Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
IL SINDACO HA SPIEGATO LA SUA ORDINANZA CHE OBBLIGA LA BENEDIZIONE NELLE SCUOLE (CHE HA SCATENATO UN PUTIFERIO): “NON POSSIAMO BUTTARE AL CESSO I VALORI DELLA NOSTRA CULTURA”
Mauro Giannini (sindaco di Pennabili – prov. Rimini) choc a
La Zanzara su Radio 24: “Essere gay è contronatura, non deve passare che sia normale. In religione si dice “andate e moltiplicatevi” non “andate e prendetelo in culo”.
Un figlio gay? Ho la fortuna di non averlo, non sarei contento ma non lo posso ammazzare. Mussolini? Ha fatto cose buone. Avevo fatto richiesta al Governo per aprire la prima casa chiusa comunale in Italia, nessuno mi ha risposto. L’ordinanza che obbliga la benedizione pasquale nelle scuole? Non possiamo buttare al cesso i valori della nostra cultura”.
Il Sindaco di Pennabilli in provincia di Rimini, Mauro Giannini, è rientrato al centro del ciclone dopo la sua ordinanza che obbliga la benedizione nelle scuole del territorio. Giannini è intervenuto a La Zanzara su Radio 24 per spiegare la cosa: “In un comune limitrofo hanno vietato l’ingresso a un prete in una scuola; ieri la dirigente scolastica ha fatto una circolare che vietava le benedizioni pasquali durante le lezioni. Non possiamo buttare al cesso i valori della nostra cultura”.
In passato era stato attaccato il primo cittadino leghista per aver detto di voler morire con la camicia nera. “Certo, non rimangio le mie parole – continua Giannini a La Zanzara su Radio 24 – Mussolini ha fatto cose buone”
“Quando Salvini era al Governo – aggiunge Giannini – avevo fatto una richiesta per aprire la prima casa chiusa comunale in Italia, non ho avuto risposta. Le togliamo dalla strada, le regolarizziamo, facciamo pagar le tasse e non si rischia le malattie”
Sui matrimoni gay ha una idea tutta sua Mauro Giannini: “Per carità, a me non interessa cosa a fa letto una persona, son contrario a farla diventare una cosa normale. Torno a un discorso religioso, lui ha detto “andate e moltiplicatevi”, non “andate e prendetelo nel culo”. A casa sua ognuno fa quel cazzo che vuole, ma che non passi che sia normale. Non sono omofobo. Due uomini non possono fare da babbo e due donne da mamma. Non è naturale, è contronatura”
“Se avesse un figlio gay? Non ci ho mai pensato perché ho la fortuna di non averlo. Non sarei contento – conclude Giannini a La Zanzara – ma non lo posso ammazzare. Siamo noi che li abbiamo fatti i figli. L’omosessualità non è una malattia, ma non so cosa possa essere, ci sono queste tendenze dettate da tanti fattori. Magari uno timido con le donne si butta con gli uomini”
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
L’EUROPA HA ALTRE PRIORITA’, DAL SOSTEGNO ALL’UCRAINA ALLA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Nella prima giornata del Consiglio europeo di Bruxelles, che si è tenuta tra ieri, Giorgia Meloni ha continuato a spingere sul tema delle migrazioni. “Se la Tunisia crolla del tutto si rischia una catastrofe umanitaria, con 900mila rifugiati”, ha detto durante il dibattito sul tema. Gli argomenti al centro dell’agenda europea, però, erano altri. A cominciare dalla guerra in Ucraina: il presidente Volodymyr Zelensky è intervenuto in videochiamata per elencare gli elementi che possono ritardare la conclusione del conflitto e chiedere un summit in una capitale europea per discutere il suo piano di pace.
Nella prima giornata del vertice, come detto, il principale argomento è stato il supporto a Kiev. Come previsto, c’è stata una sostanziale unità d’intenti su questo punto: i Paesi hanno concordato che verrà aumentata la fornitura di munizioni all’Ucraina, con l’obiettivo di “un milione di proiettili di artiglieria” consegnati “entro i prossimi dodici mesi”. Oltre alle munizioni già presenti, si faranno degli acquisti condivisi.
Sono state confermate anche altre decisioni, come l’addestramento di soldati ucraini da parte dei Paesi europei (30mila militari in tutto), annunciata già a inizio febbraio 2023, oltre alle altre misure di sostegno sul piano umanitario ed economico, incluso il tema della futura ricostruzione dell’Ucraina.
