Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile
FERRARA TORNA IN VIDEO SULLA RAI PER PROLUNGARE LA PENA DOPO IL TG1…L’OCCUPAZIONE DEI MEDIA DA PARTE DEI BERLUSCONES PROSEGUE…I TALEBANI ALL’ATTACCO DELLA RAI
La stretta berlusconiana sull’informazione continua.
Dopo l’approdo di Bruno Vespa e Vittorio Sgarbi in prima serata, è il turno di Giuliano Ferrara. Che di fatto prende il posto che fu di Enzo Biagi.
“Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata” conferma Ferrara.
Per il direttore del Foglio si sta pensando a un programma che andrebbe in onda dopo il Tg1 delle 20, nella collocazione che anni fa era del Fatto’ di Enzo Biagi.
La trattativa è condotta dal direttore generale della Rai, Mauro Masi, e vede coinvolto anche il direttore della rete Mauro Mazza.
Il ritorno in video di Ferrara arriva a coronamento del ritrovato attivismo del giornalista al fianco del premier.
Dopo un lungo periodo in cui Ferrara sembrava tenersi a margine dell’entourage berlusconiano, improvvisamente, il direttore del Foglio è sceso in campo in prima linea.
Prima con una serie di editoriali, poi con la scelta di firmare articoli sul Giornale.
Ed ancora con l’intervista fiume sul Tg1 di Minzolini a difesa del Cavaliere. Infine la manifestazione di Milano per Berlusconi e contro “moralisti” e i giudici.
Adesso l’arrivo in Rai e una nuova prevedibile raffica di polemiche legata alla delicata situazione sia del servizio pubblico, sia della situazione politica.
La scelta, inoltre, apre nuovi interrogativi sul ruolo di Masi.
Da giorni infatti si rincorrevano voci sulla sua possibile sostituzione.
Voci che davano il direttore generale in drastico calo di gradimento da parte del Cavaliere.
Sarà per questo che in ambienti Rai la notizia viene commentata come un segnale della solidità di Masi.
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Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile
CONTI D’ORO MALGRADO LA RECESSIONE PER LE AZIENDE DI FAMIGLIA DEL PREMIER… MARINA HA INCASSATO CEDOLE PER 12 MILIONI DI EURO E PIERSILVIO PER 5 MILIONI…NELLE CASSE DELLE 4 HOLDING LIQUIDITA’ PER 544 MILIONI DI EURO
La crisi non abita ad Arcore.
Mentre l’Italia fatica a ripartire, le casseforti di casa Berlusconi – otto società familiari cui fa capo il 100% di Fininvest – archiviano l’ennesimo bilancio d’oro e girano un altro super-assegno alla dinastia del Cavaliere.
Il Presidente del Consiglio si è messo in tasca in questi giorni 118 milioni di dividendi in contanti, Marina ha incassato dalla sua Holding quarta 12 milioni, Piersilvio – titolare della Holding quinta – si è accontentato di 5 milioni, mentre la Holding quattordicesima ha regalato a Barbara, Eleonora e Luigi – i figli di Veronica Lario – un assegno di 10 milioni a testa.
Le cedole, tutte relative ai bilanci chiusi il 30 settembre 2010 appena depositati, sono solo la punta dell’iceberg della montagna d’oro accumulata negli anni – malgrado l’oneroso impegno in politica – dal premier.
Le quattro società personali del capofamiglia (Holding prima, seconda, terza e ottava) hanno in cassa 544 milioni in contanti tra riserve disponibili e liquidità che possono in ogni momento essere girate al socio di controllo.
Marina siede su un tesoretto di 98 milioni mentre Piersilvio, più parsimonioso con i dividendi, è riuscito però ad accumulare una fortuna di 213 milioni, messa da parte per i tempi più duri.
Il Cavaliere, Marina e Piersilvio, malgrado le polemiche degli ultimi anni, hanno tenuto parte della liquidità investita presso la chiaccheratissima banca svizzera Arner.
Mentre la liquidità del presidente del consiglio – gestita dall’omnipresente Giuseppe Spinelli – è tutta depositata sui conti Mps passati agli onori delle cronache come la cassa continua per saldare i conti delle serate del Bunga Bunga.
