LA CROCIATA DI TRUMP IN AFRICA
STUPORE IN NIGERIA DI FRONTE ALLE MINACCE DELIRANTI DEL PRESIDENTE USA… LA VERITA’ E’ CHE I JIHADISTI AMMAZZANO PIU’ MUSULMANI CHE CRISTIANI
Non suonano le campane la domenica per la messa nel Nord della Nigeria, califfato africano di implacabili islamisti. Qui non c’è bisogno di fare rumore per spronare fedeli pigri. Qui si nasce prigionieri della propria croce. Ho visto i meravigliosi cristiani di Kano, Jos, Maiduguri. Serenamente tristi come quelli che vivono in tutti i luoghi in cui sono braccati dal fanatismo.
Ho visto le messe militarizzate, le messe da zona di guerra, con i soldati che pattugliano gli accessi ai luoghi di culto con le armi alla mano. Lugubri divise nere, urla e minacce a ogni auto che si avvicina: è l’ossessione della autobomba. In questo immenso Paese dove essere cristiani può essere colpa che costa la vita passa da anni la frontiera della Grande Minaccia.
Eppure ti stupisci nel vedere quanti, nonostante tutto, sono i fedeli che arrivano a frotte, ascoltano le parole del mistero e della promessa: in un luogo dove la storia del paradiso in terra, chiunque sia chi lo annuncia, non sta in piedi. Solo guerra, corruzione, miseria e odio. I nigeriani, un po’ stupiti, hanno letto che Trump vuole occuparsi dei loro infiniti guai.
Alla sua maniera: manescamente. Le chiese evangeliche, che in Nigeria hanno denaro e potere, e in America sono elettorato, devono averlo convinto che «bisogna agire». Ma ieri i nigeriani sono già tornati alla loro quotidianità, alle prese con la benzina che manca (in un Paese petrolifero! ), la violenza che dilaga, la giungla-metropoli di Lagos, la corruzione come economia parallela, le elezioni che non servono a niente, la rivoluzione delle promesse dei politicanti, oplà! , ogni volta è rimandata. A tutto questo opporranno la capacità africana di abituarsi al peggio, di dare per scontato che solo questa è la vita.
Al Nord il jihadismo nichilista, primitivo dei Boko Haram pareva in declino, ridotto a poche migliaia di apostoli convertiti alla delinquenza comune. Sarebbe una buona notizia se al loro posto non fosse cresciuto, impetuoso e letale, il potere del jihadismo stile Isis, che qui si fa chiamare Stato islamico dell’Africa dell’Ovest e conta ormai migliaia di combattenti, guerra santa che vuole amministrare, insediarsi, farsi califfato permanente e che per questo assicura a popolazioni dimenticate o maltrattate dal potere centrale denaro, cibo, kalashnikov, sogni di vendetta. Dal 2009 i morti sono 60 mila e i profughi sei
milioni.
Eppure la tragedia non è così semplice come il rozzo bricolage di Trump. Chi ha preparato i dossier per il presidente americano ha dimenticato, ad esempio, di aggiungervi la relazione di Massad Boulos, consigliere per l’Africa, che in Nigeria vive da decenni. Lo ha compilato a metà ottobre: cercava di spiegare con i numeri, i fatti, la verità nuda e cruda che i jihadisti «ammazzano più musulmani che cristiani».
Chissà se qualcuno ha parlato a Trump, ad esempio, di Ali Ngulde. È un capo dei Boko Haram che fa concorrenza ai gruppi jihadisti rivali a colpi di stragi. A settembre a Darul Jamal nello Stato del Borno, i suoi giannizzeri sono arrivati rombando e sparando a bordo di decine di moto. In città c’era una base militare, i civili pensavano, illusi, di essere al sicuro. Non si sono visti soldati mentre gli assalitori scorrazzavano, dando fuoco alle case e sparando su tutto ciò che si muoveva senza chiedere a che religione appartenessero. I soldati sono usciti dalla base per contare i morti.
Ad agosto un gruppo di “banditi” ha attaccato la moschea a Unguwar Mantau nello stato di Katsina mentre i fedeli erano in preghiera: decine i morti. Poi gli assalitori hanno bruciato i villaggi vicini. Il “genocidio” jihadista dei cristiani, così netto nelle minacce di Trump, sembra di colpo complicarsi. Qui la violenza nasce in realtà dalle lotte, antichissime, tra allevatori e contadini per il controllo della terra e dell’acqua.
Le faide sanguinose tra contadini, in maggioranza cristiani, e allevatori di etnia “peul”, musulmani che il califfato ha efficacemente arruolato come fanteria omicida, vengono presentate come scontri religiosi. Per rendere le cose più semplici, per assolversi dalle responsabilità politiche. In realtà tutto affonda nella miseria, nella assenza e nella corruzione dello Stato, nella disperata necessità di assicurarsi le terre migliori per sopravvivere.
Chissà se gli eventuali raid degli F-35 o i missili made in Usa serviranno contro questi “banditi”, così la definisce la reumatica e impotente diligenza burocratica del governo: decine di piccoli caudilli criminali specializzati soprattutto in abigeato e sequestri. Studentesse e commercianti, in maggioranza musulmani finiscono nella rete. Tutto si fa opaco, jihadismo e criminalità si confondono e si intersecano. Auwalu Daudawa, per esempio, era una specie di bandito Giuliano della savana, uno dei pochi che hanno accettato l’offerta del governo di abbandonare il mitra in cambio di una grossa somma di denaro.
Era uno dei tanti capi briganti in rapporti di affari con il mitologico Shekau il califfo dei Boko Haram. La maggior parte dei sequestri sono commissioni islamiste, come nel Sahel: poi si fa a metà. Circolavano a Maiduguri tariffari per i riscatti: far uscire vivo un notabile dalla foresta degli orchi costava cinque milioni di “naira”, dodicimila euro.
È nata una terribile economia di guerra in cui tutti ingrassano, jihadisti funzionari corrotti soldati mercanti che riforniscono i guerriglieri nei loro santuari. Si allarga il mestiere del mediatore,
specializzato nelle zone grigie tra uno Stato impotente e i signori delle foreste che impinguano con il crimine i forzieri di Dio. Si recluta nelle scuole coraniche radicalizzate e nella piccola delinquenza, l’islamismo si gonfia soprattutto nella miseria e nella rabbia contro le élite predatrici del Sud. Funziona sempre.
Forse bisognerebbe mostrare a Trump le immagini dei bambini ricoverati nei centri di Medici Senza Frontiere a Kano e a Katsina, le terre dei “banditi” e dei Boko Haram: i piccoli relitti di una devastante crisi alimentare che squassa un gigante petrolifero, dove non si contano i milionari della corruzione e del malaffare. Secondo l’Unicef 33 milioni di nigeriani sono alla fame, tre milioni e mezzo di bambini soffrono di malnutrizione acuta. La liberalizzazione della moneta locale ha triplicato i prezzi e portato l’inflazione al trenta per cento.
Sarebbe scortese spiegare a Trump che una delle cause della catastrofe sono le riduzioni degli aiuti umanitari da parte degli Stati Uniti e di Paesi come la Francia e il Regno Unito? Il governo americano, il suo, ha appena venduto alla Nigeria «per lottare contro il jihadismo» armi per 346 milioni di euro. Un ottimo affare
Domenico Quirico
(da lastampa.it)
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