Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA IN ORDINE SPARSO… FORZA ITALIA PRONTA A DARE UNA MANO, MELONI VIRA SULL’ASTENSIONE
L’applauso “spontaneo” per l’uscita di scena di Conte rischia di essere ricordato come l’ultimo
momento di unità del centrodestra.
Il vertice negli uffici di Montecitorio sull’”opzione Draghi” non scioglie i nodi, viene sospeso, si conclude senza il solito comunicato stampa congiunto.
Riunione “interlocutoria”, tutto “prematuro”, niente ultimatum, vedremo, valuteremo, sentiremo cosa ci dice. Eppure, all’interno, l’accordo non c’è.
Neppure sulla delegazione unitaria alle consultazioni, che la Lega pone come obiettivo ma non dato per scontato. “Il voto resta la via maestra, ma siamo realisti, ascolteremo le proposte” ha detto all’uscita Matteo Salvini.
Parola d’ordine: “Nessun pregiudizio”, ma ognuno la declina a modo suo.
Forza Italia è propensa a dire sì almeno sulla base dei “contenuti”: lotta alla pandemia, campagna vaccinale, ristori rapidi per uno spettro ampio di categorie, uso del Recovery Fund, gestione e tempistica del blocco dei licenziamenti.
Silvio Berlusconi ha inserito la giustizia: “No a un Guardasigilli giustizialista”. Mezza Forza Italia però — Mara Carfagna, Renato Brunetta, Andrea Cangini — ha già aperto il dialogo. Osvaldo Napoli ha gettato il cuore oltre l’ostacolo: “Voterò comunque Sì, e lo faremo in tanti”. Idem i tre senatori di Giovanni Toti.
Giorgia Meloni, fiutato il pericolo della diaspora, ha proposto un’astensione di tutto il centrodestra. Subito stoppata dai “governisti”: “Se tutto il centrodestra non vota, finisce che Draghi non avrà i numeri”.
Ecco perchè in questa partita l’ago della bilancia è la Lega, che prende tempo ma non ha (ancora) una linea unitaria.
Incerta tra l’”astensione benevola” e la road map di un “governo a tempo”: sì a Draghi con un programma di pochi punti nell’interesse nazionale e soprattutto con scioglimento delle Camere a luglio, alla vigilia del semestre bianco, per votare agli inizi di ottobre.
A quel punto, meglio se con dentro esponenti politici — i leader di partito o gente di peso, come Giorgetti che l’ex presidente della Bce lo conosce bene — per avere un miglior controllo della situazione.
Una proposta difficilmente digeribile per il tandem Draghi-Mattarella? “Certo, poi il governo può legittimamente avere l’ambizione di durare…” chiosava un big di via Bellerio. Tradotto: intanto lo facciamo partire e poi si vedrà .
La Lega è spaccata come una mela.
Da una parte c’è l’ala del “non si può dire no a Draghi” che comprende — oltre ai soliti Giancarlo Giorgetti, il numero due che da mesi predica la soluzione istituzionale e già evocava Draghi, e Massimo Garavaglia — anche il fronte dei governatori del Nord.
Da Luca Zaia — pur pubblicamente cauto: “Siamo responsabili. Progetti, durata… Dipenderà da cosa dice Draghi. Nessuno firma cambiali in bianco” — fino al “salviniano” Max Fedriga in Friuli. Ma anche buona parte dei parlamentari.
Persino, raccontano ambienti padani, i due capigruppo Massimiliano Romeo al Senato e Riccardo Molinari alla Camera, fedelissimi del Capitano.
La realtà è che la base dell’anima leghista “di governo” — si sta facendo sentire. Forte e chiara. Il mondo produttivo del Nord: artigiani, partite Iva, piccole imprese, settore alberghiero, stagionali. Anche il mondo dello sci, che non sa se tra due settimane potrà riaprire gli impianti, con quali regole, e se converrà farlo.