Nemmeno gli ultimi arrivati nel capitale Fininvest, però, si possono lamentare: i tre figli di secondo letto, pur entrati da poco nel capitale della Fininvest, hanno messo assieme 339 milioni tra liquidità e riserve, più 20 milioni investiti “con risultati di tutto rispetto” (piove sempre sul bagnato) attraverso la banca d’affari Jp Morgan.
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Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile
ERA IL MIGLIOR AMICO DI GHEDDAFI, HA PUNTELLATO BEN ALI IN TUNISIA, HA SOSTENUTO MUBARAK FINO ALL’ULTIMO… SI E’ AFFIDATO A DITTATORI PER IMPEDIRE GLI SBARCHI DI 30.000 IMMIGRATI QUANDO CON ALTRI MEZZI NE ENTRANO 300.000 L’ANNO…ADESSO L’ITALIA STA PER PAGARNE IL PREZZO
Serviranno soldi e autorevolezza.
Due strumenti indispensabili per trattare con i futuri governi di Tunisia ed Egitto. Proprio ciò che manca all’Italia.
Gli sbarchi a Lampedusa e sulle coste della Sicilia di tunisini ed egiziani sono la prima linea di un fallimento. I soldi scarseggiano, altro che “piano Marshall” del Maghreb.
E l’autorevolezza, se mai ne avevamo ancora, è stata sepolta sotto i festini bunga bunga di Arcore.
Immaginate la reputazione di Silvio Berlusconi: lui che va al Cairo a trattare con la fama di aver fatto passare una prostituta minorenne per nipote del rais deposto Hosni Mubarak.
Oppure l’affidabilità del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in missione a Tunisi in nome di un Paese che ha armato con storditori elettrici e tecnologia da 007 la polizia dell’odiato presidente Zine El Abidine Ben Alì.
Perfino un documento riservato della Protezione civile, scoperto da “L’espresso”, già il 9 dicembre 2010 segnala a Palazzo Chigi l’impreparazione a una eventuale emergenza a Lampedusa: “Fortuna vuole che attualmente arrivano pochi barconi, sei o sette negli ultimi quattro mesi”, scrive l’Ufficio gestione emergenze, “ma se dovessero improvvisamente aumentare ci troveremmo del tutto impreparati e impossibilitati a dare una pronta risposta alla gestione dell’emergenza”.
Più o meno la stessa frase riappare in un nuovo appunto, “Aggiornamento situazione Lampedusa”, firmato il 25 gennaio scorso dal direttore dell’Ufficio gestione emergenze, Fabrizio Curcio.
Quarantasette giorni dopo la prima lettera e sette anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato il 23 dicembre 2003 e prorogato al 31 dicembre 2010 al costo di decine di milioni, eravamo ancora impreparati.
Dal 2001 il governo italiano è sceso a patti con le peggiori dittature del Mediterraneo.
Abbiamo puntellato il regime di Ben Alì con le trattative del 2003 e del 2004 in cambio del blocco delle partenze clandestine per l’Italia.
E il traffico di immigrati si è spostato in Libia.
Allora, dal 2004 al 2009, abbiamo firmato contratti economici e di polizia con l’altro dittatore della regione, Muhammar Gheddafi.
E i viaggi della speranza si sono trasferiti a Est. Nel frattempo ci siamo rivolti all’Egitto, ottenendo accordi per il rimpatrio dei cittadini egiziani sorpresi in Italia senza i documenti in regola, gli unici effettivamente espulsi.
E ci siamo accontentati.
Abbiamo ignorato la voglia di democrazia di milioni di persone.
Abbiamo finto di non sapere delle migliaia di morti in mare tra quanti cercavano la nostra democrazia.
Abbiamo calpestato le fosse comuni nelle quali il regime di Tripoli ha nascosto i cadaveri arrivati a riva ( leggi).
Sarebbe bastato guardare meglio l’anno di nascita dei tiranni amici per preoccuparsi un po’ di più: 1936 per Ben Alì, stessa età di Berlusconi; 1942 per Gheddafi; 1928 per Mubarak.
E poi porsi una domanda: cosa succederà dopo di loro?
Limitare quello che sta accadendo nelle ultime due settimane tra le coste tunisine e Lampedusa a una questione di immigrazione, sarebbe riduttivo.
Le fughe in massa dalla Tunisia su barche e pescherecci sono la reazione a anni di repressione della libertà .
