Dicembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
DA SILVIO A BERLUSCONI ALLA SORA PINA, STORIA E DECLINO LETTERARIO DEL PEONE
Da “Re dei peones” a “Re dei condominios”.
Il ritorno di Domenico Scilipoti Isgrò non è propriamente al grido “ad maiora”.
Da Montecitorio ha traslocato in un caseggiato della Serenissima. Non stiamo parlando di Venezia ma di Tor de Schiavi, la Roma lontana dai Palazzi.
Per la presentazione del suo ultimo libro, luce al neon, 25 persone in sala, un vecchietto che fa una domanda, poi ottiene la risposta e dice: “Non sono soddisfatto”.
Lui, Scilipoti Isgrò, da Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, davanti a un auditorium che pende dalle sua labbra di ex peone, lancia una delle sue tesi più forti: “La Banca d’Italia ormai è stata privatizzata. No, ad Amato al Quirinale”.
La platea sbanda e si domanda: “Eh?!?!?!…”. Sembra non aver capito il grido di battaglia, che avrà grandi conseguenze sulla corsa al Colle, lanciato da Mimmo Isgrò, che ormai è diventato l’altro nome di Domenico Scilipoti.
Per capirci di più, la platea accorsa deve iniziare a compulsare attentamente l’ultima fatica letteraria dal titolo – tra storia e autobiografia, tra macroeconomia e scenari globali tracciati da un laureato in medicina specializzato in ginecologia e agopuntura – “Le crisi finanziarie e la battaglia di un senatore della Repubblica”.
Si sparge la voce in sala: “Adesso arriva Berlusconi”. Non è così.
Ma l’altra volta però, a Montecitorio, quando Scilipoti Isgrò presentò la sua opera prima da parlamentare della Repubblica – il Cavaliere c’era per onorare il suo debito con “Mimmo” e disse: “Di eroi come lui l’Italia ha sempre più bisogno”.
In prima fila ad applaudire c’era Antonio Razzi, una sorta di fratello di latte di Scilipoti.
Qui in prima fila, a spellarsi le mani per il senatore-scrittore c’è Sora Pina della scala B di un condomino che conta 4500 residenti su 8 edifici.
Ma dei 4500 abitanti neanche traccia.
Nella sala condominiale ci sono soltanto Pina e i suoi amici più cari portati da un signore che si presenta come un bancario esperto di economia, amico di Mimmo, con un ufficio in una palazzina di questo enorme condominio.
Prima appunto ci fu Berlusconi, adesso c’è un signore un po’ impostato a festeggiare quello che fu e vuole continuare a essere: “Il Re dei peones”.
“Mi ha portato qui un amico-collaboratore-autista, ma nè io nè lui siamo pratici di Roma e ci siamo persi a Largo Preneste. Grazie d’avermi aspettato più di un’ora dentro questa bella sala”.
Ma quando lui non c’era, perchè vagava per l’urbe senza bussola, i condomino in ansia si chiedevano vicendevolmente: “Sarà finito all’Eur?”.
Ma dal palchetto si alza una voce, è uno dei tre relatore: “Il nostro Senatore, ha detto che sta qui dietro. Ha avuto una giornata pesante in Senato per lavorare al servizio della Nazione”.
Poi viene accolto tra gli applausi. Chi lo chiama Scilipoti e chi ha iniziato a chiamarlo Isgrò.
Comunque è sempre lui e annuncia: “Il percorso intrapreso dal governo non favorisce gli italiani, e le piccole e medie imprese. La mia fede cristiana mi ha dato la forza per sostenere le battaglie che sto sostenendo”. Berlusconi non è venuto? “Non importa chi c’è, l’importante sono le cose che si dicono”
Il convegno è di grande interesse ma come tutte le cose belle a un certo punto finisce, ed è il momento del buffet.
L’appuntamento era alle 19, Scilipoti è arrivato alle 20.15, quando alle 22 finisce di parlare le persone sono affamate.
Ma Scilipoti Isgrò non mangia.
Confida davanti a un prosciutto: “Io non mangio mammiferi. Ma questa è un’altra storia”.
Ce la racconterà nel suo prossimo libro?
(da “Huffingtonpost)
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Dicembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
E IL PD VA IN TILT SULLE CENE… MAFIA CAPITALE: AL VIA INTERROGATORI
Chi è andato a cena con Matteo Renzi, un mese fa in zona Eur a Roma per finanziare il Partito democratico, non lo sanno di preciso neanche al Nazareno.
Soltanto le rassicurazioni sono puntuali: gli elenchi saranno pubblicati.
