Destra di Popolo.net

CI SARÀ UN MOTIVO SE IN AMERICA CI SONO 17 AGENZIE DI INTELLIGENCE: LA RIFORMA DEI SERVIZI BY MANTOVANO PREVEDE L’UNIFICAZIONE IN UN’UNICA STRUTTURA DEGLI 007, SUPERANDO LA DIVISIONE TRA AISI (INTERNI) E AISE (ESTERI). MA IN TUTTO IL MONDO SI VA IN DIREZIONE OPPOSTA

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

SE SI ESCLUDE LA SPAGNA, TUTTE LE GRANDI DEMOCRAZIE OCCIDENTALI HANNO VARIE STRUTTURE CON COMPITI DIFFERENZIATI. QUANDO SI PARLA DI SERVIZI, MEGLIO SOVRAPPORRE LE COMPETENZE CHE AVERE “BUCHI” DI ATTENZIONE E VIGILANZA

«Proclami in vista non ce ne sono perché la materia è delicata assai. E poi l’idea, al momento, è appunto poco più che ‘un’ipotesi di lavoro’, dicono a Palazzo Chigi». Ma, ‘l’ipotesi’, deve avere già una sua consistenza, se è vero che «i seminari a porte chiuse organizzati nella sede del Dis, a Piazza Dante, si sono susseguiti da gennaio a luglio, e hanno visto la partecipazione dei massimi esperti del settore (?), e poi i vertici dell’intelligence attuali e passati, da Gianni Letta a Franco Gabrielli». Insomma, un segreto di Pulcinella in casa del Dis, meno Servizio più o meno segreto tra tutti, dovendo coordinare i due veri Servizi operativi Interni (Aisi), ed Esteri (Aise).
Consultazioni condotte ‘in gran riserbo per rafforzare la struttura dei servizi’. Che può anche dire che così come funzionano ora non vanno al meglio, il sottinteso da parte di Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla Presidenza con la delega ai servizi. «Definire una bozza di riforma entro l’anno», è la facile previsione del Foglio.
La cosa farà rumore, c’è da prevedere, perché l’idea è «Unificare l’intelligence in un’unica struttura, superando l’attuale divisione dei ruoli tra Aisi e Aise, impegnate rispettivamente per i servizi interni ed esteri, col Dis, il ‘Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, a svolgere una funzione di coordinamento».
E’ l’architettura, introdotta dalla legge 124 del 2007, ritenuta ‘datata’ dai fautori del nuovo con sospetti di antico. In sedici anni è cambiato il mondo, e quello dell’intelligence forse più degli altri. La questione letta dei critici interni con qualche forzatura argomentativa.
«Un attacco hacker pianificato a Mosca che manda in tilt una Asl abruzzese debba essere qualificato come una minaccia estera o interna. E l’antiterrorismo, poi? Un potenziale attentatore residente a Pavia, che mantiene costanti contatti con una cellula jihadista di base a Bruxelles, e sulla cui attività bisogna indagare coinvolgendo sia la polizia locale sia agenzie di sicurezza di paesi alleati, è un caso su cui deve impegnarsi l’Aisi o l’Aise?».
La risposta starebbe nel coordinamento e collaborazione e tra i due apparati, «sotto la supervisione vigile del Dis». «Ma nella pratica, troppo spesso l’autonomia di ciascuna agenzia sconfina nella gelosia delle fonti . Quanto al Dis, molti degli addetti ai lavori ritengono le sue prerogative e le sue risorse (il suo personale), non siano sempre adeguate a sovrintendere a questa complessa, delicata trafila». Passaggio molto ipocrita per non dire di una struttura sostanzialmente prefettizia e di controllo contabile senza credibilità reale sulla materia intelligence. Salvo meritevoli eccezioni.
Meloni vorrebbe intervenire, ma le idee trapelate sembrano confuse. Un rapporto con i due Servizi operativi e col presunto coordinatore che la premier avrebbe curato con scrupolo e senza forzature, vedi la conferma di Elisabetta Belloni al Dis, sia Mario Parente all’Aisi, sia Giovanni Caravelli all’Aise. Con problemi prima politici e solo dopo di vera intelligence. Prassi e grammatica istituzionale a cui il Quirinale tiene molto, vogliono che in materia di intelligence non si proceda a colpi di maggioranza.
Ma un governo di destra che vuole centralizzare i servizi segreti, roba da svolta autoritaria, a rievocare il passato non sempre glorioso dei Servizi italiani, tra sospetti eversivi e ruberie, paragoni con gli Anni di piombo, la strategia della tensione, e il Grande vecchio.
Ci sarà un motivo pure un motivo perché le strutture di intelligence Usa, dalla notissima Cia a scendere, sono addirittura 16 e, con una diciassettesima a rappresentarle formalmente tutte, la superpotenza mondiale, neppure si sogna di unificare tante diverse specificità estremamente mirate. Ognuna con compiti estremamente mirati ed assieme circoscritti. Anche a rischio di inevitabili sovrapposizioni mirate piuttosto che ‘buchi’ di attenzione e vigilanza, rispetto agli esempi un po’ forzati sopra citati, sul chi tra Aise e Aisi, mentre la Cybersicurezza di cui servirebbe la massima operatività, è finita al Dis e di cui non si hanno notizie.
Nello schema abbozzato a Palazzo Chigi, assieme ad una maggiore centralizzazione della struttura d’intelligence corrisponderebbe un potenziamento dell’organismo parlamentare di vigilanza, il Copasir. Incerto il ruolo della stessa commissione interparlamentare, l’attuale presidente Lorenzo Guerini […] esprime perplessità sull’accentramento, mentre il mondo dell’intelligenza planetaria si muove al contrario.
E scopriamo che, a parte la Spagna, le grandi democrazie occidentali vedono una presenza di numerose strutture con compiti differenziati. «Francia, Germania, Regno Unito: tutti hanno due agenzie distinte per interni ed esteri. Gli Stati Uniti, poi, ne hanno ben diciassette».
Problemi non posti di cui, chi opera nel settore invece discute quotidianamente. Ad esempio il quasi vincolo ad usare personale proveniente da altre amministrazioni dello Stato, riducendo drasticamente, risulta a Remocontro, la ricerca di professionalità alte nelle università e nei centri di ricerca. E poi i vertici con titoli di merito e valori certamente alti ma raramente con alle spalle una professionalità acquisita nel mondo dell’intelligence.
(da agenzie)

