Ottobre 24th, 2015 Riccardo Fucile
IL RISCHIO E’ CHE TRA I DEM PRENDA IL VIA UN’AGONIA PIENA DI RICATTI
Nello strano caso di Ignazio Marino quasi nulla è come appare.
A cominciare dal sindaco dimissionario che non è affatto quel personaggio ingenuo capitato per caso nella fossa dei leoni.
Marino segue una sua logica fatta di passaggi imprevedibili e scarti improvvisi, ma all’interno di uno schema a suo modo coerente.
Viceversa, a chi segue uno schema classico, per esempio il Pd romano, il comportamento del personaggio sembra indecifrabile, l’agire inconsulto di un uomo che ha perso la testa.
Non è proprio così.
Nell’intervista data a questo giornale, Marino non dà mai l’impressione di essere fuori controllo. Al contrario, ogni frase contiene parole pesate una a una.
L’obiettivo sembra chiaro: è il suo ex partito, reo di averlo abbandonato a un destino amaro, fatto di discredito personale come premessa dell’oblio.
Al Pd il sindaco vuol far pagare tutto con gli interessi. Ha capito di avere in mano alcune carte rilevanti, poichè le dimissioni in teoria si possono ritirare e alle primarie del centrosinistra ci si può presentare con l’intento di creare la massima confusione. Quanto meno lo si può minacciare per vedere l’effetto che fa. Non solo.
È evidente che il Pd vuole evitare a tutti i costi di dover sfiduciare il “suo” sindaco con un voto nell’assemblea capitolina.
Vorrebbe dire trovarsi in compagnia dei partiti che di lì a poco saranno gli avversari nella campagna elettorale, dalla destra della Meloni ai Cinque Stelle.
Già oggi i sondaggi danno il partito di Renzi e Orfini in grande affanno.
Un pubblico suicidio indotto dalla resistenza di Marino sarebbe il colpo di grazia alle speranze, peraltro assai esigue, di risalire la china
Il sindaco dimissionario è, sì, un “impolitico”, ma non è uno sprovveduto. Dispone di una certa astuzia e se ne serve all’occorrenza.
Le sue uscite sono temerarie, ma non superano mai l’invisibile confine che le trasformerebbero in vuoto vaneggiare.
Sono tipiche di un uomo che non ha più un futuro davanti, almeno nel mondo della politica, ma ha ancora l’energia per vendicarsi.
Nessuno gli ha offerto un paracadute o quanto meno l’onore delle armi. Nessuno ha blandito il suo egocentrismo fuori del comune.
Al tempo stesso, egli è diventato suo malgrado – e non si sa per quanto tempo – il beniamino di una fetta di elettorato che vede in lui la vittima di un gioco di palazzo.
È un mondo che detesta il Pd romano ed è probabilmente pronto a votare i Cinque Stelle fra sei mesi.
Ma intanto sostiene Marino e gli chiede di “non mollare” perchè ha ben compreso, come del resto il sindaco, che questo è il modo più crudele per tenere aperta la ferita del centrosinistra.
Sulla carta, questi sostenitori costituiscono la base elettorale del supposto ribelle, benchè sul piano pratico per lui presentarsi alle primarie sarà più facile a dirsi che a farsi.
Ma il solo parlarne genera ulteriori conflitti e manda in affanno il piccolo “establishment” di un partito che oggi non è in grado nemmeno di garantire la rielezione dei consiglieri comunali
Sullo sfondo si staglia l’insidia peggiore, benchè allo stato poco verosimile: escluso dalle primarie, Marino potrebbe presentarsi da solo alle elezioni.
Raccoglierebbe quel tanto di voti sufficienti a rendere clamorosa la disfatta del Pd.
Per ottenere lo scopo, il dimissionario deve continuare sulla linea inaugurata ormai da mesi: presentarsi come la vittima dei poteri criminali, lo sceriffo solitario che ha liberato Roma dalla mafia e poi è stato tradito dal suo partito.
Un messaggio obliquo tutt’altro che oscuro benchè poco consistente, dal momento che tutti conoscono le inchieste del procuratore Pignatone e sanno bene chi e come ha debellato la rete dei Carminati e dei Buzzi.
