Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO DEL “QUOTIDIANO DEL SUD” IN CONTROTENDENZA AD ALTRI: SANTELLI 37%, CALLIPO 35%, TANSI 17% (CIVICO), AIELLO 10% (M5S)
Un sondaggio commissionato dal Quotidiano del Sud sulle elezioni in Calabria dà Jole Santelli in
vantaggio di due punti su Pippo Callipo, mentre il civico Carlo Tansi è accreditato del 15-19% e Francesco Aiello del M5S chiude con una forchetta tra l’8% e il 12%.
Jole Santelli è tra il 35 e il 39%, Pippo Callipo tra il 33 e il 37%.
Va detto che altri sondaggi segnalavano invece una differenza molto più larga a favore del centrodestra: in quello dell’Istituto Noto per Porta a Porta la Santelli era data oltre il 50% e in grande crescita mentre Callipo arrancava al 36%.
Callipo ha la sua roccaforte nella provincia di Reggio Calabria dove l’intenzione di voto arriva ad una forbice fra il 38 e il 42%, mentre la Santelli sfonda soprattutto nella provincia di Cosenza con una forbice fra il 39 e il 43%.
Tansi, invece, sembra molto presente nella circoscrizione che comprende le province di Catanzaro, Vibo e Crotone con una forbice che va dal 20 al 24%.
Va segnalato, però, che la rilevazione effettuata fa riferimento all’intenzione di voto rispetto al singolo candidato governatore. Non è stato quindi considerato l’effetto trascinamento delle liste che ha un grosso peso visti i meccanismi del sistema elettorale calabrese. Le regole del gioco, infatti, non prevedono il voto disgiunto (cioè votare il candidato consigliere di una lista e il candidato presidente di un’altra) e, soprattutto, comportano che il voto dato al singolo candidato venga automaticamente attribuito al candidato presidente collegato anche se non espresso.
“In poco meno di due settimane di campagna elettorale sono iniziate a crollare le certezze del centrodestra calabrese e gli elettori comprendono che l’unico in grado di dare una prospettiva di sviluppo alla regione e’ Pippo Callipo”, dice il commissario regionale del Partito Democratico della Calabria, Stefano Graziano, commentando il sondaggio commissionato dal Quotidiano del Sud.
“Tocchiamo con mano — riprende — ogni giorno, girando palmo palmo il territorio, che gli elettori si rendono conto che l’unica candidatura per la Calabria è quella di Callipo, una candidatura civica, nata dal basso e non imposta da Roma. E Callipo in queste settimane sta lanciando un messaggio tanto semplice quanto forte: senza legalità non potrà mai esserci una rinascita, non potra’ mai esserci sviluppo. Contro questo messaggio la Lega alza i toni, inasprisce lo scontro verbale. Dimostra un evidente nervosismo, tipico di chi inizia a comprendere che il bluff è stato scoperto”.
“Ai calabresi dico di avere fiducia in un uomo libero e onesto, che ha dimostrato di saper vincere le sfide e non si arrende di fronte alle difficolta’”, conclude.
Ricordiamo il voto in Calabria alle elezioni europee: Centrodestra 47%, Centrosinistra 24%, M5s 26,7%
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
LA GIORNALISTA POTREBBE AVER RIVELATO AI PM MILANESI DI COSA SI E’ DAVVERO PARLATO IN QUELL’INCONTRO, IL GIORNO PRIMA DEL METROPOL
Irina Aleksandrova, la giornalista russa ascoltata per ore dai magistrati della procura di Milano, è una testimone chiave per capire i contorni dell’inchiesta Moscopoli.
Non tanto quelli finanziari, discussi il 18 ottobre del 2018 all’Hotel Metropol e già noti, ma quelli politici.
La cronista dell’agenzia di Stato Tass — ha ricostruito Fanpage.it — era infatti presente la sera del 17 ottobre a Mosca, all’incontro riservato tra il leader della Lega e il vicepremier russo Dimitry Kozak.
Il meeting mai smentito da Matteo Salvini, in cui l’allora vice presidente del Consiglio italiano parlò segretamente con il suo omologo russo, l’uomo del Cremlino con la delega agli affari energetici.
