Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
ORA IL MINISTRO STA TRATTANDO PURE CON CIPRO, GRECIA, LUSSEMBURGO E ROMANIA PER AMPLIARE I RICOLLOCAMENTI A 12 STATI
I migranti ricollocati dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sono sette volte di più rispetto a quelli ricollocati da Matteo Salvini nel 2019.
Il Capitano era quello che prometteva che avrebbe rimpatriato 600mila “clandestini” l’anno, ma Lamorgese prima in un mese ha ottenuto più di Salvini in un anno e poi ha stipulato l’accordo di Malta con altre nazioni europee che oggi sta funzionando.
Alessandro Mantovani oggi sul Fatto Quotidiano spiega che mentre sull’arrivo dei migranti con i barchini l’esecutivo non può fare nulla, quel che il governo può e deve fare è ricollocare i richiedenti asilo nei Paesi europei, almeno quelli soccorsi in alto mare da ong e altri, secondo la strategia degli accordi avviata dal Conte 1 con Salvini e proseguita dal Conte 2 con Lamorgese.
E qui i numeri, ammesso che si possano ridurre persone e destini a numeri, danno ragione alla ministra Lamorgese.
NEI PRIMI otto mesi del 2019, quando al Viminale c’era Salvini, secondo il ministero dell’Interno sono stati ricollocati in Europa 85 richiedenti asilo. Meno di undici al mese. Tutte le volte il presidente del Consiglio Giuseppe Conte doveva concordare le “quote ”, magari mentre il vicepremier leghista strepitava e lasciava le navi in mare anche in pieno inverno. Negli ultimi quattro mesi, cioè dell’insediamento a settembre del Conte 2 e di Lamorgese al Viminale, i ricollocamenti effettivi sono stati già 196 ai quali vanno aggiunti altre 149 persone che entro Natale partiranno per la Germania: così i ricollocati salirebbero a 345 in quattro mesi, quindi 86 al mese contro gli 11 di Salvini.
Spiega Il Fatto che comincia a funzionare il preaccordo sugli sbarchi firmato a Malta il 23 settembre da Lamorgese con i ministri degli Interni di Francia, Germania, Italia, Finlandia e appunto Malta per una ripartizione parziale ma automatica: “Il rapporto tra migranti “ricollocati”e“quote” offerte dai Paesi europei è all’82 per cento. Ora l’obiettivo è rispettare il termine di quattro mesi dallo sbarco”.
Anche il Corriere della Sera il 2 dicembre scorso spiegò che l’accordo cominciava a funzionare:
Il percorso è avviato e adesso si sta trattando con Cipro, Lussemburgo e Grecia, ma anche con la Romania per ampliare la rosa di chi accoglie.
Come abbiamo spiegato, a dispetto dei moltissimi sommelier degli accordi internazionali sui migranti nati non appena Salvini è uscito dal Viminale, all’epoca del Capitano invece funzionava così:
— Veniva avvistata una nave con naufraghi a bordo o questa chiedeva un porto sicuro
— Salvini partiva con la prima diretta su Facebook in cui negava il porto sicuro e diceva che dovevano passare sul suo cadavere
— Partiva un’interlocuzione di Conte con il resto d’Europa per risolvere il problema mentre Salvini sorseggiava un mojito al Papeete
— Appena finito il mojito, Salvini tornava in diretta su Facebook per ribadire che quelli non sarebbero mai sbarcati, stavolta no, signora mia
— I social media manager di Salvini intanto si affrettavano a cancellare dalla diretta su Facebook i commenti che ricordavano a Salvini che anche l’altra volta aveva detto così e alla fine erano sbarcat
— Conte ci provava, la Chiesa ci provava, Salvini continuava a sorseggiare mojitos
— Alla fine sbarcavano tutti.
Questa procedura veniva ampiamente rispettata anche negli ultimi giorni di Salvini al Viminale. Il 2 settembre scorso, mentre era ancora in carica come ministro dell’Interno si era verificato lo sbarco di 31 naufraghi dalla Mare Jonio. Quello stesso giorno l’ex ministro annunciava il sequestro di una nave di una ONG tedesca, ovvero la Eleonore.
Quello che Salvini non diceva ai tontoloni che credono alla propaganda del Capitano era che quella nave aveva in carico 104 persone che sono tutte sbarcate in Italia. Ancora: il 7 giugno 2019 62 persone soccorse in acque SAR maltesi dal rimorchiatore Asso 25 sono state fatte sbarcare a Pozzallo.
