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ULTIMA GENERAZIONE, CHI SONO E COSA CHIEDONO GLI ECO-RIBELLI CHE VOGLIONO SALVARE IL PIANETA

“NON CHIAMATECI ATTIVISTI, NOI SIAMO CITTADINI PREOCCUPATI, QUESTA E’ L’ULTIMA ORA DEL VECCHIO MONDO, QUELLA PIU’ BUIA”

La notte fra giovedì 21 e venerdì 22 luglio 2022 il ventenne Simone Ficicchia e altri tre ragazzi hanno dormito a casa di amici in un paesino vicino a Viareggio. Il mattino seguente faceva un caldo torrido e i quattro giovani – maglietta, bermuda, zaino in spalla – sono andati alla stazione ferroviaria, dove hanno preso un treno per Firenze.
Sul vagone non hanno scambiato molte parole fra loro, erano assorti ognuno nei propri pensieri, ma in un silenzio pesante, carico di ansia, anomalo per una compagnia di amici che viaggia insieme in piena estate.Arrivati alla stazione di Santa Maria Novella, i ragazzi, sempre limitando la conversazione al minimo indispensabile, sono scesi dal treno e si sono diretti agli Uffizi.
All’ingresso, al momento dei controlli al metal detector, il cuore di Simone ha preso a galoppare forte come se avesse qualcosa da nascondere e temesse di essere scoperto. Eppure i vigilantes hanno dato il via libera senza battere ciglio: «Potete entrare, buona visita».
Dentro il museo, i giovani si sono subito diretti verso una sala ben precisa, quella dov’è esposto il dipinto capolavoro simbolo del Rinascimento: la “Primavera” di Sandro Botticelli. La sala era piena di turisti e i quattro ragazzi si sono intrufolati nella folla che stava in piedi ad ammirare il quadro.
È stato a quel punto che si sono guardati negli occhi e hanno deciso che il momento era arrivato: Simone e un’amica hanno estratto dalle tasche un tubetto di colla, lo hanno aperto, si sono spalmati la colla su una mano e hanno appiccicato il palmo sul vetro che protegge la Venere.
Di fronte a decine di visitatori sbigottiti, Simone ha rotto il silenzio e gridato il senso di quel gesto: «Ci stiamo incollando a questo vetro perché in futuro ci siano ancora dei musei. L’unica cosa possiamo fare per salvare l’umanità è smettere di investire nei combustibili fossili. Altrimenti non ci sarà più arte».
Poi i giovani hanno tirato fuori dagli zaini uno striscione arancione e l’hanno srotolato: c’era scritto “Ultima Generazione – No Gas No Carbone”.
Simone Ficicchia vive con i suoi genitori a Voghera, in provincia di Pavia. Si era iscritto alla Facoltà di Storia dell’Università di Padova, ma nell’ultimo anno ha messo da parte gli studi per dedicarsi appieno alle attività di questo movimento, Ultima Generazione: una campagna di disobbedienza civile non violenta che chiede al governo italiano interventi «contro il collasso eco-climatico».
Ne avrete sicuramente sentito parlare in questi mesi: è Ultima Generazione che ha bloccato più volte il traffico sul Grande raccordo anulare di Roma («Ma prima avvertiamo sempre il 118») e che ha imbrattato con vernice lavabile la facciata del Senato e il dito medio di Cattelan a piazza Affari.
Ficicchia ha partecipato a decine di blitz fra blocchi stradali, imbrattamenti, occupazioni di sedi di partito. La Questura di Pavia ha chiesto per lui la sorveglianza speciale di sicurezza, misura che solitamente viene applicata a soggetti ritenuti pericolosi per la società come mafiosi o terroristi (la Procura di Milano ha ridotto la richiesta a sorveglianza semplice). «Ho molta più paura del cambiamento climatico che del fatto che la mia libertà venga limitata», proclama il ragazzo a TPI.
La rete
Costituitasi nel 2021, Ultima Generazione fa parte di una rete internazionale, denominata A22, che si propone di «salvare l’umanità».