Salvini fa questo incontro la sera che precede il cosiddetto scandalo Metropol ovvero la riunione tra il suo ex portavoce, Gianluca Savoini, e manager russi che avrebbero dovuto offfire un finanziamento occulto alla Lega da 65 milioni di dollari mascherato da compravendita di gasolio. L’incontro con Kozak è servito a dare il beneplacito politico all’operazione?
Aleksandrova potrebbe aver fornito ai magistrati italiani qualche informazione in più su quel meeting riservato, tenutosi nello studio moscovita dell’avvocato Vladimir Pligin, al numero 43 di Sivtsev Vrazhek, e proseguito con una cena. Una serata a cui lei partecipò come traduttrice.
Sono informazioni che riguardano per la prima volta Salvini in persona. Nelle poche situazioni in cui è stato chiamato a rispondere seriamente su Moscopoli, l’ex vicepremier finora si è sempre difeso scaricando la responsabilità su Savoini, dicendo di non sapere nulla della trattativa al Metropol e ricordando che la Lega non ha mai ricevuto soldi da Mosca.
La legge italiana prevede però che sia un reato anche la tentata corruzione e il finanziamento illecito a un partito. Proprio queste sono le accuse per cui indaga la procura di Milano.
Partita dopo le rivelazioni pubblicate lo scorso febbraio su Il Libro Nero della Lega e anticipate da L’Espresso, l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e portata avanti dai pm Sergio Spadaro, Donata Costa e Gaetano Ruta ha finora portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Savoini, ex portavoce di Salvini e presidente dell’associazione Lombardia Russia, l’avvocato Gianluca Meranda e il consulente bancario Francesco Vannucci.
Sono i tre italiani che il 18 ottobre erano seduti a un tavolino della hall Metropol a trattare il finanziamento alla Lega con tre russi, due dei quali sono manager molto in vista a Mosca. Andrey Kharchenko è in stretti rapporti con il filosofo dell’estrema destra russa Aleksandr Dugin, a fasi alterne ben considerato da Vladimir Putin. E Ilya Yakunin è molto vicino a Pligin: l’avvocato che la sera prima aveva ospitato l’incontro Salvini-Kozak.
La trattativa, provata dagli audio pubblicati lo scorso luglio da Buzzfeed, era pensata per finanziare la Lega alla vigilia delle ultime elezioni europee attraverso una mega compravendita petrolifera.
Tre milioni di tonnellate di gasolio venduti da una società pubblica russa a Eni, l’azienda di Stato italiana (che si è sempre dichiarata estranea alla vicenda). Un affare da cui, dicevano Savoini e le altre persone presenti al Metropol, la Lega avrebbe ricavato il finanziamento da 65 milioni di dollari.
Che c’entra la corruzione ipotizzata dalla procura? Per capirlo bisogna tornare a quanto detto quel giorno al Metropol da Savoini. Il piano prevedeva che il gasolio venisse venduto dalla major russa con uno sconto minimo del 4 per cento sul prezzo Platts, il principale riferimento del settore.
Quel 4 per cento di sconto sarebbe stato il finanziamento per la Lega. Su richiesta dei russi, però, a un certo punto le parti si accordano affinchè lo sconto sia maggiore, ipotizzano un 6 per cento.
Con la promessa che tutto quanto superiore al 4 per cento venga restituito ai russi. «Questa è una garanzia, loro prendono pure 400… quel cazzo che devono prendere, ma è una garanzia», dice Savoini ai connazionali in una pausa della riunione. Insomma, una tangente per i russi seduti al tavolo: questa è l’ipotesi dell’accusa.
La trattativa del Metropol non è finita quel 18 ottobre a Mosca. Qualche mese dopo, come documentato da L’Espresso, sono partite le offerte commerciali per l’acquisto del gasolio. Documenti inviati da Gianluca Meranda e Gianluca Savoini prima a Rosneft e poi a Gazprom, con condizioni molto simili a quelle ipotizzate al tavolino della hall del Metropol, compreso il rialzo dello sconto oltre il 4 per cento.
La testimonianza di Irina Aleksandrova potrebbe aiutare i magistrati anche su questo punto. Perchè è stata lei a tradurre per Savoini la risposta di Gazprom all’offerta del leghista.
