Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
PARLARE DI UNO DEI CINQUE GIUDICI DI DESTRA CHE HANNO CONDANNATO BERLUSCONI PER OSCURARE IL VERO FATTO: BERLUSCONI E’ UN EVASORE FISCALE
Alzare un’altra volta un gran polverone. Parlare del presidente Antonio Esposito, che ha condannato, con i suoi colleghi giudici della Cassazione, Silvio Berlusconi per oscurare il vero fatto: il leader del Pdl è un evasore fiscale.
Questo l’obiettivo del partito del Cavaliere, che si riflette anche sul Csm. Si spiega così la seduta straordinaria di ieri a Palazzo dei Marescialli dove la Prima commissione, competente per i trasferimenti ambientali, ha deciso — su proposta dell’area Pdl — di avviare un’istruttoria sulla controversa intervista di Esposito al Mattino di Napoli, il 6 agosto scorso, 5 giorni dopo la condanna di Berlusconi.
L’attività del Csm riprenderà il 9 settembre ma la Prima commissione, su chiamata del presidente Annibale Marini (laico del Pdl) si è riunita ieri pomeriggio “in via d’urgenza”. I laici del centrodestra accusano Esposito di aver “anticipato” al Mattino le motivazioni della sentenza Berlusconi per aver detto che un imputato viene condannato non perchè non poteva non sapere ma perchè sapeva.
Il relatore Mariano Sciacca, togato di Unicost, voleva acquisire immediatamente la trascrizione dell’intervista ma la sua proposta è stata respinta, in attesa di avere informazioni dalla procura generale della Cassazione che ha avviato un’indagine pre-disciplinare su Esposito e di conoscere la relazione del presidente della Corte, Giorgio Santacroce.
Comunque , precisa Marini, la commissione “si riserva iniziative”.
La presunta anticipazione delle motivazioni, negata da Esposito, non viene ravvisata neppure da alcuni membri del Csm, anche “moderati”, che abbiamo sentito: “Il passaggio ‘incriminato’ non è un’anticipazione ed è generico. In ogni caso non vi è stata alcuna anticipazione di giudizio dato che era già stata emessa la sentenza”.
Tutti, però, concordano, nel dire che Esposito non avrebbe dovuto parlare con il giornalista “per evitare strumentalizzazioni”.
Su cosa accadrà in commissione dipenderà anche da quanto deciderà la procura generale della Cassazione.
Se dovesse promuovere un processo disciplinare, allora la Prima commissione, secondo l’orientamento maggioritario, dovrebbe fermarsi.
Per quanto riguarda la sua istruttoria, potrà concludersi o con la richiesta di trasferimento o con la richiesta di archiviazione.
Oppure con una dichiarazione di incompetenza.
Ieri è stato deciso anche di tenere separata questa pratica da quella a tutela, richiesta da Esposito.
Dopo aver ascoltato la registrazione della sua conversazione, messa on line dal Mattino, il giudice ha ribadito che il contenuto dell’intervista è stato “manipolato” mentre il quotidiano difende la sua “correttezza”.
Per Esposito c’è stato l’inserimento di una domanda sul processo Mediaset “mai invece rivoltagli dal giornalista” e neppure presente nel testo inviatogli “via fax” prima della pubblicazione.
Per questo e per gli articoli soprattutto del Giornale e di Libero, “gravemente diffamatori”, Esposito ha chiesto al Csm la tutela della sua onorabilità di magistrato. Settimana prossima la commissione dovrebbe decidere almeno la data in cui cominciare a discuterne.
Una parte dei consiglieri preme perchè avvenga il prima possibile, dato che l’istruttoria per un eventuale trasferimento è stata aperta in un lampo.
Antonella Mascali
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Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
INTESA CON NAPOLITANO, E’ ALLARME PER L’IMMAGINE INTERNAZIONALE
La controffensiva di Letta alle minacce di crisi di Berlusconi si traduce in un’immagine: un nuovo governo che cerca e trova i voti in Parlamento sbattendo il Cavaliere all’opposizione.
