Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
LA SENTENZA: “DETENZIONE ILLEGALE”… LE CONSEGUENZE DEL PRESSAPOCHISMO ITALIANO
La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (EDU) oggi ha condannato l’Italia per la detenzione e l’espulsione ‘illegale’ di tre migranti tunisini nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa.
Il ricorso si riferiva a fatti avvenuti nel settembre 2011, quando i tre erano stati prima trattenuti nel Centro di prima accoglienza dell’isola e poi caricati su navi-prigione a Palermo, in attesa del rimpatrio.
L’Italia è stata condannata a versare a ognuno dei ricorrenti 10 mila euro per danni morali e altri 9.300 euro di spese legali.
Per la Corte di Strasburgo la detenzione da parte delle autorità italiane dei tre cittadini tunisini, fuggiti dal Paese dopo le rivolte della ‘primavera araba’ del 2011, era ‘irregolare’ e in violazione di numerosi articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La loro detenzione era “priva di base legale” e i motivi alla base della reclusione sono rimasti “sconosciuti” ai tre ricorrenti, che “non hanno potuto contestarli”.
Inoltre per la Corte, che “tiene conto della crisi umanitaria” sull’isola nel 2011, le condizioni della detenzione dei tre cittadini tunisini “hanno leso la loro dignità “, a causa del sovraffolamento e delle condizioni igieniche della struttura.
La Corte dei Diritti dell’uomo ritiene infine che i tunisini siano stati oggetto di un rimpatrio collettivo, vietato dalla Convenzione, in quanto i decreti di espulsione non facevano riferimento alla loro situazione personale.
Nel mirino dei togati sono finiti quindi il trattamento degradante subito nel centro di soccorso e prima accoglienza di Contrada Imbriacola, a Lampedusa; la violazione del loro diritto alla libertà e alla sicurezza per una detenzione non prevista da alcuna legge, per non essere stati informati dei motivi per cui erano trattenuti e per non essere potuti ricorrere davanti a un tribunale italiano.
(da agenzie)
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Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
IN VISTA UNA RISTRUTTURAZIONE E UNA RIGIDA SELEZIONE DEI MEETUP LOCALI
Addio al partito liquido, maggiore selezione all’ingresso e riorganizzazione – con annesso filtraggio – dei meetup.
Beppe Grillo prosegue sulla strada del rinnovamento del Movimento Cinque Stelle e ora, per la prima volta, ammette con un pizzico di autocritica: «Nel 2013 non eravamo pronti». Oggi, a più di due anni dall’ingresso in parlamento, fa un passo avanti: «Finora siamo andati avanti a braccio, senza avere un’organizzazione. Ma adesso ci sarà ».
La gente non basta più
Il capo dei Cinque Stelle ha indicato la via da Brescia domenica sera. L’occasione era il decimo compleanno del locale meetup, uno dei primi nati nel 2005.
È salito sul palco con Vito Crimi nei panni dell’anfitrione e Luigi Di Maio nei panni di Luigi Di Maio (il vicepresidente della Camera era l’unico con la giacca nonostante la calura: «Ha parlato per un’ora senza sudare, ha dei poteri occulti. Il suo sudore si autoprosciuga» ha scherzato Grillo).
A parte le immancabili accuse al «sistema» («Siamo in un regime di dittatura che sta in piedi grazie alla propaganda») e le consuete previsioni politiche («Se andiamo alle elezioni vinciamo noi e in 24 ore sono tutti fuori dai cogl…»), Grillo ha fatto una riflessione importante. Un’ammissione che dimostra come «la gente» non sia in grado di offrire il meglio alla politica. Che se il principio «uno vale uno» può valere al momento del voto, non è detto che si possa applicare anche per chi poi è chiamato a fare politica all’interno delle istituzioni.
Un nuovo filtro
In sostanza: Grillo ha capito che serve una maggiore selezione della classe politica, anche di quella a Cinque Stelle. Non basteranno più poche centinaia di voti online per entrare in Parlamento. «Nel 2013 non eravamo pronti. Abbiamo incamerato chiunque. Nei movimenti, nei partiti, arriva di tutto. Gente un po’ frustrata che le ha provate tutte».
Serve un filtro. Perchè evidentemente, grazie alle capacità e alle competenze individuali, qualcuno vale più di qualcun altro.