Intorno a quei tavoli, anzi per l’esattezza a un tavolo prenotati dai dem romani, c’era pure Salvatore Buzzi, il signor cooperative, “braccio di sinistra” dell’ex Nar Massimo Carminati.
Su quest’ingresso che adesso imbarazza, il deputato Francesco Boccia (via Twitter) ha chiesto la trasparenza sui commensali al tesoriere Francesco Bonifazi , che ha replicato piccato: “Tranquillo Boccia, Buzzi non ha dato un euro al Pd nazionale. Nemmeno tu però nonostante le nostre regole. Ti invio l’Iban via sms”. Poi silenzio.
Ma Boccia ha proseguito: ho versato 30.000 euro e questa è delazione in mancanza di risposte.
Al Nazareno stanno ricostruendo la mappa dei presenti, in maggioranza celati dietro il nome di società che hanno materialmente pagato il contributo minimo di 1.000 euro per partecipare.
Dopo aver commissariato il partito a Roma, Renzi fa capire che non ha tanta voglia e, soprattutto, tanta convenienza a battere sul tema di questi giorni: “La città di Roma è la capitale di questo Paese. Non consentiremo — insieme al sindaco e a tutti i cittadini onesti — che sia accostata a fenomeni squallidi come corruzione e disonestà ”, non s’è sprecato in dichiarazioni, il premier.
Unica annotazione, a parte l’evocazione di un processo rapido per lo “schifo”: Ignazio Marino deve resistere, sciogliere il Comune non è in agenda, sebbene l’istituzione sia coinvolto direttamente nell’inchiesta.
Non la pensa così Rosy Bindi, che non esclude la necessità di un intervento del ministero degli Interni e di palazzo Chigi sul Campidoglio infestato dal malaffare.
Bindi pretende spiegazioni dal sindaco Ignazio Marino e dal ministro Giuliano Poletti che, per motivi diversi, avevano rapporti con Buzzi: “Tutti devono chiarire. Le foto non sono una prova di reato, a volte non sappiamo neanche con chi ci stanno fotografando, ma è evidente che occorre chiarezza”.
Il presidente dell’Antimafia ha poi enunciato il suo epitaffio su questa vicenda: “La mafia cresce perchè la politica collabora”.
Ieri i movimenti per la casa hanno occupato la sede del partito democratico laziale.
Il commissario Matteo Orfini li ha incontrati. Il governatore Nicola Zingaretti dice che il Pd è sano.
Si reagisce come quando sta passando la piena del Tevere.
Incrociando le dita.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
GIUSEPPE DE RITA NOMINA IL FIGLIO GIORGIO DIRETTORE GENERALE DELL’ISTITUTO DA LUI PRESIEDUTO: OVVIAMENTE “PERCHE’ E’ IL PIU’ BRAVO”
L’Italia è un Paese che umilia i giovani, denuncia l’ultimo rapporto Censis del diversamente giovane Giuseppe De Rita.
Solo una sparuta minoranza immagina che l’intelligenza serva a farsi strada nella vita. Anche la cultura e l’istruzione godono di scarsa considerazione.
I ragazzi italiani credono che per fare carriera servano le conoscenze giuste e i legami familiari, registra il presidente del Censis con sorpresa e, gli va riconosciuto, un certo dispiacere.
Dopodiche procede alla nomina del nuovo direttore generale del Censis, l’ingegner Giorgio De Rita.
Sulle prime molti pensano a un caso di omonimia.
Invece no, Giorgio è proprio figlio di Giuseppe. Fortunatamente non si tratta di raccomandazione, familismo o conflitto di interesse, fenomeni già catechizzati da De Rita (Giuseppe) in una dozzina di rapporti Censis.
De Rita (Giuseppe) ha scelto De Rita (Giorgio) in quanto è il più bravo di tutti.
E se tuo figlio è il migliore, non dargli il posto solo perchè la nomina dipende da te sarebbe una discriminazione all’incontrario.
Qualsiasi interpretazione diversa, sostiene De Rita (Giuseppe ,ma probabilmente anche Giorgio), significa «cercare a oltranza il capello».
Il ragionamento ha una sua audacia, ma forse sottovaluta il fatto che qualsiasi altro padre interpellato dal Censis affermerebbe che suo figlio è il più bravo di tutti.
Per questo nelle nazioni diverse dalla Corea del Nord vige l’usanza di impedire a un padre di assegnare incarichi di rilevanza pubblica a un figlio, sia pur bravissimo.
Si tratta di clausole curiose dal nome a noi ignoto di regole.