Nel manifesto dell’organizzazione di legge: «Siamo l’ultima generazione del vecchio mondo. Siamo nell’ultima ora, quella più buia. Questo mondo viene decimato davanti ai nostri occhi. Siamo qui per costringere i governi a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio, nient’altro. Siamo qui per l’azione, non per le parole».
Come presidio italiano di A22, Ultima Generazione avanza in particolare tre richieste al governo: 1) installare immediatamente almeno 20 gigawatt di energia eolica e solare; 2) interrompere subito la riapertura delle centrali a carbone dismesse; 3) cancellare il progetto di nuove trivellazioni nell’Adriatico.
Sono circa un centinaio le persone che partecipano attivamente a questa campagna in Italia: non amano farsi chiamare «attivisti», preferiscono la definizione di «cittadini preoccupati».
Ascoltando gli inquietanti dati che snocciolano a raffica sul surriscaldamento globale e sui finanziamenti erogati dall’Italia ai combustibili fossili (41,8 miliardi di euro solo nel 2021) non è facile stabilire se ci si trova davanti a un gruppo di idealisti ribelli o di persone che a differenza di tutte le altre hanno aperto gli occhi sui rischi enormi che effettivamente stiamo correndo come umanità.
Molti di loro provengono da un’altra organizzazione internazionale che opera attraverso la disobbedienza civile non violenta: Extiction Rebellion (Xr), gruppo sorto nel 2018 in Inghilterra e che oggi in Italia conta un migliaio di aderenti.
Fra loro c’è Francesca Poli, 24 anni: «Extinction Rebellion – spiega – rivolge tre richieste ai governanti: 1) dite la verità; 2) agite ora; 3) andate oltre la politica istituendo assemblee di cittadini».
Ultima Generazione è nata da una costola di Xr: si potrebbe dire che la prima è la versione estrema della seconda, nel senso che si è creata quando alcuni attivisti di Extinction Rebellion hanno alzato il tiro, iniziando a proporre azioni dimostrative più forti, come il blocco del traffico sul Grande raccordo anulare.
«Xr – ricostruisce Poli – punta a mobilitare una massa molto grande di persone, almeno il 3,5% delle popolazione, perché è stato studiato che mobilitando questa percentuale di cittadini si può arrivare a ottenere ciò che si chiede. Le azioni di Ultima Generazione invece suscitano anche reazioni negative». Tra i due movimenti c’è comunque un buon rapporto.
Fra coloro che sono passati a Ultima Generazione c’è Tommaso Juhasz, 30 anni, perugino, operaio agricolo laureato in Scienze politiche.
«Il mio punto di svolta – racconta a TPI – è stato quattro anni fa, quando ho letto il saggio “L’adattamento profondo”, del professor Jem Bendell. Lui è stato il primo a dire che rischiamo l’estinzione umana a breve termine. Quel libro mi ha stimolato un periodo di riflessione durato alcuni mesi, finché nell’ottobre 2019 mi sono unito a Extinction Rebellion. Poi, l’estate scorsa, ho visto il video di un blocco di Ultima Generazione sulla tangenziale di Milano, con quei ragazzi seduti a terra presi a sputi in faccia, e mi sono detto: ok, ora vado ad aiutarli».
«Spesso per attaccarci ci dicono che non c’abbiamo un cazzo da fare, e invece, guardi un po’, io ne avrei molte di cose da fare: non è che mi diverto ad andare a bloccare le strade. Ma il fatto è che, senza le nostre azioni di disobbedienza, io e lei adesso non saremmo qui a parlare di crisi climatica. In Calabria quest’anno hanno perso il 70% della produzione di olio!».
Non solo giovani
Se Ultima Generazione in questi mesi si è conquistata spazio sulle pagine di cronaca, l’eco-movimento più noto al grande pubblico resta Fridays for Future (Fff), ispirato agli scioperi per il clima della paladina mondiale della lotta al surriscaldamento globale: Greta Thunberg.
Sebbene la scorsa settimana quest’ultima sia stata portata via a forza dalla polizia durante un sit-in di protesta a Lützerath, in Germania (vedi fotoreportage a pagina 44 di questo giornale) Fff – che in Italia conta circa 80 gruppi locali ciascuno dei quali è composto da una decina di attivisti – non usa la disobbedienza civile: preferisce organizzare grandi manifestazioni di piazza coinvolgendo centinaia di migliaia di persone per volta.
