GLI ORRORI DELLA PULIZIA ETNICA IN SUD SUDAN E IL FALLIMENTO DELL’ONU
ATROCITA’ E MIGLIAIA DI VITTIME DELLA GUERRA CIVILE, OLTRE UN MILIONE FUGGITI IN UGANDA CHE NON LI RESPINGE COME FA LA RICCA EUROPA
Un’inchiesta delle Nazioni Unite e un report di Amnesty International non lasciano più adito a dubbi: in Sud Sudan si è travalicato il limite della guerra civile. Ormai è in atto una vera e propria pulizia etnica
E il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si dice pronto a sollecitare al Consiglio di sicurezza l’invio di altri “caschi blu” in supporto alla missione già dispiegata nel Paese, che finora non è riuscita a imprimere una svolta alla crisi nè a garantire protezione alla popolazione civile. Ma il suo attivismo arriva fuori tempo massimo.
Ci troviamo di fronte a un ennesimo fallimento del Palazzo di Vetro e a un vergognoso silenzio dei media mainstream.
Nonostante la gravità della situazione i riflettori sullo Stato più giovane, e povero, del mondo continuano a rimanere spenti.
La nuova spirale di attacchi, saccheggi, linciaggi e omicidi di massa ha spinto il presidente Salva Kiir a dichiarare lo stato di emergenza. Il Paese è nel caos.
Se la situazione geopolitica appare sempre più instabile, quella umanitaria è ormai al tracollo irreversibile
Unicef e Unhcr parlano di ulteriori 60 mila sfollati che si aggiungono ai 700 mila già censiti dall’inizio degli scontri.
La maggior parte sono donne e bambini che hanno lasciato ogni cosa per fuggire e mettersi in salvo.
Nonostante le ong impegnate sul campo abbiano potenziato il personale, continuano a sussistere grandi difficoltà per l’aumento continuo della richiesta di aiuto, in primis di distribuzione di alimenti e farmaci salva vita, oltre che di tende, sia nei centri di transito che in quelli stabili gestiti dall’Alto commissariato Onu per i Rifugiati in collaborazione con l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, il Programma alimentare mondiale e altre organizzazioni non governative.
Anche i vertici dell’Unione Africana, che cercano di porre fine alla crisi favorendo il dialogo tra le parti che si contrappongono con ferocia dal 2013, le forze armate leali al presidente Kiir e i militari fedeli all’ex vice presidente Reik Machar, hanno evidenziato l’importanza “prioritaria” della messa in sicurezza dei civili, soprattutto perchè gli enormi bisogni umanitari dei paesi che accolgono i profughi aumenteranno a causa della carestia che ha investito tutta la regione.
Gli operatori temono un ulteriore deterioramento delle condizioni umanitarie e non escludono possibili epidemie di colera, malaria e meningite.
L’insieme crea una miscela esplosiva che, su spinta di Guterres, dovrebbe portare all’ok del Consiglio di sicurezza dell’Onu al rafforzamento della missione con un mandato più forte e risorse adeguate per proteggere la popolazione e ristabilire l’ordine nell’area.
A spingere verso questa decisione potrebbe contribuire il nuovo rapporto di Amnesty International “If men are caught, they are killed, if women are caught, they are raped South Sudan — Atrocities in Equatoria region turn country’s breadbasket into a killing field”.
L’organizzazione per i diritti umani ha rilevato come il conflitto del Sud Sudan sia stato caratterizzato da violenze, terrore e fame costringendo nell’ultimo anno centinaia di migliaia di persone ad abbandonare il Paese e i villaggi di Stati confinanti della regione di Equatoria.
Le ricercatrici di Amnesty International hanno raccolto testimonianze e prove dei crimini commessi sia dalle forze governative che dai ribelli, atrocità che hanno spinto verso l’Uganda quasi un milione di persone.
Il precario equilibrio regionale si è definitivamente incrinato nel giugno del 2016 quando i militari di Juba hanno spinto la controparte verso Yei, cittadina strategica con oltre 300mila abitanti che rappresenta un importante snodo di scambi commerciali tra Sud Sudan, Uganda e Repubblica Democratica del Congo.
Il rapporto denuncia che le forze governative, appoggiate da milizie locali tra cui la famigerata e impunita “Mathiang Anyoor” (composta per lo più da giovani combattenti di etnia dinka), si sono rese responsabili di una lunga serie di violazioni dei diritti umani, che in scala minore sono state perpetrate anche dai gruppi armati di Machar.
Numerosi testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei hanno raccontato ad Amnesty International come le forze governative e le milizie loro alleate abbiano “ucciso numerosi civili in modo deliberato e con ferocia”.
Uno degli episodi più gravi, la sera del 16 maggio, quando i soldati di Kiir hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, costretti a entrare in una capanna poi incendiata. È evidente che questi attacchi rappresentano crimini di guerra con un solo fine: terrorizzare la gente riconducibile all’opposizione e colpirla per rappresaglia.
Con l’intensificazione dei combattimenti è cresciuto in modo esponenziale il numero dei rapimenti e delle violenze sessuali, anche su adolescenti e bambine.
Lo stupro in Sud Sudan, come in tante altre realtà della regione in cui sono nati e si sono consumati nell’indifferenza del mondo genocidi e crimini contro l’umanità indicibili, è usato come arma di guerra.
E sono proprio loro, le donne di ogni età , le vittime maggiori di questo conflitto che purtroppo è destinato a rivelarci altri e ancora più atroci orrori.
(da “Huffingtonpost”)
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