La donna di fiducia della Lega in Russia. Presente agli incontri istituzionali di Salvini e a quelli privati. E coinvolta anche nelle offerte di Savoini per finanziare segretamente la Lega con soldi russi. I magistrati di Milano hanno segretato il contenuto della sua deposizione. Alla nostra richiesta di commento, la dipendente dell’agenzia di Stato Tass non ha risposto.
(da “Fanpage)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL PARTITO DELLA MELONI, ESCLUSO DALLA SPARTIZIONE DELLE POLTRONE, RIVENDICA L’ASSESSORATO ALLA SANITA’ FINITO A UN LEGHISTA (CHE VIENE DAL VENETO)
“Il nostro partito non può restare senza un assessore in giunta”: a dirlo, racconta oggi Il Fatto
Quotidiano, è stato il senatore e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia Franco Zaffini. E la dichiarazione di guerra ha un obiettivo ben preciso: la poltrona della Sanità , che la Lega ha voluto per Luca Coletto, già sottosegretario del governo gialloverde imposto in giunta da Matteo Salvini.
L’Umbria, come la Sicilia e l’Abruzzo, è in esercizio provvisorio perchè l’amministrazione della leghista Donatella Tesei non è riuscita ad approvare il bilancio.
Nelmirino del partito di Giorgia Meloni è finito l’assessore alla Sanità Luca Coletto, già sottosegretario del governo gialloverde imposto in giunta da Matteo Salvini. Tema: i tagli sui fondi alle famiglie con disabili che non sarebbero stati ripristinati dal neo assessore alla Sanità : “Sono ormai mesi che continuo a ricevere segnalazioni da parte di famiglie in difficoltà che lamentano la sospensione, senza preavviso, dell’ero gazione dei fondi per assistere i familiari disabili —ha detto il presidente del consiglio regionale di Fratelli d’Italia, Marco Squarta —l’assessore alla Sanità si attivi”.
Ma fonti della maggioranza fanno sapere che dietro l’uscita improvvisa di Squarta ci sia il primo atto di una guerra politica nata dopo che il partito di Giorgia Meloni è stato escluso dalla giunta.
Nelle more c’è la spartizione di poltrone in giunta:
La Lega si è presa due assessori e uno a testa sono andati alle altre liste (tranne FdI) con il leader del Carroccio che ha imposto un nome esterno, il veneto Luca Coletto, per dare una “svolta” alla Sanità umbra.
Ma la prima patata bollente della giunta Tesei doveva essere il bilancio da approvare entro il 31 dicembre. E invece no, perchè, nonostante il poco tempo a disposizione, la governatrice ha rinunciato ad aprire il confronto tra gli alleati approvando, lo scorso 4 dicembre, il bilancio provvisorio. Tutto rinviato a fine febbraio.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
LA NOTIZIA E’ EMERSA DALLE CARTE CHE LO VEDE A PROCESSO PER VILIPENDIO DELLA MAGISTRATURA A TORINO… PERCHE’ L’HA TENUTA SEGRETA?
Il giornale torinese Cronaca Qui racconta una notizia che è emersa nelle carte del processo per vilipendio della magistratura che Matteo Salvini sta affrontando — e nel quale ha invocato il legittimo impedimento in un’occasione, senza che il tribunale glielo abbia riconosciuto — per le frasi contro i giudici pronunciate per difendere Edoardo Rixi: il Capitano ha ricevuto un decreto penale di condanna da un giudice di Bergamo con il pagamento di una pena pecuniaria di 5.700 euro per il famoso coro razzista contro i napoletani “colerosi e terremotati”.
I fatti risalgono al 13 giugno del 2009, il popolo del Carroccio è in festa a Pontida. E, come accade oggi per il procedimento in cui Salvini è sotto accusa per le frasi pronunciate al congresso di Collegno in cui definì i giudici «schifezza», a documentare tutto c’è un video.
Salvini, 36 anni, allora deputato alla Camera, parlamentare europeo e capogruppo della Lega Nord al comune di Milano è quello in maglietta con una media bionda in mano sulla sinistra. Il video è quello ormai “famoso” in cui il Capitano con un bicchiere di birra in mano e attorniato da con un gruppo di persone lancia un ritornello: «Senti che puzza,scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani…».
