L’ANGELINO SALVATORE DEL PDL DIROCCATO: E SILVIO INVENTA IL LODO ALFANO
IL PREMIER IN CRISI NOMINA ALFANO SEGRETARIO DEL PDL, UNA CARICA CHE NON ESISTE NEMMENO NELLO STATUTO (CHE INFATTI ORA BISOGNA MODIFICARE)… LE CORRENTI INTERNE IN GUERRA, NESSUNO VUOLE FARE IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Sul far della Seconda Repubblica, per sopravvivere il berlusconismo è costretto a ricorrere alla figura più classica dell’ancient règime: quella del segretario politico.
Una svolta talmente imprevista per il Pdl, che adesso bisogna cambiare pure lo statuto del partito e poi far ratificare tutto dal Consiglio nazionale. Una liturgia da teatrino della politica.
Palazzo Grazioli, alle sei di ieri pomeriggio.
La disfatta di B. alle amministrative non porta ad alcun Venticinque Luglio, come era ormai chiaro da giorni. Palazzo Venezia è lì, proprio di fronte, ma il Gran Consiglio dell’Ufficio di Presidenza del Pdl cinquanta persone tra ministri, sottosegretari, governatori, capigruppo, capicorrente, notabili in ordine sparso, le “scomparse” Santanchè e Brambilla, finanche i “piccoli” centristi Giovanardi e Rotondi – assomiglia a un consesso degno della migliore tradizione dorotea.
Una rivoluzione che fa a dire all’ex andreottiano Cirino Pomicino, oggi nell’Udc: “Ci hanno messo vent’anni per fare un segretario, anzi hanno perso vent’anni”.
Così il quarantenne Angelino Alfano, prediletto del premier, diventa l’uomo del giorno. B. e i signori della guerra del Pdl balcanizzato affidano a lui il nuovo incarico.
Dopo le modifiche statutarie, entro la fine di giugno il Consiglio nazionale lo consacrerà burocraticamente: un lodo Alfano per Alfano stesso.
Per la serie: nascita del partito pesante teorizzato un tempo dall’ex dc Claudio Scajola contro la versione light di Marcello Dell’Utri. Che non a caso, in questa svolta, si trovano su sponde opposte. Alfano, oltre a essere l’Unto dell’Unto del Signore, è infatti espressione di un blocco moderato, mette insieme la fondazione Liberamente (Frattini e Gel-mini), gli ex An di Alemanno e Matteoli e Scajola, appunto. Contro, nonostante l’unanimismo di facciata: i triumviri Verdini (proposto a suo tempo come coordinatore unico da Dell’Utri) e La Russa, i falchi alla Santanchè, i capigruppo parlamentari Cicchitto e Gasparri.
Ad aprire la riunione è stato B., ovviamente.
Ha ripetuto la litania dei motivi della sconfitta: blocco mediatico dei comunisti, crisi economica, candidati sbagliati. In conferenza stampa aggiunge: “Abbiamo tenuto i conti in ordine e pagato dazio perchè stiamo al governo. Sono orgoglioso di non aver messo le mani in tasca agli italiani. Ma sono fiducioso: ancora oggi il Pdl è sopra il Pd di quattro punti. La sinistra è patetica: ha vinto con candidati non suoi”. Sul blocco mediatico: “Annozero micidiale interverremo in Parlamento. Colpa di Santoro e della sua visione distorta sulle città in cui si votava: sfido chiunque abbia visto quella trasmissione a scegliere la nostra parte”. Quindi la benedizione ad Alfano: “È giovane e ben voluto. Saprà ridare slancio al partito. È falso che il Pdl stia implodendo. Siamo uniti, superata la formula delle quote 70 a ex fi e 30 agli ex an”.
La conferenza stampa finisce a sorpresa. Si presenta Gianfranco Mascia del Popolo Viola che vuole parlare del referendum: “Vi spazzerà via”. B. non risponde e Mascia viene portato via di peso.
Per salvare il Capo, i gerarchi si democristianizzano.
E se tensione deve esserci, quella è contro Giulio Tremonti, nemico della riforma fiscale.
Ma il capolavoro di B. è mantenere in vita anche il triumvirato. Nessuno a casa, nemmeno il povero dimissionario Sandro Bondi: lui, Verdini e La Russa resteranno a coordinare, forse propaganda e organizzazione.
È il metodo del Cavaliere, come conferma un fedelissimo: “Berlusconi non rimuove mai nessuno, semmai aggiunge”.
Poi, sia chiaro, in tv a metterci la faccia, soprattutto contro Bersani, ci andrà Alfano, ritenuto dal premier “il migliore” nelle performance da talk-show. Come vuole sempre la tradizione dc, il segretario politico si dimetterà dagli incarichi di governo.
E questo significa far salire a due le caselle da riempire nell’esecutivo di Palazzo Chigi: Giustizia e Politiche comunitarie.
Sul successore di Alfano al ministero di via Arenula si è già scatenato un surreale psicodramma nel Pdl.
Tra le prime file nessuno aspira “a questa rogna”, per dirla con le parole di un berlusconiano, e molti temono una telefonata di B. che imponga “il sacrificio”. Il più ostinato a dire no è stato sinora Fabrizio Cicchitto, che ai suoi ha confidato: “Mi massacrerebbero”.
Altro candidato, Maurizio Lupi. Il ciellino che si vuole emancipare da Formigoni ha fiutato la trappola e aspetta che finisca positivamente il pressing su Cicchitto. Il suo vero obiettivo, infatti, è diventare capogruppo.
Cicchitto, Lupi e persino Elio Vito, l’ex radicale oggi ministro per i Rapporti con il Parlamento. Completa la rosa dei papabili, Anna Maria Bernini.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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