Nessuno, da quelle parti, vuole andare al voto: l’avviso di Mattarella sui tempi lunghi del voto ha trovato orecchie attente. Confindustria Udine si è espressa per prima: “Il vento è cambiato, con Draghi sarà un governo europeista e non populista, ci aspettiamo che sia messo in condizioni di lavorare”.
I leghisti la considerano storicamente “pendente a sinistra”, ma anche Confesercenti regionale si è fatta sentire. Poi Confindustria lombarda: “Draghi la scelta migliore per salvare l’Italia”. Poi Assolombarda. Una carrellata di avvertimenti per non sprecare quell’occasione da imprese e commercianti.
Sul fronte opposto, c’è la Lega “di lotta”: gli euroscettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai, Armando Siri. Quelli che temono la riedizione del governo Monti: la patrimoniale, la riforma delle pensioni, la Grecia… Il consiglio a Salvini gliel’hanno dato in tanti: “Matteo, un via libera ha senso soltanto se c’è una data certa per le elezioni…”.
Il cellulare del leader leghista è bollente. Tutti lo tirano per la giacca. In pressing aperto il governatore ligure Toti, spesso uomo di cerniera tra forzisti e leghisti ma ultimamente in proprio: “Da Salvini vedo prudente attenzione… Certo un premier così radicato nell’establishment può destare perplessità in un’anima della Lega. Ma io so come la pensa Giorgetti…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
COSI’ LA SCONFITTA ELETTORALE E’ CERTA, NON HA ANCORA CAPITO CHE IN ITALIA LE ELEZIONI SI VINCONO STANDO ALL’OPPOSIZIONE
Dario Franceschini, ha sentito le parole di Draghi?
Parole che confermano la sua storia, sia in termini di convinto europeismo sia sotto il profilo del rispetto della democrazia parlamentare e dei partiti. E questo è molto importante perchè non ci sarebbe nulla di peggio che una contrapposizione tra tecnici e politici. Ovvero di tecnici che arrivano a salvare il paese perchè la politica ha fallito.
È proprio quel che è accaduto. La politica ha fallito e il capo dello Stato, a un passo dalla crisi di sistema ha chiamato, una grande riserva della Repubblica.
Non ha fallito la politica genericamente, ma ci sono precisi responsabili. Ma la smentita migliore del fallimento è nella capacità dei partiti di dare una risposta positiva adesso all’appello del presidente della Repubblica.
È l’ultima chiamata prima di una crisi di sistema. È d’accordo?
Concordo. Penso che le parole di Mattarella, che ha richiamato i doveri della politica di fronte all’emergenza che siamo chiamati a fronteggiare, siano assolutamente condivisibili. E il Pd non si è mai sottratto alla responsabilità di fronte al paese.
Una volta, di fronte a una chiamata del genere, non si sarebbe aperto neanche il dibattito. Nel suo partito ci sono perplessità , dichiarazioni poco convinte come quelle del vicesegretario Orlando.
Ma no, discuteremo, ma c’è sempre stato un grande senso di responsabilità che, nei momenti cruciali, ci ha portato a scegliere per l’interesse dal paese. E in questo momento abbiamo il dovere di dare al paese un governo e una prospettiva, in uno dei momenti più drammatici della nostra storia, in cui sono urgenti risposte: le misure per fronteggiare l’epidemia, il piano vaccinale, il Recovery.
Dicevate voi: Conte o voto…
Abbiamo provato fino all’ultimo a proseguire con un governo che, pur con tanti limiti, aveva assolto con responsabilità e dignità al compito imprevisto e straordinario che si è trovato a fronteggiare. Adesso, affinchè come dice lei, la necessità diventi anche un’opportunità , la sfida è salvare il rapporto tra Pd e Cinque stelle dentro il nuovo quadro.
Non capisco. Il governo non c’è più, e in verità non c’era da tempo come operatività . Cosa vuole salvare?