Dal punto di vista economico e della transizione ecologica, non ci sono stati passi avanti significativi. La bozza di conclusioni dell’incontro certifica che nel Piano industriale green dell’Ue per adesso non c’è spazio per un Fondo sovrano europeo (che l’Italia vorrebbe, per non dover pagare di tasca propria tutte le spese per gli aiuti alle aziende, dato che ha già un debito pubblico molto elevato). Ciò su cui punterà il governo italiano è la rimodulazione del Pnrr, cioè la possibilità di utilizzare alcuni fondi del Pnrr per altri progetti, magari legati proprio alla transizione green.
Uno dei temi non presenti ufficialmente in agenda, ma che ha tenuto banco negli incontri tra leader europei, è quello delle ‘auto green‘: lo stop all’immatricolazione di auto a benzina e diesel dal 2035 nell’Unione europea. Non significa il divieto di guidarle, ma di produrle. A opporsi finora sono state Italia e Polonia, con la Bulgaria astenuta. La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, è stata dura sul punto: “Non possiamo tornare indietro sugli accordi, si tratta della fiducia tra colegislatori e della credibilità del processo legislativo”. Insomma, abbiamo lavorato a questa proposta per mesi, eravamo tutti d’accordo e l’abbiamo approvata, adesso non si può rimettere tutto in discussione di colpo.
Sulle auto green, il Paese che potrebbe decidere la sorte della trattativa è la Germania. Anche Berlino ha espresso delle riserve sulla norma, ma da fonti di stampa risulta che stia lavorando con la Commissione europea per raggiungere un compromesso: anche il governo tedesco darà l’ok allo stop di benzina e diesel, se però resterà possibile costruire auto che utilizzino i carburanti sintetici. La richiesta italiana di introdurre almeno i biocarburanti, invece, sembra destinata a cadere nel vuoto.
Infine, il tema dell’immigrazione, che a Bruxelles non ha occupato molto spazio. Mezz’ora circa di dibattito, su un totale di dieci ore di confronto nel corso della giornata. A parole si è ripetuto più volte che “la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”, come riportano anche le conclusioni dell’incontro. Il Consiglio ha chiesto “una rapida attuazione di tutti i punti concordati” e insieme alla Commissione europea ne esaminerà “l’attuazione a giugno”.
A fine giugno si terrà la prossima riunione del Consiglio: mancheranno poco più di sei mesi alla fine della legislatura europea. A meno che non arrivino importanti e concrete novità in quell’occasione, sembra difficile che ci saranno cambiamenti significativi prima della fine del 2024. Nella primavera del 2024, infatti, si terranno le elezioni europee, poi ci saranno le procedure necessarie per rendere il nuovo Parlamento e la nuova Commissione del tutto operativi.
Il piano su cui l’Italia ha ricevuto un appoggio della Commissione, rappresentata dalla presidente Ursula von der Leyen, è stato più che altro quello degli “ingressi di lavoratori da Paesi terzi”, che devono essere “incrementati”. Parlando del punto, Von der Leyen ha citato “l’esperienza estremamente positiva dell’Italia con i corridoi umanitari”.
Gli altri punti menzionati dalla presidente sono stati “il rinforzo delle operazioni di ricerca da parte dei nostri partner nordafricani e il miglioramento delle percentuali di rimpatri”. Anche in questo caso, però, nonostante Giorgia Meloni si sia detta “soddisfatta” non si è parlato di fondi, di misure legislative concrete o di provvedimenti immediati, ma di intenzioni.
(da Fanpage)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTI COGLIONAZZI BIGOTTI POI SONO GLI STESSI CHE VOTANO PER UN PUTTANIERE CRIMINALE
Ha mostrato la statua del David di Michelangelo durante una
lezione sull’arte del Rinascimento e per questo è stata cacciata dalla scuola. Succede a Hope Carrasquilla, la preside della Classical School di Tallahassee, in Florida, che ha denunciato al New York Post quanto subito. Stando a quanto ha raccontato, il presidente del consiglio di amministrazione dell’istituto ha dato alla docente due opzioni: le dimissioni immediate dalla carica o il licenziamento in tronco. Ma senza spiegazioni. Lei si è insospettita e sostiene che la causa siano proprio le immagini di nudo maschile michelangiolesche che ha mostrato ai bambini. E Barney Bishop, il presidente della Classical School, ha confermato che tre genitori avevano protestato per quella lezione. Due di loro hanno attaccato la docente perché non aveva avvisato in anticipo le famiglie che avrebbe mostrato dei contenuti a loro dire «controversi». La madre di un altro alunno ha addirittura accusato la scuola di «pornografia». E si è detta «sconvolta» che «il figlio abbia dovuto vedere quelle immagini».