Resta il fatto che il Marino degli ultimi giorni, in apparenza prigioniero dei suoi rancori, sta mostrando un’abilità comunicativa superiore ai suoi nemici, specie quelli del centrosinistra.
Non avendo più niente da perdere, il sindaco galoppa.
Ma nel Pd non potranno ancora a lungo restare inerti. Ormai il dado è tratto e Marino dovrà uscire di scena, quale che sia il prezzo politico ed elettorale che nel partito di Renzi si dovrà pagare.
Tutto è meglio di un’agonia costellata di ricatti.
Stefano Folli
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 24th, 2015 Riccardo Fucile
I TORMENTI DEI CONSIGLIERI PD: “VEDIAMO COME VA, UN PASSO ALLA VOLTA”
La fa troppo facile Valeria Baglio, speranzosa presidente dell’assemblea capitolina: «Mollare
tutti in blocco? Ma no, al momento l’ipotesi non sussiste, valuteremo».
In realtà in casa Pd si valuta eccome e già da un pezzo: che fare se il sindaco Marino davvero dovesse ripensarci e restare?
Un’opzione, benchè difficile da praticare, è che lascino gli altri, la maggioranza più uno dei 48 consiglieri di Palazzo Senatorio. Prima di arrivare a una sfiducia in Aula.
Eh, perchè il sindaco che ex non è ancora, invece persevera: «Mi dicono tutti resisti, resisti. E allora resistiamo, nella vita non bisogna mai mollare».
E intanto prepara «un capodanno speciale, straordinario», contando di festeggiarlo tutti insieme in Campidoglio
Per farlo cadere ci vorrebbero le dimissioni in simultanea di 25 consiglieri.
E quelli di maggioranza sono comunque solo 19.
I ligi dem dovrebbero adeguarsi, però con entusiasmo variegato. «Beh, vediamo come va, un passo alla volta», temporeggia Erica Battaglia.
«Ditemi dove devo firmare e corro, sono pronto da due anni», si prenota invece Orlando Corsetti «anche se butto a mare 25 anni di carriera, ma Ignazio non riesce proprio a governare».
A Marco Palumbo la prospettiva dà l’orticaria per la possibile compagnia: «Dovevamo mandarlo a casa mesi fa, ora ci toccherà dimetterci in massa con quelli di Alemanno».
Athos De Luca si adegua: «Decidiamo insieme al partito per il bene della città ». Quindi se gli dicono sì, sarà sì.
Soffre Michela De Biase: «Chiuderla qui sarà comunque un dramma per noi».
Alfredo Ferrari rimanda: «Se Marino ritira le sue dimissioni vedrò che fare».
Cecilia Fannunza è prontissima: «La fiducia del partito in lui è finita, io seguo la linea».
Quindi una firma e arrivederci.
Antonio Stampete ha qualche rimpianto in più: «Mi dispiace, sono stato eletto dal popolo, però così non si può continuare».
Giulia Tempesta ancora non crede al possibile evento «surreale» del dietro-front mariniano. «Per ora si è dimesso». Nel caso però, se il Pd chiede, avrà il suo sì.
«Ma di che state parlando? La questione non sussiste» si inalbera Giovanni Paris. «Finora nessuno mi ha mai chiesto di dimettermi». E se poi invece bussano? «Mmm… lo faccio».
In casa Sel non ci sono travagli interiori, quattro sono, e in quattro dicono di no alle dimissioni cumulative.
«Noi con i fascisti non ci votiamo», proclama Gianluca Peciola.
Gemma Azuni non si schioda dallo scranno: «Marino è stato eletto dalla maggioranza, torni con un programma di bene comune. Sarà stato ingenuo e anche se ci fosse stata qualche sottrazione… beh… comunque i diktat sono vergognosi».
Annamaria Proietti Cesaretti è quasi materna: «Nessuno vuole che venga mandato via così». Per Imma Battaglia prevale la riconoscenza: «Caso unico e raro, ha fatto tanto per i diritti degli omosessuali, non mi dimetto per farlo cadere».