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QUALCUNO DICA ALLA MELONI CHE SPEZZARE LE RENI ALL’ECONOMIA DI MERCATO E ALLA CONCORRENZA RISCHIA DI AFFOSSARE L’ITALIA

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

“BLOOMBERG” DENUNCIA LA PREOCCUPAZIONE DEGLI INVESTITORI ESTERI… L’ECONOMISTA ALESSANDRO PENATI: “E’ UNA POLITICA CHE AUMENTA L’INCERTEZZA DI INVESTIRE IN ITALIA, AUMENTANDONE RISCHI E COSTI. PERCHÉ LA NOSTRA ECONOMIA DIPENDE DAI CAPITALI STRANIERI E DALL’INTEGRAZIONE EUROPEA”

«Il capitalismo Meloni-style sta ridisegnando la governance delle imprese italiane», titola Bloomberg riflettendo la preoccupazione degli investitori esteri per l’interventismo del governo. Quello che colpisce è il filo rosso che lega norme, interventi e dichiarazioni del governo: un’ideologia che attribuisce un ruolo centrale allo stato nell’iniziativa economica e nella governance delle imprese; e guarda con scetticismo l’economia di mercato, la concorrenza, l’integrazione economica e finanziaria e i principi ispiratori delle istituzioni europee.
Si ha l’impressione che per il Governo debba prevalere il primato della politica nazionale sulle regole del mercato, della concorrenza, e dell’Europa, visti come vincoli e non elementi positivi per la crescita. E’ una politica che aumenta l’incertezza di investire in Italia, aumentandone rischi e costi. Perché la nostra economia dipende dai capitali stranieri e dall’integrazione europea.
Nel 2022 c’erano appena 220 società quotate in Borsa, 14 in meno di 7 anni; 15 le revocate a fronte di 3 nuove quotazioni. Ma poco meno della metà dei titoli quotati è detenuta da stranieri, quasi il doppio della porzione di famiglie, fondi e banche italiane messi insieme.
Lo Stato dipende dai capitali stranieri per controllare le partecipate pubbliche (come Kkr per la rete Tim e Macquarie per OpenFiber). E la maggioranza del capitale delle nostre banche appartiene ad azionisti stranieri. Nel private equity la maggioranza sono operatori esteri e contano per l’82 per cento degli investimenti in Italia. Investitori stranieri detengono 628 miliardi di titoli di stato, contro i 404 delle nostre banche o i 248 delle famiglie italiane.
La principale fonte di crescita del paese sono le esportazioni. La Bce, nonostante gli errori fatti, ci hanno assicurato 20 anni di stabilità dei prezzi dopo decenni di iperinflazione e svalutazioni; e le istituzioni europee ci hanno garantito contro il rischio di un default sul debito pubblico. Promuovere un’ideologia che osteggia un’economia di mercato, integrata in Europa e aperta ai capitali stranieri, è un rischio troppo grande per il paese.
Il governo ha defenestrato l’amministratore delegato di Enel, che ha capitale detenuto in maggioranza da investitori esteri, senza spiegarne le ragioni ed esplicitare gli obiettivi per il nuovo management. In Terna, quotata, la nuova amministratrice delegata, manda a casa il Chief Financial Officer senza motivarne le ragioni o informarne gli investitori, e senza un rimpiazzo pronto. Sono grandi società quotate e internazionali, ma il governo adotta uno spoils system da pubblica amministrazione.
Il governo vuole creare e controllare la rete unica internet e, nonostante le ristrettezze delle finanze pubbliche, trova i soldi per partecipare direttamente, assieme a F2I e Cdp, all’acquisto della rete di Tim da parte di Kkr.
Alla fine, Cdp uscirà da Tim, che si fonderà con la sua controllata OpenFiber, altrimenti destinata al dissesto, trovando il modo di depotenziare Cdp nella governance per salvare la faccia con l’Antitrust. Lo stato avrà il controllo gestionale della rete, e quindi sul consenso legato all’impatto sull’occupazione, mentre a Kkr andranno i lauti dividendi che la regolamentazione assicurerà, come già accaduto con Terna, Enel, Eni, Snam, Italgas, Autostrade.
Allo Stato il controllo, ai capitali privati i dividendi. A pagare saranno gli utenti di internet che, con le tariffe, dovranno sostenere investimenti, costo degli esuberi e onere del debito che la nuova società di accollerà. Ma per governo, concorrenza e diritti dei consumatori vanno sacrificati sull’altare delle ragioni della politica e del consenso
Poiché Vivendi, per vendere la rete Tim, vorrà negoziare una via di uscita al vincolo sul 40 per cento in Mediaset, il governo si troverà a intervenire anche nella società dei Berlusconi, che sostengono un partito di governo. E ha usato il Golden Power per blindare il controllo di Tronchetti Provera in Pirelli, contro il socio cinese voluto dallo stesso Tronchetti Provera otto anni fa, dimostrando di voler passare al vaglio qualunque straniero voglia investire in Italia.
Invece di attirare capitali esteri, aumenta ancora il peso dello stato nelle imprese. Così il governo lancia un Fondo Sovrano per lo Sviluppo come non bastassero Cassa Depositi e Prestiti e Invitalia. E invece di uscire da Mps chiudendo una ristrutturazione che si trascina da 15 anni, sottoscrive l’ennesimo aumento di capitale per mantenerne il controllo.
Con un emendamento al Dl Capitali per aumentare il diritto di voto maggiorato il governo entrerebbe a piedi uniti nella contesa fra Caltagirone e i vertici di Generali e Mediobanca, contro gli investitori internazionali che hanno nominato quei vertici a larga maggioranza.
Ma è la tassa sugli extra profitti bancari che ha mostrato il vero pregiudizio ideologico del governo. Gli extra profitti sono quelli di un monopolista, mentre il sistema bancario opera in concorrenza. Se i profitti sono eccessivi, non sono le tasse ma è la maggiore concorrenza la politica giusta. Negli Usa le banche hanno aumentato i tassi per difendersi dalla forte concorrenza dei fondi di mercato monetario; mentre da noi la distribuzione dei prodotti finanziari è dominata dalle banche che non vogliono farsi concorrenza in casa.
Decidere arbitrariamente che un profitto è eccessivo in un settore aperto alla concorrenza è un precedente pericoloso: perché, un domani, non tassare gli «extra profitti» di Campari che ha aumentato il prezzo dell’Aperol perché la voglia di tempo libero ha aumentato la domanda di spritz? E la Commissione ha dovuto ricordare al ministro Urso che il costo dei biglietti aerei è deciso dal mercato. Sempre Urso addita la «speculazione» sul prezzo della benzina, quando è dovuto principalmente al carico di imposte alle quali il governo non vuole rinunciare.
I consumatori devono essere informati e avere la possibilità di scegliere liberamente tra alternative concorrenziali; ma essere consapevoli delle loro scelte. Chi ha fatto un mutuo a tasso fisso ha pagato per anni di più per assicurarsi contro un rialzo dei tassi; chi ha optato per il variabile ha beneficiato a lungo di minori tassi, un vantaggio che in parte ora viene eroso.
La redditività delle banche è la via maestra per ricapitalizzarle dopo anni di crisi, rendendo il sistema europeo solido in vista di un possibile rallentamento economico. Tassarle ha significato interferire con la vigilanza prudenziale della Bce, proprio quando dipendiamo dalla banca centrale per scongiurare la speculazione contro il nostro debito pubblico.
Siamo alla vigilia del rinnovo del patto di stabilità e non ratifichiamo il Mes che dovrebbe tutelare le nostre banche in caso di crisi del debito. Un errore madornale che temo ci costerà caro.
(da Domani)