Proprio quello che il governo Berlusconi, e la maggior parte dei cittadini italiani che gli hanno dato consenso, hanno fatto finta di non vedere.
Una bomba a orologeria che ora è esplosa.
E siamo solo all’inizio.
La prospettiva di altri arrivi in massa è più che fondata.
Persone che approfittano della situazione di caos per raggiungere l’Europa.
Tra loro molti poliziotti di Ben Alì che dopo le manifestazioni, per paura, si sono tolti la divisa e ora cercano asilo.
A Chaffar, spiaggia storica delle partenze per Lampedusa, si racconta che esistono due tipi di tunisini: quelli emigrati in Italia e quelli che vorrebbero emigrare in Italia.
Un progetto che gli accordi di polizia tra Roma e Tunisi di sette anni fa hanno solo rinviato.
“Un parametro indicatore di quello che succederà “è il valore dell’euro.
Prima della fuga in Arabia Saudita di Ben Alì le banche cambiavano 190 dinari per 100 euro e per la stessa somma il mercato nero chiedeva 194 dinari.
Oggi gli euro sono introvabili in banca e cento euro valgono ben 250 dinari. Significa che migliaia di tunisini stanno cambiando soldi per partire”.
E alle porte ci sono gli arrivi dalla Libia…
Fabrizio Gatti
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
IL CUORE DEL POPOLO LIBICO E’ PIU’ FORTE DEL GENOCIDIO ORDINATO DAL COMPAGNO DI MERENDE DI SILVIO…. NON BASTANO MIGLIAIA DI MORTI PER FERMARE LA RIVOLUZIONE POPOLARE IN NOME DELLA LIBERTA’….TRIPOLI IN FIAMME, IL FOLLE NEL BUNKER
Tripoli è alla battaglia finale.
Dopo i sanguinosi combattimenti della notte a Misurata, infatti, sono in corso scontri a fuoco in varie aree della capitale libica, con le forze di Gheddafi che hanno sparato sui manifestanti.
Ci sono morti e feriti, anche se la tv di Stato lo nega.
Intanto l’aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli è caduto nelle mani dei manifestanti.
Secondo la tv araba Al Jazeera i militari che sono presenti al suo interno hanno aderito alla rivolta contro Muammar Gheddafi.
Secondo il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai) Foad Aodi, anche uno dei figli di Gheddafi sarebbe passato dalla parte degli insorti.
Sarebbero circa 50mila i manifestanti che dal quartiere periferico di Tajura si stanno dirigendo verso il centro di Tripoli.
Lo riferiscono testimoni citati dalla tv satellitare Al-Arabiya.
Intanto nella Piazza Verde della capitale libica qualche migliaio di persone sta manifestando in sostegno al regime di Muammar Gheddafi.
La manifestazione dei sostenitori di Gheddafi è seguita in diretta dalla tv di stato libica.
«Abbiamo un piano per far cadere Tripoli – ha detto al Wall Street Journal Tareq Saad Hussein, uno dei sette colonnelli che a Bengasi hanno preso il comando della rivolta, conquistando la seconda città del Paese – non ci fermeremo fino a quando non avremo liberato tutto il Paese».
Secondo l’emittente araba Al Jazeera gli insorti libici si sarebbero di nuovo assicurati il controllo di al Zawia a ovest di Tripoli sulla costa.
Voci riferiscono di nuove dimissioni nello staff del dittatore e di alcuni figli del Colonnello già all’estero.
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
DI PIETRO NON FA IN TEMPO A VOTARE E PROTESTA… IL SOTTOSEGRETARIO SE NE VA E IL GOVERNO E’ ASSENTE IN AULA: FINI ATTACCA “COSE MAI VISTE”… ESECUTIVO BATTUTO SU ORDINE DEL GIORNO DELL’UDC
L’Aula della Camera ha dato il via libera alla fiducia al maxiemendamento al dl milleproroghe.
A favore hanno votato 309 deputati, 287 contro.
Alle 14 sono iniziate le dichiarazioni di voto sul provvedimento.
A partire dalle 18, il testo sarà già sul tavolo delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato per consentire l’approdo e l’approvazione definitiva domani da parte dell’Aula di Palazzo Madama.
