Destra di Popolo.net

TRUMP ORA VUOLE SCARICARE LA CRISI SU NATO ED EUROPA, DOPO AVER CAUSATO IL CONFLITTO

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

PAUSA TATTICA TRA USA E IRAN DOPO I PRIMI COLPI: ENTRAMBI PROVANO AD ALLARGARE LA PROSPETTIVA DELLA CRISI

Retromarcia dal precipizio. Per riportare il gioco allo zero a zero e allargare l’inquadratura della contrapposizione con l’Iran alla comunità  internazionale, chiamando in causa un maggiore coinvolgimento della Nato e dunque dell’Europa in Medio Oriente.
È questo il nucleo del discorso di Donald Trump alla nazione, all’indomani della risposta militare iraniana al raid in cui gli Usa hanno ucciso il generale Qasem Soleimani.
Una risposta, quella iraniana, attentamente calibrata e studiata per essere inattaccabile dal punto di vista del diritto internazionale, come ha sottolineato oggi il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif .
E una risposta che, non a caso, non ha provocato vittime tra i soldati americani e ha causato solo “danni minimi” alle basi americani.
La vendetta iraniana, almeno per ora, si è fermata a un livello simbolico e di deterrenza.
Un fatto che, allargando lo sguardo, ha dei vantaggi per entrambi i protagonisti: per Washington, che così può rivendicare di aver ucciso “uno dei più grandi terroristi del mondo”, e per Teheran, che di fronte a un Occidente diviso, e con alle spalle pesi massimi come Mosca e Pechino, ha tutto l’interesse a restare nel perimetro delle Nazioni Unite rispettandone le leggi.
Dopo il confronto muscolare dei giorni scorsi – innescato dal raid che ha ucciso Soleimani e accompagnato dalle dichiarazioni incendiarie del presidente Usa su Twitter e dai gridi di vendetta dei leader sciiti, dall’Iran all’Iraq, passando per il Libano — quello che si registra oggi è un tentativo di inquadrare lo scontro in una cornice più ampia, che allenti la tensione diretta tra Washington e Teheran invitando Nato, Onu e Unione Europea a condividere la responsabilità  di ciò che accade in Medio Oriente.
“Chiederò alla Nato di diventare molto più coinvolta nel processo mediorientale”, ha detto oggi Trump parlando alla Casa Bianca, circondato da tutto lo stato maggiore della sua amministrazione.
Mentre restano da chiarire i termini — e i presupposti – di questa richiesta, è chiaro ciò che Trump intende dire: il perno americano dell’Alleanza atlantica vuole dagli alleati più impegno in Medio Oriente.
§Attualmente nella regione la Nato ha missioni in Afghanistan e in Iraq, dove dall’estate del 2018 è impegnata nell’addestramento e nel capacity-building delle forze di sicurezza irachene, su richiesta del governo di Baghdad e in collegamento con la coalizione internazionale anti Isis. Un impegno che Trump vorrebbe più forte, come dimostra il suo richiamo rivolto in primis ai Paesi europei. E un contatto Trump-Nato c’è stato.
“Il segretario generale della   Nato Jens Stoltenberg ha ricevuto una telefonata dal presidente Usa Donald Trump incentrata sugli sviluppi in Medio Oriente. I due hanno discusso della situazione nella regione e del ruolo dell’Alleanza”, riferisce la Nato precisando che “Trump ha chiesto a Stoltenberg “che la Nato sia più coinvolta in Medio Oriente”.
I due “hanno convenuto che la Nato potrebbe contribuire maggiormente alla stabilità  regionale e alla lotta contro il terrorismo internazionale” e hanno anche concordato di rimanere in stretto contatto sulla questione”.
La Nato ricorda che sta “svolgendo un ruolo chiave nella lotta contro il terrorismo internazionale, anche attraverso la formazione di missioni in Iraq e in Afghanistan e come membro della coalizione globale per sconfiggere l’Isis”.
Il presidente Usa ha chiesto all’Europa e agli attori che hanno firmato l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano di abbandonare ciò che resta di quell’accordo “difettoso” e destinato comunque a “scadere in breve tempo”, offrendo all’Iran un percorso chiaro e rapido allo sviluppo dell’arma nucleare.
I toni usati dal presidente nei confronti della Repubblica islamica restano duri, come dimostra l’annuncio di “nuove sanzioni economiche immediate”, ma gli Usa “non vogliono fare ricorso all’uso della forza militare”, visto che Teheran sembra voler “allentare la tensione” (standing down), “il che è una buona notizia per tutte le parti interessate e un fatto molto positivo per il mondo”.
Per il futuro, Trump auspica “un accordo che consenta all’Iran di prosperare e sfruttare il suo enorme potenziale inutilizzato”.
Allontanato lo spettro dell’escalation militare, bisognerà  vedere su quali livelli si indirizzerà  la rappresaglia indiretta del Paese ayatollah, e in quali terreni.
Per quanto riguarda l’inserimento della crisi nel perimetro della comunità  internazionale — voluto da entrambe le parti — è arrivato il plauso dell’Onu alle parole di Trump.
Se la mossa di The Donald è chiara — scaricare la crisi sulla Nato, e nello specifico sull’Ue — restano da testare volontà  e capacità  dell’Europa di farsi carico di un ruolo di maggiore responsabilità  in Medio Oriente.
Nei giorni scorsi l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell ha invitato il ministro degli Esteri Zarif a Bruxelles. Una visita la cui data resta ancora da stabilire, ma che a questo punto assume un peso ancora maggiore.