Da chi? Da Salvini.
Ne sono sbarcati 192 il 2 giugno (ma forse Salvini era impegnato a litigare con Fico) e 117 il 3 giugno.
Per fortuna adesso non c’è più al Viminale qualcuno che usava gli sbarchi per fare politica. Per questo adesso le cose funzionano.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
NON C’E’ SOLO IL BONIFICO DI 70.000 EURO A FAVORE DEL PARTITO DELLA MELONI… DUE CANDIDATI FDI AI VERTICI DELLE ASSOCIAZIONI VENATORIE… MA I SOVRANISTI NON ERANO CONTRO LE LOBBY?
Non ci sono solo i 70 mila euro donati dal’Associazione Cacciatori Veneti (ACV) al partito di Giorgia Meloni. Perchè anche CONFAVI la Confederazione delle Associazioni Venatorie Italiane che riunisce le associazioni regionali e che condivide la sede legale con l’ACV ha fatto campagna elettorale per Fratelli d’Italia.
All’epoca ACV era presieduta dalla futura onorevole di FdI Maria Cristina Caretta.
A settembre invece il consigliere regionale veneto di Fratelli d’Italia Sergio Berlato è stato eletto Presidente nazionale di CONFAVI.
Sembra quindi che almeno per quanto riguarda ACV e CONFAVI si tratti di una questione che riguarda molto da vicino il partito della Meloni.
Al punto che in occasione della fiera delle armi e della caccia “Hit Show” che si è tenuta a Vicenza nel febbraio del 2018 alcuni esponenti di CONFAVI (che era presente con uno stand) hanno distribuito materiale elettorale per FdI.
A farlo notare su Twitter è Giorgio Beretta dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere che ha condiviso un video dove si vede appunto il contenuto delle borsette gialle della Confederazione delle Associazioni Venatorie Italiane.
All’interno della borsetta marchiata CONFAVI un volantino che invitava a votare per Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 (a Vicenza ci andò pure Matteo Salvini).
L’Associazione è una presenza fissa alla fiera tanto che in un comunicato pubblicato da CONFAVI il giorno successivo alla chiusura dell’edizione 2019 (che ha visto Berlato fare polemica contro la “schedatura dei minorenni”) l’onorevole Maria Cristina Caretta (all’epoca presidente dell’associazione) scriveva «a noi di Confavi piace ricordare che questa è la “nostra fiera”, considerato che nell’anno 2007, nella prima edizione, eravamo in prima linea per garantire il successo della manifestazione e vogliamo ringraziare l’on. Sergio Berlato per aver voluto la nascita di questa fiera che oggi rappresenta per importanza il primo evento di settore in Italia e il secondo in Europa».
Quest’anno CONFAVI ha distribuito trentamila borsette (a fronte di circa 40 mila presenze). Nel 2018 l’associazione faceva sapere che i suoi quasi duecento volontari avevano distribuito «decine di migliaia di borsette con il logo Confavi all’ingresso della fiera». In un’intervista rilasciata durante la fiera del 2018 la futura onorevole Caretta spiegava che CONFAVI aveva fatto in modo che «Sergio Berlato entrasse all’interno del consiglio regionale del Veneto a rappresentare i cacciatori. Dobbiamo inserire persone nostre ad ogni livello istituzionale perchè riescano a portare avanti le istanze dei cacciatori».
Qualche tempo dopo su Facebook l’Associazione dei Cacciatori Veneti pubblicò direttamente il volantino elettorale di Maria Cristina Caretta. Insomma il 2018 è stato un anno impegnativo per i cacciatori veneti che oltre allo sforzo del volantinaggio ad Hit Show il 9 maggio 2018, due mesi dopo le elezioni politiche, hanno fatto partire tramite ACV un bonifico di 70mila euro per Fratelli d’Italia.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
IL FIGLIO LAVORA NELLA BANCA POPOLARE DI BARI, UN EVIDENTE CONFLITTO DI INTERESSI
Il senatore del M5s Elio Lannutti – già al centro di polemiche per la condivisione di un post antisemita sui Protocolli dei Savi di Sion – non si sfila dalla corsa per la presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sulle banche.
Ma ora per lui si pone un serio problema di conflitto di interessi: suo figlio Alessio lavora infatti nell’Ufficio Enti della sede romana della Banca Popolare di Bari, istituto in crisi al centro di un salvataggio da parte dello Stato.
