Destra di Popolo.net

IL LAVORO SECONDO MATTEO: COSTI E OMISSIONI DEL JOBS ACT

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

EFFETTI COLLATERALI:   SERVONO DUE MILIARDI PER RIDURRE L’IRAP, I COSTI DELL’ENERGIA SALGONO E LA LEGGE SUI SINDACATI È GIà€ IN PARLAMENTO… ANALISI DEL PIANO DEL SINDACO

Quanto c’è di nuovo e, soprattutto, di fattibile nel tanto atteso Jobs Act di Matteo Renzi, annunciato nelle sue grandi linee mercoledì sera?
Ecco una prima analisi dei punti principali.

Taglio dell’Irap del 10 per cento finanziato dall’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie.
L’Irap vale 33 miliardi all’anno e serve a finanziare la sanità  delle Regioni. Ammesso che Renzi voglia ridurre del 10 per cento solo l’Irap privata, che vale una ventina di miliardi, dovrebbe comunque trovare 2 miliardi di copertura, un aumento del carico fiscale di circa il 20 per cento, non poco.

Energia: ridurre il costo del 10 per cento per le aziende attraverso un taglio degli “incentivi cosiddetti interrompibili”
Martedì sera a Otto e Mezzo Renzi aveva un’idea completamente diversa: tagliare gli oneri di distribuzione, cioè far pagare il conto alle reti (Terna e Snam) e ai venditori di energia. La nuova proposta invece mira a ridurre quei 600-700 milioni all’anno dati a grandi aziende disposte a subire un’interruzione della fornitura di energia. Il costo viene scaricato sulle altre imprese. Tagliare questi incentivi “interrompibili” avrà  come effetto immediato quello di far salire i costi per alcune grosse aziende.

Assegno universale per chi perde il lavoro, con obbligo di seguire un corso di formazione e di non rifiutare più di una proposta di lavoro.
L’assegno universale esiste già , è l’Aspi e la mini-Aspi introdotta dalla riforma Fornero nel 2012 e perde il diritto a riceverla chi “non accetti una offerta di un lavoro superiore almeno del 20 per cento rispetto all’importo lordo dell’indennità  cui ha diritto”. L’unica cosa che Renzi può fare è ridurre i requisiti necessari per accedere all’Aspi. A meno di non voler rivedere del tutto gli ammortizzatori sociali a partire dalla cassa integrazione

Obbligo di rendicontazione online ex post per ogni voce dei denari utilizzati per la formazione professionale finanziata da denaro pubblico.
Il pozzo oscuro della Formazione professionale è bene che sia illuminato perchè assorbe circa 600 milioni l’anno senza controlli. Non è detto, però, che una volta controllati i fondi il lavoro lo si crei davvero o i corsi divengano davvero formativi.

Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico.
Serve a contrastare l’inamovibilità  dei dirigenti della Pa anche se incapaci. Eliminare la garanzia dell’incarico a tempo indeterminato rende i dirigenti più soggetti alla politica.

Trasparenza: amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati devono pubblicare online ogni entrata e ogni uscita.
Sarebbe una novità  positiva, in particolare per le spese delle Pubbliche amministrazioni. Ma anche per partiti e sindacati, finora esentati dal rendere trasparenti i loro bilanci.

Nuovi posti di lavoro. Per sette settori (Cultura-Turismo-agricoltura, Made in Italy, Ict, Green economy, Nuovo Welfare, Edilizia , Manifattura), il JobsAct conterrà  un singolo piano industriale.

Il cuore del “piano del lavoro” di Renzi non ha concretezza. Si limita ai titoli.

Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro.
Il Codice del lavoro forse va presentato prima di otto mesi, il tempo delle attese non era finito?

Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40. Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Le forme di lavoro previste dalle attuali normative sono, probabilmente, 40 ma quelle utlizzate non arrivano a dieci (tempo indeterminato o determinato, contratti a progetto, lavoro interinale, lavoro stagionale, le “false” partite Iva, lo staff leasing e poco altro). Il contratto unico indeterminato è stato proposto inizialmente da Tito Boeri e Pietro Garibaldi e si basa sull’idea che basti una forma contrattuale in cui il raggiungimento di tutte le garanzie avvenga nell’arco di tre anni. Una razionalizzazione va verso la stabilità  solo se spazza davvero via tutte le tipologie contrattuali esistenti. Se si trasforma in un “processo” potrebbe significare solo un nuovo modo di chiamare la realtà  esistente.