Il decreto penale di condanna è un procedimento speciale il cui scopo è quello di saltare sia l’udienza preliminare sia il dibattimento.
E’ disposto dal giudice su richiesta del pubblico ministero quando quest’ultimo ritenga che possa essere applicata esclusivamente una pena pecuniaria anche se in sostituzione di pena detentiva (purchè non sia necessario applicare anche una misura di sicurezza). La richiesta del pubblico ministero avviene entro sei mesi dall’iscrizione della notizia nell’apposito registro delle notizie di reato.
L’imputato ha la possibilità di opporsi al decreto penale di condanna entro 15 giorni dall’emissione dello stesso richiedendo o il giudizio abbreviato, o l’applicazione della pena o il giudizio immediato. Il giudice dovrà poi valutare se sussistono i requisiti per dichiarare l’opposizione ammissibile, altrimenti il decreto diviene esecutivo.
Non sappiamo se dopo il decreto penale Salvini abbia fatto opposizione. Per quanto riguarda invece il processo per vilipendio, queste le frasi pronunciate dal segretario della Lega Nord nel febbraio 2016: «Qualcuno usa gli stronzi che mal amministrano la giustizia. Se so che qualcuno, nella Lega, sbaglia sono il primo a prenderlo a calci nel c… e a sbatterlo fuori — aveva detto Salvini -. Ma Edoardo Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana che è un cancro da estirpare. Si preoccupi piuttosto della mafia e della camorra, che sono arrivate fino al Nord”.
Salvini si riferiva all’indagine sulla Rimborsopoli ligure che vedeva l’allora l’assessore del Carroccio, poi sottosegretario ai Trasporti, tra i rinviati a giudizio (in seguito è stato condannato e ha dovuto lasciare il governo).
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO GOVERNATORE M5S IN CALABRIA NON RISPONDE SULLA QUESTIONE
Lucio Musolino, che ieri ha raccontato sul Fatto la storia del cugino mafioso di Francesco Aiello,
candidato M5S alla guida della Calabria, oggi pubblica un’imbarazzante intervista all’aspirante governatore nella quale quest’ultimo sfugge regolarmente alle domande su Luigi Aiello, presunto boss di ‘ndrangheta ucciso cinque anni fa a Soveria Mannelli, nella faida del Reventino, e poi dice anche che “Lei aveva detto al nostro portavoce che mi avrebbe fatto tre domande” quando il giornalista, continuando a fare il suo dovere, gli pone altre questioni a cui il candidato evita di replicare.
Ci sono alcune fotografie di suo cugino intento a fare dei lavori nella sua abitazione.
È fuori domanda, fuori traccia. Lei mi deve fare una domanda su Morra e io le rispondo.
Professore, mi dice se suo cugino ha fatto dei lavori nella sua abitazione?
In quegli anni vivevo a Londra, leggevo Erich Fromm, “Avere o essere”,“Teorie pratiche della non violenza” di Gandhi e “Gli indifferenti”di Moravia. Facevo queste cose, oltre a studiare economia.
Però Morra si lamenta che il candidato Aiello non ha detto prima della sua parentela
Ripeto, che cosa avrei dovuto dire all’onorevole Morra se io non posso parlare di una persona morta. Lei aveva detto al nostro portavoce che mi avrebbe fatto tre domande.
Lei esclude che tra i suoi candidati a consiglieri ci siano persone imparentate con mafiosi?
Nel centrodestra e nel centrosinistra ci sono esponenti condannati o imputati per ‘ndrangheta. Sono vivi e non sono morti. Al momento non vedo attenzione da parte degli organi di stampa. Nessuna forza politica ha fatto le denunce che ha fatto il Movimento Cinque Stelle.
Lei esclude che tra i suoi candidati ci siano persone imparentate con mafiosi?
Lei sta deviando. Quando faccio gli esami…lei è fuori traccia”.
Ma io non sono un suo studente.