Il Pd, contrario alla sua candidatura, gli consiglia di ritirarsi spontaneamente per non creare imbarazzi nella maggioranza. Ma lui, forte del sostegno dei vertici del Movimento e del gruppo cinquestelle al Senato che lo ha candidato, non molla e va avanti. “Penso che Elio Lannutti sia la persona con gli skills maggiormente adeguati per quel ruolo quindi noi insisteremo con Elio Lannutti”, ribadisce infatti il senatore 5S Daniele Pesco, presidente della Commissione Bilancio al Senato.
Ma il Pd insiste: “Luigi Di Maio devi dichiarare nero su bianco che uno così il presidente della commissione banche non lo può fare – attacca su Facebook il deputato dem Emanuele Fiano – Sicuramente non avrà i nostri voti”.
E ricorda: “Uno degli estimatori dei Protocolli Savi anziani di Sion, un testo antisemita falso diffuso dalla polizia segreta zarista all’inizio del ‘900, nella Germania del Terzo Reich fu proprio Hitler citandoli nel Mein Kampf. Tralascio gli altri estimatori da Hamas all’estrema destra. Poi è arrivato il senatore Elio Lannutti del M5S che di quel testo falso e immondo ha ripubblicato su Twitter le teorie che stavano nel secolo scorso anche alla base del progetto che portò alla Shoah”.
E Alessia Morani, sottosegretaria pd allo Sviluppo economico, ribadisce su Twitter: “Dovrebbe essere Lannutti a ritirarsi dalla candidatura per la presidenza della commissione banche. Mi auguro che abbia la sensibilità di togliere la maggioranza da questo grande, gigantesco imbarazzo”.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
FANPAGE PUBBLICA L’AUDIO DELLA RIUNIONE CON DE BUSTIS E IL PRESIDENTE GIANNELLI
“Quando sono arrivato la prima volta c’era un signore coi capelli bianchi a capo della pianificazione e controllo, a cui chiesi di vedere i dati delle filiali. Tutti truccati. Truccavate persino i conti economici delle filiali. Taroccati”.
Così l’ad di Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, parlava ai manager della banca in una riunione del 10 dicembre scorso, in un file audio pubblicato da Fanpage.it.
”È stato veramente irresponsabile quello che è successo negli ultimi tre, quattro anni. Questa banca è un esempio di scuola di cattivo management, irresponsabile, esaltato”
“Non c’è rischio di commissariamento. C’è un piano industriale serio che prevede gli interventi di investitori istituzionali, una parte pubblica e una parte privata, cioè il Fondo interbancario, con un percorso light, non stiamo parlando di Genova, passata per il commissariamento, e meno che mai delle banche venete”.
Così il 10 dicembre scorso, a tre giorni dal commissariamento deciso da Bankitalia, il presidente della Popolare di Bari, Gianvito Giannelli, parlava ai manager della banca in una riunione i cui file audio sono pubblicati da Fanpage.it.
“Abbiamo iniziato un percorso di messa in sicurezza della banca, un percorso ufficiale che è assistito dalla vigilanza in tutti i suoi passaggi. Sarà un percorso molto breve per i primi passaggi che si chiuderà prima di Natale”, assicurava Giannelli.
Per la Banca Popolare di Bari il credito ”è stato la palla di piombo che ha distrutto il patrimonio di quest’azienda. Alla fine sarà la distruzione, 800-900 milioni, è stato distrutto un patrimonio di questa entità ”.
E’ quanto ha detto l’ad di Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, parlando ai manager della banca in una riunione del 10 dicembre scorso, in un file audio pubblicato da Fanpage.it
“Purtroppo i risultati al primo di tutto l’anno sono molto insoddisfacenti – affermava De Bustis – a questo si aggiunge una storia degli ultimi anni molto negativa sul credito. La banca il credito lo faceva a livello centrale e lo fa in filiale”.
Secondo l’ad, inoltre, “il cost/income che ha la banca, cioè il rapporto costo/ricavo, è indecente. Non è possibile che una banca possa viaggiare al 100% quando alcune banche stanno al 50%. Quindi ci sono troppi costi e pochi ricavi”.
Per la Banca Popolare di Bari “un piano di ristrutturazione è imprescindibile” e si tratta di un piano “non semplice”.