Ne scoprirà l’esistenza il prossimo rapporto del Censis.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Dicembre 6th, 2014 Riccardo Fucile
I PREGIUDICATI SIEDONO A CAPOTAVOLA NEI PALAZZI DEL POTERE NON “NONOSTANTE” I LORO PRECEDENTI PENALI, MA PROPRIO PER QUELLI
Forse siamo troppo cinici. O forse Saviano non lo è abbastanza.
Ma domandarsi — come fa Roberto nel suo commento su Repubblica — come può la politica “fidarsi ciecamente” di Buzzi & Carminati, il Rosso e il Nero, e a dare loro “massima fiducia, senza chiedere in cambio nessuna trasparenza”, nonostante i loro trascorsi rispettivamente di “assassino e terrorista dei Nar”, è un eccesso di ingenuità . Bisogna rassegnarsi ad abrogare i “nonostante”, i “malgrado” e i “sebbene” dal vocabolario politico.
I pregiudicati siedono a capotavola nei palazzi del potere non “nonostante” i loro precedenti penali, ma proprio per quelli.
Così come non sono “deviati” quei settori della politica, dell’amministrazione, dell’imprenditoria, dei servizi segreti, delle forze dell’ordine che lavorano per (o trattano con) la criminalità .
Ma quelli che lavorano per lo Stato e ne rispettano le leggi. Se una persona onesta chiede udienza a un potente, deve mettersi in fila, fare lunghissime anticamere, e anche nell’eventualità che venga ricevuta non ottiene quasi mai ciò che chiede: perchè non ha nulla da offrire e nulla da tacere.
Un delinquente invece viene subito accontentato, spesso prim’ancora di chiedere. Come disse Giuliano Ferrara: “Chi non è ricattabile non può fare politica”.
Anche perchè, di solito, chi è ricattabile è anche ricattatore. Io so tutto di te, tu sai tutto di me, e facciamo carriera sui nostri rispettivi silenzi.
La nuova legge sul voto di scambio politico-mafioso, sbandierata da Renzi come il colpo di grazia ai collusi, è stata scritta in modo da impedire qualsiasi condanna per voto di scambio. Ma non per un errore: apposta.
Così come la legge Severino: si chiama “anticorruzione” ed è stata scritta proprio per salvare B. e Penati dai loro processi per concussione.
Ora si scoprirà che il reato di autoriciclaggio, votato l’altroieri dal Parlamento, renderà impossibile la galera per chi ripulisce il bottino dei propri delitti.
Giovedì, mentre Renzi annunciava la linea dura contro i corrotti (“una specie di ergastolo, di Daspo”) e spediva il commissario Orfini a bonificare la federazione romana del Pd di cui fa parte da quando aveva i calzoni corti e il commissario Cantone ad annunciare l’ennesima “task force”, il suo partito al Senato votava con FI, Ncd e Lega per respingere la richiesta dei giudici di usare le intercettazioni contro gli inquisiti Azzollini (Ncd) e Papania (Pd).
Una svista “nonostante” i sospetti pesanti come macigni che gravano sui due politici? No, una scelta fatta proprio per quei sospetti pesanti come macigni.
Fa quasi tenerezza Luca Odevaine detto lo Sceriffo, che ad aprile vuole farsi un viaggetto negli Usa, ma si vede negare il visto: gli americani hanno scoperto che si chiama Odovaine con la “o” ed è pregiudicato per droga e assegni a vuoto.
“Una roba da matti, una cosa assurda, in una democrazia come quella!”, si lamenta. La vocale se l’è fatta cambiare lui all’anagrafe per nascondere i suoi precedenti.
Come se questi, in Italia, fossero mai stati un handicap e non facessero invece curriculum: ciò che negli Usa ti impedisce anche l’ingresso per turismo, in Italia basta e avanza per promuoverti vice capo di gabinetto della giunta Veltroni, capo della polizia provinciale della giunta Zingaretti e infine membro del Coordinamento nazionale richiedenti asilo del governo Renzi, naturalmente a libro paga di Mafia Capitale per 5 mila euro al mese.
Nonostante i precedenti? No, grazie a quelli, che ti rendono affidabile.
Ovviamente la Banda Carminati aveva scelto pure il presidente della Commissione di Controllo Garanzia e Trasparenza e il responsabile della Direzione Trasparenza del Comune di Roma (che, alla Trasparenza, ha non uno ma due addetti): due sceriffi di provata fede, ora indagati per mafia.
Se Marino s’è salvato parzialmente dalla catastrofe non è tanto perchè, personalmente, è un onest’uomo: ma soprattutto perchè gli assessori se li è scelti quasi tutti da sè, rifiutando quelli che tentava di imporgli il Pd.
Sennò Carminati e Buzzi se li ritrovava perlomeno vicesindaci.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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