Dalla sua lista civica, va da sè, c’è sostegno.
«Totale», specifica il capogruppo Franco Marino, che non è un parente. «Gli errori magari ci sono stati, la comunicazione dei successi ottenuti non è stata perfetta, ma la stima è intatta». Rimanda all’aula Rita Paris: «Ma dimissioni prima, no».
Riccardo Magi, radicale, è quasi divertito: «Spero proprio che ritiri le dimissioni e venga in aula, noi siamo per il dibattito».
Con punta sadica: «Voglio proprio sentirli, quelli del Pd, votargli la sfiducia per gli scontrini. O forse ci spiegheranno davvero perchè vogliono farlo fuori».
Giovanna Cavalli e Valeria Costantini
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 24th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX COLLABORATRICE ERA STATA INVITATA PER MOTIVI ISTITUZIONALI
Non era la moglie la donna che il 27 luglio 2013 cenò con Ignazio Marino alla romana “Taverna degli Amici”, pasto che il sindaco dimissionario pagò con la carta di credito del Comune di Roma.
Claudia Cirillo, un’ex collaboratrice di Marino, ha dichiarato al legale del primo cittadino Enzo Musco che a quel tavolo c’era lei.
Lo riferisce su Il Fatto Quotidiano Valeria Pacelli, che spiega che il verbale sarà depositato la settimana del 26 ottobre ai pm Alberto Caporale e Roberto Felici, titolari del fascicolo sulle spese che Marino ha addebitato sul conto del Comune di Roma aperto in seguito a una denuncia del Movimento 5 Stelle e di Fratelli d’Italia.
Questo pasto è costato 120 euro, il giustificativo agli atti del Comune lo definiva come “una cena offerta per motivi istituzionali a un rappresentante del World Health Organization”.
Davanti ai magistrati capitolini, però, Marino ha spiegato che “i giustificativi di solito ricollegano la causale della cena all’ultimo appuntamento della giornata programmato nell’agenda del sindaco”.
Poi ha aggiunto che con lui quella sera non c’era la moglie, ma Claudia Cirillo.
All’avvocato Musco, la donna ha detto di ricordarsi di quella cena, organizzata “per discutere di una collaborazione all’interno dell’amministrazione capitolina”.
Il sindaco voleva coinvolgerla -dice Cirillo- nel progetto sulla creazione della città della scienza. Cosa che poi in effetti avvenne.
Le fatture contestate al sindaco della capitale sono in totale sei.
Marino ha cercato di fare chiarezza dinanzi ai pm.
Tra i banchetti che hanno messo in imbarazzo il primo cittadino c’è anche quello avvenuto il 4 maggio 2013 ai “Tre Galli” di Torino.
Marino dichiarò di avere cenato con don Damiano Modena, incontrato ad Alessandria in occasione della presentazione del suo libro, ma lui negò.
L’ex sindaco, infine, ha ammesso con i pm che Don Damiano non c’era, ma era a tavola con “l’assessore di Novara, Sara Paladini, una persona che lo aveva accompagnato in auto per tutto il giorno e uno del suo staff”.
Il Fatto ha contattato l’assessore Paladini per chiedere conferma della sua presenza. “Si è vero. Eravamo andati alla presentazione ad Alessandria per il libro. Al ritorno il sindaco dormiva a Torino e ci siamo fermati a mangiare”.
Tra le altre cene sospette Marino ha giustificato quella del 26 dicembre 2013 al “Girarrosto Toscano”, a Roma.
Il primo cittadino ha smentito la notizia riportata dai giornali secondo cui sarebbe stato con la sua famiglia, che si trovava invece a Milo, in provincia di Catania.
I suoi commensali, afferma, erano rappresentanti della stampa, ma non ricorda esattamente chi. Per quanto riguarda il pasto del 6 settembre 2013, sempre al “Girarrosto Toscano”, ha ammesso che non era con l’ambasciatore del Vietnam (che peraltro aveva già smentito).
Fatto sta che non riesce a rammentare chi fosse il suo ospite.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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