Destra di Popolo.net

L’AVVOCATO DEL CARABINIERE DI PIACENZA E’ UN NOTO ESPONENTE DI FORZA NUOVA

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

CANDIDATO ALLE ELEZIONI POLITICHE …. IL COMMENTO DI MONTELLA A UN POST   DI SOLARI: “SEI IL NUMERO UNO”

Giuseppe Montella — considerato il leader dei carabinieri di Piacenza accusati di svariati reati, tra cui tortura, spaccio di droga ed estorsione — ha scelto come proprio avvocato Emanuele Solari.
Per chi frequenta il Tribunale piacentino, quello di Solari non è un nome qualunque: l’avvocato è infatti impegnato attivamente nella politica cittadina. Impegnato in Forza Nuova, per la precisione.
Emanuele Solari è uno degli esponenti di spicco del movimento a Piacenza, tanto da essere stato più volte candidato alle elezioni nelle liste decise dal grande capo del partito, Roberto Fiore.
Nel 2017 Solari avrebbe dovuto essere addirittura candidato sindaco alle elezioni comunali, ma poi la lista di FN fu esclusa dalla Commissione elettorale per mancato raggiungimento del numero di firme necessario. Anche alle elezioni politiche del 2018 l’avvocato è stato tra i candidati di Forza Nuova al Parlamento.
“Libertà , sovranità  e sicurezza”, sono i pilastri su cui si fondano le idee politiche di Solari, che — come intuibile dallo schieramento scelto — ha una posizione molto dura nei confronti dell’immigrazione.
Il carabiniere Montella — che, fra le altre cose, è accusato di aver pestato in più occasioni immigrati — sembra condividere gli ideali del suo difensore.
Sui social, sotto una foto pubblicata nel 2016 da Solari e accompagnata dallo slogan fascista “Obbedire, credere, combattere”, compare un commento dello stesso Montella, che scrive: “Sei il numero uno”.
Nella foto l’avvocato appare insieme a una donna, una collega, la quale precisa, tra i commenti, che lo scatto è stato fatto per onorare una scommessa: “Tra l’altro credere, obbedire e combattere sono aspetti che fanno parte del nostro modus operandi, cioè mio e del collega”, sottolinea comunque.
Dopo l’interrogatorio davanti al Gip del carabiniere, Solari ha affermato che i giornali hanno ingigantito la vicenda della caserma Levante. “Pubblicare la foto del mio assistito con racconti surreali alla ‘Scarface’ — ha osservato il legale — non credo sia un buon servizio alla giustizia e al giornalismo”.
Gli atteggiamenti alla Gomorra? “Cose fantasiose”. E le presunte festine con le escort in caserma? “Destituite da ogni fondamento”, ha replicato l’avvocato. “Si possono fare degli errori per ingenuità , per vanità , per tante cose.”

(da agenzie)