Agenzia Unica Federale che coordini i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali.
La novità  più rilevante attiene alla possibilità  di erogare gli ammortizzatori sociali da parte di un’Agenzia unica che sostituirebbe l’Inps. I Centri per l’impiego sarebbero frequentati in modo significativo. Ma i 556 Centri diffusi in Italia danno lavoro solo al 3,7% dei richiedenti, mentre in Germania la percentuale è del 13. L’agenzia unica può servire a coordinare meglio ma, al fondo, la differenza sarà  fatta dalle effettive opportunità  di lavoro.

Legge sulla rappresentatività  sindacale e rappresentanti eletti dai lavoratori nei Cda delle grandi aziende.
La legge è già  in discussione alla commissione Lavoro della Camera. La si potrebbe approvare in poche settimane rendendo felici sia la Fiom che la Cgil. Sull’ingresso nei Cda delle aziende: il sistema tedesco, la Mitbestimmung, prevede la presenza dei lavoratori in Consigli di sorveglianza con possibilità  di intervenire sulle scelte aziendali e, anche, di nominare i manager. Ma non di divenire azionisti o amministratori dell’impresa.

Salvatore Cannavò e Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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“UN AUMENTO AD HOC ANCHE PER NOI”: ADESSO TUTTI GLI STATALI SI RIBELLANO

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

POLIZIOTTI IN PRIMA FILA: FORZIAMO IL BLOCCO DEI CONTRATTI

«Loro sì e noi no»: trovata una soluzione per uscire dal pasticcio sulla scuola, il governo Letta rischia di dover fare i conti con lo scontento di tutto il settore pubblico, comparto sicurezza in primis.
La legge di Stabilità  ha infatti esteso fino al 2014 il blocco dei contratti del pubblico impiego già  in atto per il 2010-2012, prevedendo anche un taglio del 10 per cento sulla spesa degli straordinari.
Al blocco non è sfuggito il settore della scuola, molto sensibile alla questione «scatto» perchè — visto l’impossibilità  per la gran parte degli insegnanti di ottenere progressioni in carriera — l’anzianità  resta unica possibilità  praticabile per ottenere un aumento dello stipendio.
E di fatto tale automatismo scomparso nel pubblico impiego fin dai tempi di Tremonti e Brunetta — è stato mantenuto in vita solo per la scuola e la sicurezza, comparto cui è riconosciuta una specificità  per via degli impegni richiesti (polizia o corpo militare, per esempio, non possono interrompere il servizio di sicurezza per il blocco degli straordinari)
Nella scuola, per mantenere lo scatto, si era ricorso ad una copertura «pescando» il necessario dalle risorse recuperate dal contenimento degli organici integrate con fondi destinati agli istituti.
Strada messa in pericolo appunto da quel «pasticcio» che ora sembrerebbe scongiurato, ma la soluzione trovata lascia comunque l’amaro in bocca agli esclusi.
Ben attenti a non scatenare quella che per primi definiscono «una guerra fra poveri», i sindacati si limitano a condannare la legge di Stabilità  — «Il blocco delle retribuzioni è insostenibile» denuncia Michele Gentile, responsabile della funzione pubblica per la Cgil — ma le sigle della sicurezza sono molto più polemiche.
«Sono contento per gli insegnati, ma sono arrabbiatissimo per noi e considero quello della scuola un risultato apripista» commenta Felice Romano, segretario generale del Siulp (sindacato unico di polizia).
«La funzione specifica che ci è stata riconosciuta è del tutto disattesa. Anche noi abbiamo subito il blocco degli scatti, nel biennio 2011- 2012 siamo riusciti a recuperarli in parte grazie ad uno stanziamento del governo e usando fondi destinati alla riforma delle carriere. Ora c’è l’impegno del ministro Alfano a liberare 100 milioni previsti nella legge di Stabilità  e mi auguro che il governo mantenga le promesse, ma la realtà  è che un agente che ottiene un avanzamento raddoppia le responsabilità , ma percepisce il vecchio stipendio. E’ scandaloso perchè le risorse ci sarebbero: basterebbe tagliare gli sprechi, a partire dalle auto blu ridotte nei fatti solo per la Presidenza del Consiglio».
Sulla stessa linea Daniele Tissone, segretario generale Silp-Cgil: «La vicenda scuola apre dei problemi per tutti i lavoratori della polizia e delle forze armate che hanno subito i blocchi introdotti dal governo Berlusconi. Ci aspettiamo delle risposte analoghe da parte del governo».
Rivendicazioni destinate a trovare sponda in Parlamento: «Se per pagare gli scatti agli insegnanti non si utilizzeranno risorse proprie del ministero dell’Istruzione si aprirà  un caso di sperequazione — commenta il generale Domenico Rossi, ex presidente del Cocer, oggi deputato dei «gruppi per l’Italia » (scissi da Scelta Civica) — altrimenti si tratterà  di   autocompensazioni ».
Soldi che dovevano servire per riformare la scuola e la sicurezza utilizzati per la loro sopravvivenza.