Non condivido l’analisi, ma comunque va salvata la prospettiva dell’alleanza strategica. Tutta la nostra operazione, nell’agosto del 2019, così improbabile, così difficile, così audace come l’incontro tra forze per certi versi opposte nacque per senso di responsabilità . Evitare elezioni che sarebbero state traumatiche ha consentito di arginare la destra e dare al paese una guida in un anno difficile. Proprio per questo vorrei fare un appello.
Grillo ha appena detto no a Draghi.
Io sono fiducioso che la riflessione renda possibile domani, ciò che oggi appare complesso, come insegna proprio l’esperienza del governo giallorosso. Ricordo che il governo Conte è nato proprio contro l’avventurismo e per riportare l’Italia su una linea europeista. Io oggi dico agli amici dei Cinque stelle: attenti, di fronte a problemi ancora più gravi a non rovesciare le parti; attenti, di fronte a un richiamo come quello di Mattarella e alla disponibilità di una personalità come Draghi a non produrre un esito paradossale: la maggioranza che si spacca e la destra disponibile per senso di responsabilità .
A proposito di responsabilità , lei sa che Conte è il primo che sta lavorando per far saltare tutto e portare il paese al voto?
Non mi risulta e sono convinto che proprio Conte, dopo aver ha servito il paese in un momento difficile, sarà coerentemente il primo e più e convinto sostenitore di Draghi.
Capisco che è un percorso stretto perchè ho visto da vicino le diverse anime del Movimento, ma penso che sia possibile dare una risposta positiva a Mattarella, senza far saltare la prospettiva di una alleanza tra di noi che avrebbe come conseguenza da un lato di bloccare l’evoluzione verso una cultura di governo dei Cinque Stelle e dall’altro di arrivare separati al voto con questa legge elettorale.
Sarà un governo a tempo?
Ciò che nasce bene, non ha tempo. Se non parte con il sostegno di tutti c’è il rischio che le chiavi per accendere o spegnere il motore siano in mano alla destra, che avrebbe l’ultima parola per decidere quando andare a votare. Per questo abbiamo proposto un incontro a Cinque e Leu.
Ho capito bene: lei è convinto che sarà Conte a indirizzare il movimento sul sostegno a Draghi
Per come l’ho conosciuto e per il ricordo di quante volte ha giustamente sottolineato il rischio per il Paese di un voto anticipato, ho ragione di crederlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
E I PARTITI TRA UN ANNO SI RIPRENDERANNO PALAZZO CHIGI
“Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato al Quirinale il professor Mario
Draghi”. Le parole del portavoce del Presidente della Repubblica Giovanni Grasso, rilasciate poco dopo le 21.30 del 2 febbraio, hanno certificato la “vittoria” di Matteo ‘Biden’ Renzi su tutta la linea, tanto che da Italia Viva si gongola: “Conte voleva farci fare la fine del Papeete ma stavolta è lui che è stato asfaltato”. Insomma, Conte ha fatto la fine dell’amico Trump a pochissimi giorni di distanza.
E non poteva essere altrimenti, spiegano fonti molto bene informate sui fatti: “Quando c’è un cambio di fase internazionale di questa portata come con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca è praticamente impossibile che non ci siano immediate ripercussioni anche nei principali paese alleati, in particolar modo proprio in Italia che gli Usa vorrebbero trasformare nel loro ‘gendarme europeo’ per tenere d’occhio le mosse di Francia e Germania”.
Però la scelta del Quirinale per l’ex governatore della Banca Centrale Europea solleva il dubbio che fosse già pronta. La comunicazione di Grasso infatti è arrivata pochi minuti dopo le parole del Presidente: parole che avevano sancito che la maggioranza che sosteneva Conte non esisteva più. Un tempismo, quello di Mattarella, perfetto. Come se il Quirinale avesse già pronta la carta Mario Draghi, nel caso la missione di Fico fosse fallita.
I “bene informati” però aggiungono ulteriori succulenti dettagli al retroscena: “Già dalla mattina di ieri il Capo dello Stato aveva preparato il terreno arrivo di Mario Draghi”.