Così l’ad di Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, parlava ai manager della banca in una riunione del 10 dicembre scorso. ““Il piano di ristrutturazione prevede un taglio degli organici molto importante” proseguiva De Bustis sottolineando l’importanza del piano anche di fronte all’Europa”
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
IL GARANTE PARTECIPERA’ ALLA ASSEMBLEA DEI PARLAMENTARI
Aveva detto che sarebbe stato più presente e che avrebbe dato una mano a Luigi Di Maio. Dopo il blitz nella Capitale dello scorso 23 novembre, con tanto di video affianco al capo politico, Beppe Grillo è arrivato a Roma. Probabile, ma ancora non confermata la sua presenza alla presentazione del Piano Innovazione al Tempio di Adriano dove ci sarà anche il premier Giuseppe Conte.
Il garante M5s parteciperà invece alla riunione del gruppo a Palazzo Madama. È qui che tira una brutta aria dopo il passaggio di Ugo Grassi, Stefano Lucidi e Francesco Urraro alla Lega, in seguito al voto sul Meccanismo europeo di stabilità , e dopo che alcuni parlamentari, fra cui Primo Di Nicola e Gianluigi Paragone non hanno votato la legge di bilancio.
Contro il secondo, diversi senatori chiedono di prendere provvedimenti, di deferirlo ai probiviri se non addirittura espellerlo.
I senatori sono allertati per incontrare Grillo nel tardo pomeriggio, intorno alle 19. Anche Luigi Di Maio, di rientro dalla Libia, dovrebbe fare in tempo per essere presente. Da molto tempo garante e capo politico non partecipano insieme a un’assemblea, anzi lo stesso Di Maio si è lungamente sottratto.
Ma ora M5S vive una fase di allarme e anche di novità alla ricerca di un futuro migliore con la creazione del “team” attorno al capo politico. In questo clima però nel quartier generale del capo politico c’è anche il timore che l’arrivo di Grillo possa essere destabilizzante.
Sono ore febbrili. Sullo sfondo ci sono le voci di nuove uscite, una decina di eletti sarebbero pronti a formare una componente autonoma in seno al gruppo Misto.
In questo contesto crescono i sospetti di un’opera da parte della Lega per portare con sè quanti più senatori possibili, quindi la presenza del Garante avrebbe come obiettivo quello di calmare le acque.
Subito dopo, alle 20, si terrà l’assemblea dei deputati e anche qui è prevista la presenza di Grillo per serrare le fila dal momento che ci sono voluti mesi per eleggere il nuovo capogruppo alla Camera tra malumori e contestazioni.
Ieri a Palazzo Madama è stato intercettato anche Davide Casaleggio per una serie di incontri sulla piattaforma Rousseau, non è escluso che si trattenga anche oggi e che veda Grillo nell’albergo dove entrambi sono soliti alloggiare. In ballo c’è anche il “team del futuro”, presentato domenica al Tempio di Adriano. Sarà necessario adesso capire come farlo lavorare.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
PERCHE’ LA REGOLA E’ VALSA PER DE FALCO E NON VALE ORA PER PARAGONE E I SUOI COMPAGNI DI MERENDE?
C’era una volta il MoVimento 5 Stelle della disciplina ferrea e delle regole certe. No, non è vero: non c’è mai stato.
Però c’era un M5S che diceva che era obbligatorio votare la fiducia ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del MoVimento 5 Stelle.
La regola è contenuta nell’articolo 3 del codice etico del M5S dove vengono esposti gli obblighi per i portavoce eletti sotto il simbolo del MoVimento 5 Stelle.
Non c’è alcun dubbio che la pretesa che gli eletti votino obbligatoriamente la fiducia non abbia alcun fondamento costituzionale. Ma la regola c’è e vale per il gruppo grillino. O meglio, varrebbe.
Perchè ieri il Senato ha votato la fiducia sulla manovra del governo Conte Bis, un esecutivo “presieduto da un presidente del Consiglio dei ministri espressione del M5S”. E, fa sapere Luca De Carolis sul Fatto, quattro senatori di quella regola sottoscritta se ne sono ampiamente fregati
Soprattutto, ci sono quei quattro voti che mancano alla manovra di ieri sera.
Partendo dal no di Gianluigi Paragone: “Non sono stato eletto per tenere gli italiani ingabbiati in un bilancio imposto dall’Europa, e la Lega non c’entra nulla: a Salvini andrebbe bene Draghi premier o al Quirinale, a me no”.
E il suo voto contrario potrebbe creargli problemi, visto che il regolamento del M5S obbliga a votare i provvedimenti blindati con la fiducia.
Però c’è anche il passo di lato di Primo Di Nicola: “Non ho votato la legge di Bilancio, e non è certo un fatto di strapuntini. Chiedevo da mesi di mettere fondi per le scuole a più alto rischio sismico, ho rivolto anche un appello a Conte. Ma nulla. E poi io sono abruzzese, so cos’è il terremoto”.