(da “Huffingtonpost”)

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LA MEDIAZIONE SULLA LIBIA SI INCEPPA SUL PIU’ BELLO

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

IL TENTATIVO EUROPEO, CON L’APPOGGIO DI PUTIN, DI RIPORTARE IN MANI ITALIANE LA GESTIONE DELLA CRISI LIBICA CROLLA MISERAMENTE PER L’INIMICIZIA DI HAFTAR E SARRAJ

La mediazione europea e italiana sulla Libia si inceppa sul più bello.
Quando il premier del governo di Tripoli Fayez al Serraj scopre che la sua visita a Palazzo Chigi è stata anticipata nel pomeriggio dal suo rivale Khalifa Haftar, “l’aggressore” come l’ha definito negli incontri di oggi a Bruxelles, annulla il colloquio con Giuseppe Conte, convinto che il premier italiano voleva fargli incontrare il generale della Cirenaica.
Così riferiscono fonti del governo, sottolineando che invece il faccia a faccia tra Haftar e al Serraj a Roma non era mai stato in programma. Conte avrebbe voluto incontrare entrambi, ma separatamente.
Comunque sia andata, dopo gli incontri istituzionali a Bruxelles, al Serraj se ne torna a Tripoli, senza passare per Roma.
Un inciampo dell’ultimo minuto che fiacca l’iniziativa comune sulla Libia avviata dall’Ue solo da ieri, benchè non la smonti: è destinata ad andare avanti, riferiscono fonti europee, con l’obiettivo di portare entrambi i rivali alla stessa conferenza di Berlino entro il mese di gennaio: da un lato, al Serraj, fresco di accordi militari con la Turchia, e Haftar, il generale della Cirenaica che gode dell’appoggio dei russi, dei francesi, degli egiziani e degli Emirati Arabi.
Ma oggi l’unico respiro di sollievo arriva dall’incontro di Vladimir Putin con il presidente turco Erdogan ad Ankara: i due dominus del nuovo confronto militare in Libia chiedono il cessate il fuoco a partire da domenica.
E’ questa la notizia che rassicura — per ora — Bruxelles e le capitali europee a partire da Roma, dove invece la mediazione diplomatica si inceppa.
Conte riceve Haftar, ma a sera, al termine di ore di vertice, il premier non può nemmeno rivendicare questo risultato. Perchè gli è costato l’irritazione di al Serraj, rovinando lo sforzo diplomatico di apparire equidistanti tra i due.
Nessuna dichiarazione, nè sua, nè di Haftar al termine del faccia a faccia. Il generale libico se ne torna in Cirenaica con il lungo corteo di auto blu che lo ha accompagnato a Palazzo Chigi e annulla anche la presunta visita a Bruxelles, di cui non si aveva notizia ufficiale ma ufficiosa sì.
Il ‘cessate il fuoco’ suggerito da Putin e accordato da Erdogan infiocchetta invece la giornata di celebrazione degli accordi energetici tra Russia e Turchia (i due oggi inaugurano il nuovo Turkstream, gasdotto che porterà  il gas russo in Turchia e in Europa) e spazza via per il momento la preoccupazione maggiore a livello europeo: il rischio che in Libia inizi una guerra per procura, agita da attori esterni, la Turchia che è membro della Nato contro la Russia.
Ma l’equilibrio — se si può parlare di equilibrio — è precario. Imbastito all’ultimo solo a partire da ieri, quando in via stroardinaria viene convocato un vertice dei ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna a Bruxelles con l’Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell. E’ il primo timido passo di una iniziativa europea che porta agli incontri di oggi.
In sostanza, raccontano fonti diplomatiche, il cambio di passo europeo è dovuto alla maturazione della consapevolezza che lasciare l’iniziativa sulla Libia alle sole Italia e Francia, le più esposte e con interessi contrapposti nella regione, avrebbe portato a un fallimento a livello di Unione.
Ecco perchè, a partire dal vertice ministeriale di ieri, sono stati in particolare i francesi a spingere il loro interlocutore privilegiato in Libia, Haftar, a compiere quel passo che oggi pomeriggio lo ha portato a Roma da Conte: del tutto a sorpresa.
A Palazzo Chigi ci sarebbe dovuto arrivare anche al Serraj, ma all’ultimo minuto ha cancellato la visita, irritato per la presenza di Haftar nella capitale italiana. O almeno così ha lasciato dire ai suoi.
Molto più probabile che il premier di Tripoli, riconosciuto dall’Onu, abbia voluto far pesare le proprie ragioni. Le stesse che ha riferito all’Alto rappresentante Borrell nell’incontro di oggi a Bruxelles e poi al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e al presidente dell’Europarlamento David Sassoli.
In sostanza, dice al Serraj, “in Libia la questione è molto chiara: ci sono un aggressore, che è Khalifa Haftar, e un aggredito che è il governo di Tripoli formalmente riconosciuto dal mondo che si sta difendendo”.
E’ un “diritto” del Governo di accordo nazionale “stringere alleanze con diversi autori per difendersi”, continua, difendendo l’accordo economico e militare stipulato prima di Natale con la Turchia.
Parole pesanti contro Haftar. Al Serraj vuole prima verificare se la tregua chiesta da Putin sarà  rispettata dal generale di Tobruk. Oppure se seguiranno altri attacchi come quello all’Accademia militare di Tripoli che ha dato inizio all’escalation la settimana scorsa.
“Ho rinnovato l’appello per uno stop immediato al conflitto militare che arreca soltanto lutti e sofferenze alla popolazione civile — dice Sassoli dopo il colloquio con al Serraj – La soluzione alla crisi non può essere militare ma passa solo attraverso un processo politico inclusivo di tutte le componenti del paese, sotto l’egida delle Nazioni Unite e senza alcuna ingerenza esterna.
Intanto, l’iniziativa unitaria europea si inceppa non solo a Roma ma anche al Cairo dove il ministro degli Esteri Luigi Di Maio non firma la dichiarazione conclusiva comune dopo il vertice con Francia, Egitto, Cipro e Grecia. Motivo: troppo sbilanciata e troppo dura contro la Turchia e al Serraj”.
“Il processo di Berlino – ha sintetizzato il titolare della Farnesina – non ci deve vedere sbilanciati da una sola parte”.
Perchè l’obiettivo dell’iniziativa europea sulla Libia è portare al Serraj e Haftar a sedersi allo stesso tavolo alla Conferenza di Berlino, che dovrebbe tenersi nella seconda metà  di gennaio.
La presenza dei libici non era prevista nel format iniziale pensato lo scorso autunno. Ma adesso la situazione sul campo è cambiata: portare i due rivali a parlarsi sarebbe un grosso successo per l’Ue, fresca di nuova legislatura, nuova Commissione europea. Della serie: non sono permessi passi falsi.
Non a caso, la riunione settimanale della Commissione oggi si concentra proprio sulle crisi in Libia, Iran e Iraq. “L’utilizzo delle armi deve fermarsi per dare spazio al dialogo”, dice la presidente Ursula Von der Leyen.
Insomma, l’Ue corre ai ripari e, quando sceglie la via comunitaria, ce n’è per tutti un po’. Conte intasca il successo dell’incontro a Roma con Haftar, anche se non può rivendicarlo perchè gli va male con al Serraj.
La Francia fa un passo indietro che non la fa sfigurare, visto che il cessate il fuoco arriva dallo stesso Putin, sostenitore anche lui di Haftar.
La Germania spera di riuscire a ospitare la conferenza di Berlino sulla Libia.
Grazie a Putin, l’Ue tira un respiro di sollievo. O magari anche grazie — indirettamente — al nuovo conflitto in corso tra Usa e Iran.
Troppi fronti aperti, consigliano prudenza. E in più Russia e Turchia sono entrambe alleate dell’Iran: sconveniente fronteggiarsi in Libia in questa fase. Sempre che i libici riescano a dialogare tra loro: ma questa è la storia ancora da scrivere.