Luisa Grion
(da “La Repubblica”)

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LA FIAT NON SARÀ PIÙ PER IL POPOLO, MARCHIONNE ANNUNCIA: “PRODURREMO SOLO PER LA FASCIA ALTA”

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

SU “REPUBBLICA” SVELA IL FUTURO DELLE FABBRICHE, DELLA SEDE, DEL NUOVO GRUPPO CON CHRYSLER

Niente più automobili per il popolo.”Usciremo dal ‘mass market'” afferma Sergio Marchionne, ad di Fiat, che in una intervista al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, spiega il futuro della casa automobilistica italiana dopo l’acquisto di Chrysler. “L’America ci dà  valore – continua -. Rilanciamo l’Alfa e tutti gli operai rientreranno. Il futuro è questo”.
E aggiunge: “Puntiamo sulla fascia medio – alta e le accuse sul debito di Moody’s non mi preoccupano”.
L’America, spiega Marchionne, “ha creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte. Lì, a differenza che da noi, il cambiamento piace. La cura ha funzionato e il mercato è ripartito prima del previsto”.
“Ho avuto fin dall’inizio la faccia tosta di dire che Fiat non ci avrebbe messo neppure un euro – ha spiegato l’ad della casa automobilistica di Torino – Abbiamo restituito al governo americano tutti i soldi che aveva messo in Chrysler”, e aggiunge: “Non è una conquista, abbiamo creato una cosa nuova. Da oggi il ragazzo che lavora in Chrysler, quando vede una Ferrari per strada può dire: è nostra”.
“Usciremo dal ‘mass market’ – spiega Marchionne – per andare nella fascia Premium con Alfa e Maserati. Squadre di nostri uomini stanno preparando i modelli”.
E parlando degli impianti e quindi dell’occupazione, l’ad di Fiat ha spiegato che “A Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati. A Melfi le 500 X e piccole Jeep. A Pomigliano le Panda. A Cassino il rilancio dell’Alfa. Mi impegno: quando il piano sarà  a regime, la rete industriale italiana sarà  piena, naturalmente mercato permettendo”.
E quindi, “si, dico che con il tempo – ha affermato riferendosi agli operai – se non crolla un’altra volta il mercato, rientreranno tutti”.
Secondo l’ad Fiat, “questa operazione ha permesso la sopravvivenza dell’industria italiana in un mercato dimezzato. Ora possiamo ripartire con reti e basi più forti. La società  avrà  un nome nuovo. Ci quoteremo dove c’è un accesso più facile ai capitali. La sede verrà  decisa anche in base alla scelta di Borsa, ma avrà  un valore solo simbolico”.
Per Marchionne “La capacità  italiana di produrre sostanza e qualità , di lavorare e costruire è enormemente più apprezzata all’estero che da noi. Il carattere dell’automobile italiana esiste eccome. Tutto ciò è una ricchezza da cui ripartire. Noi siamo pronti ma se continuiamo a martellarci i piedi, invece di puntare al meglio, finirà  anche questa storia”.
Rispondendo alla domanda sull’interesse tedesco per l’Alfa Marchionne taglia corto: “se la possono sognare e credo che la sognino infatti. L’Alfa è centrale nella nostra strategia. Ma come la jeep è venduta in tutto il mondo ma è americana fino al midollo, così il dna dell’Alfa deve essere autenticamente tutto italiano, sempre, non potrà  diventare americano. Basta anche con i motori Fiat nell’Alfa Romeo. Così come sarebbe stato un errore produrre il suv Maserati a Detroit: e infatti resterà  a casa”.
In dettaglio, “Fiat andrà  nella parte alta del mass market, con le famiglie Panda e Cinqucento, e uscirà  dal segmento basso e intermedio. Lancia diventerà  un marchio soltanto per il mercato italiano, nella linea Y. La vera scommessa è utilizzare tutta la rete industriale per produrre il nuovo sviluppo di Alfa, rilanciandola come eccellenza italiana”.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A NUNZIA DE GIROLAMO: “ERO A CASA MIA, PARLO COME MI PARE”

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

IL MINISTRO, LA ASL E LE URLA PER IL BAR: “NON SONO INDAGATA, MAI CHIESTO DI FAVORIRE NESSUNO”

