Destra di Popolo.net

AVVIATA UN’ISTRUTTORIA NEI CONFRONTI DI SALVINI PER LA SUA PRESENZA IN SENATO SENZA MASCHERINA

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

LA CASELLATI NON PUO’ FARE A MENO CHE DELEGARE I QUESTORI CHE DOVRANNO SANZIONARE CHI NON HA RISPETTATO IL REGOLAMENTO DI PALAZZO MADAMA CHE PREVEDE L’OBBLIGO DI MASCHERINE

Oltre a ciò che è stato detto lunedì in Senato, ha fatto scalpore quel video di Matteo Salvini senza mascherina all’interno della sala di Palazzo Madama in cui è andato in scena il tanto contestato convegno.
Oggi la Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, rispondendo a una domanda della parlamentare del Movimento 5 Stelle Elisa Pirro, ha comunicato che i questori del Senato hanno avviato un’istruttoria per valutare (ed eventualmente sanzionare) il comportamento del segretario della Lega.
Indossare il dispositivo di protezione, infatti, fa parte del regolamento dell’intero Parlamento.
«Salvini ieri si è presentato qui al Senato e si è rifiutato di mettersi la mascherina. È venuto qui per fare un atto di propaganda becero e senza senso — ha detto la senatrice M5S Elisa Pirro nel suo intervento in Aula nel corso del dibattito sulla proroga dello stato di emergenza fino al 31 ottobre -. Viene qui per mandare ai cittadini italiani un messaggio privo di ogni fondamento scientifico, vieni qui a incitare le persone a non indossare la mascherina, contravvenendo alle norme di buon senso che devono essere seguite per evitare che il contagio aumenti. In Italia c’è l’obbligo di mascherina per ragioni bene precise».
A queste parole, dopo il caos che si era scatenato in Aula, la Presidente di Palazzo Madama ha replicato: «Sull’episodio di ieri i senatori Questori stanno svolgendo un’istruttoria».
Nel filmato pubblicato dall’agenzia Dire, infatti, si vede Salvini senza mascherina in una sala del Senato dove, invece, è obbligatorio indossarla.
Inoltre, il senatore della Lega si rivolgeva al suo vicino, dopo esser stato ripreso da uno degli addetti, dicendo: «Io non ce l’ho, io non me la metto».
Manca la conseguenza logica: non andava fatto entrare, così prevede il regolamento che vale per tutti. E ogni volta che se la toglie verbale di 400 euro.
Vale per cittadini come per i sequestratori di   persona.

(da agenzie)

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LO STUDIO DI SWG: LA LEGA HA PERSO 10 PUNTI AL SUD, IL PD PERDE QUOTA TRA I GIOVANI, IL M5S PERDE OVUNQUE

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

DOPO IL RECOVERY FUND RECUPERO DELLE FORZE DI GOVERNO

Lega resta primo partito ma riduce la sua diffusione sul territorio. Pd ‘dissanguato’ dalle fuoriuscite continua a calare al Nord e perde terreno tra i giovani. M5s sotto il 10% al Nord ma tiene fra i giovani. Fi è ormai una forza marginale soprattutto nel centro Italia.
La vera sorpresa continua a essere Fdi che cresce dappertutto e rinvigorisce l’ala destra.
E’ il panorama politico che emerge da “Radar” elaborato da Swg che comunque annota – nella settimana dell’accordo al Consiglio Europeo sul Recovery Fund – un recupero di consensi per le forze di maggioranza
In generale sulle rilevazioni al largo raggio temporale, Swg ‘quota’ la Lega al 22,8% : al Sud ha perso 10,5 punti (dal 24,3 al 13,8). Il partito di Salvini cresce nella fascia d’età  18-23 anni: 18,6 al 25,5% nel biennio 2018-2020.
Il Pd, rileva la Swg, è riuscito a recuperare qualcosa della debole performance del 2018 ma le fuoriuscite pesano Per ora non riesce ad attrarre nuovi consensi.
Analizzando il suo profilo e seguendolo negli ultimi 2 anni si osserva che cala nel Nord (dal 21,7 del 2018 al 17,8 attuale in Lombardia, Piemonte, Liguria; e dal 17,2% del 2018 al 14,% in Trentino, Veneto e Fvg).
Dall’angolo visuale delle generazioni perde tra i giovanissimi nella fascia 18-23 anni, passando dal 21,5 del 2018 al 14 del 2020.
Il M5S segnala un calo progressivo dei consensi: perde molto nel Nord ma anche Centro Nord (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche); un po’ meno nel Centro e in Sardegna. Il calo nasce già  dal 2019. Al momento ha un peso significativo solo nel Centro e nel Sud. Ad esempio in Lombardia, Piemonte, Liguria slitta dal 18,4 di due anni fa al 7,5% attuale; mentre nel triangolo Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia scende dal 14 all’8,1
Swg conferma la “crescita sorprendente e continua” di Fdi che nel 2018 era ferma al 4,3% e ora viaggia intorno al 14, (13,9% per l’esattezza).
L’aumento del favore va da Nord a Sud: Lombardia, Piemonte, Liguria dal 2,6% all’odierno 13,4; Emilia-Romagna, Umbria, Marche dal 3,5% al 14,1 e infine al Sud: 2,4% due anni orsono e oggi 15,6.