La condanna della Galleria fiorentina che custodisce l’opera
Le famiglie si sono appellate al regolamento di istituto. Perché, conferma anche Bishop, le regole della scuola prevedono che gli insegnanti sono tenuti ad avvisare con due settimane in anticipo in caso di eventuali contenuti didattici «controversi». Il presidente della Tallahassee ha dichiarato alla stampa: «I diritti dei genitori sono di primaria importanza e questo per tutelare gli interessi di tutte le famiglie». La preside incriminata, che lavora alla scuola da due anni, si è detta delusa e amareggiata. Dall’Italia arriva la condanna alla scuola. In particolare da Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia, il museo fiorentino che custodisce il David di Michelangelo. «Nudità non corrisponde a pornografia. Mi meraviglio di questi genitori perché il David è il simbolo del Rinascimento che mette al centro dell’attenzione l’uomo nella sua perfezione così come è stato creato da Dio». E aggiunge: «Il David è una figura religiosa, è l’espressione della nostra cultura europea e non ha niente di pornografico».
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
AL GOVERNO MELONI EVIDENTEMENTE STA BENE CHE I LAVORATORI DELLE RSA PIEMONTESI VENGANO PAGATI 5 EURO LORDI L’ORA
Il caso dei lavoratori e delle lavoratrici delle RSA piemontesi pagati 5 euro lordi all’ora è uno scandalo sociale d’indubbia gravità, per numerose ragioni. Intanto perché umilia le persone che prestano il proprio lavoro “di cura”, e quindi particolarmente impegnativo, carico di responsabilità e di rischi (lo si è visto durante il Covid), misurando la loro fatica sui gradi più bassi del riconoscimento sociale.
In secondo luogo perché offende gli stessi assistiti in quelle strutture, come ha scritto giustamente Elsa Fornero su questo giornale: quegli anziani, molti dei quali non autosufficienti, che avrebbero tutti i diritti a essere curati da un personale ben retribuito e, per questo, consapevole del proprio valore e della propria responsabilità, e che invece vengono considerati oggetti di scarto da affidare a manovalanza considerata a sua volta (ingiustamente) di scarto.
Infine perché una simile pratica, in genere permessa dall’esistenza di “sindacati pirata” poco rappresentativi ma molto disponibili, introduce una grave distorsione nel mercato del lavoro favorendo quelle imprese che praticano una simile forma di dumping salariale realizzando sproporzionati utili a danno di quelle che operano con correttezza e subiscono per questo una vera e propria concorrenza sleale.
Uno scandalo, si è detto. Ma non un caso-limite, come ha dimostrato il Dossier pubblicato da “La Stampa”. Dire che in Italia 6 milioni di lavoratori dipendenti, il 30% dell’intera forza-lavoro nazionale, non arriva a guadagnare 12.000 euro lordi al mese, poco più di 600 netti, significa affermare che una parte assai grande del “mondo del lavoro” sta, con dolore, a cavallo di quella soglia di povertà assoluta che segna il confine tra l’essere e il non essere: lo si è detto ma è utile ricordarlo che, come certificato dall’Istat, quella soglia è fissata in una forbice tra gli 852 euro per un singolo che viva in un’area metropolitana del nord e 576 dei piccoli comuni del sud. In entrambi i casi ognuno di quei sei milioni di lavoratori avrebbe grande difficoltà a nutrirsi adeguatamente, vestirsi, curarsi, vivere insomma una vita “dignitosa”, a meno che non abbia in famiglia almeno un paio di altri membri in condizione di lavoro; ma se avesse per sciagura un’altra persona a carico, un figlio, un disabile, un coniuge disoccupato, finirebbe in un abisso. Sono i working poor, quelli cioè che pur avendo un posto di lavoro, restano tuttavia in condizione di povertà assoluta. E che in molti casi hanno dovuto ricorrere per sopravvivere a quel Reddito di cittadinanza tanto vituperato da chi questi problemi non li vive, ma che da quando è in vigore ha comunque salvato dalla miseria oltre un milione di persone all’anno, funzionando in molti casi come strumento di supplenza rispetto a una dinamica salariale asfittica in modo anomalo, con una curva trentennale appiattita sul basso o addirittura negativa mentre in tutti gli altri paesi Ocse cresceva.
Eppure il tiro al bersaglio contro questo istituto sembra essere diventato, nel nostro accecato mondo politico, lo sport preferito, come d’altra parte l’ostilità, difficilmente comprensibile, verso quel salario minimo che avrebbe almeno il merito di evitare la “follia” di “contratti non standard” come quelli delle RSA piemontesi.
E resta difficile da spiegare, se non con una mal riposta disciplina di organizzazione, come sia passata senza neppure un mormorio di dissenso la scomunica verso questo istituto pronunciata dalla Presidente del consiglio dal podio del principale sindacato italiano.
