MI SCRIVE UN ORANGO: “NON TOCCATE CALDEROLIâ€
“HO INSEGNATO IO A ROBERTO A USARE LE POSATE E A SBUCCIARE LE BANANE PRIMA DI INGOIARLE INTERE. E BISOGNA CAPIRE LE DIFFICOLTA’ DELL’HOMO PADANUS, COSTRETTO A VIVERE IN UNA REGIONE CHE NEMMENO ESISTE”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
«Io zono Wala Paipan quarto, principe ereditario del Regno degli Oranghi,
attualmente con zede vacante a cauza della diztruzione ziztematica delle forezte dell’Asia meridionale e delle grandi izole e penizole zottoztanti.
Mi zcuzo per l’italiano imperfetto, noi oranghi ci ezprimiamo normalmente in zetico, un idioma arboreo che lazcia evidenti tracce anche quando uziamo le altre lingue. A meno che voi pozziate darmi un aiuto inzerendo il voztro correttore automatico, grazie…. Così va decisamente meglio.
«Vi scrivo in merito alla appassionante questione etnica sollevata da un emerito rappresentante del vostro Paese, il vicepresidente del Senato Calderoli, che ho l’onore di avere personalmente conosciuto durante una sua visita ufficiale nel Borneo. Gli ho insegnato a mangiare con le posate e a sbucciare le banane prima di ingoiarle intere, e abbiamo molto simpatizzato. Mi occupo per diletto di zoologia (ma il mio vero ramo, al quale sono appeso anche in questo momento, è la botanica) e senza la pretesa di trarre conclusioni definitive posso dirvi quanto segue
Tra i grandi primati , dotati di facoltà diverse ma tutti situati sui gradini più alti della scala evolutiva (in ordine decrescente: l’orango, il gorilla, lo scimpanzè, l’uomo) il solo nei confronti del quale la scienza serba ancora il dubbio di una effettiva inferiorità è homo padanus, una piccola tribù dell’Europa meridionale.
Poichè, come tutti gli esseri senzienti e civili, detesto fare affermazioni discriminanti, mi sento in obbligo di spiegarmi meglio.
Mentre noi oranghi sappiamo di essere oranghi, i gorilla di essere gorilla, i francesi di essere francesi, i congolesi di essere congolesi, homo padanus è convinto di appartenere a una specie inesistente: appunto il padano.
In psicoanalisi, diremmo che si è di fronte al classico fantasma paranoico.
Un antropologo preferirebbe parlare di simulazione etnico-culturale, con pochissimi precedenti nella storia: il più noto riguarda gli elefanti di Annibale che, dopo un mese di attraversamento delle Alpi, sostenevano di essere maestri di sci della Val di Fassa. Noi oranghi preferiamo pensare, secondo i dettami della nostra cultura olistica e della nostra natura cordiale, che i padani siano semplicemente “compagni che sbagliano”, cioè scimmie proprio come noi, come gli italiani, come i congolesi, però inconsapevoli della loro identità e del loro destino, che è comune a quello di tutte le grandi scimmie
Noi grandi scimmie siamo destinate a condividere lo stesso habitat. Anche se la specie meno intelligente tra noi, l’uomo, è impegnata soprattutto a distruggerlo.
Ho visto delle fotografie della terra dove vivono i sedicenti e secredenti padani. Consiste in una serie ininterrotta di rotatorie stradali e capannoni. A perdita d’occhio. La sola specie vegetale tutelata è il cipresso dell’Arizona, una orribile aghifoglia bluastra, dall’aspetto plasticoso, che viene usata per fare tristi siepi di tristi villette.
Il padano tipico, dunque, nasce e cresce tra una siepe di cipressi dell’Arizona e una rotatoria stradale: come fa a diventare normale?
Prima di criticare l’aspetto fisico, effettivamente impressionante, del signor Calderoli o del signor Borghezio, riflettete sulle spaventose condizioni ambientali nelle quali sono cresciuti.
Perfino io, che ho portamento regale, braccia in grado di sradicare un albero, genitali enormi, la bocca larga più di un metro e un folto pelame color ruggine che adorna tutto il corpo, se fossi vissuto tra quelle rotonde stradali e quei capannoni sarei ridotto come loro: un fantoccio pallido e sovrappeso con un forte complesso di inferiorità nei confronti delle altre scimmie.
Vi invito, in conclusione, a non discriminarli.
Non è di disprezzo che hanno bisogno, ma di soccorso e di cure.
A voi il tipico saluto augurale degli oranghi: zoa-zuu-zeka. Che vuol dire: a ognuno il suo albero, purchè non sia un cipresso dell’Arizona».
Michele Serra
(da “L’Espresso“)
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