“Caro presidente, con la sua presidenza della Camera siamo in una situazione istituzionalmente insostenibile. C’è un contrasto tra la sua figura e quella di leader di partito”, ha detto il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto a Gianfranco Fini che presiedeva l’aula durante il dibattito sul Milleproroghe. “Ne convengo – ha replicato ironicamente Fini – la situazione è istituzionalmente insostenibile”.
La maggioranza richiesta era di 299, i votanti sono stati 596.
I 309 voti che hanno approvato la fiducia sono inferiori alla metà più uno dei 630 deputati che rappresenta la soglia minima per la maggioranza.
Sono stati 34 i deputati assenti a vario titolo.
Singolare il caso del leader di IdV Antonio Di Pietro che non ha fatto a tempo a votare e che si è lamentato della velocità della votazione stessa.
Gli ha replicato il presidente di turno Rocco Buttiglione (Udc) facendogli osservare che dopo le due successive chiamate al voto, aveva invitato i ritardatari e comunque chi volesse votare a farlo prima della dichiarazione di chiusura del voto.
Poi il governorno è andato sotto su un ordine del giorno dell’Udc.
Momenti di tensione in Aula alla Camera nel corso della dichiarazioni di voto finali al Milleproroghe.
Nel momento in cui Antonio Di Pietro ha preso la parola, il rappresentante del governo, il sottosegretario Laura Ravetto, ha lasciato la seduta.
A quel punto, il presidente della Camera Gianfranco Fini blocca il leader dell’Idv: “non può proseguire, la seduta è sospesa fino a quando il governo non sarà presente in Aula”.
Alla ripresa dei lavori, pochi istanti dopo, Fini ha redarguito Ravetto che parlava al telefono, invitandola a sedersi: “E la prego di riferire al ministro dei Rapporti con il Parlamento – ha aggiunto Fini – che è senza precedenti quello che sta accadendo oggi”.
Successivamente, Di Pietro alza i toni definendo il governo italiano “come quello che sta a Tripoli”.
Nuovo intervento del presidente della Camera che lo bacchetta: “Non può essere consentito in quest’Aula di paragonare un governo democraticamente eletto, per quanto possa essere avversato, a una feroce e spietata dittatura come quella di Gheddafi. In giornate come queste, credo che utilizzare termini corrispondenti alla realtà sia un dovere per tutti”.
Biglietti del cinema più cari, fondi al 5 per mille, foglio rosa per i motorini, slittamento delle multe per le quote latte (ma con meno fondi).
Fino all’ultima novità arrivata in nottata alla Camera: dal primo aprile salta il divieto di incroci tv-stampa, tranne un decreto che proroghi la misura che potrebbe essere deciso dal Presidente del Consiglio.
Nonostante i tagli della Camera, dopo i rilievi arrivati dal Colle, il milleproroghe uscirà dal Parlamento comunque abbastanza ‘ippopotamo’, come l’ha definito lo stesso Premier.
Ma le cancellazioni annunciate dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, alleggeriscono un po’ il peso: va via ad esempio la norma molto contestata sulle demolizioni in Campania, o quella che consentiva di aumentare il numero di assessori a Roma e Milano.
Ecco in sintesi alcune delle principali misure varate e alcuni dei tagli della Camera
Salta Consob, Campidoglio, cambia incroci stampa-tv.
Tagliola alla Camera. L’ultima modifica arrivata riguarda il divieto di incrocio stampa-tv: nella prima versione slittava al 31 dicembre 2012, ma il termine è stato riportato al 31 marzo prossimo.
Salta anche la possibilità del Campidoglio di aumentare il numero di assessori.
Stop all’assunzione per Provincia e la normativa per la riorganizzazione della Consob; via il ‘salvamento’ acquatico e la norma sugli immobili acquisti a seguito di esproprio per Roma.
Salta la proroga della Presidenza dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e la proroga delle concessioni dei contratti nella zona dell’ Etna. Sull’anatocismo: si faranno salve le somme già versate.
Terremoto Abruzzo-Veneto. Si prevede la proroga della riscossione dei tributi al 31 dicembre 2011. Ma è previsto anche lo slittamento della riscossione delle rate dei premi assicurativi al 31 ottobre 2011.
La giornata della memoria per le vittime del sisma sarà il 6 aprile.