(da “Huffingtonpost”)

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COMMENTA LA TRAGICA MORTE DEL RAGAZZINO IVORIANO NEL CARRELLO DELL’AEREO A PARIGI: “HA PENSATO DI FARSI RIMBORSARE IL BIGLIETTO? “

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

SI E’ RAGGIUNTO IL PUNTO PIU’ BASSO DI BARBARIE DEI SEMINATORI DI ODIO… NO, CON QUESTA FOGNA LE DISCUSSIONI SONO FINITE

“Ha pensato di farsi rimborsare il viaggio?” Se esiste, il punto più basso di quest’epoca di barbarie e inumanità  lo abbiamo toccato oggi, alle 13 meno qualche minuto, su questa pagina Facebook, da parte di una donna, una nonna che tiene in braccio un nipote di qualche mese appena e commenta così la notizia del rinvenimento del corpo di un ragazzo africano di 10 anni, trovato morto per congelamento all’aeroporto di Parigi nel carrello d’atterraggio di un Boeing 777 proveniente dalla Costa d’Avorio. A leggerlo, fa venire ancora i brividi.
Questo non è il commento di una odiatrice isolata ma l’istantanea spaventosa di un pezzo enorme di Italia che pensa, odia, vota
Ma è anche l’Italia delle centinaia di persone che hanno risposto, hanno denunciato, segnalato, costringendo l’autrice a cancellare il messaggio.
Ripartiamo da qui, vi prego, non smettiamo mai di alzarci in piedi, di prendere posizione, fino a quando un messaggio come questo provochi talmente tanta vergogna da non essere nemmeno concepito.

