Destra di Popolo.net

CAMPIDOGLIO, FOLLA AL FLASH MOB PER MARINO: “IGNA’, DAJE PIU’ FORTE”

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

IL SINDACO: “IO NON MOLLO, CI RIVEDIAMO ALLE ELEZIONI DEL 2018”

«Marino tu devi restare» sulle note della celebre canzone «Marina».
E poi uno slogan che suona come una preghiera: «Daje Igna’!».
Sono centinaia i cittadini che si sono dati appuntamento tramite i social network per il flash mob a sostegno di Ignazio Marino.
Al contrario di M5S, Forza Italia, Fdi, Ncd e opposizioni varie i romani saliti sul colle del Campidoglio vogliono che il sindaco vada avanti, messaggio riassunto in un’enorme bandiera con la scritta «Daje più forte» issata accanto al Marc’Aurelio.
Cori, foto e slogan
Proprio nel giorno in cui al primo cittadino viene assegnata la scorta, il suo popolo manifesta tra stendardi (pure del Pd) fischietti, trombette, cori e una marea di cartelli e t-shirt con foto e slogan, con un leit motiv preciso: «Io sto con il sindaco Ignazio Marino».
E ci sono anche gli eletti della sua Lista civica, come i consiglieri comunali Franco Marino e Svetlana Celli; gli esponenti del Partito democratico, come il deputato ed ex segretario romano Marco Miccoli, Enzo Foschi e il consigliere comunale Athos De Luca; il vicesindaco Luigi Nieri e Annamaria Cesaretti, esponente di Sel nell’assemblea capitolina.
In piazza diversi assessori, dalla dem Marta Leonori (Commercio) ai tecnici Alfonso Sabella (Legalità ) e Maurizio Pucci (Lavori pubblici).
«Non mollo»
Il sindaco, quando si affaccia sulla piazza del Campidoglio, è accolto da un’ovazione. I suoi supporter gridano: «Ignazio, Ignazio» e «Non mollare, non mollare!».
E lui è pronto a raccogliere l’invito: «Oggi questa è la ragione della mia vita: io non mollo e ci rivediamo alle elezioni del 2018. Insieme andremo avanti fino al 2023. Insieme non possiamo che vincere e cambiare Roma, ed è quello che faremo».
E l’assedio del premier Matteo Renzi? E, soprattutto, l’inchiesta Mafia Capitale?
«Il Pd – replica Marino – è il partito di cui ho preso l’unica tessera della mia vita: il Pd non sono le poche persone che in questa città  ne hanno certamente rovinato il nome».

(da “il Corriere della Sera”)

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MILANO PRIDE, 100.000 AL CORTEO PER CHIEDERE UGUALI DIRITTI

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

PISAPIA: “URLO FORTE AL PARLAMENTO”

«Siamo oltre 100 mila, in piazza un sì corale al matrimonio tra persone dello stesso sesso», esulta il coordinamento Arcobaleno, formato dalle associazioni che organizzano il Milano Pride 2015.
La parata è partita alle 16 da piazza Duca d’Aosta, con arrivo a Porta Venezia. In testa un gruppo di manifestanti con lo striscione «I diritti nutrono il pianeta».
Presenti anche il sindaco Giuliano Pisapia, il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris e gli assessori Daniela Benelli, Chiara Bisconti, Pierfrancesco Majorino, Pierfrancesco Maran, Carmela Rozza e Cristina Tajani.
Testimonial l’ex calciatore Alessandro Costacurta, con un messaggio contro l’omofobia nello sport.
La sfilata del Gay Pride chiude la settimana dell’orgoglio omosessuale – patrocinata da Comune e Regione -, iniziata sabato scorso con il «Kick off party» al padiglione Usa di Expo, e proseguita con oltre 50 appuntamenti «per dire no all’omofobia e alla discriminazione».
La festa rivendica diritti di pari dignità  con gli eterosessuali, in particolare sui diritti fondamentali: le unioni civili e il matrimonio gay, sul modello delle nuove leggi che sono state approvate in Irlanda e negli Stati Uniti d’America.
L’estrema destra ha organizzato, in contemporanea, un presidio inneggiante alla «famiglia tradizionale» denominato #FAMILYPRIDE, a cura di Forza Nuova, in piazza San Carlo, raccogliendo però poche persone.
«Sono convinto che il Tar della Lombardia ci darà  ragione sui matrimoni gay», ha dichiarato il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, a proposito del pronunciamento del prossimo 5 luglio del tribunale regionale della Lombardia sul ricorso del Comune di Milano contro il decreto prefettizio che imponeva di cancellare i matrimoni gay contratti all’estero.
«Lo dico da giurista e da uomo delle istituzioni, anche sulla base di quanto già  accaduto a Roma», ha aggiunto Pisapia parlando dal palco del Gay Pride.
«Da qui arriva un urlo forte al Parlamento», ha aggiunto, spiegando che «per ora sarà  un urlo di forza e comprensione ma se entro quest’anno non servirà » a colmare le lacune legislative sulle coppie gay «diventerà  un urlo di ribellione e rabbia».
Ivan Scalfarotto, del Pd, in corteo, ha voluto dire che la legge sui diritti civili è «in discussione, si tratta ora di portarla a casa perchè le sfide del Paese non possono non passare dalla modernizzazione della società ».
In aperta polemica con queste parole alcune associazioni di omosessuali.
Cristina Gramolin, appartenente ad Arci Lesbica, ha replicato: «Non siamo qui per fare pubblicità  agli Scalfarotto, anche perchè stanno cucinando una legge vuota. Il movimento non vuole una leggina solo per dire al mondo che l’abbiamo anche noi».«Il Paese è pronto – scrive intanto il Coordinamento Arcobaleno -, ci attendiamo risposte politiche concrete a una piazza che chiede che anche l’Italia si allinei con l’Occidente nel compimento di una democrazia matura, nella quale gay, lesbiche e trans abbiano piena cittadinanza nei diritti».
Il tema dell’accoglienza dei migranti è stato il tema dell’edizione di quest’anno del Milano Pride, dedicata in particolare ai profughi: gli organizzatori hanno infatti deciso di devolvere parte dei fondi raccolti nell’ambito delle iniziative della Pride Square e della Pride Week alle associazioni che si occupano di accoglienza