Per il Veneto viene prorogata al 30 giugno la sospensione dei tributi. I
noltre le regioni colpite da calamità naturali potranno aumentare tributi e accise sui carburanti.
Fondi per alluvioni. Sono previsti finanziamenti per Liguria (45 milioni), Veneto (30 milioni), Campania (20 milioni) e ai comuni della provincia di Messina (5 milioni).
Stop tagliola precari. Non si applica fino a fine 2011 la ‘tagliola’ per impugnare i licenziamenti dei contratti a termine.
5 per 1000. In tutto 400 milioni che comprendono anche gli interventi (fino a 100 milioni) per i malati di Sla.
Cinema più caro. Dal primo luglio il biglietto costerà un euro in più. Escluse le sale parrocchiali.
Tre milioni a Scala e Arena Verona. Arrivano 3 milioni per la Scala e l’Arena di Verona.
Fondi editoria. Ripristinato in parte il taglio: 30 milioni per l’editoria e 15 milioni per radio e Tv locali.
Stop a sfratti fino a dicembre. Riguarda le categorie disagiate. Stop fino al 31 dicembre 2011.
Carta d’identità con l’impronta. L’impronta digitale dovrà essere inserita dal 31 marzo 2011.
Torna la social card. Ci sarà una fase sperimentale affidata agli enti caritativi. Fondo da 50 milioni.
Foglio rosa per moto e minicar. Arriverà dal 31 marzo 2011, ma la norma potrà essere rinviata a fine anno.
Fondo unico Università . Arrivano le risorse per il Fondo unico.
Sanatoria manifesto ‘selvaggio’: Riguarda le violazioni compiute dai partiti con manifesti politici. Basterà versare 1000 euro entro il 31 maggio di quest’anno.
Multe quote latte: Slitta di sei mesi il pagamento.
Ecobonus autotrasporto: Viene prorogato (30 milioni).
Più tempo per i proprietari delle case fantasma : C’è tempo fino al 30 aprile per sanare la situazione.
Banche e fondazioni. Si prevede la proroga (2014) del termine entro il quale le fondazioni bancarie dovranno scendere sotto il tetto dello 0,5% nelle popolari. Inoltre Per rispondere meglio ai nuovi parametri di Basilea 3 le banche potranno usare in compensazione il credito d’imposta insieme alle attività immateriali e valori d’avviamento.
Fondi d’investimento. Si passa alla tassazione del maturato in capo ai sottoscritti delle quote.
Azionisti Parmalat. Agli azionisti non potrà andare più del 50% degli utili.
Poste in Banca Mezzogiorno. Poste potrà acquistare partecipazioni nella Banca per il Mezzogiorno. Si scorpora l’attività di bancoposta.
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO DEI “RESPONSABILI” DEFINISCE “UNA VERGOGNA” L’ACCUSA DI AVER TENTATO DI CORROMPERE CON 150.000 EURO UN DEPUTATO PER FARLO PASSARE CON IL GOVERNO… MA L’INTERESSATO CONFERMA TUTTO: “SIAMO AI SALDI DI FINE STAGIONE, VERGOGNOSA E’ L’IMMAGINE DI DEGRADO CHE VIENE DATA IN PARLAMENTO, ANDRO’ DAI MAGISTRATI”
“In effetti siamo ai saldi di fine stagione”.
Gino Bucchino, il deputato del Pd che ha rivelato di aver ricevuto un’offerta (150mila euro e la certa rielezione) in cambio del salto della staccionata per passare tra i “Responsabili” a sostegno della maggioranza, replica in aula a Luciano Sardelli.
Il deputato ha detto di essere pronto, se la magistratura lo riterrà utile, a illustrare la vicenda anche ai magistrati.
Bucchino ha replicato ‘per fatto personale’ a Sardelli intervenuto in aula stamane alla Camera a nome del gruppo dei cosidetti Responsabili.
Il tutto durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia al milleproroghe.
A Sardelli che aveva messo in dubbio la veridicità della versione di Bucchino, definendo la cosa una vergogna, Bucchino ha affermato che “vergognosa è l’immagine del degrado che viene data del Parlamento”.
Inammissibile, ha aggiunto, è il fatto che il destino di 60 milioni di italiani debba essere detrminato da 2 o 3 persone con il loro cambiamento politico. Perchè – ha chiesto il parlamentare democratico – da parte dei Responsabili c’è questo mettere le mani avanti? Questa excusatio non petita?”.