Da giorni a Palazzo Chigi si ragiona sullo scenario peggiore: i cinque ministri e i 16 sottosegretari del Pdl si dimettono, il loro capo pronuncia un discorso di fuoco (magari nell’annunciato videomessaggio).
In questo caso il premier non si dimette. «Non sostituisce i dimissionari, si limita a distribuire gli interim. Poi, si presenta alle Camere per ottenere un’altra fiducia», fanno sapere i suoi più stretti collaboratori.
Significa anche tenere un bel pacchetto di poltrone a disposizione, un bocconcino per ingolosire transfughi e dubbiosi.
I numeri ci sono, garantiscono dal Partito democratico, che pure è terrorizzato dall’ipotesi del bis per le conseguenze che avrebbe sulla tenuta del suo popolo e della sua struttura.
Ma Giorgio Napolitano appoggerebbe senza tentennamenti la soluzione di una crisi che si svolge alla luce del sole, nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.
Dalla quale risulti evidente a chi attribuire la responsabilità della fine delle larghe intese
Per il momento il Quirinale non vuole drammatizzare la situazione. Calmare gli animi è l’obiettivo principale della nota di ieri. Mettere un freno «alla politica degli annunci e delle minacce perseguita da qualcuno», spiegano al Colle.
Perchè il tira e molla di Arcore sta già facendo un danno enorme all’Italia in una fase delicatissima.
Con il presidente del Consiglio impegnato al G20, con i venti di guerra che soffiano sulla Siria e che ci toccano direttamente (anche se è esclusa una nostra partecipazione militare) come dimostra lo spostamento dell’Andrea Doria nel mare del Libano, con i mercati in agguato. «Almeno fino al 9 tutte le forze politiche si devono impegnare a chiudere il rubinetto delle dichiarazioni », spiegano gli uomini vicini al capo dello Stato riferendosi soprattutto ai falchi del centrodestra.
Ma nella stessa nota si cerca di rassicurare anche Berlusconi, negando qualsiasi preparazione di una subordinata al governo attuale, ossia un Letta bis.
In realtà , il lavoro su un nuovo esecutivo procede a ritmi forzati a Palazzo Madama, dove Pd e Scelta civica sono lontanissimi da quota 161, ossia dal quorum di maggioranza. «Per molti di noi un’altra legislatura è impensabile, ma come facciamo a non passare per traditori se appoggiamo un nuovo governo?», si è confidato ieri il berlusconiano Maurizio Sacconi con un senatore di Monti.
Vuol dire che il gruppo del Pdl vacilla, che lo smottamento è possibile.
Gianfranco Miccicchè, che controlla una minuscola ma non irrilevante pattuglia siciliana, è stato visto a Palazzo Madama in questi giorni. «E qui, in tempi normali, non si vede mai», sibila un senatore leghista.
Nel gruppo del Pd danno per sicura la nascita di un Letta bis in caso di crisi.
Vengono contati almeno 12 senatori del centrodestra (che verrebbero in particolare da Sicilia e Puglia, regioni con molti parlamentari di prima nomina) e 8 grillini.
A loro vanno aggiunti il gruppo delle autonomie e dei socialisti (10), i 4 ex grillini del misto, i 7 di Sel e i 4 neosenatori a vita.
Se tutto le indiscrezioni fossero confermate, un Letta bis così potrebbe contare su 173 voti.
Se Berlusconi vuole aprire una crisi sa che dovrà fare i conti con questi numeri.
Ma sono cifre ballerine e che comunque darebbero vita a una maggioranza “raccogliticcia”, utile forse per la legge di stabilità e la modifica della legge elettorale. Forse.
E non sono numeri certi, a partire da quelli dei “traditori” Pdl. Non è detto poi che Nichi Vendola sia disponibile a farsi carico di questa responsabilità .