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TUTTI I GUAI DI SALVINI, LE INDAGINE SULLA LEGA

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

NON SOLO LA BOMBA LOMBARDIA, MA ALTRE INCHIESTE DELLLA MAGISTRATURA SONO IN CORSO

Non solo Fontana: mentre la bomba del Sistema Lombardia rischia di scoppiare in mano alla Lega, costretta oggi, dopo aver preteso liste pulite e al di là  di ogni sospetto in luoghi come la Campania, a difendere un governatore che ha avuto un ruolo nella storia dei camici ben al di là  rispetto a quello che ha detto all’opinione pubblica, cominciano a diventare molte le inchieste sul Carroccio e tutte puntano al centro di potere più importante di Matteo Salvini: la Lombardia.
Se all’inizio della storia dei 49 milioni il Capitano poteva gettare la croce addosso a Umberto Bossi e alla “vecchia” Lega, oggi la partita si gioca su tavoli a cui Salvini non può dirsi estraneo, anche   se ci prova.
Il Fatto ricorda oggi che mentre l’accordo con lo Stato prevede un pagamento dilazionato in 76 anni, con rate da 600 mila euro, prosegue la ricerca del “tesoro” padano: il secondo fascicolo è tuttora aperto con l’ipotesi di riciclaggio (il primo indagato è l’assessore lombardo Stefano Bruno Galli).
L’inchiesta su Lombardia Film Commission vede indagati i revisori dei conti della Lega che sono stati nominati mentre lui era segretario e sotto la lente ci sono altri soldi pubblici di cui, secondo l’accusa, si sarebbero appropriati mettendo su un’operazione commerciale che ha ipervalutato un immobile.
E ancora: nel caso Diasorin-San Matteo la Procura di Pavia indaga sull’accordo tra i vertici dell’ospedale e la società  farmaceutica per i test sierologici sul   coronavirus. Nell’inchiesta è spuntato il nome di Salvini (non è indagato). In una chat, un esponente del Carroccio attacca il sindaco di Robbio (Pavia), Roberto Francese, che è favorevole a un test alternativo: “Ho sentito Matteo — scrive il leghista — chi sta con quel miserabile è fuori dal partito”.
Poi ci sono gli arretrati, ricorda ancora il Fatto
Andando a ritroso, sono innumerevoli i leghisti coinvolti nei processi sulle “spese pazze” dei consigli regionali (due esempi: il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo condannato a un anno e 8 mesi, l’ex viceministro Edoardo Rixi a 3 anni e 5 mesi, entrambi per peculato).
Numerose pure le indagini su Salvini per la gestione delle navi dei migranti da ministro dell’Interno (andrà  a processo per il caso Gregoretti con l’accusa di sequestro di persona).
Molto pesante l’ipotesi per l’ex sottosegretario Armando Siri: è accusato di corruzione per una presunta mazzetta da 30 mila euro da Paolo Arata, imprenditore vicino al “re dell’eolico” Vito Nicastri, a sua volta legato al superboss mafioso Matteo   Messina Denaro.Concludiamo l’agile rassegna sui dirigenti leghisti con il tesoriere Giulio Centemero, indagato per finanziamento   illecito a Roma e Milano. Pesano i 250 mila euro versati da Luca Parnasi all’associazione leghista “Più Voci”.
E mentre è curioso che un leader che ha costruito la sua leadership allontanando la Lega dall’abbraccio con Berlusconi abbia reazioni spiccatamente berlusconiane alle notizie sulle inchieste che riguardano il Carroccio, il Capitano ieri ha parlato di «indagini che sanno di vecchio».
Non ricorda, segnala Repubblica, che l’attuale procuratore Francesco Greco era nel pool che raccolse le confessioni di Alessandro Patelli, il primo tesoriere della Lega poi condannato con Bossi: era l’8 dicembre 1993, il giorno in cui si è dissolta l’immacolata concezione della Lega “dura e pura”.
Ancora non si è capito perchè il suo predecessore Roberto Maroni decise di lasciare il Pirellone, ora però le istruttorie coinvolgono anche la sua gestione della Regione e del partito.
La storia del milione elargito   dalla Lombardia Film Commission per acquistare un inutile immobile — alimentando i conti del trio di commercialisti salviniani Di Rubba, Scilleri e Manzoni — è una “brutta roba”. In procura ieri l’ex assessore Cristina Cappellini, leghista della prim’ora, ha smentito Maroni, sostenendo di non avere mai saputo che il finanziamento sarebbe servito per comprare il capannone dal prezzo gonfiato. E ha anche ricostruito le dinamiche interne al partito che portarono alla nomina di Di Rubba al vertice della Film Commission.
Un nome che si intreccia con la scomparsa dei 49 milioni, il grande mistero che attraversa la leadership leghista da Bossi a Salvini passando proprio per Maroni. Non solo. Il trio dei commercialisti compare pure nell’architettura delle   fondazioni che incamerano denaro da Esselunga e dal costruttore romano Luca Parnasi. Su questo fronte le rogatorie stanno lentamente ricomponendo il mosaico di entrate e uscite che rimbalzano per l’Europa e si concentrano su figure paradossali, come l’elettricista che riceve milioni e in piccola parte li trasferisce in Russia. Già , la Russia: il capitolo più scabroso, con l’ipotesi di corruzione internazionale per il patto sancito ai tavoli del Metropol da Gianluca Savoini
Una cosa è certa: il suo nervosismo è più che comprensibile.

(da agenzie)

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FONTANA E’ INDIFENDIBILE: IL CONFLITTO DI INTERESSI ERA GRANDE COME UNA CASA