Bisogna quindi ripartire dal territorio, da quello che è il cuore del movimento: i meetup.
E il sistema che è andato avanti fino ad oggi, molto liquido, molto aperto, va rivisto: «Cercheremo di organizzare meglio i meetup» dice Grillo, che ha affidato il compito ad Alessandro Di Battista e a Roberto Fico, due dei cinque membri del «direttorio» creato proprio in un’ottica di ristrutturazione del Movimento.
Innanzitutto verranno azzerati quelli regionali: «I meetup hanno ambito territoriale ristretto – si legge in un vademecum stilato dai due parlamentari -. Per la loro stessa natura orientata ai temi locali, non hanno motivo di esistere meetup regionali o nazionali».
L’autorizzazione dall’alto
Ma il vero punto è un altro: i vertici del Movimento cercheranno di fare una sorta di selezione tra i meetup «buoni» e quelli meno buoni. Servirà un maggiore controllo dall’alto.
E per evitare sorprese è stato messo nero su bianco un concetto chiarissimo: «La partecipazione al meetup non dà diritto all’uso del simbolo MoVimento 5 Stelle».
Di più: «L’uso del nome “Beppe Grillo” sarà inibito qualora gli scopi del meetup fossero evidentemente contrari alle finalità descritte dal suo blog».
E ancora: «Qualsiasi dichiarazione agli organi di stampa degli iscritti al meetup viene effettuata esclusivamente a titolo personale o di un gruppo di cittadini impegnato su un tema, senza la spendita del nome di Beppe Grillo o del Movimento 5 Stelle».
I meetup dunque potranno nascere spontaneamente, ma solo alcuni verranno considerati ufficiali. E l’idea è di trasformarli, poco a poco, in una sorta di sedi territoriali del Movimento. Come succede con le sezioni dei vecchi partiti, ma con un po’ più di controllo dall’alto.
Marco Bresolin
(da “la Stampa”)
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Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
“TRA NOI C’E’ CHI GUARDA AL PD, MA IO NON INTENDO RINNEGARE LA STRATEGIA DI NCD”
A Villa Certosa ribadisce non c’è stato: «Sfido chiunque a sostenere di avermi visto lì. Ero in Sardegna in transito dalla Corsica, punto. E se davvero avessi incontrato Berlusconi, non lo avrei nascosto: i nostri rapporti sono rimasti civili, non ci sarebbe stato nulla di male».
Ma anche se con il leader azzurro oggi trattative in corso non ce ne sono, per il futuro non è possibile considerare chiusa l’esperienza del centrodestra per instaurare una nuova alleanza con Renzi.
O almeno «non si cambia la ragione sociale di un partito senza procedure straordinarie»
Renato Schifani, presidente dei senatori di Area popolare Ncd-Udc, prende una posizione netta sulla via che sembra stia imboccando almeno una parte del suo partito.
Perchè il Nuovo Centrodestra «è nato con una ragione sociale chiara, come indica anche il suo nome». E se la strada da imboccare cambia, ci sarà da discuterne e approfonditamente. Prima delle amministrative, che saranno il banco di prova per disegnare il futuro del partito
Presidente Schifani, con il Pd siete alleati ormai da tempo. Non può non avere un peso anche in ottica futura
«Quando ho fondato assieme ad altri il mio partito, interrompendo con dolore il rapporto con Berlusconi, è stato per due motivi: garantire la governabilità al Paese e realizzare le riforme utili all’Italia, attuando punti programmatici di centrodestra in un governo di emergenza, per poi tornare nell’area dalla quale provenivamo. Era un’alleanza tattica, non strategica e politica».
La sensazione è che da allora molto sia cambiato
«Alla Tiburtina, e al nostro congresso fondativo del 2014 la linea è sempre stata questa, e su questa linea si sono formati i nostri 10mila circoli in tutta Italia. Io stimo Renzi, ma siamo nati per raccogliere il consenso degli elettori moderati alternativi alla sinistra ma che non trovano rappresentanza nell’attuale centrodestra. Se dovessimo cambiare strada andremo a rafforzare quello che è stato il nostro avversario alle elezioni, tradendo il mandato elettorale che i cittadini ci hanno dato. E se anche qualcuno volesse farlo, magari partendo dalle alleanze per le amministrative, bisognerà chiederlo ai nostri organismi statutari, non a una direzione nazionale».