Lorenzo Tosa

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LO HANNO TROVATO MORTO CONGELATO ALL’INTERNO DEL CARRELLO DI UN BOEING, AVEVA 10 ANNI, SOGNAVA L’EUROPA E UNA VITA DIGNITOSA

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

UNO DI MENO A DISTURBARE LE VOSTRE VITE, ORA SIETE PIU’ TRANQUILLI?

Lo hanno trovato morto a Parigi all’interno del carrello d’atterraggio di un Boeing 777 proveniente dalla Costa d’Avorio. Morto congelato.
Da solo, senza nome, senza una storia, nel fondo di un aereo in volo verso il mondo “civilizzato”. Aveva 10 anni. Si era imbarcato di nascosto ad Abidjan in cerca di una vita migliore, ammazzato dall’abbandono e dal freddo che, a 10.000 metri d’altitudine, arriva fino a -50 gradi.
Quelli come lui li chiamano “clandestini”. E lui da clandestino è vissuto e morto, in silenzio, lontano dai genitori.
Immaginate solo per un attimo, se ci riuscite, cosa deve aver vissuto un ragazzo di dieci anni che decide di imbarcarsi su un volo del genere, in quelle condizioni, per aggirare muri e frontiere più o meno fisici e reali.
Immaginate, se ci riuscite, se al suo posto ci fosse stato vostro figlio.
Ma forse, in fondo, va bene così.
Uno in meno nelle vostre strade, uno in meno a disturbare le vostre vite, uno in meno a rubarvi lavoro e tradizioni. È morto un clandestino.
Siete più tranquilli? Sognava l’Europa, alla fine c’è arrivato, ma non la vedrà  mai.
Aveva 10 anni. Scusaci.

Lorenzo Tosa

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IL SOVRANISTA SALVINI E’ TROPPO IMPEGNATO A LODARE TRUMP PER RICORDARE “GLI ITALIANI IN DIVISA” CHE RISCHIANO LA PELLE IN IRAQ

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

TROPPO PRESO A FARE SELFIE, BERE CAFFE E COMPRARSI MUTANDE

Avevamo lasciato Matteo Salvini a complimentarsi con Donald Trump per l’omicidio del capo delle Forze al-Quds, il generale iraniano Qassem Soleimani.
Lo troviamo oggi, dopo le notizie dell’attacco missilistico su Erbil, a fare quello che fa ogni giorno: bere caffè, augurare il buongiorno, ad emozionarsi per il rombo di una ruspa o a comprare delle mutande di ricambio.
I piccoli piaceri della vita di un politico che la propaganda vuole raccontarci come il più normale tra gli uomini comuni.
Eppure c’è qualcosa che manca, perchè Salvini non ha detto nulla sul rischio che corrono i militari italiani presenti in Iraq.
Ad Erbil ad esempio è dislocata una parte consistente dei circa mille militari italiani attualmente presenti in Iraq che dal 2015 operano nell’ambito della Task Force Land con compiti di addestramento ai militari iracheni.
Gli uomini delle forze armate italiane presenti ad Erbil sarebbero al momento circa 400, di cui 120 istruttori.
Per fortuna nessuno ha subito conseguenze dell’attacco iraniano, altrimenti sì che Salvini era nei guai, visto che molti dei suoi follower (e diversi sovranisti duri e puri) hanno duramente criticato la sua scelta di schierarsi immediatamente a fianco di Trump.
Salvini però è pur sempre quello che il giorno dopo la nascita del Governo Conte 2 dichiarava durante una diretta su Facebook di sentirsi in cuor suo ancora il ministro di tutti gli uomini e le donne in divisa «continuo e continuerò ad essere orgogliosamente il ministro, anche senza poltrone al Ministero, delle donne e degli uomini in divisa». Compresi anche i militari, che in teoria dipendono dal Ministero della Difesa, «non è un addio, è un arrivederci. Lo dico ai poliziotti, ai carabinieri, ai militari, ai vigili del fuoco, ai finanzieri, alle guardie giurate, agli agenti della penitenziaria e della polizia locale».
Oggi però per i militari che rischiano la vita in Iraq Salvini non ha speso ancora il tempo di un post, magari con una bella foto in divisa di quelle che sa fare tanto bene.
Massima concentrazione invece a farsi selfie tra la gente mentre passeggia per il mercato.
Il leader della Lega ha trovato pure il tempo di denunciare anche l’ennesimo caso di violenza da parte di uno straniero per lamentarsi che il PD vuole cancellare il Decreto Sicurezza (quello che ci ha riempito di irregolari).
Ieri invece si era eccitato come un bambino a sentire il suono di una bella ruspa gialla, non prima di aver fatto una puntatina in edicola e nel negozio di biancheria intima.
Sui militari italiani ancora nulla, nemmeno un pensierino piccolo piccolo. Ma non era il ministro di tutti gli uomini in divisa?
Il fatto è che quando si tratta di agenti della Penitenziaria, immigrati, sardine e compagnia cantante per Salvini è facile indicare ai suoi chi sono i buoni e quali sono i cattivi.
In Iraq la situazione invece è un po’ più complicata, soprattutto se ti proclami sovranista, e Salvini non è in grado di proporre un’analisi del problema che riesca a portare acqua al suo mulino.
I militari italiani in Iraq se ne facciano una ragione, per ora non servono alla Lega.

