Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
“IL MINISTRO REAGÌ AL NOSTRO SCOOP MINACCIANDO QUERELE. LA DENUNCIA PER DIFFAMAZIONE NON È MAI ARRIVATA PERCHÉ HA SCELTO UNA STRADA ANCORA PIÙ VIOLENTA MA SILENZIOSA: PRESENTARE UN ESPOSTO PER INDIVIDUARE CHI AVEVA FORNITO LE INFORMAZIONI AI GIORNALISTI”
Una nuova P2, secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto.
Una fabbrica dei ricatti o dei dossier, i titoli più eclatanti delle testate giornalistiche. C’è chi ha evocato persino la stagioni in cui il giornalismo è stato utilizzato per minare le istituzioni democratiche, venendo meno alla funzione più alta: il controllo del potere.
Ha scatenato tutto ciò l’indagine della procura di Perugia sul tenente della finanza che avrebbe avuto accesso in maniera abusiva a documenti riservati su politici. Nessuno si è però soffermato sulla genesi dell’indagine, cioè su come sia nata questa inchiesta della magistratura sui “dossieraggi” contro le istituzioni.
È nata dopo un articolo di Domani, che svelava per la prima volta le cifre reali e milionarie delle consulenze ricevute dal ministro della Difesa Crosetto. Compensi che arrivavano non da un settore qualunque. Ma dall’industria delle armi, ambito dunque che lo pone in palese conflitto di interessi con il suo ruolo: gli affari con Leonardo e altri aziende del settore sono proseguiti fino al suo incarico di governo.
In molti ne avevano chiesto le dimissioni. Lui si era difeso alla Berlusconi: «Dati privati», ossia fatti suoi, insindacabili. Ma i cittadini, forse, non sono tenuti a conoscere se un ministro ha introiti inopportuni per la carica che ricopre? Forse in Italia funziona diversamente che nel resto dell’Unione Europea?
Il ministro reagì al nostro scoop minacciando querele. In realtà la denuncia per diffamazione non è mai arrivata perché ha scelto una strada ancora più violenta contro l’informazione. Violenta ma silenziosa: presentare un esposto per individuare chi aveva fornito le informazioni ai giornalisti autori dello scoop. In pratica ha chiesto alla procura di Roma di cercare le fonti di Domani.
Questo avrebbe dovuto suscitare reazioni indignate di tutta la politica, ma nessuno né a destra né a sinistra ha sollevato la questione. La richiesta del ministro è stata presa in carico dai pm romani, che hanno effettivamente iniziato un’indagine come da desiderio del ministro delle Armi.
Non deve stupire: la procura capitolina ultimamente si è distinta per un atteggiamento ostile nei confronti del giornalismo di inchiesta, è la stessa che ha acquisito i tabulati dei giornalisti di Report (Sigfrido Ranucci e Giorgio Mottola) per indagare su una loro fonte dopo un esposto di Matteo Renzi; lo stesso ufficio ha mandato i carabinieri in redazione a Domani per sequestrare un articolo dopo che il sottosegretario Claudio Durigon ha presentato querela […]; è la stessa procura che ha rinviato a giudizio il nostro direttore, Emiliano Fittipaldi, per un articolo di cronaca giudiziaria su Giorgia Meloni e gli affari nelle mascherine.
Questo è il contesto ostile contro il giornalismo di inchiesta in cui matura l’attività della procura di Perugia, che ha ricevuto da Roma gli atti dell’indagine iniziata su spinta di Crosetto per svelare le fonti di Domani.
A Perugia l’indagine si è allargata e ha preso di mira il gruppo di lavoro interno alla procura nazionale antimafia, dove fino all’anno scorso lavorava il tenente Pasquale Striano. L’inchiesta ipotizza un’attività di dossieraggio contro politici. Nessuno però ha spiegato in che modo sarebbe avvenuto e molte sono le omissioni sulla modalità di lavoro di questo pool di investigatori all’interno della procura antimafia.
Tra i vari atti con cui lavorava questo gruppo c’erano le segnalazioni per operazioni sospette (sos): sono i documenti dell’antiriciclaggio, l’Unità informazione finanziaria di Banca d’Italia, l’ufficio che analizza e intercetta i flussi finanziari ritenuti sospetti. Le sos sono diventate negli anni uno strumento imprescindibile per la lotta alla corruzione, alle mafie, all’evasione e riciclaggio.
