Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
TESTIMONIAL D’ECCEZIONE BUSH JUNIOR… CONTATTI CON LEGA E FRATELLI D’ITALIA
«E poi vedrete che in autunno porto qui Bush, il mio amico George Bush, e lo lanciamo alla grande il cantiere dei repubblicani ».
Silvio Berlusconi ha deciso di trasformare così il progetto di partito all’americana, il contenitore dei moderati da contrapporre ai Dem di Renzi.
L’unica vera novità spendibile, del resto, resa per di più obbligata dall’Italicum appena approvato. E infatti il progetto del leader forzista è di convocare subito dopo l’estate una convention fondativa del nuovo soggetto politico.
Listone unico del centrodestra per tentare la resurrezione politica, tenere tutti dentro per sopravvivere: dalla Lega di Salvini all’Ncd di Alfano passando per i Fratelli d’Italia della Meloni.
Più o meno un miraggio, in questo momento. Anche perchè il rampantissimo capo del Carroccio non fa che ripetere che «da giugno cambia tutto» nel centrodestra.
Il sorpasso su Forza Italia ormai è conclamato da tutti i sondaggi e quel gruppone unico, semmai si farà , dovrà sottostare alle sue condizioni e semmai essere da lui guidato.
Berlusconi non si farà scalzare, come confidava ieri a Ballarò l’amico di una vita Ennio Doris, fondatore di Mediolanum: «Un’uscita di scena? Lo escluderei, è uno che non molla proprio mai».
Piuttosto, «immagina per sè un ruolo in futuro più in regia, anzichè da diretto protagonista». Pronto a dare lui le carte, come sempre.
Sulla storia del partito “Repubblicano” raccontano abbia ritrovato un minimo di verve, dopo settimane di trattative (ancora in corso) sulle aziende. Lancette giù puntate sul day after del voto del 31 di maggio che non promette nulla di buono per Forza Italia.
La convention del partito in “ Usa style” è pensata per ottobre-novembre e lì il leader sogna di trascinare quel George W. col quale dice di essere rimasto sempre in contatto.
Per il momento, il detestato Nicolas Sarkozy l’ha bruciato sul tempo, annunciando il cambio di nome del suo Ump proprio in “Repubblicani”.
Al leader forzista non importa. Ripete ai suoi che ha già tutto in mente: «Partito leggero, nessun organismo dirigente, un comitato elettorale che entrerà nel vivo giusto per il voto».
Altro che ufficio di presidenza e direzione. E poi volti nuovi da mandare in tv e in giro già da giugno, magari selezionati tra i giovani che la spunteranno alle prossime regionali.
«La lista unica di centrodestra con cui puntare alla maggioranza assoluta in Parlamento è stata del resto il mio obiettivo da sempre», confida l’ex premier ai fedelissimi a legge elettorale approvata.
Peccato che tutti gli ricordino della indisponibilità della Lega e senza Salvini non si andrà da nessuna parte. Berlusconi è tranchant: «Alle regionali avranno vita facile perchè io non sono in campo, ma alle politiche torneremo noi il partito guida della coalizione». In ogni caso, è convinto che occorra fare in fretta, perchè «vedrete che Renzi sacrificherà anche la riforma del Senato, ci porterà al voto prima di un anno, non aspetterà che scatti l’aumento dell’Iva nel maggio 2016».
Ma un nuovo partito, per quanto leggero, ha bisogno di risorse.
«L’unica via in tempi di magra è dare vita a una decina di fondazioni che lavorino sul territorio per produrre idee e drenare finanziamenti », è il progetto che gli ha sottoposto Michaela Biancofiore.
Ora si tratta di coinvolgere tutti, nel progetto. «Si potrebbe partire con una federazione, la lista solo in uno step successivo. E il modello non può che essere la Liguria — spiega il candidato governatore Giovanni Toti — qui abbiamo messo tutti d’accordo, Salvini in prima linea, si può fare. Non a caso il presidente Berlusconi lancia da Genova la sua campagna sabato e forse qui la chiude».