Secondo una delle portavoce italiane, la 29enne Martina Comparelli, milanese, laureata in Sviluppo internazionale, «perché ci sia davvero una transizione ecologica che funzioni e sia duratura c’è bisogno di avere la maggioranza della popolazione dalla nostra parte in modo attivo, coinvolgendola e non inimicandocela», mentre nelle azioni di Ultima Generazione «per quanto efficaci nel singolo momento, non sono replicabili da tutte e tutti. Noi cerchiamo di fornire strumenti di lotta complementari e più intersezionali».
Peraltro, riflette Comparelli, «siamo tutti dei torrenti, dei rivoli, che poi confluiscono nel fiume dell’attivismo per il clima e, oserei dire, per la giustizia sociale in generale, che è quello che stiamo cercando di far capire come Fridays for Future e che magari un giorno riusciremo a legare con questi altri movimenti per il clima».
La maggioranza dei volontari di queste organizzazioni – perché di volontari si tratta (nessuno di loro percepisce uno stipendio, sono previsti solo alcuni rimborsi spese finanziati con il crowdfunding e con donazioni private) – sono persone tra i 20 e i 30 anni.
Ma tra loro c’è anche chi ha già i capelli bianchi. Maria Letizia Ruello, ad esempio, è rimasta folgorata dai blitz di Ultima Generazione dall’alto dei suoi 64 anni, al punto da “arruolarsi” alla disobbedienza civile. «In questi ragazzi ho visto gli occhi di un partigiano e di una partigiana», osserva.
«Io di partigiani ne ho conosciuti, ma li avevo mitizzati, erano diventati qualcosa di fiabesco. Non avevo mai veramente compreso cosa avesse significato per loro, a 20 anni, andare in montagna. Oggi invece ho capito cosa vuol dire fare una scelta di disobbedienza. Certo meno drammatica, perché qui non si rischia il fuoco dei fucili, al massimo qualche botta da parte degli automobilisti. Ma il mettersi a disposizione assomiglia».
La signora Ruello vive in una frazione di un piccolo comune tra Ancona e Senigallia, lavora come ricercatrice in Scienza e tecnologia dei materiali alla Politecnica delle Marche, ha tre figli, tutti all’estero.
Qualche mese fa una sua figlia le ha mostrato il video di un blocco sul Grande raccordo anulare: «Quelle immagini – racconta – mi hanno colpito. Ultima Generazione mi ha risvegliata da ciò che io chiamo un negazionismo soft, che è molto pericoloso. Non è quello dei Trump o dei Bolsonaro: è quello delle persone per bene che sanno tutto della crisi climatica, cercano di fare la raccolta differenziata e di usare i mezzi pubblici, evitano di mangiare carne e si sentono in pace con se stesse perché sperano che qualcosa succeda. Ma la situazione è talmente grave e urgente che l’unico dovere che conta è ribellarsi a chi ci sta distruggendo, più o meno consapevolmente».
Ruello negli anni Settanta ha fatto parte del movimento femminista, poi negli anni Ottanta si è avvicinata alla causa ambientalista, ma oggi crede che siamo in una fase diversa: «Vanno benissimo le grandi marce, i flash mob, le petizioni, ma l’urgenza di ridurre le emissioni climalteranti e di richiamare i governi nazionali al loro dovere è talmente alta che servono modalità diverse. Serve la disobbedienza perché i governi stanno disobbedendo. E la loro disobbedienza, più o meno consapevole, ci sta uccidendo. Fra vent’anni l’Italia sarà desertificata fino a tutto il suo sud: chi potrà scapperà, i migranti saremo noi!».
Incubi e svolt
Carlotta Muston, nata e cresciuta a Milano, ha 32 anni e fino a tre mesi fa lavorava per una società di consulenza che si occupa di democrazia deliberativa partecipativa: il suo compito era organizzare e facilitare processi decisionali partecipativi.