Spesso in queste relazioni finiscono nomi di chi ricopre cariche istituzionali e siede in parlamento. Se i politici o persone a loro collegate compiono operazioni bancarie anomale, visto che ricadono nella categoria Pep (persone esposte politicamente), scatta l’alert dell’istituto di credito, il quale invia la segnalazione all’antiriciclaggio di Banca d’Italia, la Uif appunto.
La prima conseguenza dell’indagine di Perugia e Roma è che si è creato un blocco politico trasversale che vorrebbe demolire il sistema delle sos. Va ricordata la mansione dell’investigatore ora sotto accusa: era uno degli uomini più esperti del gruppo interno alla procura nazionale antimafia che si occupava di studiare le segnalazioni sospette per incrociarle con altre banche dati della procura nazionale.
Il gruppo godeva fino all’arrivo del nuovo procuratore Giovanni Melillo della massima fiducia e il suo lavoro ha prodotto l’apertura di molte indagini in giro per l’Italia.
Con la denuncia di Crosetto e il clamore dell’indagine di Perugia, sos è diventato sinonimo di spionaggio. Una cosa possiamo dirla con certezza lo scoop sulle consulenze milionarie di Crosetto non nasce da una segnalazione dell’antiriciclaggio. Peccato però che pur sapendolo, i giornali che più hanno cavalcato la vicenda hanno dato un’informazione errata: hanno scritto che i dati finiti su Domani erano contenuti in una sos.
Questo ha prodotto il desiderio di vendetta contro l’antiriclaggio di un vasto blocco politico che va da Renzi a Fratelli d’Italia passando per Lega e Forza Italia, e anche nel Pd qualcuno sta ragionando su che fare. È curioso che la guerra alle sos la stiano combattendo soprattutto quei leader che in passato soni finiti nella rete dell’antiriciclaggio, e certamente non perché il finanziare gli ha teso una trappola. Piuttosto per le loro operazioni bancarie spericolate. Di certo però per raccontare i conflitti di interesse del ministro abbiamo usato altro materiale, non le ormai famigerate sos.
In questa confusione ormai generale una cosa è certa: dei soldi ricevuti da Crosetto dall’industria delle armi nessuno ne parla più, il paese l’ha digerito così come i giornali. Il conflitto di interesse resta lì, è più importante il presunto dossieraggio ordito da un tenente, che dopo decenni di lotta alle mafie in giro per l’Italia.
Una cosa è certa: “lo spione delinquente” è arrivato al nome di Crosetto verificando alcuni nomi legati alla criminalità organizzata. Stava indagando sui fratelli Mangione, che hanno un profilo inquietante, un capitale relazione fatto di contatti con personaggi legati alla criminalità organizzata. I Mangione sono tutt’ora soci del ministro. Cosa avrebbe dovuto fare un investigatore? Lasciare perdere queste figure solo perché hanno un socio potente?
L’impressione è che tutto questa polvere sollevata serva a sferrare l’attacco a strumenti decisivi per chi indaga
Ma è un articolo apparso su un foglio digitale poco conosciuto che dà conferma di un tentativo del potere di arginare ogni genere di controllo.
L’articolo è a firma Guido Paglia, direttore di Sassate, persona molto vicina al ministro: racconta un retroscena sulla volontà del nuovo comandante generale della finanza, Andrea De Gennaro (nominato da questo governo), di voler approfondire quanti dei suoi finanzieri hanno accesso a dati sensibili dei politici. Il messaggio ai naviganti è chiaro: state attenti a dove mettete le mani, su chi indagate. Il potere vi osserva.
(da Domani)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
LE SIMULAZIONI DEI COMMERCIALISTI
Cosa cambia passando da 4 a 3 aliquote Irpef come pensa di fare il governo […] ? E, soprattutto, chi ci guadagna (e quanto)? In generale, secondo le simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti, le modifiche di riforma dell’Irpef ipotizzate sino ad oggi comportano guadagni in valore assoluto maggiori per i redditi più alti per via della struttura progressiva dell’Irpef a scaglioni, ma in termini relativi, i guadagni sono maggiori per le fasce più basse. Con qualche eccezione.