Il segnale erano state le dichiarazioni rilasciate da Mattarella ricordando Antonio Segni; citando un suo discorso aveva sottolineato la sua contrarietà a un bis al Quirinale. Antonio Segni espresse “la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della ‘non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica”, parole fatte proprie anche da Sergio Mattarella. Segni definì ‘il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato’”.
Questo era il segnale che attendeva Mario Draghi per dire ‘si’ al governo: la possibilità , per non dire la certezza, di essere lui il prossimo Capo dello Stato e quindi la garanzia che Sergio Mattarella non si fosse ricandidato (l’unico in grado di mettere d’accordo tutto il parlamento e quindi di impedire la salita al Colle di Super Mario).
Garanzia che ha avuto, guarda caso proprio nella stessa giornata in cui accettava l’incarico. In poche parole, Mario Draghi non avrebbe mai accettato di guidare il governo senza la certezza di poter approdare tra un anno al Quirinale. Garanzia che soltanto Sergio Mattarella chiamandosi ufficialmente fuori dalla partita poteva dare.
Così, tra un anno, dopo aver impostato il lavoro di rilancio del paese da palazzo Chigi, Draghi potrà continuare a seguire le sorti del paese dal Colle più alto della capitale, seguendo lo schema del suo predecessore e maestro Carlo Azeglio Ciampi.
E i partiti, tra appena un anno, votando Draghi al Colle, potranno riprendersi la scena (e il potere) a palazzo Chigi. La quadratura del cerchio.
(da TPI)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
I POTERI FORTI INTERNAZIONALI VOGLIONO CHE I SOLDI DEL RECOVERY VENGANO USATI PER DETERMINATE RIFORME
L’Italia per tenere a bada il crollo del Pil al — 8,8% ha complessivamente varato misure pari a circa il 6,6% del Pil, 113 miliardi, a cui si aggiungono 300 miliardi di crediti oggetto di moratoria e 150 miliardi di prestiti garantiti.
Si tratta di uno degli interventi più rilevanti d’Europa paragonabile solo a quello messo in campo dalla Germania. Più precisamente:
* decreto Cura Italia: 20 miliardi
* decreto Liquidità : 0,1 miliardi
* decreto Rilancio: 55,3 miliardi
* decreto Agosto: 24,9 miliardi
* decreto Ristori: 3,3 miliardi
* decreto Ristori bis: 1,6 miliardi
* decreto Ristori ter: 0,4 miliardi
* Decreto ristori quater: 8 miliardi
In totale, si tratta di miliardi di euro che il mondo ha accettato che l’Italia spendesse e che con un ulteriore investimento di 209 miliardi di Recovery plan pensava di recuperare nell’arco di 10 anni
Ma invece cosa succede? Succede che il piano italiano inviato a Bruxelles viene ritenuto insufficiente e lacunoso. Da qui lo ‘stop’ a Giuseppe Conte.
Europa e USA vogliono assolutamente che i soldi del Recovery plan vengano usati per riformare davvero l’Italia. E il piano italiano era molto criticato nei palazzi del potere internazionale: il governo uscente veniva ritenuto non in grado di gestire adeguatamente tutti quei soldi. Ecco perchè sia a Bruxelles che oltreoceano, grazie anche all’arrivo di Biden, si è cominciato a ragionare dell’arrivo di Mario Draghi alla guida del belpaese. Utilizzando come “apripista” chi in Italia ha da sempre rapporti con i poteri che contano veramente a livello internazionale.
E il Quirinale alla fine, fallita la mediazione dell’esploratore Fico, non ha potuto che prenderne atto. Quindi, ora bene si capisce perchè appena dopo l’Epifania “improvvisamente” Mario Draghi ritorna nel suo ufficio della Banca D’Italia e la frequenta quotidianamente.
“È venuto per conoscere i veri conti dell’Italia affinchè non si perda tempo una volta ricevuto l’incarico” spiegano i soliti bene informati che ricorrono ad una metafora per spiegare l’arrivo di Super Mario.