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AVVOCATI E PICCHIATORI: LA BRUTTA COMPAGNIA FINITA NEI GUAI CON TRUMP

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

CHI SONO I 18 PRESUNTI “COMPLICI” DELL’EX PRESIDENTE, ALLA SBARRA CON L’ACCUSA DI AVER CERCATO DI RIBALTARE IL RISULTATI DELLE ELEZIONI 2020? OLTRE A RUDOLPH GIULIANI C’È UNA SCHIERA DI “PRINCIPI DEL FORO”, RECLUTATI PER RACCOGLIERE ILLECITAMENTE DATI SUGLI ELETTORI E TRUCCARE LE LISTE… E POI CI SONO I SUPPORTER “MANESCHI”, CHE HANNO FATTO IL LAVORO SPORCO, MINACCIANDO FUNZIONARI

Consiglieri, manager, avvocati, emissari locali, finti grandi elettori, intimidatori. Chi sono le donne e gli uomini dell’ex presidente Donald Trump alla sbarra nel processo che vede incriminato il tycoon con 13 capi di imputazione, relativi al suo presunto tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni in Georgia nel 2020?
La mappatura del Financial Times ricostruisce la rete dei 18 co-imputati che devono costituirsi entro venerdì 25 agosto nella prigione di Rice Street, nella contea di Fulton. E, intanto, le vicende giudiziarie soffiano come vento in poppa nel cammino politico di Trump verso Usa 2024: l’ultimo sondaggio Cbs-YouGov, che gli attribuisce il 62% delle preferenze fra gli elettori repubblicani contro il 16% di Ron DeSantis.
Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York City e avvocato personale di lunga data del tycoon […] accusato di aver promosso affermazioni infondate sulla frode elettorale nello Stato e, secondo i pubblici ministeri, era coinvolto in un piano per nominare falsi grandi elettori in Georgia, Pennsylvania e Arizona.
C’è Mark Meadows, ex capo di Gabinetto della Casa Bianca, che risponde di due accuse derivanti dalla complicità nel tentare di ribaltare il risultato elettorale. Jeffrey Clark, ex alto funzionario del dipartimento di Giustizia, deve fare i conti con due capi derivanti da una lettera ufficiale che ha redatto e in cui affermava che il dicastero aveva preoccupazioni «significative» per la frode elettorale in Georgia e in altri Stati.
Michael Roman, funzionario della campagna di Trump, deve rispondere di sette capi legati al tentativo di riunire liste di grandi elettori suppletivi in diversi Stati. Ci sono infine i principi del foro, gli “architetti” della strategia del ribaltone elettorale: John Eastman, Kenneth Chesebro, Jenna Ellis e Sidney Powell.
I local
Avvocati e funzionari locali che hanno cercato nuovi grandi elettori, hanno interferito col funzionamento delle apparecchiature delle urne, hanno diffuso notizie false e tendenziose o hanno raccolto illecitamente dati sugli elettori. Tra loro ci sono gli avvocati Ray Smith e Robert Cheeley, Misty Hampton, ex supervisore elettorale della Contea di Coffee, Scott Hall, garante della cauzione dell’area di Atlanta.
Si tratta di coloro che sono stati reclutati per gonfiare le liste dei “grandi elettori” dalla parte di Trump. Tra loro Shawn Still, elettore repubblicano, Cathy Latham, ex presidente del partito repubblicano nella contea di Coffe. C’è poi David Shafer, l’ex presidente del partito repubblicano in Georgia.
Intimidatori (presunti)
Sono quelli che avrebbero fatto il lavoro sporco. Come Trevian Kutti, ex collaboratrice del rapper Kanye West, che deve fare i conti con tre capi d’accusa legati al fatto di aver detto all’operatrice elettorale Ruby Freeman che era in pericolo e aveva bisogno di protezione.
Harrison Floyd, ex direttore di Black Voices for Trump deve rispondere di tre capi per aver partecipato alle intimidazioni nei confronti di Freeman. Stephen Lee, pastore luterano dell’Illinois, è titolare di cinque capi d’imputazione, per aver svolto un ruolo centrale nel fare pressione su Freeman.
(da La Stampa)

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IL CANTANTE ERMAL META SULLO STUPRO DI PALERMO: “A VOI CANI AUGURO DI FINIRE IN GALERA SOTTO 100 LUPI, IN MODO CHE CAPIATE COS’E’ UNO STUPRO”

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

“CONOSCO DONNE CHE DA UNO STUPRO NON SI SONO PIU’ RIPRESE”… “PENSANO AL RECUPERO DEGLI AGGRESSORI IN CARCERE, MA CHI PENSA ALLA VITTIMA?”… “TUTTI GARANTISTI FINCHE’ LA BOMBA NON CI CADE IN CASA”

Tra i primi a intervenire pubblicamente sull’episodio di cronaca di Palermo, la violenza di gruppo perpetrata da sette ragazzi nei confronti di una giovane di 19 anni lo scorso luglio, è il cantante Ermal Meta. L’autore di Non mi avete fatto niente ha voluto commentare su Twitter e Instagram, il tono della punizione nei confronti dei sette aggressori, in una conversazione che si è aperta anche sulle dinamiche che la giovane donna dovrà affrontare nella sua vita dopo aver subito queste violenze. Dopo la rabbia iniziale, legata anche al termine cani e gatte utilizzate nella conversazione da uno degli aggressori, Ermal Meta si è scagliato nei confronti degli aggressori: “Li in galera, se mai ci andrete, ad ognuno di voi cani auguro di finire sotto 100 lupi in modo che capiate cos’è uno stupro”. Dopo il tweet, l’autore ha concentrato i suoi pensieri sul futuro della giovane vittima.
Su Twitter infatti ha affermato: “Conosco persone, donne, che da uno stupro non si sono riprese mai più. Che scattano in piedi appena sentono un rumore alle loro spalle, che non sono più riuscite nemmeno ad andare al mare e mettersi in costume da bagno come se non avessero nemmeno la pelle. Vogliamo salvare e recuperare un branco? Ok, sono d’accordo. Ma come salviamo una ragazza di 19 anni che d’ora in poi avrà paura di tutto?”.
Ermal Meta sottolinea come l’attenzione pubblica si sia concentrata maggiormente sul recupero degli aggressori in carcere o in comunità, mentre poco è stato speso nei confronti della vittima: “Perché la responsabilità sociale la sentiamo nei confronti dei carnefici e non in quelli della vittima? Se c’è una qualche forma di responsabilità collettiva nei confronti dei carnefici, allora dovremmo provare a sentirci responsabili anche per quella ragazza e per tutte le vittime di stupro perché è a loro che dobbiamo veramente qualcosa, sono le vittime che vanno aiutate a ricostruire la propria vita”.
Tra i momenti più intensi nell’accusa agli aggressori, Ermal Meta fa riferimento anche a “pene esemplari”: “Per quanto riguarda le pene esemplari, credo che siano assolutamente necessarie per un semplice motivo: nessun atto criminale viene fermato dalla paura della rieducazione, ma da quella della punizione. L’educazione deve funzionare prima che si arrivi a compiere un abominio del genere. Ovviamente siamo tutti garantisti finché la bomba non ci cade in casa”. Ma non si è fermato a Twitter il suo pensiero sui social, perché l’autore ha voluto anche lasciare un ultimo pensiero su Instagram, sulla crudeltà dello stupro e della violenza di gruppo nella società: “Quando stupri una donna non le infiggi solo un danno fisico che comunque resta immenso. Quando stupri una donna uccidi il suo futuro, la sua fiducia nel prossimo e nella vita e senza quella fiducia comprometti la sua capacità un domani persino di avere dei figli. Questo compromette l’umanità intera. Lo stupro è un crimine contro l’umanità”. Poi rivolgendosi ai suoi fan su Instagram, chiosa: “Qual è la pena proporzionale per una cosa del genere?”.