Se non si introducono correzioni, magari ampliando la no tax area, infatti, in base all’ipotesi che prevede di fissare al 28% l’aliquota centrale per i redditi compresi tra 15 e 50 mila euro, un contribuente che in un anno dichiara al Fisco 20 mila euro rischia di vedere aumentare (anziché scendere) il proprio carico fiscale che salirebbe di 150 euro l’anno, sia per i lavoratori dipendenti, che per i pensionati e gli autonomi. I primi, infatti, passerebbero dal dover versare 2.207 euro di tasse all’anno invece di 2.057, i secondi salirebbero a 3.635,13 mentre chi lavora in proprio dovrà versare 4.078 euro. In tutti gli altri casi, invece, il contribuente (da poco a tanto) ci guadagna
Conti alla mano si vede che l’ipotesi di abbassare di 7 punti l’aliquota del 35% produce un guadagno abbastanza elevato in corrispondenza delle fasce reddituali dai 50.000 euro in su, qualcosa nell’ordine di 1.150 euro all’anno: entrambe le tre tipologie di contribuenti, infatti, con 50 mila euro di reddito lordo sarebbero chiamate a versare 13.250 euro anziché 14.400, mentre a quota 60 mila euro invece da 18.700 euro dovrebbero pagare 17.550 euro.
Nella fascia dei 35 mila euro, invece, si risparmierebbero 11 volte in meno delle fasce più alte, 100 euro appena, col lavoratore dipendente che verserà 7.682 euro anziché 7.782, il pensionato 8.572 anziché 8.672 e l’autonomo 8.709 invece di 8.809.
Nell’altra ipotesi, che prevede di alzare a quota 28 mila euro la prima fascia dell’Irpef tassata con l’aliquota più bassa del 23% e di fissare al 33% il prelievo sino a 50 mila euro, invece, in proporzione i guadagni sarebbero maggiori per le prime due soglie individuate e minori per quelle da 50.000 euro in su: sino a 20 mila euro si risparmierebbero infatti 100 euro l’anno (col dipendente che dovrebbe versare 1.957 euro anziché 2.057, il pensionato 3.385 e l’autonomo 3.828), per salire poi ad un risparmio di 400 euro annui dichiarandone 35 mila euro. Il dipendente, in questo caso, verserebbe 7.382 anziché 7.782, il pensionato 8.272 invece di 8.672 euro e l’autonomo 8.409 invece di 8.809.
Dai 50 mila euro in su per tutte e tre le categorie il risparmio sarebbe di 700 euro: dichiarando 50 mila si pagherebbero infatti 13.700 invece 14.400, con 60 mila andrebbero versati 18.000 euro anziché 18.700.
La Fondazione nazionale commercialisti ha elaborato una terza soluzione, una modifica più limitata abbassando di appena due punti la seconda aliquota intervenendo quindi solo sui redditi o sulla quota di redditi compresa tra 15 e 28 mila euro. In questo caso sino a 20 mila euro di reddito si avrebbe un risparmio di 100 e di 260 per tutte le fasce dai 28 mila euro in su.
Questi, dunque, i numeri che potremmo definire «grezzi» e che inevitabilmente dovranno essere corretti. Se si parla di No tax area, ad esempio l’indicazione è di privilegiare l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione. Oggi, la fascia, entro la quale non si pagano tasse è differente da soggetto a soggetto: vale infatti 8.174 euro per i dipendenti, 8.500 per chi è andato in quiescenza e 5.500 per gli autonomi.
Come conferma la stessa Fondazione nazionale dei commercialisti – in ogni caso – l’effetto finale della riforma dell’Irpef dipenderà dalle modifiche eventualmente apportate alla No tax rea e al sistema delle detrazioni e delle altre spese deducibili che potranno incidere in maniera significativa anche sui redditi più elevati a seconda delle scelte operate».
(da La Stampa)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
LE TRE IPOTESI PER RIDURRE IL CUNEO SUI LAVORATORI DIPENDENTI, CHE, AVENDO IL PRELIEVO DIRETTO IN BUSTA PAGA E NON POTENDO EVADERE MANCO UN EURO, PAGANO LE IMPOSTE PER TUTTI
Il termine «gradualità» ricorre più volte nel testo della delega
fiscale votata definitivamente venerdì dal Senato, e a ragione, perché sia che si tratti della madre di tutte le imposte, ovvero l’Irpef, sia che si ragioni su Ires, Irap o Iva basta un intervento minimo per perdere miliardi di gettito. Anche per questa ragione la tanto propagandata flat tax estesa a tutti gli italiani, lavoratori dipendenti compresi, è già stata rinviata da tempo a fine legislatura. Stime molto prudenziali, infatti, segnalano che applicare a tutti un’aliquota del 15% costerebbe almeno 65 miliardi di euro.
Per questo si procederà per gradi, ma già il primo step ipotizzato, ovvero il passaggio da 4 a 3 aliquote Irpef, ha un costo significativo per le casse pubbliche. Secondo il governo per avviare da subito un’operazione del genere potrebbero bastare anche solo 4 miliardi di euro.