(da agenzie)

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LO SFOGO DI ZINGARETTI: “INADEGUATI SU MIGRANTI E SCUOLA”

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

“MA MAGARI SI ANDASSE A VOTARE”

Perchè poi è piuttosto chiaro, pressochè lapalissiano, che se dici “servono politiche adeguate” pensi che, finora, quelle politiche sono state inadeguate.
E se questa cosa la dice il segretario del Pd, aggiungendo che quanto sta accadendo oggi sui migranti era anche piuttosto prevedibile, la dichiarazione in questione è, al tempo stesso, un avviso ai naviganti, una certificazione di un fallimento, un modo per mettere agli atti l’ennesimo “io l’avevo detto”.
“Ma no — ha spiegato Zingaretti ai suoi — io non ce l’ho con la Lamorgese, il punto è complessivo, non c’è una politica per l’immigrazione. Non c’è niente”.
E a chi gli ha chiesto i capitoli del niente, in privato ha pronunciato parole che, se dette in pubblico, sarebbero buone per aprire una crisi di Governo: “La politica sull’immigrazione non è solo una questione di repressione e sicurezza. Qui non c’è un’idea di politica economica, non c’è una politica estera, non c’è chi parla con i Comuni per la questione degli Sprar, non c’è un…”
C’è però il Mediterraneo fuori controllo, la Libia spartita tra russi e turchi, la fuga dai centri d’accoglienza, il rischio di contagio, il cortocircuito tra salute e umanità , il terreno perfetto per la risurrezione di Salvini, in modalità  Bolsonaro senza mascherina quando ormai anche Trump se la mette, i Decreti Sicurezza che vivono e lottano insieme a noi, l’Esercito spedito in fretta e fuori fuori dai centri di accoglienza.
C’è tutto questo e anche un pezzo del Pd che oggi tira in causa anche Minniti e Gentiloni. Ecco, si spiega così lo sfogo di Zingaretti, consegnato ai suoi, ma anche a Orlando, Bettini, Franceschini: “Ma magari si andasse a votare”.
Parole che non sono una linea, ma quasi una certificazione di rassegnazione, ripetute quasi quotidianamente, il che, al netto dell’umore di giornata, dà  l’idea che il segretario non crede nel Governo, anche se non vede alternative e, magari, non ha la forza per crearne.
In altri tempi una dichiarazione di inadeguatezza del Governo da parte del capo della sinistra avrebbe fatto bollire i telefoni nelle principali stanze nei Palazzi. Invece, questa è la novità  dei costumi odierni, stavolta ha prodotto una commedia dell’assurdo.
Perchè anche Di Maio, pur tirato in causa, “è d’accordo” sui limiti del Governo, anche se per motivi diversi rispetto a quelli di Zingaretti, anche Franceschini sa che di immobilismo si muore, tutti lo sanno, ma l’incastro è perfetto, nessuna emergenza annunciata è governata, al netto della retorica sulla valanga di soldi in arrivo. Spiegano ai piani alti del Nazareno: “Sì, stiamo donando il sangue. Se le cose vanno bene è merito di Conte, quando vanno male si rivolgono tutti a noi. Hai presente sketch sull’Avvocato di Proietti?”.
Prossimo patatrac annunciato, la scuola, dove la ministra Azzolina ha annunciato la riapertura a settembre e ha varato il 27 luglio un bando per produrre in un mese tre milioni di banchi, con o senza ruote. Impresa pressochè titanica che ha già  prodotto la rivolta degli industriali del settore. Sembra, dicono i ben informati, che sarà  l’oggetto dell’avviso ai naviganti di domani, con la richiesta di un tavolo di coordinamento per riaprire in sicurezza.
A voler fare una graduatoria della soglia di allarme, mettiamola così: sui migranti magari resuscita Salvini, ma se si fallisce sulla riapertura dell’anno scolastico è complicato, dopo la bocciatura avere una prova d’appello.
Sarà  anche perchè è presidente della Regione, e come tale ha il polso dei territori, ma Zingaretti, su questo capitolo, pensa che possa succedere un’ira di Dio.
Dicevamo, altra dichiarazione, che resterà  agli atti, come quella di oggi, e come quella di dopodomani. Un po’ come quando si rompono le righe di fronte a un disastro annunciato. Ognuno, diciamo, lascia agli atti, confidando sulla clemenza verso chi, in fondo, l’aveva detto.

