IL GIOCO DELLE TRE CARTE DEI BARI, IL DEFICIT SI PUO’ CAMBIARE MA NON SI DICE: TRA SEGRETEZZA E PROPAGANDA, ADDIO TRASPARENZA
UN GOVERNO CHE NON PUO’ DIRE AGLI ELETTORI CHE HA RACCONTATO BALLE IN CAMPAGNA ELETTORALE PERCHE’ VUOLE CARPIRE IL LORO VOTO ANCHE ALLE EUROPEE
Adesso Salvini sostiene che il governo non manderà nessun documento all’Europa. E dunque, per capire i saldi reali, bisognerà attendere l’approvazione definitiva della manovra “in Parlamento”.
Solo a quel punto, con una calcolatrice in una mano e gli emendamenti nell’altra si capirà , quale è il “numeretto” reale del rapporto deficit-Pil: se il famoso 2,4, il numero magico, fino a poco tempo fa, dell'”abolizione della povertà “, o il 2,2 o 2,1 o 2,0, che consentirebbe, in base a chissà quale calcolo, di disinnescare la procedura di infrazione, perchè, si dice adesso, “non ci appicchiamo agli zerovirgola”.
Solo allora lo capiranno gli italiani e, con loro, Juncker, Moscovici e la commissione, che, come sanno anche i bambini, si rapporta con i governi e con gli impegni che prendono, non con i sotterfugi che affidano alla dinamica parlamentare, senza dirlo.
Perchè questo è il punto: una trattativa condotta finora come un gioco delle tre carte, in cui il deficit si può cambiare, ma non si dice.
Quasi di nascosto, in modo da mostrare agli elettori la carta dell'”abbiamo mantenuto gli impegni presi” e all’Europa quella dell’azzardo ridotto sui conti.
In fondo, non è difficile camuffarlo nel gioco parlamentare.
All’inizio la manovra prevedeva un impegno finanziario non derogabile di sedici miliardi di euro da destinare alle due misure simbolo del governo gialloverde, il reddito di cittadinanza e “quota cento”. Tutto e subito.
Nell’ultima versione, quei fondi non sono più vincolati alle due misure ma possono essere utilizzati anche per altro, come la riduzione del deficit.
Adesso, proprio in virtù di questa formulazione, sarà affidato agli emendamenti il compito di far partire le due misure a marzo o aprile o a maggio.
E chissà come: quale platea di beneficiari, quali cifre distribuite, con quale meccanismo di attribuzione. §Voi capite che se i due principali capitoli di spesa slittano di un trimestre o di un quadrimestre, si risparmia un quarto o un terzo della spesa, ovvero quei tre miliardi e mezzo che corrispondono allo 0,2 di Pil.
Il che consente di spendere meno, senza dire che è stata piegata la schiena all’Europa matrigna o alle perfide tecnocrazie.
Complicato, se non impossibile, che l’Europa resti ammaliata da tale furbizia scenica, per tutta una serie di motivi che hanno a che fare con le regole e con la politica, perchè è difficile che da questo negoziato si possa uscire con un altrettanto italico “chi ha avuto, ha avuto, scurdammoce o passato” e senza un vincitore che agita lo scalpo dello sconfitto.
La verità , prima ancora dell’esito, è che anche il “governo del cambiamento” è rimasto ingabbiato, costretto a fare i conti con il set di regole italiane ed europee sui cui aveva promesso sfracelli.
E con la reazione dei mercati allegramente sottovalutata finchè “il partito del Pil” — artigiani, commercianti, partite Iva — che finora ha ingrossato la Lega nelle urne – non ha iniziato a scendere in piazza.
È in questa gabbia che nasce la “restaurazione politicista” dei sedicenti alfieri del cambiamento, che fino a pochi giorni fa attribuivano lo spread alle “parole di Juncker” o al terrorismo dei giornali o a Bankitalia e ora hanno sostituito il “me ne frego” con le ambiguità lessicali, la rivoluzione promessa col gioco di emendamenti che neanche la Prima Repubblica, il mito della trasparenza dei Palazzi con la segretezza.
Abbiamo appreso oggi che, prima dell’incontro con Juncker, mezzo governo è salito al Colle in via riservata, per un confronto proprio sulla manovra: Conte, Salvini, Di Maio, Moavero.
Notizia uscita per caso, perchè gli incontri dovevano rimanere riservati. E si capisce perchè, sempre nell’ambito di questa prassi del “si fa ma non si dice”: i leoni che ruggiscono verso l’ordine costituito non possono far sapere che accettano il bromuro della moral suasion quirinalizia.
Meglio spegnere lo streaming. Sia chiaro: è legittimo chiedere un colloquio riservato col capo dello Stato, ma l’episodio è rivelatore.
Perchè di fronte a quella che al momento sembra una clamorosa retromarcia, di politica economica e più in generale di impianto strategico sul terreno più identitario del sovranismo — il rapporto con l’Ue — sembra non esserci spazio di comprensione del discorso pubblico tra segretezza e propaganda, tra la spiegazione del “perchè” delle decisioni (e del “come” vengono prese) e i comizi in diretta facebook o in tv.
Non è questione di poco conto, considerati gli argomenti in questione, che scuotono il terreno identitario delle forze in campo.
Ad oggi non si capisce ancora, in quest’orgia di detto e non detto, il “quando”, il “come” e il “quanto” entreranno in vigore le due misure simbolo di Lega e Cinque stelle.
E non è chiaro “fin dove” il governo ha intenzione di spingersi per evitare una procedura di infrazione annunciata.
Si capisce bene che questo impianto di ambiguità , tra propaganda e segreti, consente di tornare indietro in ogni momento, anzi contribuisce alla creazione di un alibi. Per la serie: “Noi ce l’abbiamo messa tutta, volevamo realizzare tutto quello che vi abbiamo promesso, ma la perfida Europa ne ha fatto una questione di zerovirgola”.
E sarà lo spartito della campagna elettorale.
(da “Huffingtonpost”)
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