“Quando un sistema-paese va in crisi ovvero si deve realizzare un recupero in poco tempo come ad esempio per il Ponte Morandi si ricorre ad un ‘commissario’ che sia in grado di fare cose le cose utili e necessarie in breve tempo”.
La scelta di Mario Draghi, dunque, uomo vicinissimo agli ambienti franco-tedeschi che contano potrà essere utile anche per ‘salvare’ il paese dal possibile arrivo della “Troika” una volta che verranno riaccesi i motori del “patto di stabilità ” europeo.
(da TPI)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
“BRUCIANDO” IL NOME DI DRAGHI COME PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SI BLOCCA LA SUA CANDIDATURA ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
Impegnandosi in un vero e proprio capolavoro shakespeariano, dopo aver accoltellato Enrico Letta
e Giuseppe Conte, Matteo Renzi potrebbe riuscire nell’impresa di mettere nei guai anche Mario Draghi.
Di mettere a rischio, cioè, il suo nome se non addirittura “bruciarlo”, in uno scenario in cui trovare una nuova maggioranza è sempre più difficile.
E in un equilibrio di governo in cui — dato il “no” del M5s — il padrone di casa diventa Matteo Salvini. “L’ultima cosa possibile”, spiegava questa mattina a Omnibus il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, “è che il Pd si ritrovi a sostenere un governo di destra”.
Ha aggiunto Andrea Orlando: “Non basta dire ‘è arrivato Draghi, Viva Draghi”. Il che spiega perchè i numeri e i partiti che sosterranno il tentativo dell’ex presidente della Bce diventano un grande rischio per Draghi.
Il leader di Italia Viva, se così fosse, stabilirebbe uno strano e non invidiabile primato, come se fosse una sorta di serial killer specializzato nell’omicidio politico dei premier, l’ultimo dei quali è ancora nella culla. Non è un caso. Come certi pluri-condannati per un medesimo reato, per cui una sentenza in più o in meno non gli cambia nulla sul cumulo di pena, oggi Renzi si trova nella curiosa condizione per cui può continuare ad esercitarsi nella sua arte preferita.
Il tema è quello che poniamo da giorni. Secondo Nando Pagnoncelli, ieri da Floris, il 51 per cento degli italiani hanno peggiorato il loro giudizio sull’uomo di Rignano, e magari non era nemmeno un buon giudizio. Il punto però è un altro: Mario Draghi era un ottimo candidato al Quirinale, forse il migliore, una riserva della Repubblica che non può correre il rischio di essere bruciato con un governo che non raccolga il consenso di tutti.
Dopo aver ingannato Mattarella, e l’esplorazione di Mattarella (ricordate? “Non c’è nessuna pregiudiziale sul nome di Conte”), il leader di Italia Viva ha fatto quello che aveva programmato da tempo: far saltare il governo del centrosinistra con l’obiettivo di smembrare il M5s e di colpire il Pd. Dopo questo, ovviamente, era importante delegittimare Nicola Zingaretti, insediare un altro segretario, più malleabile, tornare alla base e diventare il gestore occulto del partito.
Il primo risultato che ha ottenuto — ancora una volta — è stato opposto a quello che immaginava: è stato così presuntuoso da non capire che l’unica mossa che poteva ricompattare il Movimento cinque stelle era il “no” ad un banchiere. E così sta avvenendo.
Ma lo stesso posizionamento, a destra, lo sta prendendo Giorgia Meloni ( la formula “dialogo dall’opposizione”) che a sua volta rende difficile a Matteo Salvini qualsiasi sostegno pieno: questo vorrebbe dire regalare voti con la carriola a Fratelli d’Italia. Adesso, se dice sì, Salvini rischia di essere prosciugato dalla concorrenza di una “opposizione responsabile”. E arrivare secondo alle elezioni quando si voterà , il che, per le regole che la destra si è data, significherebbe perdere la leadership in favore della leadership di Fratelli d’Italia.