(da “NextQuotidiano”)

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IL SALTO CARPIATO DELL’EX DEPUTATA ELEONORA CIMBRO: DAL PD ALLA LEGA, PASSANDO PER LEU

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

E SALVINI FIRMA DI PERSONA LA TESSERA DELL’EX COMUNISTA, TROMBATA ALLE ULTIME POLITICHE E CHE DUE ANNI FA SCRIVEVA CHE IL LEGHISTA SCATENAVA UNA GUERRA TRA POVERI E VOLEVA USCIRE DALL’EUROPA

Dal Pd alla Lega, passando però dalla sinistra-sinistra di Liberi e Uguali.
Una traiettoria politica repentina e da far venire le vertigini, quella di Eleonora Cimbro. La ex parlamentare dem, infatti, al termine della scorsa legislatura aveva abbandonato il partito per passare con Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, che avevano dato vita a Mdp.
Era stata pure candidata alle Politiche, senza risultare eletta. Ora, dopo un lungo avvicinamento durato mesi, il passaggio al partito di Matteo Salvini. Con la tessera gentilmente consegnata dallo stesso segretario federale.
A rendere più semplice la scelta della 42enne di Bollate ci sarebbe il pressing del marito, che invece leghista lo è da tempo.
Cimbro ha fatto presto a riposizionarsi. Già  nei mesi scorsi era stata intravista in alcune iniziative della Lega milanese e lombarda, salutata con un affetto “sospetto” – vista la sua provenienza – dai dirigenti del partito.
Segnale insomma che l’avvicinamento correva spedito. Fino all’epilogo: a Cimbro la nuova tessera è stata consegnata dallo stesso Salvini prima di Capodanno. Nel frattempo la conversione ideologica di Cimbro sembra procedere a passo spedito.
Adesso sui Cimbro social posta foto delle proprie letture “impegnate”, tipo Diego Fusaro, con pensose determinazioni: “È necessario, dunque, ritornare ad una sovranità  nazionale forte, in grado di preservare cultura, tradizioni e confini”.
Esattamente due anni fa, invitando a votare LeU, spiegava ai propri potenziali elettori in un video su YouTube: “Dentro al centrodestra c’è un Salvini che ha come unico obiettivo quello di scatenare una guerra tra poveri in Italia che non servono a nessuno, e a uscire dall’Europa che è forse l’unico contenitore nel quale possiamo verosimilmente stare”.

(da agenzie)

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VITO COMENCINI, IL DEPUTATO LEGHISTA CHE SCAMBIA IL LATINO PER L’INGLESE

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

L’ESILARANTE INTERVENTO IN PARLAMENTO DOVE CITA LA RIVISTA DI GEOPOLITICA LIMES (LINEA DI CONFINE, IN LATINO)   MA PENSA CHE SIA INGLESE E PRONUNCIA LAIMS…   HA GIA’ UNA DENUNCIA PER VILIPENDIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

In un esilarante spezzone di video segnalato da Nomfup su Twitter e che potrebbe diventare presto una meravigliosa hit da discoteca con un’aggiunta di base dance possiamo ammirare il deputato della Lega Vito Comencini che, volendo citare un articolo di Olga Mattera su Limes pronuncia il nome della rivista di geopolitica così: “Laims“.
Inutile dire che la parola Limes non è inglese ma latina, mentre l’articolo che Comencini voleva citare è questo.
Comencini è il deputato che qualche tempo fa disse che Mattarella gli faceva schifo.
Di professione coltivatore diretto, proveniente da Bussolengo, nel Veronese, imputava al presidente della Repubblica di non aver sciolto le camere quando lo diceva Salvini.
Per questo, esattamente come Salvini (anche se nel caso del Capitano il soggetto presuntamente vilipeso è la magistratura), è stato indagato per vilipendio.
Le frasi dell’esponente del Carroccio hanno spinto il procuratore della Repubblica di Verona, Angela Barbaglio, a inviare per competenza a Bergamo il fascicolo d’indagine. L’inchiesta è partita dopo un esposto presentato da Mao Valpiana, esponente del Movimento non violento di Verona.