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STUPRO PALERMO, SI METTE MALE PER I SETTE DELINQUENTI, ONLINE LE FOTO DEGLI STUPRATORI: “VI CERCHEREMO IN TUTTA PALERMO, SIETE FINITI”

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

“DA GENITORE FAREI GIUSTIZIA CON LE MIE MANI”… MINACCE DI MORTE ANCHE ALLE FAMIGLIE DEGLI STUPRATORI E INVITI A PASSARE ALL’AZIONE

La prima sentenza ad arrivare è quella sui social, dove i sette giovani arrestati per lo stupro sul lungomare del Foro Italico di Palermo, da giorni, vengono ricoperti di insulti, mentre le loro foto sono state diffuse con inviti all’azione.
Minacce di morte e accuse vengono rivolte anche ai loro parenti ed è partito il passaparola per rendere pubblici gli indirizzi di casa e organizzare azioni punitive.
La parola “stupro” è stata per 24 ore al primo posto nei trend di X (l’ex Twitter), e anche su TikTok e Instagram i post più condivisi e visualizzati sono quelli che contengono i nomi e i cognomi, insieme alle fotografie, degli aggressori.
Gli stessi aggressori che, vantandosi dopo avere violentato in sette una diciannovenne, hanno diffuso via chat il video degli abusi, commentando con frasi agghiaccianti: «Eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l’avevo vista solo nei video porno». Dopo avere lasciato la vittima riversa in terra, in lacrime e ferita, invece di chiamare un’ambulanza come lei aveva supplicato di fare, sono andati a fare uno spuntino in rosticceria.
Adesso, mentre Angelo Flores, Gabriele Di Trapani, Cristian Barone, Christian Maronia, Samuele La Grassa e Elio Arnao sono finiti in carcere insieme a un minorenne, sui social è partito il processo parallelo a quello che si svolgerà in tribunale.
Tanti utenti si scagliano contro la madre di uno degli arrestati che nelle intercettazioni si riferiva alla vittima definendola «una poco di buono».
Commenta una ragazza: «È tutto racchiuso in questa frase, tutto. Come fai a proteggere tuo figlio dopo che ha stuprato in massa?».
Mentre i commenti più pesanti sono nelle pagine TikTok di alcuni indagati. C’è chi invoca la «pena di morte», chi scrive «da genitore farei giustizia con le mie mani», «ti lascerei una pallottola in mezzo agli occhi», «questo è il primo dei sette che fanno fuori». E chi minaccia: «Vi stiamo cercando per tutta Palermo, siete finiti».
All’orrore dello stupro, avvenuto lo scorso 7 luglio, si è aggiunto un altro orrore. «In un gruppo Telegram con più di 10mila membri si chiede se sia disponibile il video dello stupro di Palermo», denuncia un utente Instagram, pubblicando gli screenshot delle richieste: «Chi ha il video di Palermo? Scambio bene», scrive un ragazzo.
A Palermo, ancora sotto choc per la vicenda, i cittadini si sono mobilitati: sabato sera si è svolto un corteo per le stesse strade del centro storico percorse dalla vittima e dagli indagati tra l’indifferenza delle persone presenti.
(da il Messaggero)

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CAOS MIGRANTI, ENRICO MONTANI, EX PARLAMENTARE E ORA SEGRETARIO PROVINCIALE DEL CARROCCIO DEL VERBANO-CUSIO-OSSOLA, IN PIEMONTE, ARRIVA A SCRIVERE SU FACEBOOK: “PER ME PIANTEDOSI SI DEVE DIMETTERE”

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

UNA SCONFESSIONE DI RILIEVO, CONSIDERANDO CHE IL MINISTRO DELL’INTERNO È STATO INDICATO PROPRIO DALLA LEGA PER IL RAPPORTO CON MATTEO SALVINI, DI CUI È STATO CAPO DI GABINETTO AL VIMINALE