Il ministro Nunzia De Girolamo, per un po’, prova a fare finta di niente. E sparisce.
Tiene il telefonino spento.
Una prima gentile segretaria dice che comunque l’avvertirà  subito, certo, per il Corriere questo e altro.
Una seconda gentilissima segretaria giura di aver intanto girato il problema all’ufficio stampa.
L’ufficio stampa spedisce però una e-mail che sembra uscita dalle cronache di Narnia (Walt Disney): «Agroalimentare, De Girolamo: export registra numeri record».
Alle due del pomeriggio è il ministro in persona che va su Twitter e scrive: «Giornata parlamentare dedicata alla Terra dei fuochi. Salviamo la Campania!».
Davvero non ci sarebbe altro di cui parlare
No, perchè c’è una storia assai spiacevole che, da giorni, insegue «nostra regina del Sannio» (cit. Dagospia). La storia è questa: un dirigente sanitario della Asl di Benevento, Felice Pisapia, registra di nascosto alcune riunioni private avvenute in casa del papà  della De Girolamo nell’estate del 2012, quando lei non era ancora ministro ma solo una deputata del Pdl molto potente nei territori dove un tempo Clemente Mastella teneva di stanza il meglio delle sue truppe mastellate. Pisapia viene poi indagato per truffe varie, i nastri delle registrazioni vengono consegnati ai magistrati, un’informativa della Guardia di finanza ne elimina parzialmente il riserbo, le chiacchiere finiscono sulle pagine del Fatto .
Sospetti, dubbi, dosi di inquietudine.
Colpisce, in particolare, la registrazione della riunione avvenuta alle 19.15 del 30 luglio (presenti, oltre a Pisapia e ad altri due manager della sanità , la De Girolamo e due suoi stretti collaboratori: Giacomo Papa, attuale vicecapo di gabinetto al ministero dell’Agricoltura, e Luigi Barone, il direttore del portale web).
Nunzia De Girolamo, a un certo punto, parlando del bar interno all’ospedale Fatebenefratelli di Benevento, urla: «Facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo! Mandagli i controlli… e vaffanculo!».
È in discussione la sorte, e il passaggio di licenza, del bar che, per molti anni, è stato gestito da una Srl composta dalla famiglia Liguori: il capostipite Mario e i figli Franco e Maurizio; Franco Liguori è il marito della zia di Nunzia De Girolamo. Seguono intricati problemi di natura amministrativa-burocratica.
I contenuti di altre intercettazioni riguardano invece l’ubicazione di un ufficio territoriale dell’Asl, un bando per il 118, il caso di un controllo in un negozio di latticini (Luigi Barone, quello che ora al ministero gestisce internet: «È l’amico di Nunzia e mio amico… è un bravo ragazzo, insomma!»).
Parlavano così, a casa De Girolamo. Dicevano cose così. Con questi toni.
Forse sarebbe opportuno che il ministro spiegasse meglio.
Forse le segretarie sono in imbarazzo («Mhmm… Certo che l’abbiamo avvertita… sì sì, il Corriere la sta cercando…»).
Forse – e siamo arrivati alle sei del pomeriggio – è solo colpa di una bambina che piange, perchè ha la febbre alta.
«È mia figlia, povera piccola… È lei il mio unico, vero pensiero» (Gea, un anno e mezzo, avuta con il deputato del Pd Francesco Boccia).
Ministro, non crede sia opportuno spiegare cosa…
«Quello che dovevo dire, l’ho detto. Punto e basta!».
Punto e basta? Parlavate come un «comitato d’affari»…
«Macchè! Quegli stralci di intercettazione ambientale abusiva non sono contestualizzati, non si colgono le sfumature, i colori… emergono sono le negatività ».
Lei fornisce la netta sensazione di dare ordini, di parlare come qualcuno che comanda sui dirigenti della Asl.
«Senta: la vicenda su cui in molti si sono gettati come avvoltoi è nelle mani della magistratura e io, le ricordo, non sono indagata!».
Ripeto: lei fornisce la netta sensazione di dare ordini…
«Ma a chi? Su cosa? Non faccio mai riferimento a promozioni, non chiedo di avvantaggiare… affronto, piuttosto, le questioni del territorio: medici che rivendicano, ospedali chiusi…».
Poi però perde la pazienza per il bar interno al Fatebenefratelli gestito da suoi parenti.
«Vabbè… ho usato parole non esattamente consoni a una signora di classe? E che ci posso fare? Quanto perbenismo… Stavo a casa mia, potrò parlare come mi pare a casa mia, sì o no?».
È intervenuta anche su un sequestro di mozzarelle.
«Uhhhhh! Allora non ci capiamo? Non è possibile restringere cinque ore di conversazione a poche battute».
Per quelle poche battute, dice Clemente Mastella, lui sarebbe già  stato indagato…
«No, guardi: non posso entrare in polemica con Mastella. Sarebbe squalificante per me e anche per lei, che sta qui ad intervistarmi».
(Ha sempre questa sua aria spavalda e simpatica, spregiudicata e determinata: l’unica, tra le donne del cerchio magico di Palazzo Grazioli, a seguire Alfano nell’avventura di Nuovo centrodestra ).