(da “NextQuotidiano”)

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LA GUERRA DEL GAS TRA USA, IRAN E RUSSIA: COSA C’E’ DAVVERO DIETRO L’UCCISIONE DEL GENERALE SOLEIMANI

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

IL PETROLIO VA VERSO L’ESAURIMENTO E IL GAS NATURALE E’ L’UNICA ALTERNATIVA…IRAN E RUSSIA SONO I MAGGIORI PRODUTTORI AL MONDO DI METANO, GLI USA SONO INDIETRO E UN CONFLITTO IN MEDIO ORIENTE FAREBBE COMODO A TRUMP

Il picco petrolifero, cioè il momento in cui i giacimenti di petrolio progrediranno verso l’esaurimento, verrà  raggiunto nel 2020.
Il ricorso al fracking, la fratturazione idraulica che utilizza solventi per frantumare le rocce del sottosuolo, potrà  spostare in avanti questo periodo ma con alti rischi per l’ambiente e aumento del costo del greggio.
In ogni caso il periodo in cui era possibile estrarre petrolio a basso costo e con pochi rischi è definitivamente finito. Le ricerche per sviluppare energie alternative e rinnovabili come il solare termodinamico, idrogeno e fusione nucleare sono in corso ma per mettere appunto i sistemi di produzione e trasporto economicamente favorevoli di queste energie ci vorranno ancora decenni.
Attualmente l’unica via alternativa veramente praticabile, ma ancora fossile e quindi esauribile, è il gas naturale, il metano.
I maggiori produttori di gas sono la Russia e l’Iran, alleati politicamente, che però hanno sempre avuto varie difficoltà  nel trasporto di questa forma energetica.
Per la Russia la via marittima necessita di viaggi molto lunghi e spesso complessi per le difficoltà  di navigazione dei mari vicini al circolo polare artico ed è costosa per la necessità  di liquefare il gas in modo da poterlo stoccare nelle navi.
Per la Russia e per l’Iran anche la realizzazione di gasdotti ( pipeline ) è spesso risultata complicata per questioni geologiche — come grosse catene montuose — e geopolitiche — con conflitti armati nei territori percorribili.
La Gazprom, la più grande compagnia russa per la produzione di gas sta proseguendo gli sforzi per incrementare la rete di gasdotti verso l’Asia e verso l’Europa. I due mercati più importanti al mondo che necessitano di energia essendo sprovvisti di grandi giacimenti fossili.
Per la Russia l’esportazione di Gas è di vitale importanza. Il 70 per cento delle esportazioni russe riguarda il gas. Metà  delle entrate dello Stato deriva dalla vendita di petrolio e dal gas naturale. Senza poter vendere gas, il rischio di default per l’economia russa è concreto.
Anche per l’Iran i giacimenti energetici fossili sono determinanti per l’economia. Circa l’80 per cento degli introiti delle esportazioni deriva dallo sfruttamento di petrolio e gas. L’Iran è il secondo produttore mondiale di gas naturali dopo la Russia, con il 18 per cento dell’intera riserva mondiale.
Tre sono i gasdotti russi in realizzazione e comunque determinanti nello scenario geopolitico. Il gasdotto Power of Siberia, tra la la regione Yakutia e il confine russo-cinese, è stato inaugurato il 2 dicembre scorso, è la principale infrastruttura nel trasporto di gas naturale in tutto l’oriente russo. Si estende per circa 3mila chilometri, dagli enormi giacimenti siberiani.
La realizzazione del gasdotto Turkish Stream è al 95 per cento della lunghezza totale della sezione offshore (cioè costruito sul fondale marino). Il TurkStream attraversa il Mar Nero per raggiungere la Turchia, poi dovrebbe collegare la Bulgaria, Serbia e l’Italia.
Infine il Nord Stream 2, che affiancherà  il Nord Stream 1, è anch’esso quasi terminato. Sarà  il gasdotto più lungo del mondo.
Trasporterà  gas naturale per 1.230 chilometri, dalla costa baltica della Russia per passare nelle acque territoriali della Finlandia, Svezia, Danimarca fino in Germania, lì il gasdotto verrà  allacciato alla rete di distribuzione dell’Unione Europea. Sarà  alimentato direttamente da una delle più grandi riserve di gas naturale al mondo: quella di Bovanenkovo nella penisola di Yamal nella Russia settentrionale, dove al momento si stima ci siano quasi 5.000 chilometri cubi di gas.
Le forniture energetiche che la Russia sta proponendo verso Occidente ed Oriente rappresentano per il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati una sfida sia commerciale che politica. I competitor sauditi e statunitensi stanno quindi cercando di applicare tutte le contromisure possibili.
Il 20 dicembre scorso il presidente statunitense Donald Trump ha promulgato un progetto di legge per contrastare le espansioni russe riguardanti la distribuzione del gas.
Le sanzioni americane coinvolgono la Russia e la Turchia e le imprese coinvolte nella costruzione dei gasdotti Nord Stream 2 e TurkStream.
Le misure andranno a colpire le ditte e le persone fisiche coinvolte, annullando i loro visti per gli Stati Uniti e congelando i loro conti bancari. Difficilmente però Trump riuscirà  a bloccare la vendita del gas russo. I progetti sono ormai in fase di ultimazione e gli Stati Uniti non sono assolutamente competitivi nell’ambito di questa forma energetica fossile.
La produzione di gas statunitense è di qualità  inferiore e di costi superiori. Il gas americano è prevalentemente di scisto, cioè estratto da argille diagenizzate, o proveniente da fracking, poi liquefatto con un processo produttivo più costoso di circa il 20 per cento rispetto al gas naturale distribuito via gasdotto.
A favore però dell’azione americana ci sono i Paesi dell’est Europa.
Questi sono convinti che la costruzione dei nuovi gasdotti li possa penalizzare. In effetti ci sono già  gasdotti che portano in Europa il gas russo. Questi passano attraverso Bielorussia e Ucraina, ancora in guerra con la Russia.