(da “Huffingtonpost”)

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LE ASSURDE GIRAVOLTE SUL COVID DI BOCELLI

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

SI LAMENTA DEL LOCKDOWN NELLA SUA MEGAVILLA A TRE PIANI, DIECI CAMERE DA LETTO, PISCINA E PARCO VISTA MARE

Non so bene cosa sia venuto in mente, ad Andrea Bocelli, di dire quello che ha detto sul Covid. E di dirlo dove lo ha detto, in compagnia di Salvini e Sgarbi, in un incontro tra negazionisti e no mask, balbettando un discorso che suona come il suicidio mediatico più clamoroso della storia. “Mi sono sentito umiliato e offeso perchè non potevo uscire da casa”, “Conosco un sacco di gente, ma non conosco nessuno che sia finito in terapia intensiva, quindi perchè questa gravità ?”, “Ho violato le restrizioni uscendo lo stesso, perchè ho una certa età  e ho bisogno del sole e di vitamina D”, ha detto.
Ed è fin troppo facile ricordargli un po’ di cosette sparse: la prima è che essendosi ammalato lui stesso, aveva colto l’occasione per comunicarlo al mondo una volta guarito, aggiungendo la postilla che avrebbe donato il sangue per lo studio sulla cura del Covid. Cosa che poi ha fatto rigorosamente a favore di telecamera. Insomma, le famose opere buone comunicate a stampa e pubblico.
Poi, con la sua fondazione ABFoundation aveva dato vita a una serie di dirette Instagram con Chiara Ferragni e Fedez per raccogliere fondi destinati all’ospedale di Camerino. Raccoglieva fondi con gli influencer più influencer del paese per una malattia immaginaria o innocua? Bizzarro. Il 23 marzo comunicava di aver comprato con la sua fondazione tre ventilatori per l’ospedale suddetto, pubblicando la foto del personale dell’ospedale con i cartelli “Grazie!”.
Non sono mancate anche le SUE dirette tv per pubblicizzare la generosità  in tempo di Covid della sua fondazione. Il 10 aprile, per esempio, era a Storie Italiane, con Eleonora Daniele. Poteva usare la visibilità  per denunciare le privazioni delle libertà  individuale o per negare che fosse una malattia mortale, ma a quanto pare non ci ha pensato.
C’è poi da dire che siamo davvero tutti addolorati per le restrizioni al limite del sequestro di persona che ha dovuto subire durante il lockdown.
Immagino che la quarantena nella sua villa di Forte dei Marmi a tre piani e dieci camere da letto, piscina, giardino e vista mare sia stata un inferno.
Ed immagino che quando gli è stato proposto di cantare da solo, nel Duomo di Milano, a Pasqua, in mondovisione sul suo canale Youtube, non si sia sentito così offeso e limitato delle sue libertà . Eppure, per protesta, avrebbe potuto dire a Beppe Sala: “O mi fai cantare con la chiesa piena o chiami Gigi D’Alessio”, ma non l’ha fatto.
Infine, riguardo l’ultima frase, forse la vera perla, e cioè “non conosco nessuno che sia morto di Coronavirus”, ci sarebbe da ricordare a Bocelli che non c’è bisogno di conoscere un cieco per credere alla cecità  altrui, ma forse infierire è solo una gran perdita di tempo: Bocelli è guarito velocemente dal Coronavirus, ma da questo inciampo mediatico mi sa che uscirà  con le ossa rotte.

(da TPI)

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LA BUFALA DELL’ESERCITO “CHE CONTROLLA I BAGNANTI MENTRE SE NE FREGA DEI MIGRANTI”

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

L’ESERCITO SMENTISCE: “NESSUN MIITARE IN SPIAGGIA PER CONTROLLARE I BAGNANTI, LA FOTO E’ VECCHIA E SERVIVA PER UN SERVIZIO GIORNALISTICO

