il treno del decreto svuota-carceri, pronti ad assaltarlo con il loro carico di misure salva-premier, dalle norme sull’interdizione dai pubblici uffici fino all’amnistia, generosamente suggerita dai montiani.
Il disegno berlusconiano prevede colpi di mano emaggioranze estemporanee, col concorso magari di quei parlamentari cannibali del Pd che nel voto segreto hanno già dimostrato di essere buoni a nulla e capaci di tutto.
Da ieri tutto questo è più difficile.
La Consulta ha fatto il suo dovere, ricevendo in cambio accuse vergognose.
E il Tribunale di Milano ha portato fino in fondo il processo – che è il risultato più importante – assicurando giustizia e uguaglianza del trattamento dei cittadini davanti alla legge nonostante le intimidazioni preventive.
Nella sentenza c’è un giudizio di condanna durissimo, per due reati molto gravi, soprattutto per un uomo di Stato che ha rappresentato le istituzioni.
Non solo: il Tribunale ha trasmesso gli atti che riguardano 32 testimoni alla Procura, perchè valuti se hanno reso falsa testimonianza in dibattimento.
Sono ragazze “olgettine”, a libro paga del Cavaliere, amici suoi e stretti collaboratori, funzionari della Questura come Giorgia Iafrate.
Con questa decisione, il Tribunale sembra convinto di aver individuato una vera e propria rete di organizzazione della falsa testimonianza di gruppo.
Sarà la Procura a valutare se è così e chi è l’organizzatore, mentre è già chiaro che il beneficiario è Berlusconi. L’influenza economica, l’abuso di potere potrebbero arrivare fin qui.
Restano le conseguenze politiche.
La più netta, la più chiara, sarebbe il ritiro di Berlusconi dalla politica, come accadrebbe dovunque.
Ma in Italia non accadrà . La politica è il vero scudo del Cavaliere.
E il governo, con la sua maggioranza di contraddizione, è l’ultimo tavolo dove cercherà di trattare, assicurando qualsiasi cosa (la durata dell’esecutivo fino alla fine della legislatura, la personale rinuncia a candidarsi alla Premiership) in cambio di un aiuto sottobanco.
Altrimenti, salterà il banco, e dopo la breve parentesi da statista, il Cavaliere tornerà in piazza, incendiandola.
Perchè il populismo ha questa concezione dello Stato: o lo si comanda o lo si combatte, nient’altro.
Ezio Mauro
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL DIRETTORE DI “LIBERO” SULLA CONDANNA A SETTE ANNI COMMINATA A BERLUSCONI
Era impossibile condannare Silvio Berlusconi per aver concusso due funzionari di polizia, quando gli stessi poliziotti hanno sempre negato di esserlo stati.
Era impossibile dichiarare colpevole l’ex presidente del Consiglio per aver indotto Karima el Mahroug a prostituirsi, quando la stessa minorenne ha sempre sostenuto di non essersi prostituita al Cavaliere e nessuno l’ha mai vista a letto con lui.
Per farlo — per appioppargli una sentenza pesantissima di 7 anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici — il Tribunale ha dovuto percioÌ€ sostenere che tutti i testimoni sfilati durante il processo hanno mentito.
Agenti delle forze dell’ordine, parlamentari, un sottosegretario di governo, giornalisti, musicisti, ragazze: trenta persone tutte pronte a giurare il falso di fronte ai giudici pur di salvare l’ex premier dall’accusa piuÌ€ schifosa, quella di aver organizzato ad Arcore un centro di prostituzione cui avevano accesso anche ragazze sotto i diciotto anni.
La Corte, rappresentata da tre magistrati donne, ha deciso di essere più dura di Ilda la Rossa, aumentando addirittura la pena rispetto a quella non tenera avanzata dalla Boccassini.
Un anno in piuÌ€ di quanto avrebbe voluto la Procura, uno schiaffo in piuÌ€ per l’uomo che negli ultimi vent’anni ha rappresentato il centro-destra in Italia.
Si conclude cosiÌ€ — almeno per ora — una caccia all’uomo che dura dal giorno della sua discesa in politica.