L’Ucraina riceve ogni anno più di 2 miliardi e mezzo di euro in tasse per il passaggio del gas russo sul suo territorio. Ed altrettanti introiti entrano ai Paesi che collegano i loro gasdotti a quello ucraino. In effetti una volta che Nord Stream 2 sarà  completato, Putin non avrà  più nessun bisogno dell’Ucraina e potenzialmente potrà  muovere il suo esercito fino ai confini orientali dell’Unione Europea.
Ma in Europa il gas arriva anche da altre “porte” principali. Dal Nord Africa il gas arriva dall’Algeria con pipeline verso la Spagna e dalla Libia tramite il gasdotto GreenStream verso l’Italia. Dall’Iran il gas arriva in Europa attraverso un gasdotto che passala Turchia o attraverso gas liquefatto per via marittima.
Nell’ambito di questa competizione energetica si possono facilmente comprendere le tensioni sempre maggiori che stanno affiorando nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente soprattutto.
In Libia gli schieramenti in campo si sono divisi in gruppi contrapposti. I primi, fedeli al generale Khalifa Belqasim Haftar, si sono alleati alla Russia di Putin, mentre i secondi, vicini al presidente Fayez al-Sarraj, sono affiliati alla magica coppia Turchia-Qatar dei Fratelli Musulmani.
Dalla parte di Haftar, l’antagonista a Serraj, la Russia offre i mercenari del Gruppo Wagner, società  di sicurezza russa che opera anche in Siria e in Ucraina e che è sospettata di essere legata al governo di Vladimir Putin.
A metà  dicembre Serraj ha annunciato un memorandum di intenti sulla cooperazione militare Libia-Turchia per ridefinire i confini delle acque territoriali dove poter trivellare i giacimenti di gas del mediterraneo.
La definizione delle acque territoriali libiche e del Mediterraneo orientale è alla base dei conflitti in corso nella regione. In questa zona di mare vengono scoperti ogni anno nuovi giacimenti di gas. I più grandi sono Wafa e Bahr Essalam operati da Eni in mare libico, “Afrodite” al largo di Cipro, i giacimenti offshore israeliani “Leviathan”, “Karish” e “Tanin”, l’egiziano Zohr scoperto sempre dall’italiana Eni.
Infine anche l’Iran presenta il conto al mercato energetico europeo. Con oltre venti bilioni di metri cubici di gas ha tenuto forti relazioni con la Total francese ed ora sempre più con le compagnie energetiche cinesi. Un potere che ha pesato anche sull’accordo nucleare iraniano, il PACG in vigore dal 2015 appoggiato proprio dall’Unione europea.
Un peso politico che è stato da subito contrastato dall’amministrazione Trump con l’embargo economico e militare verso l’Iran. Le motivazioni ufficiali erano quelle relative ad impedire all’esercito iraniano l’utilizzo di armamenti nucleari ma l’obiettivo era anche quello di impedire la vendita del gas iraniano al mercato europeo.
Il sistema è lo stesso di quello messo in atto con le sanzioni imposte alla Russia e ai suoi partner commerciali.
Sono moltissime le aziende europee che hanno abbandonato gli investimenti in Iran, anche a costo di perdere milioni (o miliardi) di commesse. Washington ha messo queste aziende di fronte a una scelta obbligata: o l’Iran o gli Stati Uniti. E la maggior parte ha scelto gli Stati Uniti.
In questo contesto è da leggere l’uccisione di Qassem Soleimani, presente nel convoglio nei pressi dell’aeroporto della capitale irachena Baghdad.
Trump avrebbe dato il via libera all’opzione presentatagli dal Pentagono già  qualche giorno prima, dopo essersi consultato con il segretario di Stato Mike Pompeo e altri membri dell’amministrazione americana.
La decisione sarebbe stata giustificata, ufficialmente, come risposta all’assalto ad una base militare statunitense condotto alcune settimane prima dai miliziani iracheni collegati all’Iran. Ma probabilmente l’intenzione reale era quella di evitare l’isolamento politico e commerciale degli Usa in Medio Oriente, un rischio sempre più concreto.
Il generale Suleimani era stato l’artefice dell’espansione della mezzaluna sciita dalla Persia fino al libano e dei legami con la Russia di Putin.
Fu proprio Solemani ad architettare l’influenza iraniana in Siria realizzando la sinergia militare russa e iraniana che ha sconfitto l’Isis, il sedicente Stato islamico in Siria e Iraq. Ma non solo, come se non bastasse era in procinto di realizzare accordi politici ed energetici con la monarchia saudita, togliendo agli Stati Uniti il partner principale in Medio Oriente.
Se la Russia, oltre che in quella ucraina e siriana, uscirà  vincitrice anche nella guerra libica molti equilibri geopolitici cambieranno nell’Europa che conosciamo.
La Russia e il suo alleato Iran a quel punto potranno avere in mano per vari anni il controllo dei Paesi europei, il cui fabbisogno energetico sarà  sempre più dipendente dalle fonti di gas.
Le forniture più vantaggiose di questa energia passeranno quasi esclusivamente dalle pipeline russe e libiche e dal gas iraniano, gli altri approvvigionamenti non saranno favorevoli e l’Unione europea sarà  sempre più dipendente dal mondo sciita.
Per evitare questo gli Stati Uniti e gli alleati sauditi, sunniti da sempre in opposizione con mondo sciita, si sono dimostrati disposti a rischiare un conflitto in larga scala. Teheran in risposta all’omicidio del suo generale ha infatti annunciato l’inizio dell’operazione “Soleimani martire”.
Numerosi missili nella notte scorsa sono stati lanciati dall’Iran sulle basi di Ain Al Asad, simbolo della presenza americana in Iraq, e di Erbil, dove si trovano anche oltre 600 soldati italiani. I Guardiani della Rivoluzione, i pasdaran della teocrazia iraniana hanno dichiarato che “la vendetta sarà  feroce”.
Adesso siamo a un passo dall’escalation totale, che potrebbe portare a una nuova guerra per l’intero Medio Oriente, un disastro umanitario, ma comunque favorevole agli Stati Uniti.
Se infatti il conflitto si amplificasse, gli Usa riuscirebbero a rompere le attuali forze negoziali, energetiche e commerciali di Russia e Iran che avevano portato all’isolamento statunitense.