(da “il Corriere della Sera”)

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CHIESTI TRE ANNI DI CONDANNA PER SCAJOLA, ORA LO SA

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

LA VICENDA DELL’APPARTAMENTO AL COLOSSEO COMPRATO A “SUA INSAPUTA”… STESSA SORTE PER ANEMONE

Tre anni di carcere non sono pochi, peggio ancora se si sommano a una multa da 2 milioni di euro.
Rischia di costare cara la casa con vista Colosseo a Claudio Scajola e anche all’imprenditore Diego Anemone che “silenziosamente”, al momento dell’acquisto, avrebbe aggiunto di tasca sua 1,1 milioni lasciando all’ex ministro soltanto l’onere di 600 mila euro.
Dopo due anni di dibattimento la pubblica accusa non ha cambiato idea sulla casa acquistata da Scajola “a sua insaputa” e la richiesta di condanna suggella un sistema di favori fatti e ricevuti, che ha visto protagonisti politici, imprenditori, alti funzionari dei Lavori pubblici coinvolti nel più ampio scandalo del G8, che finì per travolgere anche il ministro dell’Interno.
Scajola nel maggio 2010 fu costretto a dimettersi e Berlusconi ad assumere l’interim. Resta quella frase pronunciata nel corso di una memorabile conferenza stampa quando, ancora ministro, Scajola arrivò a sostenere che se davvero l’appartamento in via di Fagutale, 200 metri quadri con affaccio sul Colosseo, costava 1,7 di euro qualcuno doveva averla pagata “a sua insaputa”.
Un colpo da maestro, una gag da comica finale, sembra incredibile ma non ha mai cambiato versione e, sia pure con parole diverse, anche in aula ha continuato a sostenere che il prezzo non poteva superare i 600 mila euro, considerate le condizioni fatiscenti.
Infatti Anemone ha poi speso 100 mila euro per ristrutturarla.
A nulla è valsa la testimonianza delle sorelle Papa, ovvero le proprietarie, che hanno esibito il compromesso in cui si citava la cifra reale, ovvero 1,7 milioni di euro, e neppure quanto affermato dall’architetto Angelo Zampolini, presente all’atto di fronte al notaio, fu lui a versare gli assegni circolari per conto di Anemone.
Niente da fare, per l’ex ministro la casa valeva 600 mila euro e tanto l’ha pagata, una perizia confermerebbe il suo valore, sostiene, ma le agenzie immobiliari lo smentiscono.
“Ho provato a venderla, ma non ci sono riuscito, appena scoprono di che casa si tratta tutti fuggono”, ha lamentato in una delle ultime udienze e ancora ieri il suo avvocato Elisabetta Busuito ha affermato che “ le prove documentali e testimoniali hanno rivelato l’inesattezza delle indagini condotte dalla Finanza, ogni correlazione tra movimenti bancari del gruppo Anemone e assegni circolari si configura come pura illazione e non c’è alcun riscontro per il reato di finanziamento illecito”.
In poche parole manca il do ut des tra Anemone e l’ex ministro.
Dura la requisitoria dei pm Ilaria Calò e Roberto Felici che hanno ricostruito quel “sistema gelatinoso”, che caratterizzava i Grandi appalti, all’interno del quale la corruzione invadeva ogni relazione personale e politica: “Anemone è un personaggio chiave di quel sistema, ha fatto fortuna grazie ai suoi rapporti con Balducci”.
Tutti e due furono arrestati, tutti e due sono tuttora imputati in altri processi sia Roma che a Perugia dove è nata l’inchiesta.
“Quando si parla di sistema è evidente che lo scambio di favori assume un rilievo politico, in questo caso è stato offerto un bene personale in cambio della copertura politica”, dicono i pm. Ma Scajola non demorde: “Se fossi stato un farabutto mi sarei comportato in modo diverso. Qualche giornalista ha detto che tutto è stato fatto per ottenere la mia benevolenza. Non lo so, forse Anemone e Balducci mi hanno aiutato a risolvere un problema”.
Quello della casa in via Fagutale, ma “a sua insaputa”.