Anzi, i suoi ripetuti endorsement a favore di Matteo Renzi lasciano pensare che si prepari piuttosto alle urne.
Casini e i montiani stanno facendo scouting sui senatori del centrodestra e su quelli del gruppo Gal, contiguo al Pdl.
Mentre il Pd si occupa di sondare i grillini. Eppure molti sono pronti a scommettere che non tutti i 20 parlamentari di Scelta civica siano ben disposti verso l’“armata Brancaleone” che darebbe la fiducia al Letta bis: almeno tre hanno fatto sapere che potrebbero non starci.
E Benedetto Della Vedova aggiunge che con Monti «non abbiamo ancora affrontato l’eventualità di un nuovo governo».
Prudenza che porta alcuni alleati a temere un clamoroso smarcamento dell’ex premier. Chi dà per certa la nascita di una nuova traballante maggioranza pensa che funzioneranno i moniti di Napolitano e più prosaicamente l’attrazione per tante poltrone lasciate scoperte.
Ma nessuno sa se questo schema può tenere davvero, come reagirà Matteo Renzi (che è la variabile esterna di qualsiasi tentativo) e se Letta accetterà di essere buttato di nuovo nella mischia. Stavolta con un progetto dal respiro brevissimo.
Alberto D’Argenio e Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
COLLOQUIO RISERVATO CON IL PLACET DEL CAVALIERE E DI MARINA BERLUSCONI
Nemmeno in guerra si interrompono le relazioni diplomatiche, e allora non è una fortuita coincidenza la nota del Quirinale con la quale Napolitano dice di confidare in Berlusconi per la tenuta del governo e il colloquio riservato concesso dal capo dello Stato a Confalonieri, presidente di Mediaset, membro del consiglio di amministrazione del «Giornale», ma soprattutto cuore braccio e mente del Cavaliere, l’amico di una vita, crocevia dei pensieri più intimi e delle iniziative più clamorose dell’ex premier.
Nemmeno in guerra si interrompono le trattative, e a Confalonieri è stata affidata l’ultima, la più difficile, per volontà del padre e della figlia, che l’altra sera attendeva trepidante l’appuntamento, siccome tanto i Berlusconi quanto i berlusconiani ritengono che sia «tutto nelle mani di Napolitano».
Così il patron del Biscione, che di sè dice sempre «non ci capisco di politica», si è incaricato di parlare di politica con i politici, ha fatto il giro romano delle sette chiese, ha consultato amici e avversari, prima e dopo la sua salita al Colle
Al Quirinale è giunto portandosi appresso il fardello di un destino a cui tiene e che è talmente grande da riverberarsi anche sui destini delle aziende, di un partito, del Paese.
Perciò la delicatezza del momento lo ha indotto a muoversi con un sovrappiù di riservatezza, per rispetto verso Napolitano e verso Berlusconi, di cui conosce il genio e al tempo stesso la razionalità che in questa fase è però minata da un forte senso di sconforto.
Grazia, servizi sociali, il tempo utile da guadagnare in giunta al Senato per evitare la tagliola della legge Severino con la decadenza e l’incandidabilità del Cavaliere: da un mese il catalogo è questo, e non è cambiato.
Ma per districarsi in un ginepraio di norme, procedure parlamentari, interessi politici e ragioni di Stato «è necessario muoversi senza far casino».
Non si contano più le volte che «Fedele» l’ha ripetuto in queste settimane a «Silvio», sostenendo che «facendo cadere il governo non si porta a casa nulla».
Epperò comprende l’amico, «come si fa a non capirlo», quando lo sente inalberarsi e impugnare la durlindana: «Già , ma poi quali sarebbero i vantaggi?»
Ciò che non tollera è l’insipienza tecnica e politica che ha condotto a questa situazione, gli azzeccagarbugli che frequentano i palazzi di giustizia e della politica.