Quanto al rischio denunciato dai Responsabili che ha portato alla rischiesta di essere ‘scortati’, Bucchino ha replicato: “Io non sono e non chiedo di essere escortato, pardon scortato…”.
SardelliM aprendo il suo interventoM ha detTo che “nove dei ventotto rappresentanti del nostro gruppo vengono dall’opposizione, e alcuni di questi stanno scontando in questi mesi un’aggressione senza precedenti, verbale quando non fisica, per cui viaggiano scortati”.
Ma se si ritengono degli eroi e affermano di aver voluto salvare l’Italia dalla catastrofe di una crisi di governo, di che si lamentano?
Tutti gli atti di eroismo comprendono dei rischi: in nome dei loro grandi valori, farebbero bene a rinunciare alla scorta.
Se poi dovessero prendere due sputi per strada potrebbero sempre indicare, nel loro scarso curriculum, di essersi immolati alla altrui salivazione per salvare la patria umiliata e derisa dalla bieca opposizione.
Ma secondo voi di chi è la colpa della situazione, secondo il partito dei venduti?
Ovvio, del presidente della Camera Fini perchè “non c’è nessuna tutela da parte della Presidenza della Camera che anzi alimenta dubbi sulla libertà e sulla consapevolezza di queste scelte”.
E pensare che una volta la scorta la si dava a Falcone e Borsellino…
Siamo proprio messi male.
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
INTERVISTA A CAMILLO DAVIGO: “OCCORRE ADEGUARE SUBITO LA LEGISLAZIONE AGLI STANDARD EUROPEI”…IMMUNITA’ DEI PARLAMENTARI, PRESCRIZIONE, RIFORMULAZIONE E ADEGUAMENTO DELL’ELENCO DEI REATI
La Corte dei conti c’informa che la corruzione è aumentata del 30 per cento nel 2010.
La classifica stilata da Transparency, sulla percezione della corruzione, per lo stesso anno ci vede al 67esimo posto, dopo paesi come Ruanda e Ghana. Nel 2001 eravamo 29esimi.
Più siamo corrotti, meno ce ne accorgiamo.
Come s’inverte questa tendenza?
Lo abbiamo chiesto a Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite, oggi consigliere di Cassazione.
La corruzione sembra una malattia, che peggiora di anno in anno. L’Italia è spacciata o qualche rimedio esiste?
Dal punto di vista del diritto sostanziale bisognerebbe ratificare le convenzioni già firmate come quella europea sulla corruzione: prevede fattispecie che, se fossero introdotte, sarebbero molto utili, anche per riformulare i reati che oggi non permettono di colpire una serie di comportamenti.
Per esempio?
Nonostante l’Italia abbia firmato convenzioni che prevedono la punibilità degli appartenenti alle assemblee legislative, i parlamentari non sono in concreto perseguibili per corruzione, essendo questa collegata al compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio o di atti d’ufficio. Siccome l’attività dei parlamentari è sovrana, non è riconducibile nè all’uno nè all’altro parametro.
Si parla di rimodificare la prescrizione. In peggio.
L’Italia e la Grecia sono gli unici paesi d’Europa dove la prescrizione decorre anche dopo la sentenza di condanna di primo grado. È una stravaganza: se è appellante l’imputato, perchè mai dovrebbe decorrere la prescrizione? È lui che rimette in moto la macchina della giustizia, perchè dovrebbe usufruire della prescrizione?
L’ideale sarebbe arrestarne la decorrenza al momento della richiesta di rinvio a giudizio del pm.
Certo. O almeno dalla sentenza di condanna in primo grado, se l’appellante è l’imputato.
È favorevole all’idea di riunire in un unico titolo di reato corruzione e concussione?
Oggi i due reati creano difficoltà . Di solito quelli che hanno pagato dicono di essere vittime di concussione, mentre quelli che i soldi li hanno presi negano di essere autori di concussione e che si tratta di corruzione impropria. Se le fattispecie fossero unificate eviteremmo quella che capita oggi. Cioè che se si comincia con la concussione e i privati che hanno pagato vengono sentiti come testi, poi magari in appello decidono che è corruzione, gli stessi avrebbero dovuto essere sentiti con le garanzie previste per gli indagati, le dichiarazioni non sono più valide. Alla fine, tutti assolti.