Lei crede che molti suoi colleghi guardino ormai a Renzi?
«Beh, basta leggere le numerose dichiarazioni di esponenti del mio partito, anche di governo, a questo riguardo che ovviamente impegnano solo se stessi… Per non parlare poi di certe posizioni contraddittorie sulle amministrative».
Ovvero?
«Se il coordinatore regionale della Campania (Gioacchino Alfano, ndr) sostiene che non ci si può alleare con il centrodestra a Napoli perchè c’è Salvini, mentre a Milano dove Salvini conta davvero è possibile farlo, un problema c’è. La politica delle scelte a macchia di leopardo fa parte di un passato che non può appartenere ad un partito moderno come il nostro»
Il problema Salvini però è reale per voi…
«Il problema esiste. Salvini per ora cavalca una sorta di estremismo di opposizione, sicuramente eccessivo. Ma non dimentico che anche Bossi evocava la secessione ed i fucili, e poi governava responsabilmente con noi, come non dimentico la Lega di governo di Maroni, con il quale collaboriamo, e di Zaia».
Non sareste comunque schiacciati in un’alleanza tra Lega e Forza Italia.
«Non è affatto detto: le forze minori, nelle coalizioni, hanno una forte utilità marginale, possono essere essenziali per vincere e dunque hanno spazio per pretendere che i loro temi vengano accolti e ridimensionati quelli degli altri. Questo per raggiungere un’intesa vincente».
Ma è vero che c’è un partito «governativo» che si sente tutelato da Renzi e vuole andare con lui e un altro, escluso, che guarda a destra?
«Conoscendo Alfano, so bene che le voci su seggi sicuri assegnati, contrattazioni personali e numeri fissati sono invenzioni. Non è uomo che farebbe questo genere di patti».
Le riforme possono essere il terreno su chi si chiarisce da che parte state?
«No, non credo. Le abbiamo condivise e votate, continueremo a farlo, siamo nati proprio per fare le riforme».
E su temi sensibili come le Unioni Civili potrebbe avvenire una rottura?
«È un passaggio delicato, ma mi rifaccio ad Alfano: questa legge non fa parte del programma di governo. Cercherò di raggiungere un accordo di maggioranza anche se non è facile, ma un’eventuale discrasia non provocherà una crisi di governo».
Ma siamo a un bivio? È possibile che una parte di voi rompa e torni in Forza Italia?
«Io ho un gruppo compatto, non ho elementi o sensazioni di questo tipo. ma devono essere tenuti fermi i princìpi fondativi e un dibattito approfondito sarà necessario. Alfano ha detto che dopo le riforme avremmo fatto un check sulla nostra esperienza di governo. Sarà un momento importante dove ognuno sarà chiamato a fare i conti con la propria storia» .
Paolo Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
SILVIO PUNTA SU DEL DEBBIO … “SIAMO INCHIODATI AL 10%, OCCORRE REAGIRE”
Battere un colpo per non finire stritolati dal Carroccio.
«Siamo inchiodati al 10% — ammette sconsolato Silvio Berlusconi, riunendo lo stato maggiore del partito in Sardegna — Renzi perde voti, ma li guadagna Salvini. E noi? Sempre lì, dicono i sondaggi».
L’emorragia di consensi, certificata già dalle scorse amministrative, allarma l’ex Cavaliere.
Non che le sorti di Forza Italia siano in cima ai suoi pensieri, ma tenere in piedi una struttura dignitosa serve a garantire meglio i suoi interessi.
Per questo l’anziano leader chiede al partito di lanciare una campagna d’autunno contro la Lega.
Nessuna rottura definitiva, ma un’intensa guerriglia mediatica per evitare l’estinzione. E strappare ai padani alcune delle candidature alla guida delle grandi città chiamate alle urne nel 2016. «E Milano — reclama Berlusconi spetta a noi».
A voler essere realisti, bisogna fare i conti con una realtà poco esaltante.
Berlusconi continua a disertare la scena pubblica, mentre Salvini ha ripreso a punzecchiarlo con insistenza. Non gli basta aver messo all’angolo Forza Italia, vuole stravincere.
E il leader non può restare immobile a subire i colpi dell’alleato.
Per questo gli azzurri si opporranno alla serrata di tre giorni promossa dalla Lega per bloccare l’Italia. E per la stessa ragione vareranno un tavolo — guidato da Giovanni Toti — che avrà il compito di individuare le migliori candidature in vista delle amministrative.