E ascolta con fastidio quelli del tanto peggio tanto meglio, quelli che «anche se nascesse un altro governo, sarebbe paralizzato perchè noi controlliamo le commissioni con le presidenze».
«Ma chi se ne frega delle commissioni, c’è di mezzo la vita di Berlusconi», ha urlato una volta durante una riunione, non avendo altro da difendere che «Silvio».
Ecco l’impolitico che si fa politico, quello che durante la visita a Napolitano mantiene la freddezza necessaria nel colloquio, ma ha il cuore piccolo perchè si rende conto che stavolta l’amico dovrà accettare un compromesso, se vorrà , a meno di preferire la via della rottura.
Perchè l’agibilità personale per Berlusconi può essere garantita con un atto di clemenza, non l’agibilità politica, almeno non come la vorrebbe il Cavaliere.
In un caso come nell’altro va posta la parola fine alla commedia degli equivoci, perchè la partita è alle mosse conclusive, le opzioni sono sul tavolo ed è il momento per il leader del Pdl di scegliere.
Così Confalonieri – e con lui Gianni Letta – riportano a Berlusconi un messaggio che la nota ufficiosa del Quirinale conferma e che spazza via i sospetti, le preoccupazioni, le angosce della trappola coltivate dall’ex premier.
Il segnale del Colle viene infatti accolto ad Arcore con sollievo, e il barometro che ancora l’altra sera segnava tempesta mentre Berlusconi discuteva a cena con la Santanchè, ieri sera faceva registrare un ritorno al sereno mentre Alfano veniva ricevuto nella villa del Cavaliere.
E chissà se questo stato d’animo durerà e alla fine prevarrà , è certo che il leader del Pdl ha riposto per ora in un cassetto il videomessaggio incendiario preparato mercoledì con toni bellicosi verso il governo, e ha iniziato a parlare di sè sempre in terza persona ma in altro modo, calandosi negli antichi panni dell’imprenditore, svestito dal ruolo politico e riconquistato all’azienda e alla famiglia.
Quanto ci sia del presidente di Mediaset in questo (ennesimo) cambiamento non lo si saprà mai, è certo che l’amico di una vita negli ultimi tempi gli ha sempre consigliato questa strada, «e lo dico nel tuo interesse Silvio, che non coincide con quello di quanti si approfittano di te».
Tocca al Cavaliere l’ultima parola.
Confalonieri esce di scena, anche se lui giura di non esserci mai entrato.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
I GIORNI DELL’IRA E DELLA PAURA: BERLUSCONI DEVE PRENDERE ATTO DEL SUO EPILOGO, NON CI SARA’ ALCUNA GRAZIA TOMBALE
Prima o poi doveva succedere. Il bipolarismo propiziato dal ventennio berlusconiano ha assunto un profilo “psichico” più che politico.
Destabilizzato dalla condanna in Cassazione e dalla mancata “pacificazione”, per lui unico movente che giustifica le Larghe Intese, il Cavaliere alterna i giorni dell’ira a quelli della paura.
La sera siede a tavola con la pitonessa Santanchè e annuncia la crisi. La mattina siede sul divano con il barboncino Dudù e si rimangia tutto.
Così non si può andare avanti. E dunque, a tre giorni da un 9 settembre italiano che la destra tinge con i colori dell’Apocalisse, è fatale che il presidente della Repubblica sia costretto a riscendere in campo.
Per presidiare ancora una volta le istituzioni. E per inchiodare Berlusconi alle sue responsabilità . Non solo verso il governo, ma verso il Paese.
La nota diffusa da Giorgio Napolitano è un tentativo estremo, forse l’ultimo, per evitare una rottura finora solo possibile, ma a questo punto sempre più probabile.