Comizio al chiuso per lo sbandierato «allarme sicurezza» e pranzo con gli imprenditori, poi il 13 e 14 due giorni nella polveriera pugliese del ribelle Fitto, prima di puntare sulla Campania.
Rieccolo, insomma, il leader, ritorno in versione campaigner dopo due anni di black-out post condanna. Prologo domani sera in sede a Roma per un tuffo tra i giovani di Azzurra libertà .
«Ha disertato perfino l’ufficio di presidenza e va dai cento ragazzi dei fratelli Zappacosta, è la conferma che di noi non gli frega più nulla», mugugnavano alcuni deputati ieri in Transatlantico.
Tutto questo mentre Denis Verdini affila le armi coi suoi dieci deputati e la pattuglia di senatori in vista del ritorno della riforma costituzionale al Senato.
E Raffaele Fitto è in piena campagna reclutamento a Montecitorio in vista del lancio del suo progetto “Oltre”.
Inteso oltre Forza Italia, lontano da Arcore.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
ANCHE I PRECARI TRA I RIBELLI
Il cinque maggio di Renzi-Napoleone si apre con un cordone di bambini che sventola rotoli di carta igienica.
E’ la scuola pubblica — dicono — che va a rotoli.
Dietro, in un mare di bandiere rosse, gialle, bianche, sfila l’orgoglio dei centomila prof.
Tanti, tantissimi, nessuno si aspettava un corteo così folto, nella prima manifestazione sindacale unitaria da oltre sette anni. Renzi-Pinocchio, Renzi- orecchie-d’asino, Renzi&Giannini come la Gelmini.
Ovunque il cartello “mai più Pd”, fischietti e “Bella ciao” nel caldo pazzesco dell’estate improvvisa, ma ad ogni slogan un pezzo della “buona scuola” di Renzi, “la riforma tradita”, cade giù in frantumi, lungo i muraglioni del Pincio che portano a piazza del Popolo piena a metà e invasa di palloncini blu.
E blu è il simbolo della protesta, il fiocchetto appuntato sul petto: come si fa per le battaglie campali, quelle dei diritti civili.
È la sinistra delusa che attacca la sinistra di Governo, anche Stefano Fassina, che pure sfila con i prof, viene contestato, mentre Pippo Civati dice chiaro: «Il Pd ha tradito i propri impegni elettorali, ha fatto una riforma della scuola lontanissima dalla nostra cultura politica».
Beatrice ha 46 anni, è insegnante di ruolo nella scuola primaria “Malaspina” di Roma, cammina insieme a Maria Pia, precaria, dietro un cordone di bambini che imbracciano palette di cartone.
«Dopo vent’anni di lavoro – si sfoga Beatrice – è come se la mia storia, il mio punteggio non contassero più. Il preside da un giorno all’altro potrebbe trasferirmi, con decisione assolutamente arbitraria».
E infatti nel mirino della protesta contro Renzi, accusato di “bonapartismo”, (complice il calendario che ha fatto coincidere il giorno della manifestazione, il cinque maggio, con il titolo della poesia di Manzoni su Napoleone) c’è prima di tutto il “preside sceriffo”.
E quindi la fine, dicono i docenti, della democrazia nella scuola, la morte degli organi collegiali, l’alternanza scuola-lavoro, le donazioni dei privati, i precari che resteranno fuori dalle assunzioni, ma anche lo “spettro” di essere costretti a cambiare sede ogni tre anni.
Antonio Marra, fa l’insegnante di Matematica a Caserta. Porta appeso al collo un cartello con il numero 25.
«Vede i miei capelli? Sono bianchi. Ho mezzo secolo, due lauree, oltre cento alunni e sono precario da 25 anni. Dovrei rientrare nei centomila assunti promessi da Renzi. Ma sarà vero? E quando? E poi perchè non dovrei essere in piazza? Questa riforma fa schifo comunque. Non è il Governo che ci assume, ma l’Europa che l’ha imposto. Precario-assunto mica vuol dire crumiro».
Antonio sorride. «Sì, è un termine che oggi non usa più nessuno».