(da “il Corriere della Sera”)

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RENZI E IL PRESIDENTE KAZAKO BLOCCATI IN ASCENSORE AD EXPO

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

A PALAZZO ITALIA DEVONO INTERVENIRE I VIGILI DEL FUOCO CON L’ASCIA

Tra tutti gli intoppi possibili, è successo forse il peggiore.
Il premier italiano Matteo Renzi e il presidente della Repubblica del Kazakistan Nursultan Nazarbayev sono rimasti chiusi in ascensore, per diversi minuti, dentro Palazzo Italia.
A liberarli i vigili del fuoco, in presidio costante dentro Expo, che sono intervenuti armati di ascia per evitare che l’intoppo si trasformasse in un vero incidente diplomatico.
L’ episodio è caduto verso le 14, proprio al termine del business forum italo-kazako in cui grandi aziende dei due Paesi hanno siglato contratti commerciali per 600 milioni di dollari.
A confermare quanto accaduto, scherzandoci su, anche il commissario unico di Expo 2015 Giuseppe Sala: “Come succede nelle case di ognuno di noi, ogni tanto gli ascensori si bloccano. E noi abbiamo avuto la fortuna che si sia bloccato proprio con Renzi e Nazarbaev dentro. È il bello della diretta”.
E pure Renzi ci ha scherzato sopra: “Abbiamo stretto i rapporti con il Kazakistan…”, ha detto, un paio d’ore dopo l’episodio.
Proprio il capitolo commerciale – con la presenza tra gli altri dell’ad dell’Eni Claudio Descalzi – aveva creato una certa tensione intorno al vertice italo-kazako, più della norma degli incontri diplomatici di Expo.
Di certo l’incidente non avrà  giovato.
Ma la giornata non è stata però solo dedicata agli affari e proprio Renzi ha voluto, nel suo discorso, rimarcare altre priorità : “Prima del business viene un altro motivo di unione e cooperazione. Italia e Kazakistan condividono un’idea di lotta al terrorismo, pace universale, ascolto e inclusione culturale. E in questo momento c’è bisogno che tutti i Paesi dell’area euro-asiatica cooperino per la pace contro il terrorismo e il fanatismo che in queste ore e in questi giorni ha fatto i danni che conosciamo, tra Tunisia, Francia e Kuwait”.

(da “La Stampa”)