(da La Stampa)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
LA CITTADINA E’ DIVENTATA IL CENTRO DELLO SCONTRO NEL DONBASS NON PER UNA SUA CENTRALITA’ STRATEGICA MA PERCHÉ GLI UFFICIALI DELLA MILIZIA MERCENARIA “WAGNER” DECISERO CHE LA SUA CONQUISTA AVREBBE RAPPRESENTATO IL RILANCIO DELL’INTERA OFFENSIVA RUSSA
Se un anno fa avessimo chiesto chiarimenti sulla rilevanza
della cittadina di Bakhmut (Artemivsk per i russi) a qualsiasi esperto del conflitto russo-ucraino nel Donbass la risposta sarebbe stata scontata: una località minore con poca importanza strategica (circa 70.000 abitanti, di cui oggi restano meno di 4.000), […] Fatto sta invece che, dopo oltre nove mesi di battaglia cruenta e decine di migliaia di soldati morti, feriti o dispersi sia russi che ucraini, oltre ad almeno 4.000 vittime civili e danni gravissimi in tutta la zona, è stato proprio la scelta dei due comandi nemici di giocare il tutto per tutto pur di controllarla a trasformare Bakhmut nel simbolo stesso della sfida per le province orientali del Paese.
Nel caso di Bakhmut furono gli ufficiali della milizia mercenaria russa Wagner, e in particolare il suo proprietario-comandante Yevgeny Prigozhin, a decidere che la sua conquista avrebbe rappresentato il rilancio dell’intera offensiva e quindi automaticamente la sua crescita di peso politico al Cremlino in contrapposizione al ministero della Difesa. Ciò spiega come mai oggi l’evidente difficoltà russa nel prendere la città sia in realtà una sconfitta la cui gravità è direttamente proporzionale agli sforzi e le risorse che sono stati impegnati.
La macchina militare russa torna ad evidenziare tutte le sue gravissime inefficienze: comandi inadeguati, lotte e faide ai vertici, armi obsolete (specie rispetto alla tecnologia sofisticata della Nato e all’inventiva ucraina), poca motivazione tra i soldati male addestrati. Si tenga conto che le milizie locali filorusse, armate e sostenute da Mosca, avevano già cercato di prendere Bakhmut nel giugno-luglio 2014 e che all’inizio dell’invasione voluta da Putin, il 24 febbraio 2022, le prime linee russe si trovavano in linea d’aria a soltanto una ventina di chilometri da Bakhmut. Ciò per sottolineare la pochezza delle avanzate russe nel Donbass negli ultimi 13 mesi.
La mancata presa di Bakhmut rischia così di aggiungersi alla sconfitta nella battaglia per Kiev nel marzo dell’anno scorso, alla ritirata da Kharkiv a fine primavera e soprattutto a quelle dalla regione di Izium-Lyman e dalla Kherson occidentale tra settembre e novembre. […] L’attacco su Bakhmut fu lanciato in giugno con l’intenzione di prendere subito Kramatorsk ed eventualmente procedere verso Dnipro. A rendere loro tutto più complicato sono stati i massicci invii di armi occidentali, specie i pezzi d’artiglieria ad alta precisione, i droni e i lanciarazzi americani Himars.
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
“LA STORIA DELLE VITTIME IN FUGA DAI TALEBANI HA COLPITO L’OPINIONE PUBBLICA”
Cecilia Strada, hai scritto e hai dichiarato per giorni sulla strage di Cutro.
«Verissimo».
E hai detto che dobbiamo imparare molto da quello che è accaduto. Posso chiederti di spiegare cosa pensi, e perché, a tuo avviso, questa storia ha segnato il sentimento collettivo del nostro Paese?
«Assolutamente sì. Intanto sono contenta che continuiate a parlarne mentre si spengono tanti altri riflettori. E poi vorrei fissare alcune lezioni importanti che stiamo capendo solo adesso, alla distanza».
A cosa ti riferisci?
«Questo naufragio è diventato un simbolo, e non era scontato. E oggi Cutro significa molto anche per chi, come me, si occupa di migranti e profughi da anni».
Come spieghi l’enorme onda di emozione e dibattito che la strage ha suscitato nel Paese
«Accade per una serie di fattori diversi e concomitanti tra di loro. E ci dice che le posizioni della destra sono diventate di fatto indifendibili. Ma a questo arrivo più avanti. Partiamo dal dire cosa ha prodotto l’anomalia».