Ma soprattutto: è evidente che chi può essere il candidato di tutti, al Colle, non può essere proposto solo da qualcuno, a Palazzo Chigi. Quindi, spendendo il suo nome per la presidenza del Consiglio, dopo un’operazione di cecchinaggio politico, Renzi mette Draghi in una condizione oggettivamente difficile.
Ed è per tutti questi motivi che il fronte di battaglia si sposta nel Pd: i nemici di Zingaretti useranno la crisi per attaccare la segreteria. È l’ultima conseguenza della mossa di Renzi.
Ma la posizione del segretario, di contro, è fortissima nella base che — quasi unanime — si è espressa sui social in ogni occasione in cui ha potuto. Gli elettori del Pd sanno che ogni volta che un tecnico è andato al governo con i voti del loro partito, quel prezzo è stato pagato da loro.
Nel 1992-1993 la sinistra ha donato il sangue ed è stata poi “scippata” da Silvio Berlusconi e dal suo miracolo italiano. E poi è finita la prima Repubblica, quella fondata sul bipolarismo dei partiti di massa, Dc-Pci.
Nel 2011-2012, la sinistra ha “donato il sangue” una seconda volta, e poi è stata scippata da Salvini e dal “vaffa”. Dopodichè è finita la seconda Repubblica, quella fondata sul bipolarismo tra centrodestra (Cdl-Pdl) e centrosinistra (Ulivo-Unione). Nel 2019-2020 il Pd è diventato il partito architrave della ricostruzione, ha ancora una volta “donato il sangue”, e adesso rischia ancora una volta di essere scippata, da un progetto tecnico che azzera il bipolarismo giallorossi-sovranisti.
Se questo scenario si realizza, come per gli altri casi, finirà necessariamente la seconda Repubblica, e il nuovo bipolarismo che il Pd di Zingaretti era faticosamente riuscito a costruire. Questa, oggi, è la posta in palio.
(da TPI)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
SALVINI: “DRAGHI NON E’ MONTI”
«La strada maestra sono le elezioni. Se il professor Draghi ci incontrerà andremo ad ascoltare, a proporre e a valutare. Non abbiamo pregiudizi». Il leader della Lega Matteo Salvini tiene aperta la porta a un governo a guida Mario Draghi dopo il vertice della coalizione di centrodestra. «Draghi non è Monti», aggiunge Salvini incalzato da Open.
La riunione, iniziata alle 13 al Palazzo dei gruppi, in via degli Uffici del Vicario, sembra essersi svolta all’insegna dello slogan «uniti andiamo lontani».
«Se siamo arrivati a questo punto, con Giuseppe Conte e il suo pessimo governo che non sono più a Palazzo Chigi, è merito del fatto che il centrodestra è rimasto compatto», ha detto Salvini dando il la alla riunione. Prima di entrare, a domanda sull’apertura al dialogo, Salvini ha abbozzato un sorriso: «Io non chiudo mai a nessuno».
L’appello di Berlusconi
Se all’ingresso dell’incontro tutti i leader hanno parlato poco, nel corso della riunione sono iniziate a trapelare notizie di una possibile apertura della Lega a un governo istituzionale con a capo l’ex presidente della Bce: «Al Senato basterebbe l’astensione per avere un segnale da Salvini», avvisano i moderati dell’area di Giovanni Toti e Mara Carfagna, area del centrodestra che ha già formalizzato il voto favorevole ad un esecutivo «dei migliori», tanto richiesto nei giorni scorsi da Silvio Berlusconi.
Da Salvini, ancora una volta, non arriva una chiusura: «Se ci asterremo? Come faccio a rispondere se non abbiamo ancora incontrato Draghi? Essendoci una persona di livello andiamo a cercare di capire».
Da Forza Italia si fanno sentire i sostenitori della prima ora di Draghi e della cosiddetta maggioranza Ursula: Renato Brunetta, ad esempio, che si augura una scelta unitaria «a favore di Mario Draghi». Mentre da Fratelli d’Italia, per ora, la linea sembra rimanere «il voto o nulla». La linea ufficiale del centrodestra arriverà dopo le consultazioni. Non è escluso un nuovo vertice nelle prossime ore.
