CONTE HA I VOTI, DI MAIO IL POTERE, MA IL PALLONE (IL SIMBOLO) E’ DI GRILLO
ALLA FINE GRILLO MANTERRA’ IL GIOCATTOLO
Conte ha i voti, ma non il comando. Di Maio ha il potere, ma non il titolo. Crimi ha il titolo, ma non il potere. Grillo non ha il comando, né il potere né i voti. Ma il pallone – il simbolo – è suo, e dunque si gioca con le sue regole.
È sempre stato così, e così sarà anche stavolta: alla fine si farà come dice il comico- fondatore-garante, e svanirà come un miraggio nel deserto l’ illusione di riformare il Movimento 5 Stelle, missione impossibile che il troppo ambizioso Giuseppe Conte aveva imprudentemente accettato, credendo forse che bastassero le sue astuzie di avvocato d’ affari per far firmare a Beppe Grillo, come un contratto di leasing, un nuovo statuto che trasferisse a lui la guida dei pentastellati.
Sembrava un progetto facile, nella sua apparente semplicità.
Trasformare un’ organizzazione virtuale in un partito contemporaneo. Con una sede che fosse fatta di mattoni e non di megabyte.
Con organismi democratici dove si potesse discutere e votare guardandosi negli occhi anziché schiacciando un tasto. Con un programma che non fosse una accozzaglia di sogni, utopie e illusioni. E magari con una scelta di campo che rendesse possibili alleanze e battaglie comuni con quei partiti che al Movimento hanno teso la mano, dimenticando insulti, dileggi e offese personali.
Il colpo di coda del comico genovese dimostra invece che la sua creatura è irriformabile. Che un Movimento nato da un Vaffa- day non può cambiare natura adottando le regole della democrazia parlamentare. Che chi è andato al potere sventolando la bandiera del populismo non può diventare «liberale e moderato», come va dicendo Luigi Di Maio.
Tutti sanno che i grillini non sono più quelli di una volta. Che i meetup inventati da Grillo per «divertirsi, stare insieme e condividere idee e proposte per un mondo migliore» sono quasi spariti, e quei pochi rimasti sono stanze dove volano i coltelli. Che l’ assalto al Parlamento – la «scatoletta di tonno» che doveva essere aperta in un attimo dall’ apriscatole grillino – si è trasformato nell’ occupazione del Palazzo, con copiosa sistemazione di amici, compagne e parenti.
Che il sogno della democrazia diretta, fatta di leggi votate online dai cittadini e di riunioni sempre rigorosamente in streaming, è stato tradito da una gestione verticistica con riunioni rigorosamente a porte chiuse.
Che la promessa di entrare a Montecitorio e a Palazzo Madama solo come «portavoce dei cittadini» – mai «onorevoli » come gli usurpatori della partitocrazia – rinunciando a ogni benefit per accontentarsi solo di uno stipendio di 3000 euro è stata dimenticata da un pezzo, sommersa da generosissime ricevute di ristoranti e alberghi di lusso.
Dall’ inaspettato successo del 2013, quando un elettore su quattro votò per Grillo, il Movimento ha cambiato linea su quasi tutto, come ha scritto benissimo Mattia Feltri su “La Stampa”.
Uno valeva uno, ora uno non vale più uno. Voleva uscire dall’ Euro e dalla Nato, ora è a favore dell’ uno e dell’ altra. Era No-Tav, No-Tap e No-Vax, ma poi ha detto sì a Tav, Tap e vaccini.
Era contro le auto blu, i cambi di casacca e le alleanze con gli altri partiti, ma ora viaggia solo in auto blu, ha il record dei cambi di casacca e si è alleato a turno con tutti gli altri partiti (eccetto Fratelli d’ Italia, ma c’ è ancora tempo).
Un solo tabù ha resistito finora: quello del limite dei due mandati. Ma si sta già cercando una scappatoia – un voto degli iscritti, per esempio – per consentire le opportune eccezioni perché, come nel romanzo di Orwell, tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Il compito che lo stesso Grillo aveva affidato a Conte era quello di prendere in mano un partito che in tre anni ha letteralmente dimezzato i suoi consensi (dal 32 per cento delle politiche al 16 degli ultimi sondaggi) riorganizzandolo rapidamente.
Oggi però risulta evidente che il fondatore e garante del Movimento voleva solo incamerare la popolarità (e i voti) dell’ ex premier, conservando per sé il potere di dire su ogni questione – dalle alleanze alle candidature, dalla comunicazione alle espulsioni – l’ ultima parola.
Quando Conte l’ ha capito, ormai era troppo tardi.
(da La Repubblica)
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