Cecilia Strada, operatrice umanitaria, attivista, soccorritrice. Per anni ha diretto Emergency, l’organizzazione fondata da suo padre Gino. Poi, conclusa l’esperienza nella Ong “del chirurgo di guerra”, è diventata responsabile della comunicazione per la onlus italiana ResQ, People Saving People. Una organizzazione che proprio adesso è impegnata nei salvataggi a mare (anche) nella famosa rotta adriatica.
Cecilia, dici che Cutro diventa un simbolo per un insieme di fattori diversi. Elenchiamoli.
«In primo luogo la catastrofe è accaduta a pochi metri dalla riva. Sono state fatte fare mille ricostruzioni, lacunose o burocratiche, ufficiali e ufficiose, si è cercato di nascondere quello che era evidente dietro una cortina fumogena. Ma se poi vai lì, e capisci dove è affondata la nave, ti accorgi di una cosa semplice: non si poteva non vedere. Non si poteva lasciar morire delle persone ad un passo dalla salvezza».
C’è poi un fattore emozionale aggiuntivo.
«Il fatto che ci fossero tanti bambini, tra le vittime, ci ha giustamente colpito. Ha infranto da subito il racconto della destra: clandestini, pericolosi, potenziali criminali».
Ma per te neanche questo è stato il motivo decisivo, vero?
«Trovo ancora più importante il fatto che siamo riusciti a ricostruire le storie delle vittime».
È una lezione anche per il giornalismo.
«Infatti. Al contrario di tante altre stragi anonime del passato, pensaci, abbiamo avuto la straordinaria potenza della memoria in campo. E questo perché i superstiti ci hanno portato le loro storie e quelle di coloro che sono scomparsi».
La narrazione ha orientato l’emozione dell’opinione pubblica.
«È triste, è brutale, ma io cerco sempre di dire come stanno le cose. Quando un notiziario racconta una cosa del tipo: “Altri 63 corpi trasportati dal mare sulle coste della Tunisia”, l’indifferenza è il primo sentimento possibile. Perché un numero, senza una storia, è algido».
Ne sei convinta.
«Senza dubbio. Nessuno prova empatia per un numero. E pensa anche come sono cambiate le parole dei politici, man mano che la forza delle storie irrompeva sui media».
Fammi un esempio.
«Persino per i profughi che fuggivano dall’Afghanistan, parlo delle prime e incredibili parole di Piantedosi, qualcuno nel centrodestra era riuscito a dire: “Però potevano non partire”».
E poi?
«Poi, quando scopri che su quella barca c’era – tra gli altri – una giornalista che fuggiva dai talebani perché aveva lavorato con gli occidentali, cioè con noi, tutto diventa diverso».
Sono molti che fuggono dai talebani.
«Vedi, io sono stata per tanti anni, e tante volte in Afghanistan. Mi sarebbe piaciuto molto poter dire in faccia a Piantedosi: “Caro ministro, provi lei a stare, anche solo per tre minuti, fuori dalle mura accoglienti dell’ambasciata, in strada a Kabul”».
Cosa vedrebbe?
«Lo spettacolo orrendo di un Paese che torna al Medioevo. Donne private dell’istruzione, libertà soppresse, o impiccagione di civili, come è accaduto pochi giorni fa nella provincia di Elmand».
E poi?
«Quando quelle voci hanno raccontato il loro esodo, le parole del ministro hanno iniziato a diventare ridicole».
Perché gli italiani non hanno ceduto alla demonizzazione dei migranti, proprio stavolta?
«Capiscono che gli afghani erano già con un bersaglio sulla fronte. Se non partono, muoiono. È facile».
Perché dici che il centrodestra ha una responsabilità diretta nel naufragio?
«È la loro natura. È ideologia. L’approccio che hanno seguito negli ultimi vent’anni è quello che io definisco “tecnicamente securitario”».
Cioè?
«Quando scatta un allarme, parte sempre una missione di polizia, non più una missione di soccorso. Poi in campagna elettorale il futuro governo ha alzato ulteriormente i toni. E questo non ha fatto bene a nessuno».
Loro dicono: «Ma noi non abbiamo ancora toccato nessuna legge».
«Si è prodotto qualcosa di altrettanto potente. Un clima. Ma fammi citare l’ultimo fattore decisivo nella storia di Cutro».
Quale?
«Voglio sottolineare un altro elemento che mi ha colpito molto: la grande generosità del popolo calabrese. La Calabria ha dato una lezione di civiltà al mondo, in questa occasione».
E che altro?
«Vedi, il 12 marzo c’è stato un altro orribile naufragio a 110 miglia a nord est di Bengasi. Anche lì niente soccorsi. Il che è assurdo: l’allarme era stato diramato di sabato. Ma queste persone sono morte la mattina della domenica!».