Invece sono più o meno le stesse parole che Susanna Camusso griderà dal palco di piazza del Popolo: «Le assunzioni sono un atto dovuto, non possono essere usate come strumento di divisione tra insegnanti e precari… Qui c’è il mondo che fa la scuola, insegnanti, studenti, famiglie, il futuro del Paese».
Sfilano le bandiere di Cgil, Cisl e Uil, i leader ci sono tutti, ma anche Gilda, Snals, e poi migliaia di istituti primari e secondari con i loro striscioni dipinti a mano, il centro e le periferie, i cortei arrivati da Napoli, dalla Toscana, l’orgoglio dei quartieri: “Da San Basilio a Garbatella, Renzi, Giannini, fate la cartella”.
Si ballano pizzica e taranta, ci sono almeno diecimila studenti scesi in piazza, lo storico liceo artistico “Ripetta” è tra i gruppi più folti.
Ma il corteo è anche duro, teso, molti sono, anzi erano, elettori del Pd, e nella riforma ci avevano creduto. “Riforma sì, ma non così” gridano infatti dai megafoni. I ragazzi hanno la vernice rossa e arancio sulle mani, l’effetto è splatter e metropolitano.
Enrico Castelli insegna Lettere alla scuola media “Mazzini” di Roma, uno dei primi istituti multiculturali della Capitale, salda tradizione di accoglienza nel cuore del centro storico, a pochi passi dal Colosseo.
«Questa riforma mina alle fondamenta l’istruzione pubblica. E punta ad un sempre maggiore divario tra le scuole ricche e le scuole povere. Le donazioni, ad esempio. Privati cittadini potranno offrire contributi in cambio di vantaggi fiscali. Con i risultato che nei quartieri benestanti le scuole avranno mezzi e negli altri no. È questo il principio di uguaglianza che lo Stato dovrebbe garantire?».
Un gruppo di precari mostra una gigantografia del film “Il marchese del Grillo” con la faccia di Renzi al posto di quella di Alberto Sordi: «Io so io e voi nun siete un ca… ». E il premier con il cappello di Napoleone. Sotto: «Vai a Sant’Elena… ». Paragoni irriverenti. Ma la protesta è dura.
Aggiunge Enrico Castelli, mentre il corteo approda a piazza del Popolo, tra migliaia di bandiere rosse della Cgil. «Uno degli elementi più controversi è la figura del preside manager, nelle cui mani verranno accorpati poteri enormi, azzerando così ogni tipo di democrazia nella scuola. Con quali criteri potrà scegliere i professori? Con quanta trasparenza? Questa riforma è un’occasione perduta, produrrà soltanto cattiva scuola».
Una folla enorme canta “Bella Ciao”, due, tre, cinque volte. La manifestazione è finita, bandiere arrotolate le prof e i prof tornano a casa.
Seduta nel rifugio del bar Rosati la giovane dirigente scolastica commenta pacata: «Non è bello sentirsi nel mirino della protesta, ma gli insegnanti hanno ragione. Noi abbiamo tra le mani le vite dei ragazzi, come possono i presidi decidere tutto da soli? Pensate che responsabilità terribile…».
Maria Novella De Luca
(da “La Repubblica”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
SCIOPERO IN TUTTA ITALIA DI STUDENTI E INSEGNANTI: “RIFORMA SàŒ, MA NON COSàŒ”
Docenti, studenti, genitori e lavoratori. Precari e di ruolo.
Hanno marciato tutti insieme contro la “Buona scuola” di Renzi.
In ogni angolo d’Italia. Da Aosta a Catania. Passando per Roma, Milano, Bari, Cagliari e Palermo.
Sette piazze principali organizzate dai tre sindacati confederali (insieme a Gilda e Snals), altre decine e decine di cortei e sit-in spontanei in ogni regione del Paese.
I Cobas hanno sfilato da soli, invece, in dodici città (la principale è Torino).
Secondo le stime dei sindacati, alla giornata di protesta hanno partecipato oltre 500 mila persone.
Uno sciopero generale con un’adesione vicina all’80 per cento: le aule sono rimaste deserte ovunque.