«Adoravo il mio lavoro – spiega – ma gli dedicavo quaranta ore alla settimana e così non lasciavo abbastanza tempo all’attivismo. L’anno scorso ho attraversato una crisi profonda: ero sempre più in difficoltà perché la crisi ecologica continuava ad avanzare nell’indifferenza generale. Dallo scorso settembre, organizzatami economicamente, mi dedico solo a Ultima Generazione. Continuo a lavorare, ma solo saltuariamente: faccio consulenze spot per guadagnare quel minimo che mi serve per mangiare. Ho tagliato molti costi: esco meno la sera e io e miei coinquilini facciamo il pane e la pasta in casa».
«C’è un documentario molto bello che si intitola “Once you know” che descrive la parabola che io ho attraversato: prima c’è un momento in cui inizi a comprendere quello che sta succedendo, poi arriva come reazione la negazione, cioè il rifiuto di accettarlo, poi c’è una fase di piena presa di consapevolezza. Dopodiché, o rimani incastrato lì oppure ti tiri su le maniche per far sì che possa esserci un futuro. Perché qua non stiamo parlando di benessere, ma proprio della possibilità di avere un futuro: si prospettano guerre, l’Onu ha stimato 3 miliardi di migranti climatici al 2070… E allora, se non ho certezza che ci sarà un futuro, che senso ha che io continui a lavorare?».
«Nell’ultimo anno ho desiderato molto avere un figlio, ma quando ne parlo con il mio compagno la crisi climatica è presente. Mi è capitato di piangere guardando le mie due nipoti giocare e pensando a quello a cui vanno incontro».
Se chiedi a questa ragazza quale alternativa immagina rispetto al mondo in cui stiamo vivendo e quale tipo di modello di sviluppo auspica, lei ti risponde così: «Noi di Ultima Generazione abbiamo tre richieste molto precise rivolte al governo italiano: chiediamo lo stop al carbone e alle trivelle basandoci su report di istituzioni riconosciute come l’Onu».
Fattibile dall’oggi al domani? «Fare oggi quelle cose è necessario, altrimenti non ci sarà un futuro. Quello è il presupposto per tutto il resto. Più in generale, io ho la mia idea personale, ma la visione del futuro deve essere elaborata collettivamente. Le soluzioni vanno elaborate dal governo e da chi è votato e pagato con i nostri soldi per gestire il bene comune. Non sta a noi».
Anche Luca Trivellone, 28 anni, studente di psicologia a Padova ma originario di Civitavecchia, è tormentato dalla prospettiva della fine dell’umanità. Anche lui è uno dei «cittadini preoccupati» di Ultima Generazione.
«Quello che faccio – confida – nasce da una forte eco-ansia: la notte sogno spesso di trovarmi in fondo al mare, di recente in un sogno combattevo con degli squali che erano entrati dentro casa mia». «A Civitavecchia respiravo le emissioni della centrale a carbone Enel che sta al porto. Ho sempre visto da casa questa forte presenza di ciminiere, e la accettavo passivamente: la vedevo come qualcosa più grande di me, rispetto alla quale ero impotente. Poi ho incontrato cittadini organizzati e determinati a fare il cambiamento. E ho deciso di unirmi a loro».
Cosa c’entra bloccare il traffico su una tangenziale o imbrattare un quadro con la lotta alla surriscaldamento globale? «Le ribalto la domanda», risponde Trivellone: «Cosa c’entra il suffragio universale con una persona che sceglie di morire in una collisione con un cavallo? Cosa c’entra rompere una vetrina con il diritto di voto alle donne? Sono domande che avremmo potuto porre il secolo scorso alle suffragette, ma quelle azioni poi hanno portato al suffragio universale. Cosa c’entrava la marcia del sale con la lotta al colonialismo inglese? Eppure è così che Gandhi ha liberato l’India».
«I blocchi stradali che facciamo noi sono come quelli che faceva Martin Luther King. I partiti oggi fanno economia, ma la politica vera la stiamo facendo noi. Rispetto al cambiamento climatico parlare senza agire è distruttivo».
(da TPI)

This entry was posted on venerdì, Gennaio 20th, 2023 at 14:29 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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