Chat bollenti nel pomeriggio di oggi in casa Lega in Piemonte. Ad accedere le polveri un post sorprendente pubblicato sul suo profilo Facebook da Enrico Montani, piu’ volte parlamentare ed oggi segretario provinciale della Lega del Verbano Cusio Ossola.
Un attacco diretto al ministro degli Interni: Montani ha scritto a caratteri cubitali e su sfondo rosso: “Per me Piantedosi si deve dimettere!!!”. Una presa di posizione relativa alla gestione dell’immigrazione e sorprendente se si considera che il titolare del Viminale e’ stato indicato proprio dalla Lega anche in forza del suo rapporto personale con Matteo Salvini, di cui e’ stato capo di gabinetto proprio al ministero degli interni. Il post dopo circa mezz’ora e’ stato cancellato, ma naturalmente gli screenshot hanno cominciato subito a circolare all’interno della Lega piemontese, con ampio corredo di commenti.
Le Regioni si sono aggiunte ai sindaci che da giorni protestano per un sistema di accoglienza dei migranti ormai impossibile da gestire a livello locale. Lo scontro è politico ma sarebbe riduttivo considerarlo una semplice contrapposizione tra governo e opposizione. A esprimere la loro contrarietà alle soluzioni indicate dall’esecutivo sono anche il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi del centrodestra e i sindaci della Lega Veneto.
Il ministero dell’Interno ha provato a sminuire le polemiche definendo «surreale» la protesta dei sindaci e aggiungendo che «la mancata adozione dello stato di emergenza» da parte delle 4 regioni a guida centrosinistra, ha ritardato alcuni interventi sul territorio». Il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni della Lega Nord ha, invece, chiarito all’AdnKronos che «con i sindaci bisogna dialogare, ma è bene che il Pd si metta d’accordo al suo interno perché gli amministratori locali dicono una cosa e i dirigenti nazionali ne sostengono un’altra».
Ma ad aumentar e il livello di scontro è stato l’intervento delle Regioni. Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, uno dei quattro governatori del Pd, ha risposto alle critiche arrivate dal Viminale: «Il governo ha fatto una scelta piuttosto singolare: dichiarare lo stato di emergenza nazionale per i flussi migratori; se conoscesse bene la norma sulla dichiarazione dello stato d’emergenza, capirebbe che dichiarare lo stato d’emergenza per un fenomeno che si ripete uguale da trent’anni è giuridicamente impossibile». E– ha concluso – «questa è stata l’unica strategia».
Il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi, candidato dal centrodestra, ha avvertito che il sistema del suo territorio è al limite, non può tollerare altri aumenti di migranti come si sta ipotizzando. «Più migranti in Basilicata? Va bene la solidarietà –ma si tenga conto delle caratteristiche di una regione come la nostra, con 131 piccoli comuni. Non possiamo reggere numeri importanti». Bardi ha annunciato di voler parlare della questione con il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, e con gli altri presidenti di Regione: «Ma serve un piano dell’Unione Europea», ha precisato.
Nei giorni scorsi Vincenzo De Luca aveva già giudicato «fallimentare» la strategia del governo sui migranti. Ieri ha parlato Pietro De Luca, dell’ufficio di presidenza del gruppo Pd della Camera, eletto in Campania e figlio del presidente della Regione: «Sull’immigrazione, le politiche del Governo si stanno rivelando del tutto fallimentari. La retorica populista della destra si è sciolta come neve al sole in questi mesi. Altro che porti chiusi e inverosimili blocchi navali. Gli arrivi sono aumentati del 100% rispetto allo scorso anno».
Le prese di distanza sulla gestione arrivano anche dai sindaci della Lega Veneto che ribadiscono il loro rifiuto sia ai centri di raccolta sia all’accoglienza diffusa.
«Chi non ha diritto di stare in Italia deve essere rimandato indietro: capannoni, uffici, palestre non possono essere usati per stoccare i migranti, non sono strutture idonee», affermano.
(da agenzie)

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“CI LIMITIAMO AD APPLICARE LA LEGGE”: IL DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE, ERNESTO MARIA RUFFINI, RISPONDE A GIORGIA MELONI, CHE CONSIDERA LA LOTTA ALL’EVASIONE “PIZZO DI STATO”

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

“IN UNA DEMOCRAZIA, I SOLDI SI RECUPERANO NON PER CONTO DELL’IMPERATORE, MA A VANTAGGIO DELLA COLLETTIVITÀ. COMPRESI COLORO CHE LE TASSE NON LE PAGANO”