Hanno fatto il giro del web le immagini di alcuni militari dell’Esercito Italiano che sembravano in azione di pattugliamento sulle spiagge per controllare i bagnanti e per fare in modo che questi potessero rispettare le norme di distanziamento sociale predisposte anche per le attività  di balneazione.
Alcuni quotidiani di orientamento conservatore, infatti, avevano diffuso queste fotografie dell’esercito in spiaggia sottolineando la sproporzione tra un’azione del genere e il fatto che diversi gruppi di migranti, ad esempio, stiano fuggendo da alcuni centri di prima accoglienza nonostante la situazione di emergenza sanitaria che l’Italia sta affrontando.
Ma paragonare le due situazioni, oltre a essere scorretto a priori, non ha alcun senso semplicemente perchè la notizia dell’Esercito che pattuglia le spiagge può essere considerata a buon diritto una fake news.
Nel corso della giornata di ieri, infatti, l’Esercito italiano ha pubblicato una nota di smentita, che ha fornito gli estremi rispetto a quello che stava succedendo a Ventimiglia
«In merito alle foto pubblicate su alcuni organi di informazione relative alla presenza di militari sulle spiagge italiane — si legge nella nota -, l’Esercito precisa che nessun soldato svolge attività  regolare negli arenili».
Nella fattispecie, le immagini che fanno riferimento alle forze dell’ordine sulla spiaggia di Ventimiglia rientrano nella categoria più ampia dell’operazione Strade Sicure che l’esercito italiano conduce in diverse zone del Paese (soprattutto nei grandi centri urbani) e che quelle stesse fotografie sono state scattate non perchè i militari fossero in azione, ma semplicemente perchè si stavano rendendo protagonisti di un’attività  di approfondimento giornalistico.
«Tali immagini, pertanto — conclude la nota -, non corrispondono alla complessità  delle attività  legate all’operazione “Strade Sicure”, che sono sempre condotte su disposizione delle autorità  competenti».

(da agenzie)

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IL SINDACO DI PORTO EMPEDOCLE SPIEGA LA FUGA DEI MIGRANTI DAL CENTRO DI IERI: “STAVANO SOFFOCANDO”

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

“500 PERSONE IN UNO SPAZIO PER 100 SOTTO UNA TENDOPOLI SENZA FINESTRE, OVVIO CHE MANCA IL RESPIRO”

La sindaca Ida Carmina, esponente del M5S che guida l’amministrazione comunale di Porto Empedocle, ha spiegato le ragioni dietro alla fuga dei migranti dal centro di accoglienza della cittadina.
Da ieri, un numero imprecisato di migranti che aveva raggiunto le coste di Lampedusa nei giorni precedenti sono fuggiti dal centro che li stava momentaneamente ospitando (poi in serata sono rientrati)
Ma il primo cittadino denuncia le condizioni di devastazione che hanno fatto da retroterra alla fuga Porto Empedocle. «In quella tensostruttura — ha detto Ida Carmina — i migranti che potevano essere ospitati erano al massimo 100 e, invece, ce n’erano oltre 500».
“Ammassati l’uno sull’altro al caldo, con difficoltà  di respirazione e senza i servizi igienici adatti”, i migranti non hanno visto altra soluzione che quella di scappare via da questo centro che, per stessa ammissione della sindaca, presentava condizioni da terzo mondo. Ma cosa c’è alla base di questa situazione? Perchè è stato permesso a 500 persone di entrare in una struttura che ne poteva contenere al massimo 100?
La situazione di Lampedusa, in seguito agli sbarchi degli ultimi giorni, è stata piuttosto complessa. Per questo si sono cercate strutture alternative per accogliere i migranti arrivati sull’isola, tra queste Porto Empedocle. Qui, tuttavia, i migranti arrivati in un primo momento nella tensostruttura (circa 190) aspettavano di essere trasferiti altrove.
La prefettura, tuttavia, ha tardato questa operazione di trasferimento e, per questo motivo, ha causato una sovrapposizione con altri arrivi, provocando la situazione fuori controllo che si è verificata nella giornata di ieri.
Un dramma nel dramma che dimostra ancora una volta come, dietro a quella fuga disperata, non ci sia stato un semplice capriccio, ma una sorta di istinto di sopravvivenza che ha spinto i migranti a scappare da Porto Empedocle.
«Qui deve intervenire il governo — ha detto Ida Carmina in diversi interventi radiofonici nelle ultime ore -, ho fatto appello a tutti, anche alla Commissione europea.”
Governo che, nella giornata di oggi, ha optato per l’invio dell’esercito.

(da agenzie)

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RICORSO ALL’ONU CONTRO ITALIA, MALTA E LIBIA: “VIOLANO IL DIRITTO DI ASILO DI CHI SCAPPA DALLA LIBIA”