“I dati del ministero dell’Istruzione arrivano da circa 5 mila scuole — spiega Maurizio Lembo, della segreteria nazionale Flc Cgil —. Ci sono altri 3 mila istituti che non hanno mandato nessuna comunicazione: probabilmente perchè sono rimasti chiusi”. Una mobilitazione che non si vedeva da anni.
Almeno 50 mila nel corteo di Roma, 30 mila in quello di Bari, 25 mila a Milano , 10 mila a Cagliari.
Nemmeno nel 2008, contro la riforma Gelmini, si è arrivati a cifre del genere.
Renzi ha messo d’accordo tutti, per i sindacati potrebbe essere addirittura “il più grande sciopero di sempre”. Una battaglia senza distinzioni, stavolta, tra le sigle sindacali nè tra insegnanti , lavoratori e ragazzi.
Nei cortei le bandiere si mescolano a centinaia di palloncini colorati, la protesta si fa col sorriso. Cori e ironie sono tutte per il triumvirato della “Buona sòla”: Renzi-Giannini-Faraone. Tra gli slogan, ce n’è uno che tiene insieme le piazze: “Riforma sì, ma non così”.
La sfida più urgente è quella sulle assunzioni: “Non siamo più disposti a farci prendere in giro — ha detto il segretario generale della Flc Cgil, Domenico Pantaleo, dal palco di Roma — se vogliono davvero assumere 100 mila precari, facciano subito un decreto d’urgenza, altrimenti sono chiacchiere, e si discuta di più nel merito della riforma”.
Il destinatario dei messaggi ha risposto nel pomeriggio, difendendo la sua “Buona scuola”: “È giusto ascoltare chi protesta — ha detto Renzi — ma siamo il primo governo che mette 3 miliardi sull’istruzione. Non vogliamo abolire la formazione classica, ma se abbiamo numeri come quelli che abbiamo sulla disoccupazione, vuol dire che il sistema va cambiato. Vogliamo copiare l’Alto Adige e il suo modello duale di alternanza scuola-lavoro, serve a contrastare dispersione e disoccupazione”.
La moglie Agnese, ieri mattina, non ha scioperato: era regolarmente dietro la cattedra nella sua scuola di Pontassieve.
Sulla protesta è arrivato anche il commento del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Non è stata diplomatica: “È uno sciopero politico — ha detto — e senza presupposti. La riforma della scuola sta procedendo con un dibattito parlamentare che tiene conto di tutto, anche degli stimoli che ci mandano gli insegnanti”.
Infine, il sottosegretario Faraone, che non concede margini sulla norma che riguarda i dirigenti scolastici: “Il ruolo del preside-sindaco non è in discussione”.
Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL ROLEX AL POLSO DELLE TUTE NERE ERA VERO O TAROCCO?
In Italia puoi offendere chiunque, tranne la mamma e il Marchio, non sempre in quest’ordine.
È bastato che Renzi e Alfano definissero gli scassavetrine di Milano «figli di papà col Rolex» perchè qualcuno prendesse cappello.
Non i figli di papà ma la Rolex, che ha comprato una pagina di pubblicità per chiedere al governo una rettifica formale.
La polemica è nata dalla foto che ritrae una ragazza con il cappuccio in testa, la bomboletta in mano e l’orologio incriminato al polso.
Ma sarà vero Rolex?
La preoccupazione dell’amministratore delegato dell’azienda è comprensibile.
Il Rolex autentico è un oggetto esclusivo del desiderio. Che diventi un regalo al figlio dell’ex ministro Lupi non inficia la sua natura pregiata, anzi.
Mentre ritrovarlo al polso di una black bloc gli toglie senz’altro valore.
In compenso la comprovata falsità del Rolex ne toglierebbe alla ragazza incappucciata.
Se hai un Rolex tarocco è perchè non puoi permettertene uno vero e quindi ti dimostri comunque attratta da un bene di lusso capitalista che in teoria dovrebbe farti schifo.
Non sei ideologicamente contro il Rolex.
Sei contro il fatto che l’abbiano gli altri e non tu.