(da Open)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
IN SENATO SERVONO I NUMERI O LA MAGGIORANZA NON C’E’
Draghi è Draghi, ma qualunque governo per entrare in carica e durare ha bisogno dei voti del
Parlamento. La strettoia, per tutti, in questa legislatura, è in Senato, alla Camera è più facile, anche se il peso M5s è notevole.
E stando alle accoglienze avute dall’ex presidente della Bce, dopo l’annuncio di Mattarella, il percorso verso numeri di tranquillità , al momento appare molto impervio.
In Senato i voti possibili sono 147, la maggioranza assoluta è fissa, invece, a 161.
Si arriva a questa cifra se si sommano i consensi del Maie-Europeisti (10), Forza Italia (52), Italia viva (18), Partito democratico (35), Autonomie (8), Misto (22) e i due senatori a vita non inseriti in un gruppo.
In questo conto si dà per scontato il voto compatto a favore del partito di Berlusconi, che al momento ufficialmente non si è espresso.
Ma si capisce come i 92 voti del M5s e i 63 della Lega siano pesantissimi, mettendo dichiaratamente all’opposizione i 19 voti di Fratelli d’Italia, essendosi già espressa in tal senso Giorgia Meloni.
Che si spacchi o che ci siano defezioni importanti dentro la Lega al momento sembra ipotesi abbastanza remota. Il discorso cambia sul Movimento, perchè già ieri c’è stata l’uscita di Emilio Carelli e un gruppo di responsabili pro Draghi M5s potrebbe emergere nelle prossime ore. Anche se le posizioni ufficiali sono tutte per il no, da Paola Taverna a Vito Crimi, per non parlare di Alessandro Di Battista, che parlamentare però non è, che ha stroncato l’incarico a Draghi un minuto dopo l’annuncio del Capo dello Stato. Di Maio, per ora non si è espresso.
Alla Camera sembra tutto più semplice, ma solo apparentemente.
Tutto ciò detto i pro Draghi M5s dovrebbero essere numerosi, almeno tra i 20-30 in Senato per una maggioranza tranquilla.
E non sarà facile, soprattutto siamo certi che Draghi non aprirà la ricerca di responsabili, cosa abbastanza indecorosa, nella forma e nei modi, vista nelle scorse settimane. O avrà i voti o non li avrà e per capirlo servono le prossime ore.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
LA LEGA VUOLE METTERE LE MANI SUL RECOVERY FUND E POI VOTARE DOPO AVER ELARGITO QUATTRINI E CONDONI
“Pur rispettando l’appello del presidente Mattarella, è noto che la Lega ritenesse il voto la soluzione migliore per il Paese. Nel senso che preferiamo stare fermi due mesi e avere un governo forte e legittimato. È chiaro che il nome di Draghi scombussola le carte e quindi, noi che siamo un partito responsabile, non diciamo no a prescindere. Ci confronteremo sui temi, capiremo quale è la squadra… Se fosse un governo a tempo, per fare il Recovery fund e affrontare lo sblocco dei licenziamenti e poi avere la certezza che poi si fa a votare sarebbe una cosa. Bisogna capire cosa ci sarà sul tavolo”.
Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, rispondendo – ospite a “L’aria che tira” su La7 – a una domanda su cosa farà la Lega se Mario Draghi riuscirà a portare un governo al voto del Parlamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
A FORZA DI “ESSERE RESPONSABILI” SI RIDURRANNO A COMPARSE… TROPPO IMBORGHESITI E ATTACCATI ALLA POLTRONA, OCCORRE CORAGGIO: ANDARE ALLE ELEZIONI E MAL CHE VADA SI TOLGONO DALLE PALLE GLI INFILTRATI CHE RENZI HA LASCIATO NEL PD
Il Pd è orfano due volte. È senza premier e senza linea politica. Le macerie del Nazareno, nel
primo giorno della fase Draghi, sono fumanti insieme ai mattoni caduti del sogno M5s di mantenere Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e di conservare il proprio potere derivato dal voto del 2018.