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COSI’ LA BUCA DELLE LETTERE HA UNITO L’ITALIA

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

UN LIBRO RACCONTA LA STORIA DELLE CASSETTE ROSSE QUASI SCOMPARSE PERCHE’ NON SCRIVE PIU’ NESSUNO

Cara, vecchia, buca delle lettere. Che fine hai fatto?
Ma sì: parliamo di quelle scatole di metallo rosse, leggermente bombate, aggrappate ai muri delle nostre città , quasi soffocate dai graffiti, con la dicitura «posta» e le feritoie per imbucare la corrispondenza.
Ce ne sono sempre meno, perchè nell’epoca del web, di WhatsApp e delle e-mail, nessuno «imbuca» più nulla.
Tutti inviano, ci mancherebbe. La corrispondenza cartacea, assicurano da Poste Italiane, si è praticamente dimezzata negli ultimi 15 anni.
E così siamo passati dalle 67 mila cassette d’impostazione degli anni Novanta alle attuali 52 mila. Diminuiranno ulteriormente, c’è da giurarci.
Quelle che ancora resistono sono collocate soprattutto vicino alle stazioni e lungo le strade di maggior flusso pedonale.
Quelle dismesse, invece, non vengono affatto rottamate. Anzi. Per loro, che sono particolarmente solide – spiegano i tecnici di Poste Italiane -, è previsto un trattamento di riverniciatura e di risistematura: in questo modo sono pronte per sostituire le più compromesse, in un ciclo di ricambio continuo.
Archeologia urbana
Dunque, la cassetta rossa che un tempo custodiva le speranze, gli amori, le gioie e i dolori degli italiani (soprattutto sotto forma di cartoline, e pensate che una buca ne poteva ospitare fino a mille), oggi rischia di divenire un tenace reperto di archeologia urbana.
Eppure, anche se la storia finirà  per mandarla in pensione, questa strana scatola nella quale infilavamo pensieri che poi non potevamo più riacciuffare, continua a sprigionare un certo magnetismo.
E a raccontare qualcosa del nostro Paese.
Lo sa bene Manuela Alessandra Filippi, una storica dell’arte, che nel 2004 ha curato un volume pubblicato da De Luca Editori, intitolato proprio Buca delle lettere. Storia e immagini.
«Le buche — dice Filippi — raccontano la nostra storia e, spesso, sono delle vere e proprie opere d’arte. Mi è piaciuto guardarle un po’ come se fossero dei quadri».
Il libro
Il libro, realizzato con l’Archivio storico delle Poste, è una miniera. Scopriamo, per esempio, che la prima buca italiana, compare nel 1632 all’interno del portico del palazzo priorale di Montesanto di Spoleto, nell’allora Stato Pontificio.
«La portata innovativa della buca — scrive Filippi — che in larga parte ha contribuito allo sviluppo della corrispondenza, consiste nella possibilità  di depositare le lettere in partenza anche in assenza del corriere, o di un suo rappresentante, in qualsiasi momento della giornata, in un luogo sicuro e protetto».
Per tutti, non solo più per i nobili come era stato fino ad allora.
E infatti in un’antica buca a Bertinoro (Forlì) campeggia la scritta: «Al ricco e al povero deve consentirsi di viaggiare di qua e di là ».
Gli italiani sono affezionati a questi oggetti.
A Pienza (Siena), per dire, la popolazione è insorta di recente contro le Poste che volevano mettere fuori servizio una cassetta del XIX secolo, mentre a Casteldelpiano (Grosseto) se ne trova una del 1715 a tre metri dal livello stradale e guai a chi la tocca.
Se nei primi del ‘900 i berlinesi, presi dalla mania delle cartoline volevano scriverle seduti nei caffè, con un postino giunto apposta per farle imbucare in una cassetta che portava sulle spalle, anche in Italia iniziavano a funzionare le cassette mobili.
Spesso erano agganciate sulla fiancata destra dei tram il cui tragitto prevedeva una fermata alla stazione ferroviaria.
Milano ebbe anche un «ufficio ambulante su vettura elettrica».
Durante il ventennio fascista sulle cassette, accanto allo stemma sabaudo, venne imposto il fascio littorio.
Simboli che, con il passaggio alla Repubblica, vennero eliminati con lo scalpello. Nel 1927 aveva fatto la sua comparsa anche una buca bianco rosso verde: era destinata alla raccolta di giornali per il dopolavoro delle forze armate.
Ma bisogna aspettare il 1961 per vedere le classiche cassette di impostazione rosse, a due feritoie (per la città  e per fuori), così come siamo (o eravamo) abituati a vedere.
È a Napoli, l’8 aprile del 1961, che nell’arco di una notte, le vecchie cassette vengono sostituite con quelle nuove.
Insomma, la cara buca delle lettere rossa e bombata ha da poco compiuto 54 anni. Invecchierà  o scomparirà ?
Ai «postali» l’ardua sentenza.