Ma in vista del varo della prossima legge di Bilancio, per quanto relativamente contenuta, una spesa del genere non è facile da mettere in conto. Anche perché l’anno prossimo il governo non potrà non confermare il taglio del cuneo fiscale che scade a fine anno e si stima costi 10 miliardi di euro. E questa è solamente una delle spese da mettere in conto, poi ci sono le pensioni (compresa la nuova tornata di rivalutazioni), il rinnovo dei contratti pubblici, la necessità di rifinanziare per 4-5 miliardi la sanità e tanto altro ancora.
Le spese sono tante e le risorse sul tavolo certamente molto poche, visto che si parte infatti da una dotazione certa di appena 5-6 miliardi di euro. Rispetto all’Irpef, secondo alcune stime, passare dalle 4 aliquote di oggi costa tra 6 e 10 miliardi a seconda delle ipotesi.
La prima, la più economica, prevede di lasciare invariata l’aliquota più bassa, quella del 23%, e la relativa fascia di reddito per accorpare al 28% le due aliquote centrali (oggi al 25 e 35%), lasciando invariata quella più alta. Per realizzare questa operazione occorre reperire all’incirca 6 miliardi.
Una seconda ipotesi costa, invece, 10 miliardi e prevede di mantenere sempre al 23% l’aliquota più bassa, alzando però da 15 a 28 mila euro la fascia di reddito a cui si applica e di fissare al 33% l’aliquota intermedia tra 28 e 50 mila euro, lasciando poi immutato il 43% di prelievo sopra 50 mila euro.
(da La Stampa)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
“CIÒ CHE COLPISCE È CHE A DIFFONDERE QUESTE TEORIE SIA STATO UN GIORNALISTA CHE È IL COMPAGNO DEL PRIMO MINISTRO. MELONI HA RICONOSCIUTO CHE LE EMERGENZE LEGATE AL CLIMA SARANNO SEMPRE PIÙ FREQUENTI, EVITANDO PERÒ DI DIRE PERCHÉ”
L’Economist, rivista britannica mai tenera con i governi di centrodestra, stavolta ha deciso di attaccare l’esecutivo in carica con un servizio dal titolo “La torrida estate italiana scotta Giorgia Meloni”.
L’articolo comincia parlando delle alte temperature, del caldo record di luglio e agosto e degli incendi che hanno colpito una parte dello Stivale, specie al Sud, ma che – a detta di tutti gli esperti- sarebbero colpa dei piromani e del surriscaldamento globale.
«Ciò che colpisce è che a diffonderle sia stato un giornalista che è il compagno del primo ministro, Giorgia Meloni, e il padre della loro bambina», scrive l’Economist, ricordando che «quest’anno l’Italia ha sofferto più di ogni altro paese europeo, ad eccezione della Grecia, a causa di eventi meteorologici estremi».
Il giornale britannico si chiede se «Meloni condivide l’atteggiamento del suo partner. Ha riconosciuto che le emergenze legate al clima saranno sempre più frequenti, evitando però di dire perché».
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
“TROPPE DISEGUAGLIANZE, QUESTA NON E’ DEMOCRAZIA”
Sarà un autunno caldo?
«Il caldo c’è già da un po’», replica Maurizio Landini.
Il segretario generale della Cgil si prepara ad una lunga stagione di mobilitazione con assemblee e consultazioni nei luoghi di lavoro. E poi ci sarà piazza San Giovanni a Roma il 7 ottobre.
Segretario, perché scendete in piazza?
«I diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione sono oggi tutti messi in discussione: il lavoro è precario e sotto pagato; il diritto alla salute e alla cura e allo studio non sono più garantiti; la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro peggiora; si nega la crisi climatica e si aumentano le spese per armi anziché essere costruttori di pace e si vuole stravolgere la Carta con l’autonomia differenziata e il presidenzialismo. È il momento di dire basta e indicare una via maestra fondata sulla giustizia sociale e la partecipazione democratica. Qui non si delinea solo una crisi economica ma anche democratica e di credibilità».
Dove sta sbagliando il governo?