Rita di Giovacchino
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SCUDO-PARTITI PER COPRIRE TRAME E FAVORI DI NUNZIA

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

ZIO FAVORITO PER IL BAR DELL’OSPEDALE: “IL MINISTRO NON DEVE RIFERIRE IN AULA”, ALLA CAMERA SI COMPATTANO TUTTI

Nunzia De Girolamo non andrà  in aula a riferire sulle intercettazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano, secondo le quali favorì un suo zio nell’ottenere l’affitto di un bar all’interno di un ospedale.
I cinquestelle avevano chiesto ufficialmente un’informativa del ministro. Ma la conferenza dei capigruppo ha detto di no: la presidente, Laura Boldrini si è riservata di decidere e, sentiti tutti i capigruppo, ha chiesto ai grillini di trovare un’altra forma per chiarire i fatti: un’interpellanza, un’interrogazione, un question time.
Nessuno ha obiettato, nessuno ha insistito per avere il ministro dell’Agricoltura in aula.
Dalla Camera spiegano che si è ritenuto che la forma più adeguata per far luce sui fatti fosse appunto un’altra: un’interrogazione, un’interpellanza, un question time.
E che la Boldrini in realtà  non ha fatto altro che interpretare il parere di tutti i capigruppo.
Ma perchè in giornate in cui scoppiano casi e casi nella maggioranza, in cui sembra davvero che la tensione sia altissima e il governo appare preso di mira costantemente dal fuoco amico, un caso come quello De Girolamo viene ignorato anche istituzionalmente?
Per Palazzo Chigi quello sul titolare dell’Agricoltura è “un non caso”.
Il Pd di Renzi ufficialmente non prende nessuna posizione e si riserva di esaminare i fatti.
D’altra parte, nella complicata partita con Enrico Letta il segretario non ha alcun interesse ad aprire il fuoco su un altro ministro, visto che vuole evitare di trovarsi coinvolto nell’azione di governo con un rimpasto.
Quakche sporadica voce nella minoranza del partito si sente.
Khalid Chaouki, balzato agli onori della cronaca per aver vissuto qualche giorno prima di Natale nel Cie di Lampedusa, esprime qualche “dubbio” su tutta la questione.
Danilo Leva, l’ex responsabile Giustizia, definisce “opportuna” la presenza in Aula del ministro per riferire. Matteo Orfini, di fronte alla possibilità  di una sfiducia, dichiara: “Non si votano le mozioni altrui, in caso sarebbe meglio un atto di responsabilità  del ministro”.
Tiepida Forza Italia, che si preoccupa di non esprimere una posizione. Il capogruppo Brunetta rimanda il tutto alle future eventuali sedi istituzionali. Laura Ravetto e Deborah Bergamini mettono agli atti un “non rispondo”.
Rimane lo sfogo di Michaela Biancofiore, ex sottosegretaria, la prima dimissionata dal premier: “Sono sicura che Nunzia non è colpevole di nulla. E per me che sono stata sua amica è difficile parlare, dopo la delusione che mi ha dato lasciando Forza Italia. Ma il modo in cui si esprime nelle intercettazioni ci dice che non ha imparato nulla degli insegnamenti di Berlusconi. Certo sarebbe il caso che venisse in Parlamento per lavarsi dall’onta sul suo nome”.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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I FRATELLI D’ITALIA COME GLI SCAFISTI, IMBARCANO ANCHE ITALO BOCCHINO: GLI ITALIANI RESPINGONO IL GOMMONE ALL’1,9%

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

E’ GIALLO ANCHE SUL “MARCHIO” ALLEANZA NAZIONALE: PER L’USO DEL SIMBOLO MANCA IL VIA LIBERA DEL MINISTERO… IL MOVIMENTO PER ALLEANZA NAZIONALE ANNUNCIA ALTRI RICORSI