Da Milano a Torino, passando per Napoli, FI lancerà propri uomini nell’arena. Poi toccherà a Berlusconi trattare con il numero uno del Carroccio.
Per il capoluogo lombardo circola da tempo il nome di Paolo Del Debbio, ospite non a caso alla festa del Giornale il prossimo undici settembre.
«Di certo — chiarisce Paolo Romani — non possiamo accettare che gli alleati dettino i propri candidati senza discuterne con noi».
Stesso discorso per un eventuale ticket Berlusconi-Salvini: «Prima — assicura il capogruppo — dobbiamo avviare il cantiere del centrodestra ».
Martellare il Carroccio sarà compito dei vertici azzurri. Berlusconi non ha voglia di spendersi troppo, invece.
A villa Certosa l’estate è trascorsa senza grandi emozioni. Qualche vecchio amico come ospite, una serata con Francesca Pascale allo Smaila’s (divertente, non fosse stato per quel salatissimo conto da seimila euro) e poca, pochissima politica.
E il copione non cambierà nelle prossime settimane, perchè il leader non scommette su un capitombolo del governo.
«Sono anche disposto a incontrare Renzi, ma penso che abbia i numeri per approvare le riforme — assicura ai capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta, e alla portavoce Deborah Bergamini — quindi dobbiamo distinguerci e votare contro ».
E se invece Palazzo Madama dovesse riservare sorprese inattese? Solo allora Forza Italia sarebbe pronta a sostenere il ddl Boschi: «Perchè noi — ripete — dobbiamo evitare le elezioni anticipate. Ma a quel punto il nostro aiuto sarà a caro prezzo».
Un ritocco sostanziale all’Italicum, elenca Berlusconi, e forse anche la richiesta di un improbabile governo di unità nazionale.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
LE BALLE DI POLETTI E ALFANO
Ormai l’assuefazione alle balle è talmente diffusa e l’inutilità del Parlamento talmente conclamata che non solo nessuno, nemmeno in quel che resta dell’opposizione,chiede più le dimissioni dei ministri bugiardi.
Ma si rinuncia persino a invocare il rito — doveroso quanto superfluo — di chiamare il governo a “riferire alle Camere”.
Lasciamo un momento da parte le balle spaziali sparate ogni giorno da Renzi (negli asili, nelle elementari, nelle medie e nelle superiori che stanno riaprendo i battenti già si assaporano gli effetti balsamici della “Buona Scuola”), anche perchè è impossibile acchiapparle tutte.
E concentriamoci su due fra i ministri più ballisti: Angelino Alfano e Giuliano Poletti.
Alfano è quello che accusa la giunta di Ignazio Marino (mai indagato) per Mafia Capitale e si tiene nell’Ncd e nel governo il sottosegretario Giuseppe Castiglione (indagato per turbativa d’asta sul Cara di Mineo); poi, al posto del Comune di Roma, scioglie il municipio di Ostia, pur ammettendo che “la legge prevede il commissariamento di Roma, ma abbiamo ritenuto che non sussistessero i presupposti e sussistessero invece per un supporto del Viminale per cambiare la rotta”: una barzelletta.
Però annuncia in pompa magna che — grazie a un disegno di legge, a un decreto e a vari regolamenti varati dall’ultimo Consiglio dei ministri — Marino sarà guardato a vista dal prefetto Franco Gabrielli per “gli interventi di risanamento dei settori risultati più compromessi dagli accertamenti ispettivi” e per “il “raccordo operativo tra le Istituzioni interessate alle opere per il Giubileo”.
La stampa erige subito il monumento equestre a Gabrielli “super prefetto” con tanto di “super poteri”, manco fosse il generale Dalla Chiesa,per altro sprovvisto di super poteri esattamente come Gabrielli.
Il quale avrà gli stessi identici poteri di prima: quelli di qualunque altro prefetto di qualsiasi altra città .
Come se il governo non si fosse mai riunito e non avesse mai deliberato.
Tutta fuffa per giustificare l’ingiustificabile e illegittima decisione tutta politica di Alfano e Gabrielli di non sciogliere il Comune di Roma, violando la legge che, in casi analoghi e anche molto meno gravi, prevede lo scioglimento: infatti lo ha provocato — spesso per molto meno — in ben 253 consigli comunali dal 1991 a oggi.