«Il governo ha fatto due cose che danno il senso di dove sta portando il Paese. Da un lato, taglia il reddito di cittadinanza a famiglie povere e non offre un percorso di occupazione e scarica sui Comuni. Dall’altra parte, fa votare in Parlamento una legge delega fiscale che va nella direzione opposta di quello di cui questo Paese ha bisogno: con un’evasione fiscale tra i 90 e i 100 miliardi, si continuano a fare condoni, addirittura senza più sanzioni amministrative né penali per chi evade. E da ultimo il ministro Salvini, in un Paese in cui il 50% degli italiani non arriva a fine mese, non trova di meglio che togliere il tetto dei 240 mila euro allo stipendio dei manager. Un’idea di Paese così non è accettabile, bisogna ribellarsi. Inoltre il governo ha tagliato la possibilità di investimenti, senza discuterne con nessuno: dall’Europa avevamo un’opportunità , ma sono stati cancellati quasi 16 miliardi di investimenti e non si capisce come possano essere recuperati. L’Italia ha bisogno più di altri di investimenti e nuove politiche industriali per una vera transizione ambientale ed energetica».
Il governo aveva promesso di confrontarsi con le parti sociali. Cosa è successo?
«Tutti questi interventi li sta facendo escludendo dal confronto le organizzazioni sindacali confederali del nostro Paese. Noi siamo quelli che rappresentano chi paga le tasse e tiene in piedi questo Paese e sulle riforme di fondo non siamo coinvolti e le decisioni vengono assunte senza alcun confronto. Al contrario il governo continua a chiamare a “tavoli finti” organizzazioni sindacali senza alcuna rappresentanza ma solo firmatarie di contratti pirata. Alle piattaforme unitarie presentate – pensioni, fisco, salute, precarietà e una legge sulla non autosufficienza – il governo non sta rispondendo. Così nei fatti il governo non riconosce il ruolo e la rappresentatività del mondo del lavoro».
Cosa chiedete?
«Le riforme necessarie per combattere le disuguaglianze, ma anche quelle come la riforma fiscale e quella del lavoro per dire basta alla precarietà. Bisogna cambiare le leggi sbagliate fatte negli ultimi 20 anni. C’è un’emergenza salariale grande come una casa: quando uno è povero pur lavorando significa che c’è qualcosa che non funziona. La riforma fiscale serve quindi a combattere l’evasione, a colpire la rendita finanziaria e la rendita immobiliare e a tassare gli extra-profitti per finanziare la sanità e la scuola pubbliche e per ridurre la tassazione al lavoro dipendente e ai pensionati: tutto questo non si sta facendo».
Manifestate anche contro la futura manovra economica?
«Quella del 7 ottobre non è la manifestazione della Cgil, ma di oltre 100 associazioni del Paese che vogliono dire basta e proporre temi per un cambiamento, ed è aperta a tutti, chi vorrà esserci è benvenuto. Non è una manifestazione di semplice protesta, ma chiede di applicare la nostra Costituzione per dare un futuro al nostro Paese, con cambiamenti concreti: basta precarietà, più salari, rinnovo dei contratti nazionali, fissazione di una quota oraria minima quale salario minimo e una legge sulla rappresentanza che dia validità generale ai contenuti salariali e normativi dei contratti nazionali. E una riforma fiscale degna di questo nome. Applicare la Costituzione per unire l’Italia e non per dividerla. Non è più il momento di stare a guardare. Ma il 7 ottobre è solo l’inizio. Perché se non vedremo questi cambiamenti nella prossima legge di Bilancio, la mobilitazione sarà generale. In settembre faremo una consultazione straordinaria tra lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati e giovani cui chiederemo cosa pensano delle nostre proposte e se sono disposti a sostenerle con noi, fino allo sciopero».
Secondo i sondaggi, gli italiani però continuano ad apprezzare questo governo.
«No, i sondaggi dicono che quasi il 60% degli italiani non ha più alcuna fiducia nelle forze politiche. Siamo di fronte al fatto che la maggioranza di questo Paese non va più a votare e non si sente più rappresentata. E se chi governa continua a stringere l’occhiolino a chi non paga le tasse, continua ad aumentare la precarietà, non si pone il problema che la maggioranza dei nostri giovani se ne va via perché qui è sottopagato, sfruttato e non riconosciuto, questo non fa che aumentare la crisi democratica della rappresentanza nel nostro Paese. Il governo ha vinto le elezioni ma non ha la maggioranza del Paese, ha preso 12 milioni e mezzo di voti e ce ne sono 18 milioni che a votare non sono andati: pensare che avendo vinto le elezioni uno può fare ciò che vuole senza alcuna mediazione sociale, non è democrazia».
Che giudizio dà all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni?