Colpa della Guardia costiera libica?
«Le autorità libiche sono di fatto una milizia armata messa insieme per respingere, non certo per soccorrere. Il risultato è la morte».
Cosa vedi se tiri un bilancio?
«Il peggio e il meglio dell’Italia. Davanti a quelle dichiarazioni del governo – ecco il peggio – i superstiti sono riusciti a rispondere con i fatti. E i calabresi hanno mille problemi, ma certo non difettano nell’accoglienza».
E la conferenza stampa con la Meloni e i ministri?
«Spettacolo buffo. I giornalisti erano platealmente più preparati di chi parlava. Capiscono che va fatta chiarezza perché non accada più».
Dicono che siete voi Ong a strumentalizzare.
«Una balla! Chiunque domandi verità, per il governo, è uno che strumentalizza i morti».
Dicono: «Ma voi delle Ong ci attaccate perché siamo di destra.
«Cascano male. Tu sai che io negli ultimi vent’anni ho attaccato tutti i governi, ogni anno, per tutte le loro inadempienze sui soccorsi in mare. Il ministro con cui ho più polemizzato, Minniti, è del Pd!».
Cosa pensi della Guardia costiera accusata dalla Guardia di Finanza?
«Gli uomini e le donne della Guardia costiera non lasciano nessuno in mare. Allora chiedetevi perché non a loro è stata data la segnalazione di intervenire nei tempi utili per poter salvare le persone».
Perché i migranti non si spostano sulla rotta adriatica?
«Se fuggi da Kabul e ti fermi in Grecia, è un inferno. Basta conoscere la rotta balcanica».
Vi dicono anche: «Ma perché voi delle Ong non siete sulla rotta ionica»?
«Questa è follia. È abbastanza logico concentrarsi dove ci sono più persone per salvare più vite. Ma trovo ridicolo accusare noi di non essere lì».
Spieghiamo perché?
«Tutto il loro impegno è stato profuso per tenere le navi lontane dai soccorsi».
Hai un esempio?
«Abbiamo calcolato una media di 900 miglia nautiche per ogni attracco in porto obbligato per le Ong da Piantedosi».
Quindi
(Sorride). «Direi che ci criticano per una cosa che hanno fatto loro. Ovvero: rendere più difficile andare e tornare da chi ha bisogno».
Solo con i regolamenti.
«E ti pare poco? Ecco un esempio: devi aspettare l’autorizzazione per un secondo soccorso».
Non c’è una legge di questo
«Non c’è una legge ma c’è una prassi: allontanare le navi. Lo fanno perché hanno costruito la loro campagna elettorale, la loro narrazione con frasi del tipo “Femiamoli, facciamo un blocco navale”, “guerra agli scafisti delle Ong”. Raccolgono quel che hanno seminato».
Soluzione
«Una sola. Per far entrare subito i rifugiati, in modo legale, servono dei decreti flussi veri».
E non ti piace la caccia agli scafisti ovunque «sul globo terracqueo»
«Non sono i trafficanti che guidano le navi».
Ne è certa.
«È sempre uno dei disperati che viene messo al timone».
Sei pessimista
«Dopo Alan Kurdi, il bambino ritrovato morto sulla spiaggia di Bordin, in Turchia, avevano detto: “Mai più”. È accaduto ancora, tuttavia».
Quindi non ti convincono le pene più severe?
«A Cutro a guidare il Tolkien era una ragazzo di 17 anni, messo lì per uno sconto di biglietto. Non è certo minacciando chi guida che si ferma chi organizza. Chiunque di noi sa che è così».
Non credi ai corridoi umanitari annunciati dal ministro Lollobrigida
«Al contrario: penso che siano la soluzione migliore».
Sento che hai un però.
(Sorriso amaro). «Però, date le loro mosse fino ad oggi, temo che non faranno nulla».
(da La Repubblica)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
“LE CREA FRUSTRAZIONE QUESTO?”… LA CRONISTA RISPONDE A TONO: “A ME SI’, SOPRATUTTO AI MORTI”
Cresce la polemica sui social dopo la risposta del ministro
Francesco Lollobrigida a una giornalista di Piazzapulita su La7 a proposito della strage nel naufragio di Cutro.
A scatenare i commenti più duri contro il ministro dell’Agricoltura e la sovranità alimentare è il passaggio di un servizio in cui la giornalista del programma di Corrado Formigli chiede a Lollobrigida: «Possibile che non abbiamo ancora delle risposte chiare su Cutro ministro?». Lollobrigida è circondato dai microfoni dei giornalisti, mentre prosegue in silenzio. La giornalista incalza: «Non sappiamo niente sulla catena di comando…».