Lei è off-topic. Lei mi sta interrogando?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL TG2 DAL 14,29% DI SHARE E’ CROLLATO AL 7,10%… IL TG1 HA PERSO IL 3,63%, REGGE IL TG3… “C’E’ UN CALO DI CREDIBILITA’, PARLANO SEMPRE DI SALVINI”
Telesalvini è un flop. Secondo i dati elaborati dallo Studio Frasi sull’anno Auditel che va dal 30 dicembre 2018 al 28 dicembre 2019 e raccontati oggi da Giovanna Vitale su Repubblica, il Tg1 delle 20 diretto da Giuseppe Carboni — pur mantenendo il primato con il 22,8% di share — ha perso il 3,63% della propria quota d’ascolto, che in valori assoluti (cioè il numero dei telespettatori) equivale a 241mila persone in meno rispetto all’anno precedente.
E assai peggio è riuscito a fare il Tg2 delle 20,30 guidato dal filoleghista Gennaro Sangiuliano, che ha praticamente dimezzato il suo share: il 7,10% registrato nel 2019 è frutto dell’addio di quasi 167mila abbonati (-7,19 della propria quota d’ascolto rispetto al 2018).
Resta invece stabile il Tg3 firmato da Giuseppina Paterniti: è fuggito solo l’1,06% (su uno share del 10,87), pari a 24.734 spettatori.
A goderne sono Mediaset e, in misura minore, La7: il Tg5 delle 20 guadagna il 3,65 (+77mila unità ), Studio Aperto delle 18,30 addirittura il 6,55% (quasi 25mila spettatori in più).
Indietro resta Enrico Mentana, che cresce solo dell’1,63 (circa 7mila persone), comunque un buon risultato alla luce di uno share complessivo da sempre piuttosto basso (5,60%).
«La discesa degli ascolti, costante per tutto l’anno, testimonia un preoccupante calo di credibilità dei telegiornali Rai», commenta il professor Francesco Siliato, uno dei massimi esperti in materia di Auditel e anima dello Studio Frasi.
«Chi era abituato a guardare il Tg1 o il Tg2 perchè sicuro di ricevere — specie sul primo canale — un’informazione istituzionale, ora non lo fa più o la fa molto meno a causa di un cambio di format sempre più Salvini-centrico. Ormai qualunque cosa dica il leader della Lega diventa notizia: una perdita di imparzialità che fa male ai notiziari del servizio pubblico»
Non esattamente un’impressione, dal momento che — dopo averlo denunciato per un anno intero, richiamando quasi tutti i network a un maggiore rispetto del pluralismo — l’AgCom ha aperto un’istruttoria sull’onnipresenza in tv dell’ex vicepremier, in grado di monopolizzare talk e Tg, pubblici e privati anche adesso che sta all’opposizione.
(da agenzie)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL SENATORE E’ IN ODORE DI ESPULSIONE
Da gennaio 2019, il senatore M5S Mario Michele Giarrusso – storico volto grillino – non
restituisce la parte delle stipendio da parlamentare che secondo le regole interne andrebbe devoluta al fondo per il microcredito.
Ora Giarrusso sarà con ogni probabilità sarà oggetto di un’azione disciplinare che potrebbe portare anche alla sua espulsione dal gruppo pentastellato.
Ai microfoni di Fanpage, il senatore assicura di non voler abbandonare il M5S e spiega: “I soldi mi servono per far fronte alle spese legali per le querele ricevute per le posizioni che ho preso come parlamentare”.
Poi aggiunge: “Serve un meccanismo di tutela legale vero per i portavoce del Movimento, altrimenti siamo costretti a tapparci la bocca di fronte ai poteri forti”. Giarrusso poi dice di condividere il documento stilato da alcuni suoi colleghi che critica duramente la gestione del Movimento e attacca Luigi Di Maio ma soprattutto Davide Casaleggio.
“Mentre noi chiedevamo giustizia per le vittime della Moby Prince – dice il senatore -, Casaleggio prendeva incarichi da Onorato. È come se dopo una vita di battaglie contro la Mafia, io difendessi un boss mafioso in un processo”.