«Trovo non accettabile il modo in cui il governo si sta muovendo, nel metodo, non confrontandosi, e nel merito, come ad esempio l’intervento sul fisco, che non è solo contro i lavoratori, ma anche contro quegli imprenditori onesti che le tasse le hanno sempre pagate e pensano sia giusto pagarle. Un Paese degno di questo nome ha un sistema fiscale in cui tutti concorrono, come dice la nostra Costituzione, in base alla loro capacità contributiva, non puntando alla flat tax. È uno schiaffo in faccia a chi le tasse le ha sempre pagate. ».
Scende in politica? (Sorride).
«Il sindacato confederale è sempre stato anche un soggetto che ha fatto politica. Io sono stato rieletto segretario generale 6 mesi fa e ho intenzione di portare a termine il mio mandato. Quello che interessa a me e alla Cgil ora è migliorare le condizioni di vita e di lavoro di chi tiene in piedi questo Paese, il mio obiettivo è portare a casa quelle riforme che producano uguaglianza in un Paese disuguale come non è mai stato prima».
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
MENO 20%-40% RISPETTO AL 2022
Fermi tutti: nell’anno record del turismo, quello in cui già da marzo gli operatori avevano iniziato a prospettare un sorpasso sui numeri del 2019 (il precedente anno record) l’alta stagione non sta andando come previsto. Anzi, sta andando peggio del 2022, primo anno del rimbalzo post Covid (rimasto però comunque sotto i livelli visti prima della pandemia).
Il dato inatteso sta emergendo a macchia di leopardo ormai da qualche settimana, e non riguarda solo le regioni, come Sicilia ed Emilia-Romagna, colpite da eventi estremi tra giugno e luglio.
Tanto che ieri la ministra Daniela Santanchè ha ammesso che c’è “qualche flessione” ma dovuta “anche al cambiamento dei turisti, degli italiani. Non siamo più legati agli anni 70-80 quando le vacanze erano per la maggioranza nel mese di agosto”.
I dati sono parziali e preliminari, e variano da meta a meta. Gli allarmi più forti arrivano dalla Puglia (-20%) e dalla Toscana (con l’isola d’Elba a -10% sul 2022), ma flessioni del 5-10% negli stabilimenti balneari si sono registrate un po’ ovunque, dalla Liguria alla Sardegna, al Friuli-Venezia Giulia.
Questi cali si aggiungono a quelli registrati, nella Riviera romagnola, nella Sicilia colpita dagli incendi e dal blocco parziale dell’aeroporto di Catania e in Basilicata dove le principali linee ferroviarie sono ferme per manutenzione. Il 1º agosto è arrivata la stima di Assoturismo-Confesercenti: per questo mese sono stimate 82 milioni di presenze turistiche (cioè notti dormite) presso le strutture ricettive italiane, circa 7,6 milioni in più dello scorso luglio, ma 800mila in meno rispetto ad agosto 2022. Una battute d’arresto, visto che nei primi sei mesi si erano registrati livelli superiori allo scorso anno.
Assoturismo se lo spiega con “l’alluvione in Romagna avvenuta proprio in un periodo chiave per le prenotazioni straniere” o anche per via di “Caronte e l’ampio risalto che la stampa internazionale ha riservato all’ondata di caldo in Italia”. Ma è evidente che il problema centrale sono i prezzi in crescita: secondo gli ultimi dati disponibili, raccolti a marzo dalla European Travel Commission, l’inflazione è la prima preoccupazione dei turisti europei (24%), seguita dalla propria situazione finanziaria (17%).
Costi aumentati anche in funzione del boom registrato nella prima parte dell’anno, con b&b e hotel 3 stelle a 500 euro a notte da Roma a Gallipoli, prezzi di voli, traghetti, lettini e ombrelloni schizzati verso l’alto. Tanto che il calo riguarda soprattutto il turismo interno e che in particolare nel caso della Puglia si misura con il record di partenze in traghetto verso l’Albania per passare le vacanze.
Sulle cronache locali gli operatori non lo nascondono, notando come in sempre più luoghi, da Sorrento (dove viene denunciato un -40%) alle Marche, le presenze si concentrino nel weekend. “C’è meno gente, siamo attorno a un -20%, perché le famiglie si sono accorte che hanno meno disponibilità di spesa e i nodi vengono al pettine”, dichiarava già alla fine di luglio Leandro Pasini di Federalberghi Cesenatico al Resto del Carlino. “Mancano all’appello soprattutto i turisti italiani, su cui pesano molto i rincari dei carburanti e la ridotta capacità di spesa”, diceva Fabiola Materozzi di Confagricoltura Toscana, a commento del crollo del 30% delle presenze negli agriturismi della regione. Calo che comunque non riguarda le città d’arte, nota Giuseppe Roscioli di Federalberghi Lazio, per il quale su Roma “va tutto bene”, seppur le permanenze degli italiani sembrino farsi più brevi. Tiene invece il turismo straniero, in crescita ancora del 4-5% sul 2022, e anche il settore del turismo del lusso, con un ritorno massiccio degli americani.