Il governo ha firmato la convenzione con l’Agenzia delle Entrate fissando, tra gli obiettivi che l’ente guidato da Ernesto Ruffini dovrà raggiungere entro il 2025, l’incasso di 2,8 miliardi in più dalla lotta all’evasione fiscale.
«Abbiamo spostato l’asticella in alto. E non mi riferisco al contrasto all’evasione – dice Ruffini -. Il nostro lavoro sarà valutato anche e soprattutto sull’incremento dei servizi telematici, sulla accelerazione dei rimborsi, sul contenzioso».
Come si è arrivati a definire l’obiettivo di 2,8 miliardi?
«Recuperando capacità operativa, grazie a un ambizioso piano di reclutamento di 11 mila funzionari. Un cambio di paradigma, se pensa che a fine 2022 eravamo sotto organico del 40%: 28 mila dipendenti invece di 44 mila».
Meno di tre miliardi a fronte di un’evasione di 100 miliardi l’anno. Non si poteva fare di più?
«Bisogna considerare che questo incremento è aggiuntivo rispetto ai risultati già conseguiti. Una decina di anni fa il livello di evasione fiscale “in senso stretto”, ovvero relativa a Irpef, Iva, Irap, Ires, senza considerare quella sui contributi previdenziali, si aggirava sugli 85 miliardi.
Ma già nel 2019, grazie anche all’introduzione della fatturazione elettronica, era scesa a 75. Accanto a questa riduzione, c’è l’azione di contrasto vero e proprio dell’Agenzia, che nel 2022 ha recuperato la cifra più alta di sempre. E già quest’anno assicureremo 1,3 miliardi in più rispetto a quanto previsto dalla scorsa convenzione. Ora, il nuovo obiettivo alza l’asticella di circa il 15%».
Resta il fatto che tra le modifiche al Pnrr chieste dal governo c’è l’abbandono degli obiettivi iniziali di riduzione del tax gap, ovvero la differenza tra tasse che si dovrebbero incassare senza evasione e quelle che entrano effettivamente. Una resa agli evasori o cosa?
«La riduzione del tax gap è un obiettivo condizionato da tanti fattori, non solo fiscali. […] Per quanto riguarda gli obiettivi affidati dal Pnrr all’Agenzia, oltre a quelli già raggiunti sulla precompilata Iva e le banche dati, abbiamo ancora due attività da chiudere entro fine 2024: l’invio di oltre 3 milioni di lettere di compliance, per un incasso di 2,77 miliardi. La buona notizia è che li raggiungeremo interamente già a ottobre, con più di un anno di anticipo, avendo già realizzato il 99% degli incassi».
Da un lato abbiamo il governo che firma una convenzione per assicurarsi più entrate. Dall’altro la premier ha criticato il modus operandi dell’Agenzia quando per raggiungere questi obiettivi si scatena in una caccia al gettito a tutti i costi. Si è mai sentito nei panni di chi chiede il «pizzo di Stato»?
«L’Agenzia si limita ad applicare la legge. E nella convenzione ci sono obiettivi di finanza pubblica, non di caccia al gettito. Anche perché non sono riconosciuti incentivi economici in base agli accertamenti svolti e ai soldi incassati, come ancora mi capita di leggere, ma in base ai servizi erogati.
Da cattolico, so che fin dai tempi del pubblicano Levi la figura dell’esattore, comprensibilmente, non ha mai riscosso particolare simpatia. Ma oggi, in una democrazia, i soldi dell’evasione si recuperano non per conto dell’imperatore, ma a vantaggio della collettività. Compresi coloro che le tasse non le pagano.
Oltre l’80% del totale dell’evasione riguarda chi non presenta la dichiarazione dei redditi o la presenta in modo infedele; meno del 20% la cosiddetta evasione da versamento, cioè di chi presenta la dichiarazione, ma poi non salda quanto deve. Non dimentichiamo che la stragrande maggioranza dei contribuenti è onesta e paga sempre tutto, fino all’ultimo centesimo, anche se non naviga nell’oro. Se vogliamo garantire i diritti fondamentali come sanità, istruzione, ordine pubblico, servono risorse. Ed è questo che fa l’Agenzia».