A quel punto il ministro rompe il silenzio, alza la testa e guarda con volto adombrato la giornalista alla quale risponde seccato: «Le crea frustrazione questo?», finché poi non si gira e accenna un sorriso a un’altra giornalista che prova a fargli un’altra domanda. La cronista di La7 replica: «A me sì, soprattutto ai morti». Ma ormai il ministro è lontano, rivolge ancora lo sguardo alla giornalista sorridendo, indossa la giacca e va via.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
SULLE SCENE DON’T CRY FOR ME OLGETTINA, “UN’EVITA SOTTO EFFETTO DI ACIDI”
«Sono il Gesù Cristo della politica», comincia così il musical Berlusconi in scena dal prossimo 29 marzo al Southwark Playhouse Elephant di Londra, ideato dai produttori delle famosissime serie tv Fleabag e Baby Reindeer.
«È ora di mettere le cose in chiaro. Diamo il benvenuto sul palco all’ex crooner di navi da crociera diventato multimiliardario e Primo Ministro italiano… il tanto maltrattato, incompreso, umile uomo del popolo Silvio Berlusconi!».
Il teatro londinese pubblicizza lo spettacolo condividendo alcune delle battute del musical al suo debutto tra pochi giorni. Poi la descrizione del «Silvìta»: «Il racconto di un’ Evìta sotto effetto di acidi, un’esposizione esilarante, cattiva e rumorosa dell’originale magnate dei media e politico populista permanentemente abbronzato», scrive il sito dello spettacolo, «raccontata attraverso gli occhi delle formidabili donne pronte a condividere la loro versione della storia e a rompere la patina di quel sorriso da milioni di lire. Mentre Silvio cerca di sancire la sua eredità scrivendo l’opera della sua vita, i suoi detrattori si avvicinano…».
Tre le voci narranti, tutte femminili, che porteranno avanti la trama fornendo tre punti di vista differenti: il procuratore Ilda Boccassini, la seconda moglie Veronica Lario e una non identificata giornalista. Ad interpretare Berlusconi sarà Sebastien Torkia, attore già noto per la sua performance di successo nel musical e nel film Mamma mia!. I biglietti sono in vendita al prezzo di 28 sterline, corrispondenti a circa 31 euro.
Tra i brani “My Weekend with Vladimir” e “Bunga Bunga”
Tra le anticipazioni dello spettacolo anche alcuni brani che verrano cantati sul palco londinese. Tutti realizzati con un stile che gli autori dichiarano «eurotrash», i titoli vanno da For Italy, Bunga Bunga, Thank Goodness for Silvio e My Weekend with Vladimir, con un chiaro riferimento al presidente russo Vladimir Putin.
«Con melodie impetuose e ritmi incalzanti, questo nuovo musical oltraggioso riunisce un team pluripremiato per raccontare la storia sorprendente, stravagante e quasi vera di uno dei leader politici più carismatici, affascinanti e moralmente falliti del mondo», spiegano ancora le anticipazioni.
(da Open)
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Marzo 24th, 2023 Riccardo Fucile
COLLABORATORI DEI POLITICI OGGI AL GOVERNO ED EX DEPUTATI TROMBATI RICICLATI NEGLI STAFF DEI SOVRANISTI
Sono gli ottanta uomini e donne d’oro di Palazzo Chigi. Sono
loro che tengono le redini degli staff e della macchina del governo di centrodestra. E tra questi ci sono storici collaboratori dei politici oggi al comando, ma anche ex deputati rimasti senza poltrona e che quindi hanno rimediato qualcosa, spesso con stipendi di non poco conto. Tutti assoldati negli uffici di diretta collaborazione della presidente Giorgia Meloni, dei vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini e dei sottosegretari alla Presidenza del consiglio Giovambattista Fazzolari e Alfredo Mantovano.
Lo staff di Meloni
La presidente del Consiglio nella sua squadra a Palazzo Chigi ha voluto con sé due sue storiche assistenti: Patrizia Scurti, capo della segreteria particolare con stipendio da 180 mila euro lordi all’anno, e Giovanna Ianniello come “coordinatrice eventi di comunicazione” e stipendio da 160 mila euro. A proposito di comunicazione, non è stato ancora pubblicato il decreto con lo stipendio del neo capo ufficio stampa, l’ex direttore dell’Agi Mario Sechi. Ci sono però i nomi e i compensi degli addetti “all’ufficio stampa e relazione con i media” di Palazzo Chigi. A partire da Fabrizio Alfano, giornalista dell’Agi e già portavoce di Gianfranco Fini quando era presidente della Camera: per lui compenso da 120 mila euro lordi all’anno come vice di Sechi.