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

IL CASO E’ QUELLO DEL 18 OTTOBRE 2019

Un ricorso al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite sul ruolo di Italia, Malta e Libia nella violazione del diritto di lasciare il Paese nordafricano e nella negazione dei diritti dei richiedenti asilo. A presentarlo sono due persone che hanno provato ad arrivare in Europa attraverso la rotta migratoria più pericolosa al mondo, quella del Mediterraneo centrale — e non ci sono mai riuscite: a ottobre dello scorso anno erano a bordo di un barchino in difficoltà  nella zona di ricerca e soccorso di competenza di Malta, a poche miglia da Lampedusa.
Ma nè le autorità  maltesi, nè quelle italiane, pur avvisate, sono intervenute.
È invece intervenuta una motovedetta libica, finanziata con i fondi della cooperazione italiana, che ha riportato le persone a bordo, in fuga dalla Libia, di nuovo nel Paese nei cui centri di detenzione si consumano, dice l’Onu, «orrori indicibili» sui migranti.
Un Paese in guerra e dove di certo non è possibile fare domanda di asilo e protezione internazionale.
Un ricorso che arriva nel giorno in cui viene diffusa dall’Organizzazione Internazionale delle migrazioni la notizia di tre persone di nazionalità  sudanese uccise, e di altri cinque ferite in una sparatoria a Khums, a est di Tripoli. Stavano sbarcando dopo essere stati intercettati in mare dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Forse avevano provato a fuggire dopo aver toccato terra.
Ecco, allora, in quelle morti ancor più il senso del ricorso all’Onu.
Il diritto di due migranti «di lasciare la Libia» — questa è la tesi — «è stato violato dall’intercettazione e dal ritorno forzato in Libia effettuati dalla Guardia Costiera libica con la cooperazione delle autorità  italiane e maltesi», spiegano l’associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e dal Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), che si occupano degli aspetti legali del ricorso.
Italia, Malta e la Libia starebbero quindi — si sostiene nel ricorso — violando gli obblighi derivanti dal diritto internazionale: il diritto alla vita, il divieto di tortura, trattamento disumano e degradante, il diritto alla libertà , incluso il divieto di arresto o detenzione arbitraria o illegale, ma anche il «diritto di lasciare qualsiasi Paese» del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, «attraverso la detenzione arbitraria e illimitata, le ripetute intercettazioni e i respingimenti delegati effettuati dalle autorità  libiche».
L’accusa, per Italia e Malta, è pesante: «hanno contribuito agli abusi anche con l’ampio sostegno tecnico, economico, logistico e politico fornito alla Libia, rendendola il principale avamposto per il contenimento dei flussi migratori verso l’Europa, e con il loro ruolo nel delegare alle autorità  libiche l’operazione di salvataggio del 18 ottobre 2019», operazione che si è conclusa con quello che viene definito «respingimento» dei ricorrenti verso Tripoli.
L’identità  dei ricorrenti — questa la richiesta dei legali anche allo stesso Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite — non viene diffusa, per tutelarne la sicurezza. «È possibile solo dire che si tratta di due persone somale, che evidentemente avrebbero avuto diritto alla protezione internazionale», spiega Cristina Cecchini, avvocata di Asgi e una delle rappresentanti legali dei ricorrenti.
Due persone che invece sono state riportate in Libia e che quella domanda, in terra europea, non l’hanno (ancora) mai potuta presentare.
Il caso risale al 18 ottobre 2019 e il copione è quello cui il mondo sta assistendo (assai distratto) sempre più anche nelle ultime ore (con buona pace dell’ipotesi delle ong come pull factor, fattore di attrazione, visto che non ci sono navi umanitarie al momento nel Mediterraneo, e anche nonostante la pandemia di Coronavirus): partenze continue dalla Libia e imbarcazioni in difficoltà  nelle acque tra il continente africano e quello europeo.
A contattare nel primo pomeriggio l’organizzazione Alarm Phone — il progetto creato nel 2014 da una rete di attivisti e attori della società  civile in Europa e Nord Africa che è diventato un osservatorio di emergenza che segnala pubblicamente le situazioni di crisi nel Mediterraneo centrale — è un’imbarcazione sovraffollata in difficoltà  con a bordo circa 50 persone. È nella zona di ricerca e salvataggio (SAR) di competenza maltese, e Lampedusa, in Italia, a 41 miglia da loro, è il “porto sicuro” più vicino.