Che risultati si attende dai controlli incrociati con l’anagrafe finanziaria?
«In prospettiva, l’Archivio dei conti correnti è una risorsa fondamentale perché consente di intercettare, ad esempio, i soggetti con residenza fittizia all’estero ma che hanno conti correnti nel nostro Paese.
Le prime estrapolazioni basate su dati pseudonimizzati, cioè inizialmente anonimi e poi utilizzabili in base a informazioni aggiuntive, riguarderanno il 2017 e consentiranno di individuare, ad esempio, i soggetti che avevano grandi movimentazioni sui propri conti correnti ma non hanno presentato la dichiarazione dei redditi».
Quando partiranno queste estrapolazioni?
«Stiamo già partendo. E presto avremo i primi risultati».
(da Corriere della Sera)

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“IL PROSSIMO BEAU GESTE DELLA MELONI SARÀ QUELLO DI RISARCIRE I DIPENDENTI DI VISIBILIA LASCIATI SENZA STIPENDIO DALLA SANTANCHÈ”

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

MARCO TRAVAGLIO: “IL SISTEMA PAGOGIORGIAMAT NON SI LIMITERÀ AL CONTO DI 80 EURO NON SALDATO DA QUATTRO SCROCCONI, MA SI RIPETERÀ PER ALTRI CONTI BEN PIÙ SALATI NON PAGATI DA CONNAZIONALI BEN PIÙ VICINI A LEI”… “METTERÀ MANO AL PORTAFOGLI PER RIFONDERE LA REGIONE PIEMONTE DEI 25 MILA EURO FREGATI DA AUGUSTA MONTARULI. POI RESTITUIRÀ ALLO STATO I 49 MILIONI DI FINANZIAMENTI PUBBLICI INDEBITI RUBATI DALLA LEGA”

Il sistema PagoGiorgiamat, pratico e immediato, inaugurato dalla premier in Albania non si limiterà al conto di 80 euro non saldato da quattro scrocconi italiani nel ristorante di Berat.
Il beau geste della Meloni – che almeno gli 80 euro a scopo propagandistico-elettorale li prende dalle tasche sue e non dalle nostre (diversamente da un noto statista ora decaduto) – si ripeterà per altri conti ben più salati non pagati da connazionali ben più vicini a lei.
L’ha lasciato chiaramente intendere lei stessa quando ha dichiarato: “Mi sono vergognata: l’Italia che voglio rappresentare non fa parlare di sé all’estero perché non rispetta il lavoro altrui o pensa di essere divertente fregando gli altri”.
E con noi sfonda una posta aperta. Soprattutto se, come fa trapelare Palazzo Chigi, il prossimo beau geste sarà quello di risarcire di tasca sua i dipendenti di Visibilia lasciati senza stipendio né contributi da Daniela Santanché, evidentemente refrattaria al “rispetto del lavoro altrui”.
Dopodiché la premier provvederà a risarcire i creditori delle società della sua ministra del Turismo, indebitate col fisco per 1,2 milioni e con le banche per 4,5 milioni; ma anche l’Inps che le versò la cassa integrazione Covid per addetti che continuavano a lavorare.
Subito dopo, metterà mano al portafogli per rifondere la Regione Piemonte dei 25 mila euro fregati da Augusta Montaruli, vicepresidente FdI della commissione di Vigilanza Rai, che si fece rimborsare con soldi pubblici spese private tipo capi Hermès, borsa Borbonese, cristalli Swarovski, gianduiotti, omaggi floreali natalizi, orecchini, Swatch, lavanderia, sigarette, ristoranti di lusso, piadinerie, gelaterie, fast food, pub e due libri: Mia suocera beve e Sexploration. Giochi proibiti per coppie
Poi, per non farsi parlar dietro e dare uno schiaffo morale al vicepremier Matteo Salvini, romperà il salvadanaio e restituirà allo Stato i 49 milioni di finanziamenti pubblici indebiti rubati dalla Lega.
Alla fine userà il PagoGiorgiamat per restituire agli automobilisti i 4 miliardi di extragettito a colpi di accise e di Iva sui carburanti, imposte dal suo governo dopo aver vinto le elezioni promettendo abolirle, o almeno di tagliarle. Non sia mai che qualcuno, in Albania o in Italia, accusi proprio lei di taglieggiare gli italiani con il “pizzo di Stato”.
Marco Travaglio
(da “il Fatto quotidiano”)