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

HA FINITO PER SMENTIRE SE STESSO E IL TAPULLO E’ STATO PEGGIORE DEL BUCO

Ma che ha fatto di male, povero Fontana? Si può indagare un uomo perchè ha favorito una opera di “beneficienza”? È davvero straordinario il tentativo di Matteo Salvini di costruire una contro-narrazione così buonista e fantastica sul caso di Attilio Fontana.
Bisogna subito dire che, malgrado questi sforzi generosi, quella dei Camici Lombardi, comunque la rigiri, è una storia che fa acqua da tutte le parti.
Il cognato del presidente si iscrive al registro dei fornitori della Regione, in piena emergenza Covid accoglie un ordine per gli ormai famosi 75mila camici, la società  emette regolare fattura.
Non c’è gara, proprio perchè la procedura è accelerata per via dell’emergenza, il conflitto di interessi tra il presidente e la società  fornitrice posseduta da un parente diretto e (al 10%) dalla stessa moglie di Fontana è clamoroso.
La voce corre lungo i corridoi, Report si mette ad indagare sulla commessa. Fontana, con un intervento pubblico, dichiara di non saperne nulla. Più tardi si scoprirà  — invece — che nelle stesse ore (contraddicendo questa professione di inconsapevolezza) ha provato a correre ai ripari.
Prima mossa: la società  racconta una nuova versione dei fatti, buona per i bambini delle elementari. I titolari erano in vacanza e una segretaria sbadata — sempre le segretarie! — ha emesso fattura alla Regione senza sapere che si trattava di un’opera di beneficienza.
Così la fattura viene stornata, prima dei 60 canonici giorni in cui sarebbe dovuta essere pagata.
Peccato che, mentre si dichiarava inconsapevole di questo “equivoco”, Fontana stava già  correndo ai ripari, sia pure in modo assai maldestro, provando a compensare il danni economici subito dal cognato, per via della mancata fornitura, con un bonifico fuorilegge da 250mila euro.
Fuorilegge perchè privo di una causale che ovviamente quel bonifico non poteva avere: a quale titolo un soggetto privato può erogare dei soldi a copertura di una mancata commessa istituzionale?
Ed infatti il versamento viene bloccato in nome delle norme antiriciclaggio dallo stesso istituto di credito elvetico dove è basato il conto del governatore.
Dopo questa segnalazione, i magistrati scopriranno che in quel conto — di cui Fontana è amministratore riposano i capitali (oltre 4 milioni) provenienti da un altro conto da cui la madre ha “scudato” 5 milioni di euro, fatti transitare dalle Bahamas alla Svizzera con una voluntary disclosure.
È evidente che non c’è bisogno di un reato o di una inchiesta per capire che questo movimento bancario diventa la punta di un iceberg enorme: un rappresentante delle istituzioni che per statuto è anche esattore di imposte, amministra di un gruzzolo milionario che è tornato in Italia dopo essere stato illecitamente (negli anni belli delle Bahamas) portato fuori dal paese.
Non c’è bisogno di un reato per capire che siamo entrati nel campo minato della Questione morale.
Senza contare che questi 5 milioni erano allocati in due società  basate in un paradiso fiscale, e intestati ad una signora — la mamma di Fontana — che, prima di morire e trasmettere i suoi averi al figlio, nella vita faceva la dentista.
Tuttavia il punto è un altro: nella sua sgangherata serie di dichiarazioni Fontana sembra non rendersi conto che questa linea di difesa, oltre che essere sostenuta da un versamento illecito (e a rivelare un precedente illecito) è — di fatto — un boomerang, ovvero un controsenso logico.
A che cosa sarebbe servita   infatti, la “compensazione” del bonifico alla società  appaltatrice se quella fornitura era — come sostengono il governatore e la società  — una erogazione benefica?
Di cosa doveva essere “compensata” una società  che aveva — stando a quello che hanno dichiarato Fontana e suo cognato — fare un regalo solidale alla regione?
Quel bonifico, a rigor di logica, si giustificherebbe solo nel caso in cui l’ipotesi dei magistrati fosse vera: e cioè che la fattura per la fornitura dei camici fosse a tutti gli effetti vera, e che sia stata stornata solo dopo la notizia dell’inchiesta di Report.
Altrimenti, a fronte di una fornitura che nelle dichiarazioni retroattive dei protagonisti doveva essere in partenza benefica, perchè Fontana avrebbe dovuto “compensare” la società  di famiglia?
L’ombra di una gestione spensierata della cosa pubblica, i tentativi maldestri di smontare l’accusa non sono un incidente. Sono figli della stessa superficialità  che è stato lo stile della Regione nei giorni del Covid: non sono un incidente ma sono una conseguenza. Poveri lombardi. E poveri noi.