Mauro Pianta
(da “La Stampa“)

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NEBBIE ROMANE SUL GIUBILEO

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

E’ NECESSARIA UNA SVOLTA, MA NON BASTA SOSTITUIRE IL TIMONIERE: OCCORRE UN’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’ COLLETTIVA DELLA POLITICA

Il 13 luglio saranno già  passati quattro mesi dalla proclamazione del Giubileo straordinario e ne mancheranno meno di cinque all’apertura dell’evento, prevista per l’8 dicembre prossimo.
Ma niente di concreto, per quanto è dato sapere, è ancora stato messo a punto. Nessuna decisione, nessun piano, nessuna organizzazione.
Chi in questi giorni ha partecipato a qualche riunione con i tecnici comunali conferma un senso di generale disorientamento.
Forse comprensibile se si tiene conto dei problemi quotidiani e urgentissimi della città , ma anche delle docce scozzesi alle quali il sindaco Ignazio Marino viene costantemente sottoposto da mesi con le indiscrezioni circa la possibile nomina di un commissario governativo.
I giornali riferiscono di screzi continui fra il Campidoglio e Palazzo Chigi, sempre regolarmente smentiti.
Che però l’impasse sia totale è un dato di fatto facilmente ricavabile dalle dichiarazioni.
Se Ignazio Marino aveva risposto il 13 marzo scorso all’annuncio del pontefice con un rassicurante «Roma è pronta da subito», ecco che il 12 giugno lo stesso sindaco di Roma diceva: «È urgente iniziare le opere visto che mancano pochi mesi all’8 dicembre».
Quali opere? «La riparazione delle buche e la sistemazione di quei percorsi pedonali a cui tanto tiene il Papa».
Anche perchè per il Giubileo si prevede un aumento di almeno dieci milioni di turisti.
Per capirci, lo stesso numero di persone che ogni anno visita il solo museo del Louvre senza che per questo la città  di Parigi vada in confusione mentale.
Nemmeno dopo che la strage di Charlie Hebdo ha imposto da gennaio misure di sicurezza eccezionali. È stato fatto un piano ed è stato rispettato, con un minimo aumento del disagio che non scoraggia milioni di turisti.
Ma lì ci sono trasporti che funzionano, un’amministrazione comunale che funziona, uno Stato che funziona.
A Roma, purtroppo, no. E la cosa preoccupante è che nessuno se ne preoccupa.
Ulteriore dimostrazione della sconcertante inconsapevolezza che aleggia sulla capitale la troviamo all’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, dove arrivano i turisti di tutto il mondo.
A un mese e mezzo dall’incendio divampato (con modalità  che ancora non abbiamo ben capito) nel Terminal numero tre, i disagi per i viaggiatori non sono finiti.
Riaperto qualche giorno dopo il disastro, quello scalo è stato sequestrato e poi dissequestrato: ma il calvario non è finito.
Ora, denuncia il deputato democratico Michele Anzaldi, si è deciso di procedere a ulteriori accertamenti sanitari a cura dell’Asl nell’area dei negozi (ancora chiusa) che richiederanno almeno venti giorni.
Dal che è facile dedurre che l’aeroporto non tornerà  alla normalità  prima della metà  di luglio. Anche in questo caso il fatto di essere in piena stagione turistica non preoccupa nessuno. Ma a chi toccherebbe?
Ovviamente alla politica, nella fattispecie quella che ha le responsabilità  del governo nazionale, regionale e locale: tutte coincidenti nello stesso schieramento.
Se però ogni energia più che essere concentrata sulla soluzione rapida dei problemi non fosse assorbita da una insensata guerra fratricida interna al Partito democratico. Da una parte i renziani che considerano Marino inadatto a guidare Roma e manovrano neppure troppo nell’ombra per metterlo sempre più in difficoltà , sperando che si decida prima o poi a fare le valigie.
Dall’altra il sindaco che gioca perennemente in difesa.
Il risultato è che la svolta di cui la capitale d’Italia avrebbe un disperato bisogno non si vede.
A Marino questo giornale non ha mai risparmiato le critiche.
Il problema principale sta nella mancanza di autorevolezza e questa carenza si riflette in modo palpabile sul governo di una città  che sembra non governata affatto.
Ma chi invoca da sinistra le sue dimissioni dovrebbe ripensare a come si è arrivati a questa scelta degli elettori e agli errori gravissimi di cui si è reso responsabile il gruppo dirigente del Pd.
Chi le pretende da destra, invece, farebbe meglio ad arrossire per le rovine materiali e le devastazioni morali di cui in cinque anni ha disseminato Roma: non bisogna aggiungere altro.
È fuori di dubbio che sia necessario un cambio radicale di passo nella gestione di una città  che versa in condizioni inaccettabili per una capitale.
Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, non è sufficiente sostituire il timoniere. Servirebbe un’assunzione di responsabilità  collettiva della politica nei confronti dei cittadini.
Che però è impossibile senza una rigenerazione dei partiti, negli ultimi anni sempre più somiglianti a comitati d’affari ripiegati su bassi interessi personali e di bottega. La destra è in macerie.
Mentre il gruppo dirigente del Pd romano è in rotta: il compito di dipanare le nebbie che per troppo tempo l’hanno avvolto, affidato al commissario Matteo Orfini, è da far tremare le vene ai polsi. A lui i migliori auguri di successo.
Diversamente, il dibattito su Marino rischia di essere soltanto l’ennesimo falso problema.