(da TPI)

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“I NERI NON ENTRANO”: RAGAZZI CACCIATI DAL COSTEZ NIKITA, LA DISCOTECA LICENZIA I BUTTAFUORI

Gennaio 8th, 2020 Riccardo Fucile

I TITOLARI SI DISSOCIANO: “CONTRARI A OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE, MAI DATE INDICAZIONI DEL GENERE, RISOLTO IL CONTRATTO”

“Quelli come voi la discoteca non li vuole. I ne..i non li faccio entrare”. È la frase che alcuni ragazzi di origine africana si sono sentiti rivolgere la sera di sabato 4 gennaio dal buttafuori all’ingresso della discoteca Costez Nikita di Grumello sul Monte, Bergamo.
Un episodio di razzismo denunciato da una ragazza che era presente, la studentessa bergamasca Maia Scarpellini, che ha scatenato una bufera di critiche online e costretto la discoteca a prendere le distanze e scusarsi.
Contattato da Fanpage.it, il locale ha confermato di aver interrotto ogni rapporto con la società  che si occupava della sicurezza.
“Io e quattro miei amici, tre ragazzi di origine africana e la mia amica sudamericana, stati fermati all’entrata della discoteca” è il racconto di Maia. L’addetto alla security li avrebbe bloccati dicendo: “Scusate ragazzi ma questa non è una serata per voi”.   Quando i diretti interessati hanno chiesto se fosse una questione razziale, si sono sentiti rispondere senza mezzi termini: “Sì, se la mettete così si, io i neri non li faccio entrare”
“Siamo molto agguerriti e delusi”, spiega ora la studentessa, che con i suoi amici ha deciso di portare avanti “una battaglia contro ogni atto di razzismo”.
Dopo la denuncia dell’accaduto sui social, il locale è stato sommerso dalle critiche e dai commenti negativi, tra cui quelli di altri clienti che hanno detto di aver vissuto in passato esperienze simili.
La discoteca ha quindi risposto con una nota in cui assicura che “Costez Nikita è dispiaciuta per l’accaduto e combatte da sempre contro qualsiasi atteggiamento discriminatorio”.
Il locale “non condivide ed è del tutto estranea ad ogni forma di razzismo e/o di discriminazione” e annuncia di aver deciso “di interrompere ogni rapporto con la società  che gestisce il servizio di ingresso presso il nostro locale, pertanto ci dissociamo dall’episodio, nè mai la direzione ha dato indicazioni di tal genere come sembrerebbe emergere”.

(da “Fanpage”)

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