Il fatto stesso che il Capo dello Stato abbia dovuto compiere un atto politicamente così impegnativo conferma che stavolta l’allarme è eccezionale, perchè la minaccia è reale. Il piano inclinato sul quale scivola il voto della Giunta del Senato (da lunedì prossimo convocata per dibattere sulla decadenza dell’ex premier) porta dritto alla caduta del governo.
I segnali che filtrano, tra Arcore e Palazzo Grazioli, evocano scenari dirompenti. Come sempre, quando c’è da salvare il soldato Silvio.
Ministri del Pdl usati come scudi umani, che si dimettono o si autosospendono. Video-messaggi usati come armi improprie, che riecheggiano ed esasperano il grido di battaglia del 1994.
Un clima di guerra, verrebbe da dire, se non suonasse blasfemo l’uso di una parola purtroppo più adatta alla tragedia siriana che non alla tragicommedia italiana.
Eppure, proprio nelle ore in cui a San Pietroburgo il premier Letta è impegnato a decidere con Obama e Putin i destini del Medioriente, a Villa San Martino l’ex premier Berlusconi è impegnato a cannoneggiare l’esecutivo e a sabotare la maggioranza.
Un enorme danno d’immagine per l’Italia
Il Quirinale ribadisce e rilancia tre messaggi-chiave. Riflette un principio di necessità : a questo governo non c’è alternativa, è forte anche solo per questo e per questo il Colle non prende neanche in esame altre subordinate, nè il Letta bis nè un governo istituzionale con un’altra maggioranza nè, meno che mai, le elezioni anticipate. Riflette il principio di realtà : aprire una crisi adesso precipiterebbe il Paese «in gravissimi rischi», come hanno ampiamente dimostrato le reazioni nervose dei mercati e degli organismi internazionali di fronte alla nostra instabilità interna.
Riflette il principio di responsabilità : il Cavaliere ha subito una condanna definitiva, le sentenze vanno non solo rispettate ma anche eseguite, la giustizia deve fare il suo corso senza che le altre istituzioni subiscano “ritorsioni” per questo.
Dunque è inutile continuare a scaricare su altri la responsabilità di quanto accade. È inutile continuare a pretendere che la presidenza della Repubblica compia d’ufficio un impensabile gesto di clemenza.
È inutile continuare ad esigere un salvacondotto dal Parlamento, addossando sul Pd la colpa eventuale di averlo negato, e per questo di aver “ucciso” il governo
Napolitano si rivolge direttamente ed esclusivamente a Berlusconi. È lui, ormai, l’unico che deve prendere atto dell’epilogo, per quanto amaro e doloroso, della sua «Storia italiana».
È lui, ormai, l’unico che deve saper scindere i suoi destini personali da quelli del governo, della destra e perfino del Paese.
È lui, ormai, l’unico che deve accettare i fatti e rinunciare ai ricatti, rompendo una volta per tutte il legame incestuoso tra vicenda processuale e interesse nazionale.
È lui, infine, che deve dimostrarsi almeno per una volta coerente, rinunciando a staccare la spina a un esecutivo che ha più volte detto di aver voluto e di aver fatto nascere.
Se non lo farà , sarà a lui e non ad altri che i cittadini-elettori chiederanno conto, di fronte a una crisi al buio che può portare l’Italia all’ingovernabilità e lo spread a quota 500
Il Capo dello Stato fa un ultimo sforzo per far ragionare lo Statista di Arcore. «Conserva fiducia» nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi a sostegno della Grande Coalizione.
Una formula ardita, viste le prove rovinose fornite dal Cavaliere in quasi vent’anni di avventurismo politico, imprenditoriale e persino esistenziale.
Infatti le prime risposte che arrivano dalla corte di Arcore sono purtroppo disarmanti, e al tempo stesso inquietanti. Basta leggere Sandro Bondi, per rendersene conto. Il bardo della corte di Arcore ricalca per filo e per segno il testo di Napolitano, per sbattergli in faccia il guanto di sfida al quale la destra sembra ormai ineluttabilmente votata.