Ma la manovra non l’han no votata neppure Mario Giarrusso, siciliano al secondo mandato, e i pugliesi Cataldo Mininno, membro della commissione Difesa, e Lello Ciampolillo.
Oggi toccherà a Grillo (atteso anche alla Camera) provare a rimettere assieme i pezzi. Anzi, i cocci.
Ora che succederà al M5S le cui regole ferree valgono sempre? Facile dirlo: niente. Ciampolillo e Paragone non hanno votato nemmeno la prima fiducia a Conte e non sono stati nel frattempo cacciati.
De Falco per lo stesso motivo meno di un anno fa venne cacciato. E la differenza tra i comportamenti spiega tutto il terrore del M5S di perdere il potere e andare alle elezioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
NELL’APRILE DEL 2011 BEN 230 DEPUTATI DEL PDL E 59 DELLA LEGA VOTARONO LA BUFALA
Era il 5 aprile del 2011: 232 deputati del Popolo delle Libertà votavano compatti che Ruby, una ragazza marocchina che il 27 maggio del 2010 era stata recuperata alla Questura di Milano, dove era stata fermata per furto, da Nicole Minetti dietro ordine di Silvio Berlusconi, era la nipote di Hosni Mubarak, ex presidente egiziano.
Oltre ai deputati del Pdl, votarono a favore di questa menzogna anche 59 deputati della Lega, 21 dei Responsabili, più Nucara, Mannino e Misiti. Barbareschi si astenne, poi disse che c’era stato un errore.
Votarono a favore anche Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, che non trovarono nemmeno posto e diedero il loro voto in piedi. Tra i votanti anche Maria Elisabetta Casellati, attuale presidente del Senato.
Otto anni dopo: Ambra Battilana, una delle testimoni chiave nel processo Ruby Ter, rivela che cosa era davvero il bunga bunga. Rivela che Nicole Minetti si spogliava davanti a Berlusconi ed Emilio Fede, che le altre ragazze si facevano toccare dall’ex Cavaliere, che le ‘cene eleganti’ di Berlusconi erano delle specie di orge miste a spettacoli di spogliarello.
Che Ruby non fosse affatto la nipote di Mubarak è stato appurato da tempo.
E l’Italia si è dimenticata che pochi anni fa hanno votato il falso in Parlamento. Almeno, non tutta l’Italia: da ieri, da quando ossia Battilana ha reso la sua testimonianza, i nomi di Giorgia Meloni e Maria Elisabetta Casellati sono tornati trend topic, legati a quella storia che sembra storia vecchia ma non lo è affatto.
(da Globalist)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
ORMAI TRE GIOVANI SU QUATTRO CHE CERCANO UN FUTURO ALL’ESTERO SONO CON ISTRUZIONE SUPERIORE E CON ETA’ MEDIA DI 30 ANNI
Ieri Ferruccio De Bortoli ha raccontato i dati ISTAT sulle migrazioni ponendo l’accento sulle migliaia di giovani che se ne sono andati dall’Italia negli ultimi anni. Oggi La Stampa riporta i dati che riguardano i laureati:
Nell’ultimo anno sono calati in modo sensibile i migranti che arrivano nel nostro Paese, il 17% in meno rispetto all’anno scorso. In compenso continua la crescita degli expat che lasciano l’Italia alla ricerca di un posto di lavoro.
Solo l’anno scorso sono stati 117 mila, con una crescita dell’1,9% rispetto al 2018. Negli ultimi dieci anni gli espatriati sono stati 816 mila, quanto gli abitanti di una grande città .
Il rilevamento è stato compiuto dall’Istat analizzando le iscrizioni e soprattutto le cancellazioni dall’anagrafe dei comuni.
La radiografia di chi lascia il nostro paese conferma che si tratta di una vera e propria fuga di cervelli. Quasi 3 su 4 hanno un titolo di studio medio superiore se non addirittura la laurea. Nell’ultimo decennio i giovani laureati che hanno abbandonato il nostro Paese sono 182 mila.
Significativa anche l’età che tende sempre di più ad abbassarsi. L’età media di chi decide di andare a vivere e lavorare all’estero è attorno ai 30 anni.
Ma 2 su 3 hanno tra i 20 e i 49 anni. I giovani italiani che vanno all’estero approdano soprattutto in Gran Bretagna. L’anno scorso, quando già si parlava di Brexit, gli espatriati nel Regno Unito sono stati 21 mila. Segno che nemmeno l’inasprimento della burocrazia per i detentori di un passaporto non inglese è stato un deterrente sufficiente. Ma è tutta l’Europa soprattutto centrale ad accogliere i giovani italiani con un alto titolo di studio.