Un qualche ruolo lo gioca anche l’aumento delle temperature, che ormai da anni sta rendendo più appetibili periodi dell’anno, fino a pochi anni fa meno battuti: il ponte pasquale è stato il più turistico di sempre in Italia, e probabilmente accadrà lo stesso in autunno. E i cambiamenti nel mondo del lavoro, che da tempo rendono le ferie estive meno garantite per molti. Presto dunque per tirare somme, ma la frenata inattesa avrà un impatto indubbio. Lo ha detto ieri anche Santanchè: destagionalizzare, tenere aperto più a lungo, dimenticare la concentrazione in estate. Una trasformazione che impone investimenti nuovi e diversi, un cambio nei rapporti di lavoro (sempre meno stagionali) e negli schemi che hanno funzionato per decenni.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
DENYS PROKOPENKO E’ UNO DEGLI EROI DELLA RESISTENZA AD AZOVSTHAL… LIBERATO IN TURCHIA DOPO UNO SCAMBIO DI PRIGIONIERI CON I RUSSI E DOPO UNA LUNGA PRIGONIA, TORNA A COMBATTERE
Denys Prokopenko, il comandante del controverso reggimento
nazionalista Azov, sarebbe tornato in prima linea dopo essere stato rilasciato in uno scambio di prigionieri con la Russia.
Mosca ha protestato quando il mese scorso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy è tornato da Istanbul con cinque alti comandanti che avrebbero dovuto rimanere in Turchia fino alla fine del conflitto in base a un accordo con la Russia che ha visto il rilascio di dozzine dei suoi soldati.
Radio Free Europe ha riferito che Prokopenko ha detto a Lviv a luglio: “Diremo sicuramente la nostra voce nella battaglia”.
A marzo 2022, lo stesso Zelensky gli ha conferito una medaglia ancor più prestigiosa: il titolo ufficiale di “Eroe ucraino” con l’Ordine della Croce d’Oro “per il coraggio personale e l’eroismo mostrato in difesa della sovranità statale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, e per la fedeltà al suo giuramento militare”.
Prima di intraprendere la carriera militare, Denis Prokopenko si è laureato presso il Dipartimento di filologia germanica dell’Università di Kiev, dove ha conseguito una laurea con specializzazione nell’insegnamento della lingua inglese.
La sua famiglia è di origine etnica finnica-careliana. Suo nonno fu l’unico a sopravvivere allo sterminio operato dall’Armata rossa nella guerra russo-finnica del 1939. Dopo la pace, la Carelia fu annessa all’Unione sovietica. Un passato che Prokopenko considera legato alla sua lotta per l’Ucraina, come dichiarato recentemente: “Sembra che io stia continuando la stessa guerra, solo su un altro pezzo del fronte, una guerra contro il regime di occupazione del Cremlino”
(da Globalist)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
“A LONDRA LO AVEVANO DATO PER SPACCIATO”… OPERATO CON SUCCESSO DAL CARDIOCHIRURGO GUIDO MICHIELON
I medici inglesi l’avevano dato per spacciato, perché la sua cardiopatia sarebbe stata non operabile alla sua età – appena sei mesi di vita – e le probabilità di trovare un piccolo cuore erano praticamente nulle.
Tuttavia i genitori di Adam (nome di fantasia) – un bambino di Londra – non si sono arresi e hanno tentato il tutto per tutto rivolgendosi all’ospedale Gaslini di Genova, dove il bimbo è stato operato con successo lo scorso 17 luglio dal cardiochirurgo Guido Michielon.
Adam ora è fuori pericolo.
“Sono stati eseguiti due interventi combinati in un’unica procedura ad alta complessità che ho appreso durante il training negli Usa con il professor Norwood, il luminare che l’ha ideata e realizzata per la prima volta”, ha spiega Michielon, come riportato da Il Secolo XIX.
Adam era stato già sottoposto a un intervento palliativo di breve prospettiva in fase neonatale. Proprio le cure palliative secondo i medici britannici potevano essere l’unica soluzione per un bambino così piccolo, messo in lista d’attesa per un trapianto di cuore ma che difficilmente avrebbe avuto la forza di superare un simile intervento.