Il Pdl non solo non accoglie gli inviti del Capo dello Stato, ma «confida» a sua volta in lui perchè «non ignori la drammaticità della situazione, e prenda seriamente in esame un provvedimento esaustivo che le sue prerogative gli consentono di assumere nell’interesse dell’Italia».
Un provvedimento «che scongiuri gli effetti di una sentenza allucinante»
Siamo, ancora una volta, al “berlusconismo da combattimento”, che non si limita a respingere l’appello del Quirinale.
Glielo ritorce contro, chiedendo ancora una volta al presidente della Repubblica di osare l’inosabile. Di violare la Costituzione e i suoi principi. Di rinunciare alla forza del diritto in nome di un impensabile “diritto della forza”.
È una “grazia tombale”, che il Cavaliere esige ancora dal Capo dello Stato. Che lo mondi da tutti i suoi reati, e lo restituisca integro a un sistema politico e giuridico “violentato” e snaturato per sempre.
Se questi sono i presupposti sui quali si combatterà la battaglia finale, è fin troppo facile prevederne i prossimi sviluppi. Si profila un conflitto istituzionale senza precedenti, che vede il Cavaliere e le sue truppe all’attacco forsennato e disperato di Napolitano.
Un attacco che inizia oggi, visto che nella mente distorta di Berlusconi c’è ancora incistata l’idea folle di un “motu proprio” del Colle sulla grazia.
E che proseguirà domani, visto che se si apre una crisi il Cavaliere userà qualunque arma possibile per estorcere al Colle lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato.
È uno scenario da incubo. Un finale da Caimano. Ma per questo è preziosa la resistenza del Quirinale. E lo sarà anche quella del Pd.
La posta in gioco è troppo alta, e va ben al di là della banale contesa tra garantismo e giustizialismo, o tra riformismo e anti-berlusconismo. Un Lodo Violante. ammesso che esista o sia mai esistito, fa presto a diventare un altro Lodo Alfano.
Quel tempo è passato.
Non può e non deve tornare.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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Settembre 6th, 2013 Riccardo Fucile
“E’ UNA TRAPPOLA, ORMAI NON POSSO PIU’ FIDARMI”… MA LE VIE D’USCITA NON ESISTONO
Sconsolato, la chiama ormai «la trappola». Si sente in gabbia, Silvio Berlusconi. Senza vie di fuga.
E quando ieri Gianni Letta e Angelino Alfano hanno provato a spiegargli che la grazia è ancora possibile — «basta avere pazienza, Presidente, basta che tu la chieda e ti faccia da parte» — il Cavaliere ha reagito d’istinto, infuriato.
«Ma perchè devo fidarmi? Io piuttosto mi candido a premier e sarà guerra. Ma avete visto il comunicato? Napolitano dica piuttosto che posso continuare a fare politica»
Le hanno tentate proprio tutte, le colombe. Fin dal mattino. L’ambasciatore Letta ha riaperto il canale diretto con il Colle, facendo la spola tra Roma e Arcore.
E ha portato al Cavaliere l’unica mediazione possibile: «Silvio, devi chiedere la grazia. E fare un passo indietro. Non ci sono altre soluzioni possibili ».
Poi, a sera, è piombata in Brianza la nota del Quirinale. E Alfano ha provato a raccontarla nel modo migliore possibile: «Presidente, è il segnale»
Nulla da fare, pare. Perchè Berlusconi si sente preso in giro. «Perchè mi devo fidare?», ripete sempre più irritato alle colombe che cercano di indicargli la via della redenzione. Ormai ha messo nel mirino l’inquilino del Colle. Lo considera un avversario, lo accusa di alterigia: «Mi sta prendendo in giro ». La grazia sulla pena principale, infatti, non gli risolve il problema: ossia «l’agibilità politica».