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IL GENERALE CHE SPACCA IL FRONTE SOVRANISTA

Agosto 21st, 2023 Riccardo Fucile

QUELLA DESTRA COMPLESSATA CHE DA “VOGLIAMO I COLONNELLI” ORA SI ACCONTENTA DI UN “VOGLIAMO UN GENERALE”… I SERVI DEL PENSIERO UNICO SONO LORO

C’è qualcosa che spaventa la destra politica nel successo, peraltro mediaticamente molto pompato, del libro e del pensiero del generale Roberto Vannacci: l’implicita accusa di tradimento che quelle 373 pagine contengono. Tradimento di una visione del mondo, una Weltanschauung si sarebbe detto una volta. Tradimento della storica missione evocata dal titolo del saggio, cioè rimettere finalmente a posto il «mondo al contrario» e combattere a viso aperto le oscure centrali della cultura woke. La destra impegnata a farsi accettare in Europa, la destra che rinuncia alle belluine denunce contro la sostituzione etnica, la normalizzazione delle unioni gay, le bubbole alla Greta Thumberg sul cambiamento climatico, è una destra che tradisce, ci dice implicitamente il generale.
E si capisce bene perché, dopo il primo e nettissimo intervento del ministro Guido Crosetto, diversi e titolati esponenti di FdI siano scesi in campo a difesa del diritto di parola del militare, avviando un’operazione di ri-legittimazione delle sue tesi e della sua persona.
Vannacci non è una voce nel deserto. Non è un qualsiasi Antonio Pappalardo con i suoi squinternati forconi e gilet arancioni, folcloristico interprete della famosa pancia del Paese. È un ex capo della Folgore, la brigata militare che da sempre scalda il cuore della destra. È un combattente di teatri difficili, Somalia, Iraq, Afghanistan, Ruanda, Yemen. Nell’immaginario di quel mondo è il Colonnello Mathieu della Battaglia di Algeri, è il Comandante Kurtz che racconta l’orrore dalla giungla cambogiana. E il suo lungo anatema contro «i servi del pensiero unico» (espressione che ricorre nelle recensioni dei fan su Amazon) è un richiamo politico molto evidente al popolo sovranista, un allarme che intercetta il crescente sentimento di delusione per l’allineamento della destra politica al mainstream europeista e occidentale.
Gianluca Nicoletti, ieri, ha giustamente osservato che l’accuratezza dell’editing del libro, la sua larga circolazione in formato digitale nelle chat sovraniste e persino la premessa (dove l’autore si dissocia «da qualsiasi tipo di atti illeciti possano derivare» dallo scritto) avvalorano il sospetto di un’opera collettiva e politicamente finalizzata più che di una riflessione solitaria. È una possibilità molto concreta.
La gara per intestarsi un nuovo movimentismo alla destra di FdI è aperta da un pezzo. Ci sta pensando Matteo Salvini, con la ripetuta conferma dell’alleanza con Marine Le Pen. Ci pensa, dichiaratamente, Gianni Alemanno con le sue interviste assai critiche per il posizionamento del governo Meloni sull’Ucraina. Ma uno come Vannacci, oltre i blandi dinieghi del momento («sono un militare, non ho fatto progetti per altre attività»), sarebbe l’asso pigliatutto di un’operazione di questo tipo. Il condottiero perfetto per una versione ultras del racconto valoriale della destra.
E allora diventa chiaro perché, nelle ultime ventiquattr’ore, dirigenti, parlamentari, giornali dell’area conservatrice si siano affannati per «riportare a casa» il generale e trasformare il suo saggio (indifendibile sotto il profilo della disciplina militare, che richiede l’autorizzazione per ogni pubblico intervento) in un caso di libertà di pensiero ostracizzata, anche a costo di lasciare solo il ministro della Difesa che se ne è giustamente irritato. Nessun nemico a destra. Mai, ma soprattutto se quel potenziale nemico, per il suo status, la sua biografia, le sue stellette, può utilizzare con credibilità la fatale accusa di tradimento dell’Idea con la maiuscola: un’imputazione che fin dai tempi di un altro generale, Pietro Badoglio, costituisce l’arma fine-di-mondo di ogni dibattito interno alla destra.
(da La Stampa)

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