Se si parte dalla corruzione?
Quando si arriva in appello e viene invocata dai privati la concussione, poichè vi è il divieto di reformatio in peius, il funzionario pubblico non contrasta la tesi e i privati vengono assolti.
Una delle proposte contenute nel ddl è introdurre la “legislazione premiale”. Ovvero la non punibilità del corruttore o del corrotto se va spontaneamente a confessare e a denunciare i suoi complici, prima che la notizia di reato sia stata iscritta a suo nome.
Serve ad avere collaboratori di giustizia. La corruzione è un reato seriale. Se ci fosse una norma del genere, ci sarebbe interesse a confessare. E non, come ora, a coprire. Renderebbe anche più difficile commettere questi reati: bisogna stare molto attenti a scegliersi i complici.
E dal punto di vista processuale?
Data la diffusione del fenomeno, dovrebbe essere prevista la possibilità di operazioni sotto copertura in materia di corruzione. Come avviene per droga, armi, terrorismo. Ora non è previsto. E non si può fare: se una delle due parti simulava, il reato non si perfeziona. In altri Paesi è uno strumento utilizzato e si chiama “test di integrità ”, perchè serve a capire se un pubblico ufficiale prende i soldi o no.
La criminalità economico-finanziaria si è aggiornata. Bisognerebbe adeguare anche l’elenco dei reati?
La corruzione tra privati esiste nella legislazione comunitaria e quindi bisognerà , prima o poi, adottarla. Il traffico di influenze illecite è previsto dalla Convezione di Strasburgo del ’99. Se ci fosse, si creerebbe una barriera giuridica a qualunque dazione di denaro tra privati, finalizzata alla corruzione di pubblico ufficiale.
Perchè gli italiani non capiscono il danno economico di reati come l’evasione fiscale e la corruzione?
Per decenni è stata raccontata la favola che il problema del Paese è la microcriminalità . Ma quando c’era il processo per l’aggiotaggio Parmalat vi erano 40 mila parti civili costituite. Quanto ci impiega uno scippatore a fare 40 mila scippi? Anche ammesso che ne faccia 4 al giorno e non venga beccato, ci vogliono 10 mila giorni. Non ho mai visto nessuna vittima di scippo che aveva nella borsetta i risparmi di tutta la vita. Mentre molti investitori Parmalat si sono giocati tutto. Il danno è ben maggiore.
Ci sono state decine di proposte e ddl sul tema, insabbiati da varie legislature. Perchè nessuno è diventato legge?
La preoccupazione della classe politica negli ultimi 17 anni non è stata contrastare la corruzione. Ma contrastare le indagini e i processi sulla corruzione.
Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
I FONDI DESTINATI A FORMARE I DIRIGENTI DEGLI ENTI LOCALI: ASSEGNATI A SUA DISCREZIONE A DUE ATENEI SENZA GARA PUBBLICA: I FONDI ASSEGNABILI ANCHE A UNIVERSITA’ PRIVATE…COME NON ESISTESSERO GIA’ LE SCUOLE SUPERIORI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PER AGGIORNARE I DIRIGENTI.. LA COMPLICITA’ DEL PD
Ai disfattisti accaniti contro la riforma dell’università di Mariastella Gelmini dev’essere sfuggito.
E come a loro, dev’essere sfuggito anche a chi si lamenta che il federalismo fiscale rischia di essere un guazzabuglio difficile da capire per gli stessi amministratori locali.
Ebbene, mentre la Cgil denunciava che le università italiane si vedranno ridurre quest’anno i fondi statali di 839 milioni e i poveri ricercatori restavano quasi all’asciutto, proprio nella riforma Gelmini è spuntato un finanziamento nuovo di zecca: due milioni l’anno per cinque anni. Totale, dieci milioni.
Da destinare a uno scopo decisamente particolare: spiegare ai dirigenti degli enti locali i segreti del nostro futuro federalista.
Ci credereste?
Quei soldi, c’è scritto nell’articolo 28, servono al ministro per «concedere contributi per il finanziamento di iniziative di studio, ricerca e formazione sviluppate da università » in collaborazione «con le regioni e gli enti locali». Tutto ciò in vista «delle nuove responsabilità connesse all’applicazione del federalismo fiscale».