La Valletta e Roma vengono immediatamente informate di quello che in gergo si chiama evento SAR. Il pericolo è «estremo», ricostruiscono Asgi e Cihrs. Ma Malta e Italia non si muovono. Anche la Libia viene informata — non certo dai migranti — e a sopraggiungere (in una zona Sar non di sua competenza) è la Guardia Costiera libica, con un’imbarcazione che con l’Italia qualcosa a che fare ce l’ha: è la motovedetta Fezzan — donata da Roma «nell’ambito della cooperazione italo-libica» — a intercettare il barchino che nel frattempo comincia a imbarcare acqua.
Risultato: «i sopravvissuti, compresi i ricorrenti», vengono riportati in Libia.
A Tripoli, a 110 miglia da dove sono stati intercettati. In quello che non è per certo un “porto sicuro”, un place of safety ai sensi del diritto internazionale. E infatti. «Arrivati in porto sono stati fatti sbarcare con la forza e hanno subito ulteriori maltrattamenti per costringerli a rientrare in un Paese da cui avevano disperatamente cercato di fuggire», spiegano Asgi e Cihrs.
Mariagiulia Giuffrè di Asgi la chiama «sottile cooperazione internazionale». È la cosiddetta esternalizzazione (portata avanti dall’Europa tutta) delle frontiere a sud. A pagarne le conseguenze, questa la tesi, i diritti umani di chi cerca di raggiungere l’Europa. Ecco la ragione del ricorso alle Nazioni Unite. «La strategia è stata quella di scegliere un organo universale, perchè una decisione potrebbe portare a una ricaduta di più ampio respiro sulla responsabilità  dei tre stati», racconta Cristina Cecchini.
«La questione dell’esternalizzazione delle frontiere ma anche degli accordi e dei finanziamenti alla Libia è ormai ampiamente discussa, è vero», prosegue. «Ma non si arriva mai al nocciolo delle responsabilità . Ecco: chiediamo in primis il riconoscimento della responsabilità  di questi tre Stati».
Con ruoli diversi: l’Italia a partire da quel memorandum con la Libia del 2017 che di fatto ha reso i libici «interlocutori nel Mediterraneo», rinnovato ancora una volta anche da questo governo giallo-rosso con la nebulosa promessa di modifiche a tutela dei diritti umani di cui ancora non si vede traccia.
La Valletta a partire dal suo personale accordo con Tripoli di lunga data, di cui fino a ora non si era avuta notizia e che ora ha ammesso: quello grazie al quale ai migranti dà  la caccia, con «pattugliamenti congiunti» con i libici, con i soldi europei e anche con imbarcazioni private, «con violazione esplicita del diritto del mare», dice Cecchini.
L’Onu parla in questo caso di una regolazione dei respingimenti illegali. E la Libia, che non avrebbe altrimenti interesse a tenere e riportare queste persone sul suo territorio, evidentemente privo di strutture — e che non è neanche ai sensi del diritto internazionale un “porto sicuro” — se non quello degli accordi e dei soldi che vengono dall’Europa, spiega Mariagiulia Giuffrè.
La tempistica del ricorso non è prevedibile, ma entro qualche mese si saprà  se sarà  ritenuto ammissibile o meno dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite.
E precedenti sull’esternalizzazione e su quelli che vengono definiti «respingimenti indiretti», al momento, non ce ne sono. «Abbiamo un caso pendente su un respingimento privatizzato: una nave privata ha riportato dei naufraghi salvati in mare in Libia. Il caso di chiama Sdg contro Italia», spiega Giuffrè. Ma è la prima volta in cui si presenta un ricorso del genere contro tre stati.
E poi c’è il celebre Caso Hirsi: la Corte europea dei diritti umani, il 23 febbraio 2012, ha condannato lo Stato italiano per il modo in cui ha operato con navi della Marina militare il respingimento di un considerevole numero di profughi africani provenienti dalla Libia tra il 6 e il 7 maggio 2009.
L’Italia ha dovuto rivedere quelle politiche di respingimento diretto: le nuove politiche di esternalizzazione, in qualche modo, sono anche un po’ la conseguenza (sbagliata) di quella sentenza.
Ora si cerca di non avere contatto fisico in queste operazioni, per non avere giurisdizione. La nostra tesi — tra coordinamento, finanziamento, cooperazione con la Libia — è che la responsabilità  invece ci sia, eccome.
«I rimpatri forzati e i respingimenti delegati verso la Libia, attuati grazie al sostegno politico e materiale alla Guardia costiera libica e al Direttorato per la lotta all’immigrazione clandestina (DCIM) — contro i quali vi sono accuse molto gravi di legami con i trafficanti di esseri umani e di coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani come la tortura, il lavoro forzato e gli abusi sessuali — intrappolano i migranti in luoghi dove sono sottoposti a terribili abusi», dice Neil Hicks, Senior Advocacy Director del Cihrs. «È necessario che venga posta fine a queste pratiche».