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)

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L’ASSEDIO GIUDIZIARIO CHE PREOCCUPA IL PD

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

GLI EFFETTI DELLE INCHIESTE E I TIMORI NELLA MAGGIORANZA PER UNA “RESA DEI CONTI”

Così come l’inchiesta della Procura romana su Mafia Capitale ha sottratto voti a Renzi alle Amministrative, le inchieste di altre Procure sul territorio nazionale stanno decimando la sua maggioranza in Parlamento.
È un dato numerico e anche politico.
L’indagine in Calabria su presunti «rimborsi truffa» alla Regione, risalenti a tre anni fa, si è conclusa ieri con la richiesta di arresto per il senatore Bilardi di Ncd.
Come di Ncd è il senatore Azzollini, per il quale la Procura di Trani ha già  chiesto lo stesso trattamento.
«Non mi sembra un caso», commenta il democristiano Rotondi, che dai banchi dell’opposizione ricompone gli spezzoni di un film a cui ha già  assistito ai tempi della Prima e della Seconda Repubblica: «La verità  è che la magistratura sta accerchiando Renzi, mirando a quel ramo del Parlamento dove la maggioranza di governo regge per pochi voti. Si chiama golpe, ma non lo si può dire».
E infatti nessuno lo dice, sebbene tutti ci girino attorno con la prudenza che la politica (e il momento) impone.
Ma è chiaro a cosa alluda il centrista Cicchitto sostenendo che «sembra di stare come a Dresda, sotto i bombardamenti. E se il Partito democratico non si rende conto che il processo di destrutturazione della maggioranza, pezzo per pezzo, non avviene per dissenso politico ma per inusitati interventi giudiziari, vuol dire che non ha capito la realtà  che lo circonda. E chi è davvero nel mirino».
Nel Pd l’hanno capito, bastava sentire ieri la confidenza fatta dal responsabile giustizia Ermini a un compagno di partito: «Girano intorno… Ma la cosa davvero intollerabile è il tentativo di associare l’illegalità  al governo».
Perchè i dem di tendenza renziana distinguono tra quei «ladri di democrazia che andrebbero presi a calci nel sedere» e l’uso «esagerato» dello strumento di custodia cautelare.
Con tutto ciò che politicamente ne consegue.
Il leader del Pd se lo aspettava, «mi aspetto una reazione», disse infatti ad Alfano tempo addietro, durante un incontro a Palazzo Chigi: «Tenteranno la resa dei conti».
E i conti al Nazareno li hanno tenuti: tra sentenze della Consulta, atti dei Tribunali amministrativi e inchieste delle Procure, la lista è così lunga che non viene più indicata sotto la voce «coincidenze».
«È partita la caccia al Royal baby», ha scritto sul Foglio Ferrara, riferendosi al premier: «L’aria a questo punto si fa pesante».
E non a caso l’«elefantino», dopo essersi soffermato sui nodi economici, ha accennato anche alla necessità  di «arginare il partito dei manettari». Perchè il clima evoca un passato che in fondo non è mai passato.
Allora come oggi gli umori del Paese si riversano anche nel Palazzo, dove vengono lasciati tracimare in atti «che a mia memoria mai prima di oggi si erano visti in Parlamento, con le tribune del pubblico piene di persone che – ammiccando a senatori in Aula – urlavano insulti gravi e volgari, senza che venisse disposto un loro immediato allontanamento».
Sono brani della lettera – riferita dall’Agi – con la quale il capogruppo dei senatori pd Zanda accusa il presidente di Palazzo Madama Grasso di non essere intervenuto per far cessare «le numerose, vistose e intollerabili violazioni del Regolamento» avvenute giovedì nell’emiciclo.
E il fatto che gli episodi si siano verificati durante il voto di fiducia sulla riforma della scuola, rappresenta solo un dettaglio.
«Mi aspetto una reazione», disse Renzi, che a sua volta è pronto a reagire.
Intanto, per lanciare un segnale al Paese, d’intesa con il ministro dell’Interno ha sospeso subito De Luca – appena eletto presidente della Regione in Campania – senza cambiare le norme della Severino.
E siccome le leggi offrono anche gli strumenti per respingere in Parlamento delle richieste di arresto, nessuno in quel caso potrebbe fargli velo.
Ma è chiaro che il premier non può giocare solo sulla difensiva. Nè pare intenzionato a farlo, da quel che ha anticipato al suo partito: la prossima settimana infatti intende chiedere al Senato di votare la riforma della Costituzione prima della pausa estiva.
Se questo fosse il timing, vorrebbe dire che Renzi ha chiuso un patto politico con Alfano, e che i partiti di governo l’anno prossimo si presenterebbero uniti davanti al corpo elettorale per il giudizio sul referendum che cambia il sistema costituzionale. «Aspettiamoci la reazione».

Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)

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RENZI ALLARGA LE MAGLIE AGLI EVASORI: SOGLIE DI PUNIBILITA’ PIU’ALTE, MULTE RIDOTTE

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

SANZIONI PENALI PER CHI EVADE L’IVA: IMPORTO ALZATO DA 50.000   A 250.000 EURO… DA 50.000 A 150.000 PER DICHIARAZIONE INFEDELE

Maglie più larghe per gli evasori, sanzioni meno pesanti per chi nasconde al fisco meno del 3% del dovuto, multe ridotte per i contribuenti che non presentano la dichiarazione dei redditi ma rimediano entro un anno, più spazio alla mediazione per ridurre i contenziosi con le Entrate. Secondo il premier Matteo Renzi, i cinque decreti attuativi della delega fiscale varati venerdì in extremis dal Consiglio dei ministri sono “un passo gigantesco per la semplificazione”.
E per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan fanno “chiarezza sui limiti per i reati come la frode distinguendoli dai reati minori e modulando le sanzioni in modo da rispettare il principio di proporzionalità ”.
Ma la modulazione si traduce appunto, in molti casi, in un salvacondotto per comportamenti fraudolenti.
Arriva poi una soluzione per l’impasse determinato dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima l’attribuzione di incarichi dirigenziali a 800 funzionari delle Entrate: per regolarizzare la loro posizione verrà  bandito un concorso pubblico per soli esami.
Ma ci vorrà  tempo e nel frattempo sui loro atti incombe il rischio della decadenza: la Commissione tributaria della Lombardia ha ribadito nei giorni scorsi che gli avvisi di accertamento da loro firmati sono invalidi con effetto retroattivo.
A prevedere un allargamento delle maglie è in particolare la norma attuativa che riforma il sistema sanzionatorio in materia fiscale.
Si tratta dello stesso decreto che finì sul tavolo del consiglio dei ministri la vigilia di Natale del 2014 ma fu poi bloccato e ritirato dopo le polemiche sul famigerato articolo “salva Berlusconi“, quello che escludeva la punibilità  della frode se le cifre in ballo sono inferiori al 3% dell’imponibile dichiarato.
La nuova versione, come annunciato dal premier Matteo Renzi, non contiene più quel comma. In compenso però depenalizza con ancora più generosità  alcune tipologie di evasione. L’omesso versamento Iva sarà  punibile per esempio solo se l’imposta evasa supera i 250mila euro, cinque volte il limite attuale che è di 50mila.
Al di sotto di quella soglia, solo sanzioni amministrative.
Nel testo originario il tetto era più basso, 200mila euro.
Confermato poi l’innalzamento di tre volte, da 50mila a 150mila euro, della soglia di non punibilità  per la dichiarazione infedele.
Reato (punito con il carcere fino a tre anni) che scatterà  comunque se l’imponibile evaso supera i 3 milioni, contro i 2 milioni precedenti.
Non solo: chi porta in deduzione costi che non potrebbero essere detratti, riducendo così in modo indebito l’ammontare dovuto, non sarà  punibile penalmente.
L’altro delitto per cui è previsto un ritocco a favore del colpevole è la frode fiscale: per finire in carcere occorrerà  poi non dichiarare più di 1,5 milioni di euro, mentre oggi ne basta uno. L’unica misura pro-evasori che scompare del tutto rispetto alla prima stesura è la non punibilità  per chi emette false fatture sotto i mille euro, punita con la reclusione da 18 mesi a 6 anni.
L’omessa presentazione della dichiarazione scatterà  solo se l’imposta evasa è superiore ai 50mila euro, non più 30mila come ora.
E il contribuente che non l’ha consegnata entro i termini avrà  un anno per farlo, pagando metà  della sanzione base. Un bel risparmio, considerato che attualmente basta un ritardo di 90 giorni per vedersi applicare una sanzione del 100%.
Se poi il fisco scopre una inadempienza “lieve”, cioè pari a meno del 3% della maggiore imposta accertata, in nome della proporzionalità  la multa sarà  ridotta di un terzo.
Viene ridotto dall’8 al 6% l’aggio che Equitalia incassa come compenso per l’attività  di riscossione
Per ridurre il contenzioso tributario si dà  ai contribuenti la possibilità  di ricorrere alla mediazione per tutte le controversie con il fisco (anche quelle con gli enti locali e le controversie catastali) e non più solo per gli atti dell’Agenzia delle Entrate con valore superiore ai 20mila euro.
Lo strumento della conciliazione si applicherà  poi anche al giudizio di appello.
Fino ad ora riguardava solo le cause di primo grado.
Il decreto sulla semplificazione delle norme in materia di riscossione, infine, estende la possibilità  di accedere al pagamento delle tasse a rate: basterà  una semplice richiesta del contribuente che dichiari di essere in condizioni di temporanea difficoltà .
In più chi è decaduto dal beneficio perchè moroso potrà  rientrare in gioco pagando cinque delle rate arretrate.
Viene poi ridotto dall’8 al 6% il controverso aggio che Equitalia incassa come compenso per l’attività  di riscossione.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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DE LUCA SOSPESO: ECCO ORA GLI SCENARI E L’EXIT STRATEGY PER IL GOVERNATORE CAMPANO