Il cda della Fondazione Alleanza Nazionale ha ratificato ieri la delibera che concede l’utilizzo del simbolo di An a Fratelli d’Italia.
Da questo momento il partito di Ignazio La Russa e Giorgia Meloni sarebbe quindi libero di usare il simbolo come meglio crede.
Potrebbe riprodurlo in piccolo all’interno del logo di Fratelli d’Italia, usarne solo una parte (la scritta Alleanza Nazionale al posto di Centrodestra Nazionale?) o, per assurdo, non utilizzarlo in nessun modo.
Al termine di un Consiglio di amministrazione che non ha riavvicinato le posizioni tra i duellanti restano però alcune incognite.
E la prima riguarda la reale possibilità  della Fondazione di assegnare un simbolo sulla cui proprietà  non si è mai fatta completamente chiarezza.
A rafforzare le tesi di chi – come il Movimento per Alleanza Nazionale – nega alla Fondazione la titolarità  del logo arriva un documento svelato dal Tempo ma consultabile da chiunque al sito del Ministero per lo Sviluppo Economico. Si tratta della pratica che certifica la richiesta, da parte della Fondazione, dell’utilizzo del marchio di Alleanza Nazionale. Una richiesta – si legge alla pagina http://www.uibm.gov.it/uibm/dati/stampa_elenco_info.aspx?load=info_stampMain&id=2209298&table=TradeMark – che è stata avanzata solo il 19 novembre del 2013 e che, stando al documento aggiornato al 6 gennaio 2014, è ancora allo stato «in lavorazione».
In attesa del via libera, quindi, la Fondazione non avrebbe nessun diritto a usare il marchio della defunta Alleanza Nazionale.
Ed è probabile che chi ha avversato fin dall’inizio il percorso scelto dai vari Alemanno, La Russa e Meloni, approfitti anche di questa circostanza per chiedere l’invalidazione della delibera.
In termini legali la faccenda è complessa, dato che la legge fa distinzione tra simbolo (il logo in sè), marchio (che copre lo sfruttamento «commerciale») e contrassegno elettorale. A vedersela saranno gli avvocati.
Per il momento, resta la decisione ratificata ieri dal cda.
Un’approvazione tutt’altro che unanime.
A dare il via libera all’assegnazione del simbolo a Fratelli d’Italia sono stati infatti otto consiglieri su quindici. Oltre ai promotori della mozione che ha prevalso all’assemblea – Meloni, La Russa e Alemanno – a dare parere positivo sono stati Antonino Caruso, Roberto Petri, Maurizio Leo, Francesco Biava e – via telefono – Pierfrancesco Gamba. Donato Lamorte ed Egidio Digilio si sono astenuti, così come, per dovere di neutralità , il presidente della Fondazione Franco Mugnai. Non hanno partecipato al voto, invece, gli apertamente contrari Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Giuseppe Valentino e Marco Martinelli.
Gasparri e Matteoli hanno anche fatto mettere a verbale la nota congiunta che affidarono alle agenzie già  il 14 dicembre, subito dopo la contestatissima assemblea dell’hotel Ergife.
Nota nella quale si denunciava una «evidente violazione di regole statutarie» e si paventavano iniziative legali contro la votazione che aveva visto soli 290 «sì» sugli oltre seicento aventi diritto al voto e gli oltre mille iscritti alla Fondazione
Chi è già  passata dalle parole ai fatti è Adriana Poli Bortone, tra gli animatori del Movimento per Alleanza Nazionale, che lo scorso 23 dicembre ha presentato una diffida extragiudiziaria contro le deliberazioni dell’assemblea.
Per ora i fautori della mozione vincitrice non se ne curano: Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Gianni Alemanno esprimono «grande soddisfazione per questa decisiva tappa di crescita del processo di larga unificazione dell’area politica e culturale che An voleva rappresentare sin dalla sua nascita a Fiuggi nel 1995»
Meno pubblicizzato è l’avvicinamento di Italo Bocchino, che sarebbe pronto a recitare un ruolo da protagonista.
Un entusiasmo che, però, non sembra al momento contagiare gli elettori. Il sondaggio Ipsos svelato martedì da Ballarò ha attribuito a Fdi-An solo l’1,9%, esattamente lo stesso risultato ottenuto alle Politiche 2013.
Il presunto valore aggiunto del simbolo con la Fiamma sembra ridimensionato da litigi e spaccature.

(da “il Tempo”)

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REGIONE SICILIA: “I GRILLINI HANNO 26 PORTABORSE E POI FANNO LA MORALE AGLI ALTRI”