Giarrusso è anche membro della giunta per le immunità chiamata a decidere se Matteo Salvini deve andare a processo per il caso Gregoretti. E se la posizione ufficiale del gruppo M5S è quella contraria alle ragioni dell’ex ministro dell’Interno, lui si mostra più cauto: “Valuteremo insieme ai miei colleghi e decideremo, speriamo di trovare una linea comune”
(da “FanPage”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
“VINCIAMO IN EMILIA E POI CAMBIA TUTTO: APRO A SARDINE, SOCIETA’ CIVILE, ECOLOGISTI”
Nicola Zingaretti annuncia a Repubblica che vuole sciogliere il Partito Democratico dopo le elezioni in Emilia-Romagna. E intende fondare un nuovo partito, o un soggetto politico “vasto e plurale”, come abbiamo sentito in tante occasioni, che “accolga le istanze della società civile”, come abbiamo sentito in tante occasioni, ma “non un nuovo partito ma un partito nuovo”, come abbiamo sentito in tante occasioni.
L’annuncio arriva in una serie di virgolettati riportati da Repubblica in un articolo a firma di Massimo Giannini nel quale successivamente si precisa che qualunque sia l’esito delle elezioni in Emilia-Romagna l’intenzione è quella:
Comunque vada il voto alle regionali, dopo il 26 gennaio il Pd non sarà più lo stesso. Il segretario ha deciso, e spiega così la sua strategia: «Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura. In questi mesi la domanda di politica è cresciuta, non diminuita. E noi dobbiamo aprirci e cambiare per raccoglierla. Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzato in ogni angolo del Paese…».
Detta altrimenti, e al di fuori del politichese: il Partito democratico si scioglie, e nasce un nuovo soggetto politico più vasto e plurale, con l’obiettivo di includere (non solo nella raccolta del consenso, ma anche nella ridefinizione delle strutture e degli organigrammi) la società civile, i movimenti, le sardine, tutte le forze democratiche, progressiste e ambientaliste. Magari cambiano anche simbolo e nome, benchè per adesso (a due settimane dalla madre di tutte le battaglie) l’argomento sia ancora e comprensibilmente un tabù.
L’annuncio arriva per una serie di buone ragioni. La prima, e la più visibile, è che, complice la scissione di Renzi e, soprattutto, il governo con il MoVimento 5 Stelle, la segreteria di Zingaretti finora non è riuscita in alcun modo a sovvertire il trend negativo inaugurato dalla sconfitta alle elezioni politiche del marzo 2018.
Nei sondaggi il partito annaspa a volte sopra a volte sotto il 20%, alle elezioni europee, nonostante la foto di Zingaretti e Gentiloni che festeggiano, il PD ha preso una percentuale superiore ma complessivamente meno voti rispetto alle politiche.
Dall’altra parte qualcosa a sinistra si muove, mentre il governo Conte è bloccato dai veti incrociati dei due maggiorenti e dai ricatti dei cespugli. Per questo, spiega Repubblica, Zingaretti vuole cambiare, per non morire insieme a un governo anomalo che non può reggere se a sua volta non cambia.
E il suo ragionamento parte proprio da qui, da un esecutivo che arranca senza progetto, da una maggioranza che galleggia senza identità , e da un Pd sospeso tra la paura di consegnare il Paese a Salvini e l’ansia di non declinare insieme a Di Maio, la tentazione di nascondersi dietro a Conte e l’ossessione di non farsi sabotare da Renzi.
C’è un problema politico “congiunturale”: «È inutile che ci giriamo intorno, non possiamo fare melina fino al 26 gennaio, non possiamo fare ogni giorno l’elenco delle cose sulle quali non c’è accordo nella maggioranza…». Finora è stato così: non c’è un solo dossier che si sblocca, dalla prescrizione al voto sul caso Salvini-Gregoretti, da Alitalia alla concessione ad Autostrade.
«Purtroppo — ammette il segretario — questo è il risultato della cultura delle “bandierine”, in cui ci si illude di esistere solo se si difende una cosa. Ma io lo dico ogni giorno a Conte e a Di Maio: un’alleanza è come un’orchestra, il giudizio si dà sull’esecuzione dell’opera, non sulla fuga di un solista che casomai dà pure fastidio alle orecchie. Non è il tempo di distruggere ma di costruire. E quella che va costruita subito è una visione e poi un’azione comune, su pochi capitoli chiari: come creare lavoro, cosa significa green new deal, come si rilancia la conoscenza, come si ricostruiscono politiche industriali credibili nell’era digitale».