(da Open)

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GELSOMINI CALPESTATI: GIOVANI IN FUGA DALLE TRE PIAGHE DELLA TUNISIA

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

INSTABILITA’ PERMANENTE, DISOCCUPAZIONE E CRISI DA COVID SI ABBATTONO SU UN PAESE AL COLLASSO ECONOMICO… DODICESINO GOVERNO IN DIECI ANNI

Economia stagnante, alti tassi di disoccupazione, confini roventi — da un lato la Libia, in guerra permanente; dall’altro l’Algeria, off-limits per via dei contagi di Covid-19 che continuano a salire.
La Tunisia è il primo Paese di provenienza dei migranti sbarcati illegalmente in Italia, pari al 35 per cento delle nazionalità  dichiarate.
È un Paese in cerca di stabilità  da quasi 10 anni, che dalla Rivoluzione dei Gelsomini ad oggi ha cambiato ben 11 governi e ora si appresta a formarne uno nuovo.
È un Paese da cui sempre più giovani — spesso istruiti e frustrati da un futuro impossibile — scelgono di fuggire. Lampedusa è vicina e con lei l’azzardo del sogno europeo.
La crisi legata al Covid ha aggravato una situazione già  complessa. Non ci sono ancora dati ufficiali, ma il tonfo del turismo a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia sarà  di quelli sordi e spietati: si teme un calo fino al 70% per uno dei pochi settori che portava ossigeno a un’economia in affanno.
Sul fronte politico, da ieri la Tunisia ha un nuovo premier incaricato, Hichem Mechichi, ministro dell’Interno del governo dimissionario di Elyes Fakhfakh. Al 46enne, giurista di formazione, uomo dell’amministrazione statale, spetta ora la sfida di far convergere intorno alla sua squadra il maggior numero di consensi per poter avere la fiducia in Parlamento. Ha 30 giorni di tempo per formare il nuovo esecutivo.
“Il presidente della Repubblica mi ha incaricato di formare il prossimo governo. Lo ringrazio per la sua fiducia. In realtà , questa fiducia è una grande responsabilità  e un’importante sfida, soprattutto nella situazione attuale del Paese. Mi adopererò per formare un governo che possa rispondere alle aspirazioni di tutti i tunisini e alle loro rivendicazioni legittime tanto attese”, ha dichiarato subito dopo aver ricevuto l’incarico dal presidente Kaies Saied.
Il quadro politico è caratterizzato da forti divisioni, ed è anche per questo che la scelta è ricaduta su Mechichi, considerato un indipendente.
Gli occhi sono puntati sulle prossime mosse del partito islamico Ennhadha, prima forza politica in Parlamento, che con il suo abbandono della coalizione ha causato di fatto la caduta del governo del premier Fakhfakh, spinto alle dimissioni anche per il suo coinvolgimento in un caso di presunto conflitto di interessi.
“Il premier incaricato Mechichi dovrà  riuscire a formare una nuova coalizione. Probabilmente, visto il calo nei sondaggi dei partiti finora al governo a favore dei nostalgici del regime di Ben Alì, non si arriverà  a nuove elezioni ma si troverà  un compromesso per appoggiare il nuovo governo”, osserva Fabio Frettoli, analista politico su questioni nordafricane, autore di una recente analisi sulla “Tunisia in cerca di stabilità ” per Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
“Dal 2011 in poi, se da un lato il Paese è migliorato dal punto di vista della democrazia interna, tutta la questione economica è andata sempre di più ad aggravarsi. Il debito interno è aumentato e soprattutto nelle zone interne per la popolazione è difficile raggiungere standard di vita decenti. È un problema che va a toccare soprattutto i cittadini più giovani, quelli che naturalmente tendono di più ad emigrare”, prosegue l’analista.
“Oggi, per i giovani tunisini, è sempre più difficile mettere su famiglia e coltivare un progetto di vita”, osserva Frettoli.
“Nel sud del Paese ci sono state anche recentemente, a fine giugno, nuove proteste per la mancanza di lavoro. In città  come Kasserine, Qairouan e Sidi Bouzid, la città  da cui partirono le proteste del 2011, oltre il 30% della popolazione vive in povertà ”.
Con il tempo si sta inceppando il meccanismo che spingeva la popolazione delle zone interne, storicamente più povere, a trovare delle opportunità  sulle coste. Ora la situazione è satura anche lì e la via del mare — malgrado la minaccia di essere rimpatriati — ha visto rafforzato il suo richiamo.
La Tunisia è uno dei pochi Paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio — gli ultimi sono fermi all’intesa siglata dall’ex ministro degli Interni Angelino Alfano.
Sul funzionamento di questi accordi sono stati sollevati dubbi in passato, anche da parte del deputato tunisino di Ennhadha Oussama Sghaier.
Il conflitto regionale in corso in Libia, del resto, destabilizza anche la Tunisia che è oggetto di ingerenze esterne sempre più manifeste, al punto che il presidente Saied ha pubblicamente parlato di “complotto straniero” ordito da “alcuni partiti politici” in quello che è sembrato un riferimento al partito islamico Ennhadha, considerato vicino alle istanze dei Fratelli musulmani al potere in Turchia, in Qatar e nel governo di accordo nazionale (Gna) con sede a Tripoli.
“Storicamente, prima del conflitto, la Libia è sempre stata una valvola di sfogo per la manodopera tunisina. Con lo scoppio della guerra, questa valvola di sfogo alimentata dal petrolio è venuta completamente meno, e con essa altri scambi commerciali tra i due Paesi”, spiega Frettoli. “Sull’altro confine, l’Algeria sta assistendo a un aumento di casi di Covid-19 molto marcato, il che riduce ancora di più lo scambio di merci e persone”.
In queste condizioni, migliaia di tunisini scelgono la via della fuga via mare. Secondo Ispi, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia dall’inizio delle proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione. Secondo fonti del Viminale citate dalla Stampa, “c’è il rischio di un esodo tale da ricordare quello dall’Albania del 1991, un problema serissimo da affrontare a livello di governo”.
Per Frettoli, tuttavia, “non siamo di fronte a un livello di crisi delle strutture governative pari a quello verificatosi in Albania che possa giustificare questo tipo di allarme”. Di sicuro c’è l’intenzione di rafforzare il dialogo con un interlocutore che, malgrado le incertezze, è chiaramente più stabile rispetto alle autorità  libiche. Come dire: meglio serrare i ranghi dove si può, vista l’ingovernabilità  della vicina Libia.