E questa è una forma di comunismo parente dell’invidia che in Italia conosciamo bene.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
CINQUANTA ETTARI AL GIORNO: COSI L’ITALIA ASFALTA IL SUO FUTURO
Nemmeno la grande crisi ha fermato l’unica impresa comune nella quale gli italiani delle ultime generazioni sembrano essersi coalizzati: il consumo irreversibile del sacro suolo della patria.
Cioè il più evidente dei nostri vari suicidi collettivi.
È questa la più impressionante tra le moltissime notizie contenute dal rapporto 2015 sul consumo di suolo che dopodomani sarà reso pubblico dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’Ispra.
Nel 2014 abbiamo “tombato” col cemento altri duecento chilometri quadrati di suolo: ogni giorno perdiamo 55 ettari, ogni secondo ci giochiamo tra i 6 e i 7 metri quadrati di futuro.
In totale il suolo consumato in Italia è arrivato a quota 21mila chilometri quadrati, cioè il 7 per cento del territorio.
Dai numeri dell’Ispra appare consolidata la tendenza per cui, dal 2008, il Nord Ovest guadagna (cioè perde…) terreno rispetto al Nord Est.
In altre parole, si costruisce di più proprio nelle regioni che negli ultimi anni hanno pagato, per il cemento, il prezzo più alto in termini di vite umane e di danni materiali: la Liguria, per esempio.
I numeri del cemento vanno, infatti, incrociati con quelli del brusco cambiamento climatico e del conseguente aumento del rischio idraulico e geologico.
In un convegno sul Cambiamento climatico, rischio idrogeologico e pianificazione urbanistica tenutosi recentemente all’Università di Firenze, il meteorologo Andrea Corigliano ha notato che «dei 74 eventi alluvionali totali italiani che si sono verificati dal 1951, 55 si sono manifestati dopo il 1990 e ben 26 solo negli ultimi quattro anni».
In altre parole, gli effetti dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera (nel 2014 la più elevata degli ultimi 800 mila anni) si stanno sommando a quelli del sigillamento del terreno: e la conseguenza sono le devastanti alluvioni urbane, che tutto sono tranne che una catastrofe naturale .
Di naturale c’è davvero poco, in questa nostra folle corsa al cemento.
I dati dell’Ispra smentiscono, per l’ennesima volta, la presenza di un nesso causale tra edilizia e necessità di abitazioni: in una spirale perversa le città perdono abitanti, ma guadagnano case, vuote e sfitte.
E se nel 2014 il suolo consumato per ogni cittadino italiano sembra, per la prima volta, lievemente scendere, non è perchè si costruisca di meno, ma è a causa della ripresa demografica, dovuta in grandissima parte all’immigrazione.
Come una specie di terribile peccato originale, i “nuovi italiani” si addossano un consumo statistico di suolo davvero impressionante: circa un chilometro quadro a testa.
E non si deve pensare che il Mezzogiorno sia esente dalla peste grigia del cemento.
Dopo Lombardia e Veneto si attestano immediatamente la Campania e la Puglia.
Ed è impressionante – ma non sorprendente – vedere che la regione del Crescent (il più incredibile scempio edilizio della Penisola, che ha sfregiato la città e il paesaggio di Salerno per volontà del sindaco Vincenzo De Luca, ora candidato alla presidenza della regione) nel 2013 si è cementificata più di Toscana, Emilia Romagna, Lazio: con una percentuale che si attesta tra il 7,8 e un mostruoso 10,2 per cento del territorio.
Di fronte a queste cifre, appaiono un balsamo le parole del nuovo ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, il quale ha subito promesso che si costruiranno solo opere utili (ovvio? No, sarebbe rivoluzionario), e che si romperà con la legislazione d’emergenza pro-cemento made in Maurizio Lupi.
Ma c’è da fidarsi?
Il disegno di legge sulla “semplificazione” presentato dal presidente del consiglio Matteo Renzi di concerto con la ministra Marianna Madia promette, al contrario, di aggravare le conseguenze del micidiale Sblocca Italia, voluto da Lupi e fatto approvare da Renzi nello scorso novembre.