Il perchè lo sanno tutti: i sondaggi dicono che, se Roma tornasse alle urne, vincerebbero i 5Stelle.
Ma questo non si può dire. Molto meglio mentire anche sul movente della menzogna.
E così si racconta che, col Giubileo alle porte, non si può votare (falso: le poche opere per il Giubileo sono già state quasi tutte deliberate; e in ogni caso, sciolta la giunta, la città sarebbe regolarmente governata dal commissario).
Come può il ministro dell’Interno mentire così spudoratamente e impunemente? Poletti è quello che troneggiava con tutta la panza al famoso cenone del 2010 in un centro per rifugiati organizzata dal capotavola Salvatore Buzzi (già ergastolano per omicidio, poi riarrestato per Mafia Capitale), con il sindaco Pdl Gianni Alemanno(oggi inquisito anche lui per mafia), il capo dell’Ama Franco Panzironi (arrestato con Buzzi), il pregiudicato in semilibertà Luciano Casamonica e il consigliere Pd Daniele Ozzimo (ora indagato).
E già per questo dovrebbe sloggiare dal governo per motivi di precauzione igienico-sanitaria.
Poi ogni mese spaccia dati taroccati sull’occupazione per magnificare gli effetti miracolosi del Jobs Act che finora non ha neppure scalfito la disoccupazione,sempre ferma al 12,7%, cioè allo stesso livello del febbraio 2014, quando nacque il governo Renzie Poletti divenne ministro del Lavoro.
Il suo problema è che non conosce la sottrazione: non riesce a levare i contratti cessati dalla somma di quelli attivati. Non è cattivo, proprio non ce la fa: il segno meno non gli risulta.
Giocondo e rubicondo com’è, vede solo il più. E quando non c’è se lo inventa.
L’altro giorno Ciccio-bomba Cannoniere ha mentito addirittura più del solito e, una volta sgamato, è stato costretto a rettificare, minimizzando però la falsificazione come un innocente “errore umano”.
Si era semplicemente scordato 1.392.196 contratti cessati. Che sarà mai.
Una svistina da niente, che gli ha consentito di occupare le prime pagine dei giornali e i titoli dei tg con l’annuncio di 630.585 contratti a tempo indeterminato nei primi sette mesi dell’anno.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 1st, 2015 Riccardo Fucile
LA COERENZA DELLA CONSIGLIERA DEL PD CHE FA VERGOGNARE I VERTICI DEL SUO PARTITO
Ci si scandalizza perchè il sindaco Marino è in vacanza, molto meno perchè il sindaco di Marino è in galera.
Deve averlo pensato Serena Santurelli, consigliera comunale del Pd nei Castelli Romani, che ha rassegnato le dimissioni accusando il suo partito di contiguità , quando non di connivenza, con la giunta di centrodestra.
Il sindaco Fabio Silvagni si trova al momento ospite di un istituto di pena con l’accusa di avere autorizzato la costruzione illegale di un Burger King in cambio di venti assunzioni indicate da lui.
Ma per la Santurelli l’opposizione di cui fa (faceva) parte si è guardata bene dal chiedere il commissariamento o almeno dal prendere le distanze dall’andazzo ecumenico di favori assortiti che presto raggiungerà l’estasi nell’immancabile speculazione edilizia.
La buona notizia è che Serena non si è dimessa solo dal partito, ma anche dal posto e dallo stipendio, dando prova di una coerenza piuttosto insolita alle nostre latitudini. La notizia cattiva, anzi pessima, è che ha appena 25 anni.
Dopo averla assaggiata per pochi mesi, ha già deciso di chiudere con la politica. C’era entrata con l’entusiasmo di una studentessa in scienze sociali, ma una breve permanenza nelle cucine del potere è bastata a disgustarla; «Ce ne faremo una ragione», hanno commentato i capibastone del Pd locale, scimmiottando il gergo di Renzi.
Mentre proprio lui adesso dovrebbe cercare quella ragazza per convincerla con azioni concrete a tornare indietro.
Una politica che induce alla fuga per sopraggiunto schifo i pochi giovani che ancora le si accostano con passione è destinata a finire all’ospizio e prima ancora in galera.
Massimo Gramellini
(da “la Stampa”)
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