Nell’ufficio comunicazione anche Alberto Danese, compenso da 20 mila euro come “esperto interne e social media”, già autore della Voce del patriota.
Nella squadra c’è poi il guru del web di Meloni, che ha lavorato per la Casaleggio associati: Tommaso Longobardi, con stipendio da 80 mila euro lordi all’anno. Il coordinatore del settore amministrativo della comunicazione è Carmelo Dragotta, compenso da 75 mila euro, e dell’ufficio fanno parte Marco Ferrazzoli, compenso da 25 mila euro, Stefania Gallo con la qualifica di esperta e compenso da 50 mila euro, Gabriella Oppedisano, compenso da 25 mila euro in distacco da Cassa depositi e prestiti e Marco Ferrazzoli, in distacco dal Cnr e compenso da 25 mila euro.
Il capo di gabinetto è Gaetano Caputi, con un passato al ministero dell’Economia e alla Consob, e stipendio da 221 mila euro.
La squadra del vice Tajani
Il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, per la sua squadra a Palazzo Chigi che si aggiunge allo staff al ministero degli Esteri, ha fatto scelte, diciamo così, più pop. Oltre a piazzare compagni di partito non candidati nelle liste di Forza Italia o trombati alle ultime elezioni Politiche.
Tra i consulenti ed esperti a titolo gratuito per “le tematiche afferenti al settore della cultura” ha nominato il regista Pupi Avati. Come “consigliere per la politica economica e imprenditoriale” ha scelto l’x deputato Giacomoni Sestino, compenso da 50 mila euro, e l’ex calciatore del Milan, ed ex deputato, Giuseppe Incocciati come “consigliere per le tematiche giovanili e sportive”: per lui un obolo da 30 mila euro all’anno. Come “esperta”, ma senza specificare bene in che materia, Tajani ha poi indicato l’ex consigliera della Valle d’Aosta Emily Rini, compenso da 30 mila euro, e sempre come “esperto” anche il sacerdote della Congregazione della missione di San Vincenzo de’ Paoli, Matteo Tagliaferri: anche lui con stipendio da 30 mila euro.
Tajani nel suo staff ha chiamato anche l’ex comandante della Guardia di Finanza, il generale Giorgio Toschi (a titolo gratuito) e il docente dell’Università di Roma “Foro Italico”, Carmine De Angelis, come “consigliere per le politiche degli enti locali”.
Salvini e i leghisti
Una delle squadre più corpose a Palazzo Chigi è quella del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini: per lui uno staff composto da quindici persone. Tra queste, l’ex deputato Armando Siri con un compenso da 120 mila euro all’anno come “consigliere per le politiche economiche, del credito e dello sviluppo sostenibile”: l’ex sottosegretario è stato coinvolto in una indagine per corruzione a Roma.
Un altro ex deputato leghista e attualmente vicesindaco del Comune di Chiuduno in provincia di Bergamo, Stefano Locatelli, è stato invece nominato come “consigliere per i rapporti con le autonomie”, con compenso sempre di 120 mila euro all’anno.
Come capo di gabinetto Salvini ha indicato Paolo Grasso, avvocato dello Stato, e come esperto giuridico il consigliere della Corte dei conti Pierpaolo Grasso. Tra gli esperti anche un suo storico portavoce, Matteo Pandini, con compenso da 60 mila euro: nell’ufficio comunicazione del leader della Lega anche Alessandro Pansera e Agostino Pecoraro, 40 mila euro ciascuno, già nel team dell’ex super esperto della comunicazione Luca Morisi.
Gli esperti dei sottosegretari
Tra gli uomini che contano a Palazzo Chigi c’è poi una pletora di consiglieri diplomatici, ben 24, a partire da Francesco Maria Talò: ex console a New York e rappresentante di Bruxelles alla Nato, ha in mano i dossier più delicati, Ucraina e futuro dell’alleanza Atlantica. Seguono quindi gli staff dei due sottosegretari alla Presidenza, Mantovano e Fazzolari. Il primo come consigliere giuridico ha indicato il professore dell’Università di Genova Francesco Farri, compenso da 80 mila euro, e come capo di gabinetto il consigliere parlamentare della Camera Nicola Guerzoni. A guidare la sua segreteria tecnica il viceprefetto Fabrizio Izzo. Il collega Fazzolari come segretari particolari ha scelto Camilla Trombetti, compenso da 60 mila euro all’anno, già consulente di FdI, ed Emilio Scalfarotto, dirigente di FdI a Fiumicino con stipendio da 85 mila euro all’anno.
(da La Repubblica)
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