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

ORA SI ASPETTA LA PROSSIMA MOSSA, LA VIA D’USCITA DIPENDE DAI TEMPI DI NOTIFICA DEL DECRETO DEL GOVERNO

Ed ora? Ed ora cosa succede, dopo che Matteo Renzi ha buttato la palla nel campo di Vincenzo De Luca, sospendendo il condannato per abuso d’ufficio da Governatore della Campania come previsto dalla legge Severino, invece di apparecchiare il decreto ad personam che gli avrebbe consentito di nominare vice e giunta senza affanni, recependo il parere dell’Avvocatura dello Stato?
Si aprono scenari inediti. Si scrive a tentoni la giurisprudenza sulla pelle della Campania. E dello stesso De Luca, lasciato solo da Renzi sul più bello.
Ricapitoliamo.
Il decreto di sospensione del premier è un atto recettizio e va notificato anche al consiglio regionale della Campania.
Consiglio che dovrebbe riunirsi lunedì mattina alle 10 con quattro punti all’ordine del giorno: presa d’atto della proclamazione dei consiglieri, elezione del presidente dell’assemblea regionale campana, elezione dell’ufficio di presidenza, esposizione del programma di governo da parte del presidente della giunta regionale (ovvero De Luca) e discussione.
L’ultimo punto è quello che più interessa.
Secondo lo Statuto della Campania, De Luca può nominare vice ed assessori soltanto dopo aver esposto in aula le linee programmatiche. Ma potrà  entrare in aula per fare questo?
In queste ore gli avvocati del M5S Oreste Agosto e Stefania Marchese stanno scrivendo una diffida al prefetto di Napoli Gerarda Maria Pantalone affinchè notifichi immediatamente la sospensione a De Luca e all’assemblea regionale.
Ovviamente il prefetto potrà  notificare l’atto soltanto dopo averlo ricevuto dal governo.
Primo scenario. De Luca viene raggiunto dalla notifica della sospensione prima di lunedì mattina. A quel punto ha davanti a se due opzioni.
La prima: non va in aula ma, forte del parere dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la sospensione non può tramutarsi in una ineleggibilità  di fatto e non può condurre alla paralisi della Regione e alla decadenza del consiglio regionale, parere citato da Renzi in conferenza stampa mentre annunciava la sospensione (“saranno contenti quelli del Fatto Quotidiano”), nomina comunque il vice presidente, quasi certamente l’amico e sodale deputato Pd Fulvio Bonavitacola, e otto assessori, tra cui quattro donne.
Lo fa però con un atto a rischio impugnazione davanti al Tar perchè viola lo statuto regionale.
La seconda opzione: De Luca non nomina la giunta, fa rinviare il consiglio regionale fissato per lunedì (o almeno ne fa rinviare l’ultimo punto in discussione) e ricorre immediatamente alla magistratura civile per chiedere un provvedimento d’urgenza ex articolo 700, ovvero la sospensiva della sospensione, già  ottenuta per un caso molto simile al suo dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris giovedì scorso.
Ha ottime possibilità  di ottenere un provvedimento favorevole e in tempi rapidi, forse rapidissimi.
Il giudice competente, la Prima Sezione Civile di Napoli, è infatti lo stesso del caso de Magistris. Difficilmente smentirà  se stesso.
Ottenuto il via libera, si riconvoca il consiglio regionale e si va avanti sereni e con la testa sgombra dai pensieri almeno fino al 20 ottobre, data in cui la Consulta dipanerà  la matassa sulla costituzionalità  o meno delle parti della legge Severino che interessano De Luca (e de Magistris).
Secondo scenario.
Il decreto di Renzi non raggiunge i destinatari prima di lunedì mattina. In quel caso i 51 consiglieri regionali, De Luca compreso, andranno in aula come se niente fosse, o consapevoli dell’inevitabile sospensione in arrivo?
In effetti, a quel punto, nulla vieterebbe a De Luca di esporre il programma e procedere alla formazione della giunta. E poi ricorrere al Tribunale civile soltanto dopo la notifica della sospensione.
Ma con vice già  nominato e pronto a prenderne il posto in attesa dei tempi e degli esiti del ricorso.
La ‘retroattività ‘ degli effetti sospensione, tema sollevato dall’avvocato Gianluigi Pellegrino nella battaglia legale per l’applicazione immediata della Severino a de Magistris, verrebbe comunque sanata da un provvedimento favorevole del giudice civile. Provvedimento, ribadiamolo, molto probabile.
Se a sorpresa dovesse andare diversamente, correrebbe in soccorso a De Luca il parere dell’Avvocatura dello Stato. Che però, per l’appunto, è un parere. Non è una legge dello Stato.
Quella legge che gli stessi giuristi dell’Avvocatura suggerivano a Renzi.
Il premier però non se l’è sentita di procedere con una norma cucita addosso a un singolo caso.
Ha preferito evitare il rischio di una denuncia per abuso od omissione di atti di ufficio.
Ha buttato la palla nel campo di De Luca.
Nel campo del governatore che non può ancora governare. Smascherando quella che secondo l’azzurro Stefano Caldoro, il rivale sconfitto, è stata la grande bugia che ha inquinato la competizione in Campania: “Il decreto è la dimostrazione che De Luca ha imbrogliato i campani per tutta la campagna elettorale, imbastita sulla menzogna del ‘state tranquilli che su di me la Severino non si applicherà , ho avuto rassicurazioni da Renzi’, e abbiamo visto come è andata a finire. Renzi ha fatto un atto obbligatorio che provoca uno stato di caos istituzionale. In America chi mente viene eliminato dalla scena politica, in Campania chi ha imbrogliato sull’esercizio della democrazia vuole fare il Governatore”.
Poca sorpresa per il segretario del Pd di Napoli, Venanzio Carpentieri: “Il governo ha agito secondo le anticipazioni rese da Renzi nei giorni scorsi. Tempi noti e prevedibili. Ora De Luca farà  ricorso”.

Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)

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L’ITALIA MANDA FORZE SPECIALI CONTRO L’ISIS: NOSTRI INCURSORI A RAMADI

Giugno 27th, 2015 Riccardo Fucile

SECONDO IL FOGLIO IL GOVERNO LI STA PER INVIARE IN IRAQ… A KOBANE I CURDI RICONQUISTANO LA CITTA’

Trenta soldati delle forze speciali italiane in partenza la settimana prossima per il fronte più caldo della guerra dell’Occidente all’Isis: Ramadi, Iraq.
È quanto rivela il Foglio che ha interpellato una fonte della Farnesina.
Scrive Daniele Raineri:
Si tratta di trenta incursori del Nono reggimento d’assalto Col Moschin e raggiungeranno un contingente di forze speciali americane in una nuova base militare creata a Taqaddum, tra Falluja e Ramadi – città  entrambe controllate dallo Stato Islamico, la seconda è caduta a metà  maggio. L’amministrazione Obama aveva chiesto al governo italiano ottanta operatori delle forze speciali nell’ambito di una nuova strategia contro lo Stato islamico, ma il governo ha optato per trenta. Mercoledì i militari sono passati al Ministero degli Esteri per ritirare trenta passaporti diplomatici, che consentiranno loro l’accesso al paese via Baghdad e   anche l’immunità  diplomatica in caso di complicazioni.
Secondo quanto rivela il Foglio, i soldati italiani non andrebbero in Iraq per ricoprire il ruolo di istruttori militari, ma opereranno “outside the wire”, fuori la base, “assieme alle forze speciali americane, all’esercito iracheno e anche assieme ai clan sunniti locali chiamati a prendere le armi (in teoria) contro lo Stato islamico”.
La base militare di Taqaddum si trova nella zona più calda del conflitto tra coalizione occidentale e i miliziani dell’Isis.
L’invio di trenta soldati che si vanno ad aggiungere agli altri uomini già  presenti in Iraq è frutto della richiesta di Barack Obama di un impegno in prima linea del governo italiano.
I soldati italiani non sono mai stati inviati nella zona intorno a Ramadi, ma sempre impegnati nelle zone a nord, nell’area curda, per addestramento e forniture d’armi.
La Task Force 44 si trova invece a Baghdad da febbraio.
Ma il presidente degli Stati Uniti Obama è deciso nel voler recuperare la città  di Ramadi ed è in questo disegno che si colloca l’invio di altri trenta soldati delle forze speciali italiane.
Intanto buone notizie arrivano dal fronte siriano.
Le milizie curde hanno ripreso il pieno controllo della città  siriana di Kobane, assediata dall’Isis. Anche se ci sono ancora scontri a sud della città .
Lo ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sottolineando che i jihadisti sunniti sono stati costretti a ritirarsi.

(da “Huffingtonpost”)

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