C’è sconcerto nel day after tra i maggiorenti del Pd: “Beh, di certo non stappiamo lo spumante”. È tutto un telefonarsi, inseguirsi, compiangersi. Il segretario Nicola Zingaretti da spettatore prova a tornare centrale e a rimettere insieme i pezzi dell’alleanza giallorossa: “Con l’incarico a Mario Draghi si apre una fase nuova che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda”. E quindi: “Siamo pronti a contribuire con le nostre idee a questa sfida per fermare la pandemia. Non bisogna perdere la forza e le potenzialità di una alleanza con il Movimento 5 Stelle e con Leu. Per affrontare questi temi chiederemo nelle prossime ore un incontro con il Movimento 5 Stelle e Leu”.
Dal segretario al suo vice Andrea Orlando il mood è quello di chi ha subito una batosta imprevista, ritenuta invece prevedibilissima dagli ex renziani rimasti nei dem e che i realisti della politica alla Dario Franceschini avevano messo nel conto.
“Il Pd ha svolto la sua funzione, ha lavorato per la nascita di un governo ma — si difende il vicesegretario – è stata impedita, è stata fatta saltare da una scelta di Iv e di Matteo Renzi. Quindi per favore non parliamo indistintamente di fallimento della politica”.
Tuttavia dentro il partito è tempo di recriminazioni: “Non ci siamo creati altre strade, un’alternativa, ci siamo legati mani e piedi a Conte”. È il concetto che viene ripetuto insistentemente in queste ore mentre cresce la paura che il partito stesso possa spaccarsi.
Italia Viva, nei suoi conciliaboli, non nasconde la voglia di creare un nuovo centro e quindi, un pezzo di partito, che fa capo a Base riformista e di cui fanno parte gli ex renziani rimasti nel Pd, rappresenta il terreno fertile a cui puntare.
Adesso i dem devono ricalibrarsi, e anche in fretta, sul governo Draghi. Compattando le truppe. E infatti il vicesegretario Orlando inizia la virata: “Il ruolo politico non può prescindere dai numeri, il nostro 11% in Senato non basta. Il Pd dovrà decidere anche in relazione a quello che faranno le altre forze politiche”.
Il Pd si trova nella difficile situazione di non poter dire di ‘no’ nè al Capo dello Stato Sergio Mattarella nè a Mario Draghi.
E questo è il frutto, nell’analisi anche spietata che stanno ai vertici del partito e soprattutto dei gruppi parlamentari, di tre errori. Non hanno capito che Renzi sarebbe andato fino in fondo. Cosa che a un certo punto è diventata chiara perfino a M5s. Altro errore su cui si ragiona ancora in casa dem è che ci si è legati automaticamente a Conte, pur di salvare l’accordo con i grillini, senza ragionare a un piano B. Mentre il piano B era già in corso. Il Pd non ha capito che il presidente Mattarella aveva veramente il nome di Mario Draghi pronto, e chi glielo faceva notare veniva respinto con perdite: “I nostri segnali ci dicono che non è affatto così”.
Nelle telefonate tra i big non si nasconde il senso della sconfitta ricevuta in queste ore. E c’è chi dice ai propri interlocutori: “Questa è una delle pagine più disastrose e dolorose che la sinistra abbia vissuto negli ultimi decenni. Proprio mentre ricorre il primo centenario della nascita del Pci”.
Perchè adesso la paura più grande è il rischio di coabitazione obbligata con la Lega nella maggioranza a sostegno del governo Draghi se Matteo Salvini dirà di sì. Andrebbe in frantumi il progetto politico a cui, dall’agosto 2019, Zingaretti lavora con una determinazione assoluta e che si è rivelato, alla luce dei fatti delle ultime ore, fallimentare:
Conte simbolo e candidato premier dell’alleanza progressista grillo-dem alle elezioni del 2023. Questo era il disegno. Disegno che Zingaretti prova ora in extremis a recuperare.
(da “Huffingtonpost”)
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