(da TPI)

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“TUTTI CON I CONTI IN SVIZZERA E POI FANNO I SOVRANISTI”

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

FONTANA INDAGATO, IL WEB SI INDIGNA PER LA #LEGALADRONA

Fontana cercò di fare un bonifico per arginare quello che il quotidiano definisce “il rischio reputazionale” insito nei 75.000 camici e 7.000 set sanitari venduti per 513.000 euro alla Regione il 16 aprile dalla società  Dama spa del cognato Andrea Dini e (per il 10%) della moglie Roberta.
Secondo la ricostruzione del Corriere, il governatore lombardo tentò di bonificare alla Dama Spa 250.000 euro, cioè gran parte del mancato profitto al quale il cognato sarebbe andato incontro facendo l’unilaterale gesto di tramutare in donazione alla Regione l’iniziale vendita dei 75.000 camici e di rinunciare a farsi pagare dalla Regione i 49.353 camici e 7.000 set già  consegnati
La milanese Unione Fiduciaria, incaricata il 19 maggio da Fontana del bonifico, secondo Il Corriere bloccò il pagamento perchè in base alla normativa antiriciclaggio non vedeva una causale o una prestazione coerenti con il bonifico, disposto da soggetto “sensibile” come Fontana per l’incarico politico. E così la fiduciaria fece una “Sos-Segnalazione di operazione sospetta” all’Unità  di informazione finanziaria di Banca d’Italia, che la girò a guardia di finanza e Procura
Su twitter è partita però l’indignazione per quello che appare sempre di più come una gigantesca truffa della Regione Lombardia e i commenti si sprecano

(da agenzie)

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PERCHE’ FONTANA DEVE DIMETTERSI

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

TUTTE LE STRANE DIMENTICANZE E LE CURIOSE OMISSIONI DEL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA SU CAMICI E CONTO IN SVIZZERA

Sul Fatto Quotidiano di oggi Marco Travaglio recapita un “invito a scomparire” ad Attilio Fontana, di cui riepiloga le gesta prima dell’avviso di garanzia recapitatogli ieri:
Interpellato sullo scoop di Report, anche Fontana sposò la linea Scajola: “Non sapevo nulla della procedura e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Diffidò la Rai dal trasmettere servizi non autorizzati da lui. E annunciò querela al Fatto. Ma chiunque avesse occhi per vedere capì subito che quella commessa da mezzo milione a cognato e moglie del presidente lumbard era andata bene a tutti finchè Report non l’ha scoperta. Poi fu tramutata in tutta fretta in una donazione e le fatture in un errore da “rettificare” ex post, con una corsa precipitosa a coprire tutto con una toppa peggiore del buco. Come se un tizio accusato di rubare tentasse di dimostrare che non è vero restituendo il maltolto al legittimo proprietario.
E poi spiega perchè il governatore della Lombardia dovrebbe dimettersi:
Ma non è per questo, cioè per un reato ancora tutto da accertare, che Fontana deve dimettersi subito. Bensì per i fatti acclarati che lui ha maldestramente tentato di nascondere.
1) Un pubblico amministratore non può nascondere ai cittadini milioni di euro alle Bahamas e in Svizzera.
2) Chi accede alla voluntary disclosure riporta fondi neri all’ufficialità  in cambio di cifre irrisorie e dell’anonimato e ammette di averli detenuti illegalmente all’estero e al riparo dalle tasse: dunque non può ricoprire cariche pubbliche.
3)Fontana non pretese dal cognato i restanti 25 mila camici previsti dal contratto, che invece Dini voleva vendere a una Rsa, privando così medici e infermieri di protezioni fondamentali per l’emergenza 4)Fontana ha mentito al Consiglio regionale e all’opinione pubblica, giurando di non aver “saputo nulla della procedura” e di non esservi“mai intervenuto in alcun modo”: invece sapeva tutto dall ‘inizio (lo informò subito il suo assessore Raffaele Cattaneo) e intervenne fino alla fine: prima favorendo la ditta di famiglia e poi, una volta smascherato, tentando di coprire le tracce del suo mega-conflitto d’interessi.
5) Nel vano tentativo di difendere il suo indifendibile sgovernatore, Salvini attacca la Procura col refrain berlusconian-renzia — no della “giustizia a orologeria” (senza spiegare quali sarebbero gli eventi elettorali influenzati dall ‘indagine, visto che siamo a fine luglio).

(da “NextQuotidiano”)

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I 5 MILIONI DI FONTANA IN SVIZZERA SONO VERAMENTE DELLA MADRE DEL GOVERNATORE?