Ma l’asso nella manica stavolta non c’è. E infatti l’umore oscilla insistentemente tra rabbia e disperazione. Drammatico, in particolare, è stato il pranzo consumato con i figli e lo stato maggiore delle aziende.
È lì che Berlusconi ha ripetuto ancora: «Ma cosa devo fare? Come esco da questa trappola? ». Nessuno è riuscito a consolarlo, solo a consigliargli moderazione. «Le oscillazioni dei titoli in Borsa non sono un problema – ha provato però a rassicurare – perchè tanto non devo vendere le aziende»
Tutto sembra pesare tonnellate, sulla bilancia di Arcore. Le aziende, che potrebbero risentire – anzi in Borsa già risentono – del clima di incertezza.
Le motivazioni della sentenza di condanna di Marcello Dell’Utri. E il rischio di uno scontro frontale con la magistratura. Un vecchio compagno di partito sostiene di aver toccato con mano gli incubi del leader: «L’ho sentito la settimana scorsa, è rimasto davvero scosso dalla vicenda Ligresti. È terrorizzato»
Anche Denis Verdini l’ha raggiunto ieri al telefono. Con il coordinatore Berlusconi valuta quotidianamente i piani di battaglia. I falchi, d’altra parte, gli assicurano che in caso di crisi difficilmente vedrà la luce un nuovo governo.
Uno di loro, nelle ultime ore, ha vantato con il Cavaliere addirittura un canale diretto con il professore Paolo Becchi, ideologo del grillismo. «E lui ci ha giurato che Grillo vuole solo le elezioni. Non ci saranno brutte sorprese».
La via è stretta, il successo quasi un miracolo. Ma l’idea è di correre – ancora una volta, sarebbe la settima – per Palazzo Chigi.
Toccherebbe prima all’ufficio elettorale circoscrizionale, poi a quello centrale valutare la candidatura di Berlusconi. E, in caso di duplice bocciatura, la mossa sarebbe quella di ricorrere al Tar. Dove, va ricordato, non esistono precedenti del genere per le Politiche, ma solo per elezioni locali.
«E se poi tutti i ricorsi vengono respinti? », si è informato il Capo. «Facciamo campagna elettorale lo stesso gridando al golpe. Tu fai la vittima e vinciamo», lo incitano i falchi.
Il sogno resta quello di strappare la maggioranza alla Camera dei deputati. E, da quel fortino, costruire uno “scudo” adatto al leader.
Il sogno, appunto. Poi c’è il pallottoliere e un Senato che rischia di trasformarsi in una palude. L’incubo dei «traditori». Ne bastano una decina per far nascere un Letta bis.
Anche perchè dal Colle i segnali che arrivano al Pdl continuano a escludere elezioni.
Ieri, in Transatlantico, Dario Franceschini continuava a scommettere su un bluff berlusconiano: «Altrimenti – sosteneva – dovremmo presentarci al Senato e chiedere la fiducia». E Gennaro Migliore, pronto: «I numeri ci sono, ne sono certo».
Il Pdl potrebbe non reggere all’urto di una crisi. Fra i ministri azzurri crescono dubbi e perplessità . Eppure, nonostante gli sforzi, lo strappo e il ritorno a Forza Italia restano a un passo.
Il videomessaggio per tornare all’antico logo è già pronto. Anzi, pare ce ne sia più di uno, con differenti gradazioni del livello di scontro.
Servirà ad annunciare la “rottura” e la nascita di Forza Italia, forse già domenica. Poi, lunedì, è in agenda un intervento alla “Telefonata” di Maurizio Belpietro.
E, a Sanremo, un’intervista pubblica durante una kermesse promossa dal “Giornale”. Ma tutto resta appeso a un filo. In pochi scommettono sul lieto fine. E così, quando alla Camera chiedono un pronostico a Pier Ferdinando Casini, la diplomazia democristiana lascia il posto allo scetticismo: «È un disastro… ».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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