Vent’anni di guerre giudiziarie. Vent’anni di accuse infamanti. Molte cadute nel nulla, le ultime andate a segno.
Nel caso di Ruby e della sentenza di condanna piovuta ieri sul capo di Berlusconi siamo al processo di primo grado, che dovrà essere confermato in appello e dalla Cassazione.
Ma se questa eÌ€ l’aria che tira nelle aule di Palazzo di giustizia, c’eÌ€ poco o nulla di positivo da attendersi.
Non staremo qui a rispiegare nel dettaglio percheÌ il processo al Cavaliere per la famosa telefonata in Questura non doveva concludersi in questo modo, anzi, non doveva neppure cominciare.
Basti dire che in tutta la vicenda non c’eÌ€ una parte lesa che si dichiari tale.
Non i poliziotti, i quali negano di aver violato i loro doveri d’ufficio e nessuno infatti li ha mai incriminati per questo.
Non Karima el Mahroug, che ha negato di aver partecipato a festini o incontri sessuali. Ma tutto ciò non è bastato.
Mesi di intercettazioni, impiego in forze di agenti di polizia giudiziaria, enorme investimento di denaro pubblico per non arrivare ad alcuna prova regina.
La pistola fumante, anzi il pistolino fumante come lo abbiamo ironicamente chiamato in un titolo di Libero di qualche tempo fa, non c’eÌ€.
Non uno che possa dire: sì, Berlusconi mi ha costretto a liberare la ragazza fermata da una volante.
Non uno che sia in grado di assicurare: eÌ€ vero, ho visto l’ex presidente del Consiglio appartarsi in camera da letto con Ruby.
Non c’eÌ€ nemmeno la certezza che il Cavaliere sapesse della minore etaÌ€ della ragazza, elemento determinante senza il quale crollano tutto il castello di accuse e la necessitaÌ€ di nascondere il fatto a qualcuno.
Per poter dire che era a conoscenza dei 17 anni di Karima el Mahroug, i pm hanno dovuto riesumare il teorema del «non poteva non sapere» in voga ai tempi di Mani Pulite, che in Tribunale non sentivamo scan- dito dai tempi in cui si incastroÌ€ Bettino Craxi.
Del resto, la sensazione che a distanza di vent’anni la storia si ripeta eÌ€ forte.
Anche allora la vicenda umana e politica di un leader riformatore si chiuse con accuse infamanti di soldi pubblici spesi in lussi, amanti e arroganza.
Craxi, uno dei pochi statisti che l’Italia abbia mai avuto, fu indotto all’esilio e moriÌ€ in terra straniera.
Per Berlusconi si vorrebbe un epilogo analogo: una fuga per evitare che scattino le manette. Tempo fa, prima che iniziasse il processo Ruby e incombesse la sentenza Mediaset sui diritti tv, raccontammo ai lettori un brutto sogno che si concludeva proprio così.
Il Cavaliere inseguito dalle ordinanze d’arresto, il centrodestra privato del suo leader, la restaurazione pronta a vincere. Oggi l’incubo si avvicina. In pochi mesi, il tempo del pronunciamento della Cassazione sull’accusa di frode fiscale, e l’ex premier potrebbe ritrovarsi fuori dal Parlamento, interdetto dalla politica.
Ancora ci rifiutiamo di credere che la magistratura voglia arrivare fino alle estreme conseguenze.
Ancora ci rifiutiamo di pensare che questo Paese faccia lo stesso errore di vent’anni fa, quando eliminoÌ€ per via giudiziaria un leader politico.
Il tempo per fermarci sull’orlo del baratro c’eÌ€, ma rischia di esaurirsi in fretta. Esiste la possibilitaÌ€ di pacificare l’Italia e c’eÌ€ un margine per garantire uno svolgimento regolare della vita democratica di una nazione.
Tuttavia, prima che accada il peggio, è indispensabile che qualcuno si svegli, soprattutto a sinistra.
Nel Pd vogliono riprovare a risolvere il problema con le manette?
Oppure hanno intenzione di evitare ciò che capitò a Craxi e di cui poi si pentirono? Attendiamo risposte.
Maurizio Belpietro
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