Si tratta di una legge delega che – se approvata – permetterà , tra l’altro, al governo di estendere il micidiale meccanismo del silenzio-assenso (già sostanzialmente dichiarato anticostituzionale nel 1986) anche «alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini» (articolo 3).
Facile immaginare cosa succederà , in un Paese che ha smantellato e reso inefficienti le sue “magistrature del territorio”: saranno più veloci i permessi alle opere inutili legate ad interessi privati.
E che dire dell’articolo 2, che delega il governo a introdurre il principio della decisione a maggioranza nelle conferenze dei servizi?
Gli interessi dell’ambiente e della salute dei cittadini saranno in maggioranza o, come sempre, in minoranza?
La battaglia contro il cemento si perde prima nelle leggi corrotte, e poi sul territorio: dipende dall’azione del governo Renzi ciò che leggeremo nel prossimo rapporto Ispra.
O il governo invertirà la rotta, o leggeremo che ci siamo suicidati ancora un po’.
La scommessa sarebbe facile: ma sul futuro dei nostri figli non si può scommettere.
Tomaso Montanari
(da “La Repubblica“)
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Maggio 6th, 2015 Riccardo Fucile
“OCCORRE UNA TECNICA DI RITAGLIO, INDIVIDUANDO PIU’ PARTI”
Non è “amico” dell’Italicum.
Tuttavia Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, ritiene che questo «frutto della disinvoltura costituzionale » sia più difficile da mettere nell’angolo per com’è stato costruito.
Considera «il referendum tramite il ritaglio della legge forse la via più impervia ».
Anche se, «solo una volta definito il quesito si potrà prevedere l’esito dinanzi alla Consulta».
Da sempre la via più rapida per far cadere una legge elettorale è il referendum. Lo sarà pure per l’Italicum?
«Non è facile individuare le parti da sottoporre a questa procedura. La giurisprudenza costituzionale impone che l’abrogazione di una legge elettorale non comporti la “paralisi di funzionamento”. Ciò significa che si possa votare con una legge in vigore».
L’Italicum è un fortino inattaccabile?
«No, questo è troppo. È vero però che bisognerebbe utilizzare una sofisticata tecnica di ritaglio in grado di cancellare le numerose criticità costituzionali della legge e al contempo proporre un nuovo sistema elettorale subito applicabile».
Non si può immaginare un referendum. Ma c’è chi ci sta pensando. La giudica una strada che sbatte sulla Consulta?
«Una legge fortemente incostituzionale costringe a cercare tutte le strade per approdare alla Corte. Quella del referendum è forse il sentiero più impervio, ma altre vie sono perseguibili e saranno perseguite ».
Pensa che, come per il Porcellum, alla fine spunti l’Aldo Bozzi di turno, se non lui stesso, che andrà in Tribunale?
«È uno dei pochi fatti certi in uno scenario confuso e incerto. La sentenza sul Porcellum ha aperto le porte a questa ipotesi. Non voglio, nè posso sostituirmi alla Corte, ma sono sicuro che la questione le verrà proposta. La Consulta affronterà di nuovo gran parte delle questioni che pensava, e noi tutti pensavamo, fossero risolte. Una nuova dichiarazione di incostituzionalità sarebbe la più profonda delegittimazione del sistema politico».
Quali sono gli svarioni che vede nell’Italicum?
«La Corte ha operato un bilanciamento tra legittimi strumenti di stabilizzazione dei governi, la “mitica” governabilità e le necessarie garanzie della rappresentanza. La legge assicura solo la prima annullando il necessario principio costituzionale della rappresentanza democratica».
I punti davvero critici?
«Sono i quattro pilastri d’argilla della legge: il premio attribuito anche a una lista dalla scarsissima rappresentanza reale; i capilista che per i partiti piccoli e medi riguarderà il 100% degli eletti; le pluricandidature che rimetteranno nelle mani del partito la scelta dell’eletto; la diversità delle norme tra Camera e Senato che introduce non tanto una semplice differenza, quanto un’assoluta irrazionalità del sistema».
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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