Luglio 26th, 2020 Riccardo Fucile

LA PROCURA DI MILANO ORDINA ACCERTAMENTI TECNICI ALLA GUARDIA DI FINANZA

Il Corriere della Sera spiega che Fontana vuole affrontare il consiglio regionale per spiegare la situazione e questo potrebbe avvenire già  mercoledì
Nella sua ricostruzione Fontana ricorderà  di aver saputo, sì, che l’azienda di suo cognato si era fatta avanti per offrire camici alla Regione, ma di non essersi mai interessato alla procedura. «Quando è venuto a sapere della fornitura, per evitare equivoci gli ha detto di trasformarla in donazione e lo scrupolo di aver danneggiato suo cognato lo ha indotto in coscienza a fare un gesto risarcitorio – ha spiegato ieri l’avvocato Jacopo Pensa –. Non sono in grado di capire dove sia il reato, ma i pm sanno quello che devono fare ed evidentemente sono state fatte indagini che hanno implicato l’iscrizione a garanzia dell’indagato».
Il Corriere spiega che Fontana il 17 maggio (benchè poi il 7 giugno all’esplodere del caso dichiari «Non sapevo nulla della procedura», in ciò smentito dal fatto che invece sin dall’inizio sia stato il suo assessore Raffaele Cattaneo a informarlo) pregò il cognato, in un colloquio a voce di cui però esisterebbe un indiretto riferimento scritto, che non si facesse pagare le proprie fatture dalla Regione, in modo da disinnescare sul nascere quelle che Fontana paventava come possibili interpretazioni malevoli del nesso tra parentela e commessa. Poi, di propria iniziativa e all’insaputa del cognato, ordina il famoso bonifico:
Un bonifico che la milanese «Unione Fiduciaria» bloccò perchè la somma, l’assenza di una coerente causale, le parti correlate, la qualifica «pep» del cliente (persona esposta politicamente), e la provvista da un conto svizzero dove nel 2015 Fontana dopo la morte della madre aveva «scudato» 5,3 milioni detenuti dal 2005 da «trust» alle Bahamas, erano tutti indici fatti apposta per far «suonare» i protocolli antiriciclaggio della fiduciaria e indurla a inviare una «Sos-segnalazione di operazione sospetta» a Banca d’Italia. Quella che — spiega il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli — mette in moto i pm Furno-Scalas-Filippini.
La Repubblica invece spiega che all’attenzione degli investigatori ci sono i soldi gestiti fino a cinque anni fa tramite “trust” che sarebbero stati aperti nel 2005 alle Bahamas dalla madre allora 82enne e con il figlio beneficiario (quell’anno era presidente del consiglio regionale della Lombardia). Vogliono capire se è vero che quei soldi sono della madre di Fontana, che di professione faceva la dentista:
Dichiarati allo Stato italiano dieci anni dopo, alla morte della signora, quando sono diventati ufficialmente eredità  del figlio (all’epoca sindaco di Varese). Un totale di 5,3 milioni di euro scudati tramite “voluntary disclosure” su cui ora i pm vogliono vederci chiaro e per cui hanno ordinato una serie di accertamenti tecnici alla Guardia di Finanza.
A partire dal mandato fiduciario, ovvero l’insolito strumento con cui il governatore gestisce tramite una società  4,4 milioni di euro su conti svizzeri.
Con un obiettivo principale: osservare eventuali incongruenze nei movimenti e provare a capire se quei soldi fossero davvero della madre di Fontana, come dichiarato nella voluntary, oppure no. Punto su cui la normativa non ammette errori.
Il Messaggero invece spiega che l’avviso di garanzia è arrivato perchè la Dama SPA non completò la fornitura dopo aver scoperto che non sarebbe stata pagata e cercò di vendere un terzo dei camici a una casa di cura lombarda. Nell’occasione Regione Lombardia non si è lamentata di nulla
È questo passaggio che ha portato i pm milanesi a ipotizzare un nuovo reato nell’indagine sulla fornitura della Dama, azienda del cognato di Attilio Fontana (di cui la moglie del governatore detiene il 10 per cento) e ad iscrivere il nome del presidente della Regione sul registro degli indagati, in concorso con Dini e Filippo Buongiovanni, direttore generale di Aria, e un funzionario della società  deputata agli acquisti della Regione. Perchè, quando esplode il caso mediatico della fornitura affidata con trattativa diretta alla società  del cognato del Governatore, il contratto viene trasformato in donazione,ma la Dana interrompe anche la consegna del materiale. Una violazione rispetto a quanto pattuito che avrebbe previsto un’azione legale da parte della Regione. Invece l’amministrazione non prende alcuna contromisura. Nonostante l’emergenza e la necessità  dei camici. Il governo regionale non interviene e non chiede alla Dama alcun danno, come conseguenza della scelta unilaterale.

(da “NextQuotidiano”)

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