Gennaio 10th, 2014 Riccardo Fucile

I COLLABORATORI MANDANO I CONTI IN TILT… E L’EX VENTURINO SVELA CHE I CINQUESTELLE NE HANNO RADDOPPIATO IL NUMERO

Il caso più eclatante è quello del movimento 5Stelle. Qui, con le nuove regole della spending review all’Ars, i collaboratori esterni sono passati da 12 a 26.
I nuovi, alcuni con contratti part time, sono soprattutto avvocati o laureati in Giurisprudenza. Già , perchè se fin dall’inizio della legislatura i parlamentari grillini avevano assunto dodici collaboratori esterni con contratti subordinati, pagandoli con i 2.400 euro mensili (a deputato) destinati secondo le vecchie regole al funzionamento del gruppo parlamentare, adesso con i soldi per i portaborse (altri 3.180 euro al mese per deputato, garantiti sino alla fine della legislatura) hanno allargato il cerchio.
Una decisione nell’aria da qualche mese.
Presa insieme con la base a Enna nell’autunno scorso, poco prima della mozione di sfiducia al presidente della Regione.
“Allora   –   dice il capogruppo Giancarlo Cancelleri   –   abbiamo chiesto ai nostri sostenitori di poter utilizzare i fondi dei portaborse per rafforzare l’ufficio legislativo e il lavoro nelle commissioni e per rispondere alle continue sollecitazioni che riceviamo dai cittadini”.
Sondaggio esteso ai meetup anche via Internet e con esito positivo.
E seguito dalla ricerca del personale tra gli attivisti e i sostenitori del movimento. “All’indirizzo del gruppo   –   dice ancora Cancelleri   –   sono arrivati una trentina di curriculum tra cui abbiamo scelto quelli che ci sembravano i migliori”.
Fatto sta che adesso, a sentire i malevoli, nelle stanze dei grillini all’Ars sono più i collaboratori che le sedie.
Rafforzato l’ufficio stampa con l’ingresso di Maria Chiara Graziano, ma anche l’area legislativa con una decina di avvocati o laureati in Giurisprudenza provenienti da tutta la Sicilia.
Tra questi, Loriana Muncibì, classe 1982, di Gela e per anni avvocato a Piacenza, assunta direttamente dal capogruppo Cancelleri.
Mentre è rientrata al gruppo 5Stelle Samantha Busalacchi, attivista storica del Movimento, prima assunta nell’ufficio di presidenza con Antonio Venturino e che torna a occuparsi della segreteria.
Proprio con Venturino ieri, in aula, si è consumato un botta e risposta dai toni aspri.
A iniziare è stato il vice presidente dell’Ars che l’anno scorso ha lasciato in polemica il movimento di Grillo.
“Anche i grillini hanno speso soldi per i portaborse   –   ha detto Venturino durante la discussione sul bilancio interno dell’Assemblea   –   Loro utilizzano 3.180 euro a deputato, di questo però non parlano mai…”.
Immediata la replica del capogruppo di M5S Cancelleri: “Aveva promesso ai cittadini di restituire parte della sua indennità . Finchè non lo farà  non siamo disposti a prendere lezioni da lui”.
E oggi Venturino ha rincarato la dose: i portaborse che “i grillini si sono affrettati ad assumere e contrattualizzare entro il 31 dicembre 2013 sono ben 26 tra vecchi e nuovi. Mi viene naturale chiedere con quali soldi vengano pagati, se con il bilancio che ieri hanno populisticamente criticato davanti alle telecamere o con soldi che arrivano da altri bilanci? Quando si fa le verginelle della politica, occorre intanto avere la coscienza pulita e mi pare evidente che non sia così dato che al loro seguito ci sono più portaborse che deputati”.
I contratti dei nuovi assunti? Cocopro da 1.400 euro netti al mese. Una cosa è certa: la legge sul controllo della spesa del Parlamento votata qualche settimana fa all’Ars e che garantisce i contratti in corso al 31 dicembre, ha aperto la corsa alle nuove assunzioni un po’ in tutti i gruppi parlamentari: dall’Udc all’Mpa, dal Pdl al Pd ad Articolo 4.
E questo nonostante il Parlamento siciliano sia l’unico in Italia che può contare su 85 collaboratori interni fissi.
Assunzioni   –   c’è chi parla di almeno una cinquantina   –   fatte direttamente dai singoli parlamentari anche con forme di contratto che limitano al massimo il peso contributivo, simili a quelli delle colf   –   come ha ammesso Alice Anselmo dell’Udc che vi ha fatto personalmente ricorso   –   e contro cui si sono espressi sia il presidente della Regione Rosario Crocetta che quello dell’Assemblea Giovanni Ardizzone.
Fatto sta che proprio perchè i rapporti di lavoro dipendono direttamente dai singoli deputati, il numero dei contratti resta ancora avvolto dal mistero.
Nell’Mpa raccontano di deputati al telefono con i consulenti per chiudere i nuovi contratti (almeno tre sono emersi finora) fino al 30 dicembre.
Uno solo quello siglato per la Lista Musumeci. “Un contratto a prestazione per il nostro addetto stampa Alberto Samonà “, dice Nello Musumeci.
Il numero totale dei neo-assunti si conoscerà , comunque, solo a fine mese, quando verranno presentati i rendiconti per il rimborso delle spese.
Una verità , ammessa in aula dallo stesso presidente dell’Ars rispondendo, guarda caso, alle contestazioni dei grillini che criticavano lo stanziamento di due milioni in più nel bilancio dell’Ars rispetto a quello previsto dal governo regionale: “La certezza sui costi precisi   –   ha detto Ardizzone   –   si avrà  quando, a fine mese, i gruppi parlamentari presenteranno i rendiconti per i portaborse. Anche il suo”.
“È davvero così   –   aggiunge il capogruppo del Pd, Baldo Gucciardi –   non escludo che possano esserci state nuove assunzioni anche tra i deputati del nostro gruppo, anche se la maggior parte degli assistenti è stata contrattualizzata a inizio legislatura, senza contare che con noi ci sono una ventina di stabilizzati “.

Gioia Sgarlata

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