Sempre il dottor Michielon il 26 luglio ha eseguito un altro intervento molto complesso su un ragazzo di 23 anni con vizio congenito della valvola aortica, associato a dilatazione dell’aorta ascendente e della radice aortica. Si è trattato del primo intervento chiamato “Ross-PEARs” in Italia. Questa procedura – spiega il Gaslini in una nota – “prevede che all’intervento di Ross, che consiste nell’autotrapianto della radice polmonare in sede aortica, sia abbinato il posizionamento di un supporto personalizzato esterno in polietilene creato su ricostruzione 3D da angio-TAC della radice polmonare del paziente (PEARs, Personalised External Aortic Root support). Questo supporto esterno non è un dispositivo industriale prodotto in larga scala, ma viene costruito ad hoc in laboratorio, riproducendo esattamente la morfologia e la struttura dalla radice polmonare del paziente”.
(da Fanpage)
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Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile
SOCCORSI 78 MIGRANTI SU UNA BARCA A VELA A SANTA MARIA DI LEUCA… LA ONG OPEN ARMS ARRIVATA A BRINDISI DOPO AVER SALVATO 194 PERSONE
A Lampedusa nella notte di sabato 5 agosto sono sbarcati 57
migranti, e con loro due cadaveri, quello di una donna e di un bambino. Ascoltati dai mediatori dell’agenzia delle Nazioni Unite Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i sopravvissuti hanno raccontato della presenza di due imbarcazioni al largo di Lampedusa.
Sulla prima c’erano 48 persone, solo 45 tratte in salvo, e sulla seconda ce ne erano 42, 14 dei quali recuperati. Il bilancio è quindi di una trentina di dispersi.
Entrambe le imbarcazioni sarebbero salpate da Sfax, in Tunisia, giovedì scorso. Sulla prima viaggiavano 48 persone, tre delle quali risultano disperse, una donna e due uomini: il natante sarebbe affondato circa due ore prima dell’arrivo dei soccorsi della Guardia di finanza, 23 miglia a Sud-Ovest di Lampedusa.
Altre 28 dispersi sarebbero affondati durante il naufragio dell’altra imbarcazione. I sopravvissuti verranno ascoltati nuovamente dagli agenti della squadra mobile della questura di Agrigento, anche se in queste ore si trovano tutti sotto shock. Sono stati fatti sbarcare nella notte a Molo Favarolo. Con loro c’erano anche i corpi di un bambino di un anno e mezzo e di una donna, entrambi ivoriani, portati nella camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana.
Le condizioni del mare nel Canale di Sicilia, a causa del forte vento di maestrale, sono proibitive. Sabato un barchino con venti migranti si è schiantato sulla scogliera di Ponente, un costone roccioso alto oltre cento metri, e i naufraghi sono rimasti bloccati sugli scogli perché le motovedette della guardia Costiera non sono riuscite a recuperarli a causa del mare in tempesta.
I naufraghi si trovano ancora lì, dove hanno passato la seconda notte consecutiva. Le motovedette della Capitaneria di porto, già dalla tarda serata di venerdì e per tutta la giornata di ieri, sono rimaste nelle acque antistanti all’insenatura per monitorare il gruppo di migranti, tutti adulti, ai quali sono stati forniti viveri, bottigliette d’acqua e coperte termiche, dopo che è fallito anche il tentativo di trarli in salvo con un elicottero.
Salvataggio in provincia di Lecce
Un’altra operazione di salvataggio condotta dalla Guardia costiera ha coinvolto un’imbarcazione a vela che è stata intercettata a circa 15 miglia dalla costa di Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce. La barca, con 78 persone a bordo, ha lanciato l’allarme per le complicate condizioni meteorologiche, che hanno reso difficili i soccorsi. L’imbarcazione è stata scortata a Santa Maria di Leuca dove i migranti sono stati fatti sbarcare e accolti dai volontari della Croce Rossa e della Caritas.
Le persone soccorse provengono da Iran e Iraq, e tra loro ci sono anche donne e bambini. Dopo le operazioni di identificazione i migranti sono stati condotti in uno dei centri di prima accoglienza in provincia di Lecce. Intanto è arrivata enl porto di Brindisi una nave della Ong Open Arms, sulla quale viaggiavano 194 persone di cui 59 minori – 9 sotto i 14 anni – e alcune donne in stato di gravidanza. I migranti provengono da Eritrea, Egitto, Etiopia, Camerun, Senegal e Mali.
(da agenzie)
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