Per Zingaretti «l’Italia sta gradualmente tornando a uno schema bipolare». Proprio per questo, adesso, alla sinistra serve il colpo d’ala. «Non dobbiamo essere pigri: io ho scommesso tutto su unità e apertura. Ho vinto il congresso dell’anno scorso nello spirito di “Piazza Grande”, lontano dagli schemini politici e vicino alle persone, nel nome dell’apertura e dell’allargamento, del noi e non dell’io, di una politica ragionata e non urlata. Dopo 12 anni ho voluto cambiare lo statuto proprio perchè nel Pd non c’era neanche più il congresso, ma solo la scelta del segretario. Ora non è più così. Ma ora dobbiamo portare fino in fondo quel processo di cambiamento…».
È la logica di “Piazza Grande”: un partito nuovo, che rinasce sulle ceneri del vecchio, e che apre le porte a tutti i progressisti. Non tanto ai fuoriusciti (in questo momento i nomi di Bersani e D’Alema restano impronunciabili). Quanto piuttosto a quelli che non sono mai entrati, come Mattia Santori e gli altri ragazzi delle 92 piazze anti-Salvini, come il movimento dei sindaci “civici” guidati da Beppe Sala e Antonio Decaro, come la galassia dei verdi.
Anche se di una “grande forza riformista” che vada “oltre” la sinistra sentiamo parlare inutilmente da una ventina d’anni, la nascita di un “nuovo soggetto politico” aperto inclusivo e contendibile resta sempre molto suggestiva. Ma a una sola condizione: Zingaretti deve essere disposto a mettere in discussione tutto, non solo “il nome”, ma anche e soprattutto “i nomi”. Deve cioè azzerare tutti gli organigrammi, cedendo sovranità , poteri e incarichi ai soggetti esterni e agli esponenti della società civile che dice di voler accogliere.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile
SOLO L’8% APPROVA L’AZIONE TERRORISTICA DI TRUMP… IN CASO DI GUERRA L’ITALIA DEVE RIMANERE “NEUTRALE”
Uccidere il generale iraniano Soleimani è stato un grave errore da parte del governo americano.
Uno sbaglio che ora rischia di innescare una guerra dalle conseguenze imprevedibili. A pensarlo, secondo il sondaggio Ipsos realizzato per il Corriere della Sera, è il 49% degli italiani, praticamente uno su due.
Il 27% degli intervistati considera l’azione «comprensibile», ma la giudica comunque eccessiva per i rischi di destabilizzazione dell’area. Solo l’8% la giudica totalmente «giusta».
Il 59% è convinto che la crisi Usa-Iran potrebbe provocare una guerra. E, in caso di conflitto, per il 43% degli intervistati l’Italia dovrebbe mantenersi neutrale, mentre per il 10% si dovrebbe schierare contro gli Stati Uniti.
Per il 16% non c’è il rischio di una guerra. Ben il 34% del campione ha preferito non rispondere.
Per quanto riguarda invece la crisi libica, se l’Italia sembra essere in secondo piano nelle relazioni internazionali è colpa dei governi precedenti.
A pensarlo è il 41% degli intervistati. Per il 43%, poi, l’Italia dovrebbe rimanere defilata, mentre per il 38% dovrebbe tornare a essere un interlocutore privilegiato delle forze libiche.
Opinione divisa insomma, ma quello che è interessante è che a essere su posizioni contrastanti sono gli elettori del Pd e del M5s, le due forze di maggioranza: il 62% degli elettori Pd vorrebbero un ruolo di primo piano, il 62% dei grillini preferisce invece un ruolo più defilato.
Pareri contrastanti anche sul ruolo dell’Ue: per il 39% dovrebbe non schierarsi, il 38% vorrebbe invece un ruolo più attivo. Anche qui elettori dem e M5s la pensano diversamente: il 57% dei dem vuole un ruolo di primo piano, il 59% dei grillini, invece, predilige il distacco.
(da Open)
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