In Germania l’anno scorso sono finiti 18 mila nostri connazionali, 14 mila sono andati in Francia, poco meno di 10 mila in Svizzera e 7 mila in Spagna.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 17th, 2019 Riccardo Fucile
TANTI LAUREATI IN MEDICINA MA POCHI POTRANNO SPECIALIZZARSI: LA PROTESTA DEGLI SPECIALIZZANDI
Non sembrano esserci grandi possibilità per gli studenti di medicina italiani sul fronte delle specializzazioni. Avevamo affrontato il problema l’estate scorsa quando l’associazione Giovani medici per l’Italia aveva inondato le caselle di posta elettronica dei deputati italiani, con un appello volto a cancellare l’imbuto formativo che rende sempre più difficile ai nuovi medici l’accesso alle specialistiche.
Attualmente nei nostri ospedali sempre più spesso si usa richiamare i vecchi specialisti in pre-pensionamento, mentre fatichiamo a creare nuovi professionisti.
Si tratta di una emergenza creata soprattutto dalla scarsità di bandi, mentre dal 2010 a oggi si promuove solo un maggiore accesso alle facoltà di medicina.
Così aumentano i giovani laureati destinati a fuggire all’estero, perchè una laurea in medicina senza la possibilità di accedere alla specializzazione non apre a molte prospettive.
Su 20mila candidati solo 8mila diventeranno cardiologi, anestesisti, neurologi, eccetera. La carenza di queste figure è ben rappresentata dalle liste d’attesa infinite che caratterizzano l’immagine della Sanità nazionale.
Stando ai dati della Federazione italiana dei medici e odontoiatri, i medici inattivi in Italia sono 25 mila.
Di questi accedono alle specialistiche solo ottomila (672 su base regionale). Tra quelli che l’imbuto formativo lascia in un limbo, circa 2000 emigrano ogni anno, col ringraziamento dei sistemi sanitari esteri.
Così in risposta all’iniziativa del Ministero dell’istruzione di aumentare i posti nelle facoltà di medicina — lasciando la penuria di specialistiche invariata — scattò nel luglio 2019 la mail-bombing di Giovani medici per l’Italia, ricevendo risposte incoraggianti da parte di diversi parlamentari della precedente legislatura.
A quanto pare tutto questo non è bastato. Payam Tabaee, Antonella Moschillo e Antonio Cucinella di Giovani medici per l’Italia, spiegano in un post su Facebook che dalle 8000 borse annunciate l’estate scorsa, si è passati ad appena 8300 previste per luglio 2020, «nonostante dalla maggioranza si siano annunciate 1200 nuove borse — continuano i giovani medici — A fronte di tale situazione abbiamo deciso di mobilitarci in massa, come ultimo tentativo, su due fronti e insieme».
I giovani medici tornano all’attacco con l’hashtag #speranzatradita prendendo di mira i profili social del ministro della Salute Roberto Speranza, a cui i ragazzi rimproverano di non aver mantenuto le promesse di un sostanziale aumento delle borse per le specializzazioni. La nuova mail-bombing riguarderà anche gli altri dicasteri competenti.
Il testo dell’appello:
«Dopo tutti i lunghi mesi di mobilitazione e la richiesta di arrivare almeno a 10.000 Borse di specializzazione mediche per luglio 2020, con l’attuale manovra constatiamo che nel 2020 ci saranno solo 8300 borse di specializzazione, a luglio 2019 erano 8000.
La maggioranza di governo ha annunciato 1200 nuove borse, ma questo perchè corrispondenti in effetti ai 25+5 milioni posti in Legge. Tuttavia tale numero pare non tener conto delle 900 borse non strutturali assegnate lo scorso anno e che per tale ragione vanno sottratte al numero finale. Per un risultato netto finale di 300 borse in più. Alla luce di ciò vi chiediamo subito di aiutarci a reperire le risorse necessarie a rifinanziare le 900 borse che nel corso dell’ultimo anno non sono state più confermate, e al contempo un impegno per arrivare al numero minimo di 10.000 borse di specializzazione statali per luglio 2020, come dichiarato da più parti della maggioranza e come numero minimo necessario per salvaguardare il diritto alla formazione dei giovani medici italiani e per salvaguardare la salute dei cittadini».
(da agenzie)
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