(da agenzie)

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FONTANA CI VUOLE FAR PASSARE TUTTI PER ALLOCCHI

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

RACCONTA CHE NEGLI ANNI ’80 ERA DI MODA PORTARE I SOLDI ALLE BAHAMAS (GLI EVASORI FORSE…) … DIMENTICA CHE L’ANAC LO MULTO’ PER NON AVERLI DICHIARATI E PASTICCIA CON PAROLE E DATE

In un’intervista concessa oggi a Francesco Bei per Repubblica, Fontana scansa con sdegno l’ipotesi che i cinque milioni di euro giacenti sul conto svizzero e proveniente dalle Bahamas (da dove sono rientrati con lo scudo fiscale per i denari illecitamente detenuti all’estero) provengano da evasione.
Mio padre era un dipendente della mutua — dice — e mia madre una super fifona: figuriamoci se frodava l’erario. Certo, è una cifra importante. Non so perchè i miei portassero soldi ai Caraibi, aggiunge, ma negli anni Ottanta era di moda (sì, c’erano i Duran Duran, il piumino Moncler e il conto alle Bahamas).
Comunque, a metà  degli anni Ottanta con quei soldi ci potevi quasi comprare Maradona (il Napoli lo pagò 14 miliardi di lire). È inevitabile sollevare un po’ di curiosità .
Nella stessa intervista, Fontana spiega di avere ereditato il conto, di averlo dichiarato nel rispetto delle leggi e di aver pagato il dovuto. Ma sempre stamattina, sul Corriere, Luigi Ferrarella racconta della multa da mille euro comminata dall’Anac (Anticorruzione) poichè Fontana nel 2016 aveva omesso la dichiarazione sul suo stato patrimoniale (relativa al 2015, anno in cui i soldi del conto svizzero vengono sanati). Ferrarella ipotizza che mille euro di multa erano una sanzione molto abbordabile, in cambio del silenzio su una eredità  così particolare, e così particolarmente imbarazzante per un uomo delle istituzioni.
In seguito Fontana dichiarerà  tutto, ma senza più l’obbligo di indicare la voluntary disclosure, cioè di aver sanato soldi illecitamente depositati all’estero.
Comunque Ferrarella fissa nel 1997 l’inizio dei depositi alle Bahamas (non negli anni Ottanta) e nel 2005 la data di creazione dei due trust da cinque milioni.
Fin qui tutto lecito. Anche le amnesie. Se ce ne fossero, anche le frottole.
Certo, stiamo parlando di un amministratore leghista, prima gli italiani, abbasso l’euro, i ladroni di Bruxelles eccetera, con cinque milioni di euro che dall’Italia vanno alle Bahamas e dalla Bahamas in Svizzera (“Curioso vedere quanti benpensanti e moralisti di sinistra saran beccati coi milioni nascosti in Svizzera”, scriveva Matteo Salvini su Twitter nel 2015, l’anno in cui Fontana accede al voluntary disclosure e, omettendone la dichiarazione, evita di farsi beccare coi milioni in Svizzera).
Ci sarebbero poi tutte le date — quella in cui Fontana scopre della commissione dei camici all’azienda di moglie e cognato, quella in cui viene contattato dai giornalisti di Report, quella dell’incredibile bonifico da 250 mila euro al cognato, e come minimo fa una gran confusione – ma sono passaggi sui cui s’è già  scritto molto e non si vuole annoiare chi legge.
“Non tollererò che qualcuno metta in dubbio la mia integrità  e quella dei miei famigliari”, ha detto ieri Fontana in Consiglio regionale.
Però non è tanto tollerabile nemmeno che ci si voglia fare passare tutti per allocchi.

(da “Huffingtonpost”)

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