Atenei, beninteso, non soltanto pubblici: potranno avere i quattrini pure quelli privati, nonchè «fondazioni tra università ed enti locali anche appositamente costituite». E qui viene il bello.
Perchè dopo aver stabilito questo principio, la legge dice che non ci potranno essere più di due beneficiari, uno dei quali «avente sede nelle aree dell’obiettivo uno».
Cioè nelle regioni meridionali ancora considerate sottosviluppate dall’Unione europea.
Insomma, una norma fatta apposta per distribuire un po’ di soldi a una università del Nord e a uno del Sud.
Le loro identità ?
La riforma Gelmini dice che a individuarle ci penserà il ministero.
Quanto al modo che verrà seguito, è del tutto misterioso.
L’articolo che istituisce il fondo prevede che «con decreto del ministero, da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge », cioè prima del 29 maggio prossimo, «sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione delle presenti disposizioni».
Aggiungendo però che sempre con il medesimo decreto «sono altresì individuati i soggetti destinatari».
Perciò, se abbiamo capito bene, il 29 maggio sapremo quali saranno i due soggetti pubblici o privati scelti da Mariastella Gelmini, e perchè.
Senza una gara, nè un concorso pubblico.
Fatto piuttosto singolare, visto che al Fondo per la formazione e l’aggiornamento della dirigenza» possono accedere anche istituzioni private. A meno che, circostanza assai probabile, non si sappia già a chi devono andare i soldi.
Perchè poi le università prescelte devono essere proprio due, di cui una al Sud?
Forse che per un amministratore di Agrigento è più facile raggiungere, poniamo, Bari, anzichè Roma?
E per un sindaco friulano è più agevole recarsi in una città del Nord, come magari Torino, invece che nella capitale?
Dove peraltro lo Stato già possiede proprie strutture create appositamente (e appositamente finanziate) per formare gli amministratori?
Non esiste forse una meravigliosa scuola superiore di pubblica amministrazione, che peraltro ha sedi anche a Caserta, Acireale, Reggio Calabria e Bologna?
E non disponiamo perfino di una magnifica scuola superiore di economia e finanza, la ex Ezio Vanoni, in teoria la struttura più idonea per dare lezioni di federalismo fiscale?
Perchè chi deve istruire gli amministratori locali su quella riforma, se non chi l’ha fatta?
La verità è che questa storia emana un odore molto simile a quello della vecchia vicenda della Scuola superiore della magistratura, che Roberto Castelli aveva dislocato, oltre che a Bergamo e Latina, pure a Catanzaro: sede che il successore del ministro leghista, Clemente Mastella aveva poi dirottato nella sua Benevento.
Odore, dunque, decisamente politico.
Anche bipartisan, come vedremo.
Imperscrutabile, infine, è il legame fra il ministero dell’Università e il federalismo fiscale.
A meno che la riforma Gelmini non sia stata soltanto un pretesto.
Lo ha sospettato, senza peli sulla lingua, Pierfelice Zazzera.
Quando il 23 novembre del 2010 l’emendamento istitutivo di questo fondo per la formazione, recapitato all’improvviso in aula dalla commissione Cultura della Camera presieduta dall’azzurra Valentina Aprea, è stato messo ai voti, il deputato dipietrista ha fatto mettere a verbale: «In un momento in cui non si trova la copertura dei soldi previsti per i ricercatori, si trovano comunque due milioni per fare corsi sul federalismo fiscale. Mi sa tanto di lottizzazione politica dei finanziamenti o di qualche marchetta ».
Sfogo inutile.
L’articolo che fa spendere dieci milioni per questa curiosa iniziativa è passato con una maggioranza schiacciante grazie anche ai voti del Partito democratico, che pure ha bombardato la riforma Gelmini.
È successo pochi giorni prima della clamorosa bocciatura rifilata invece all’emendamento presentato da Bruno Tabacci e Marco Calgaro che puntava a dirottare appena 20 milioni di euro dai lauti rimborsi elettorali destinati alle casse dei partiti alle buste paga dei ricercatori universitari.
Anche in questo caso, con un aiutino dal centrosinistra.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 25th, 2011 Riccardo Fucile
UNA RICERCA DI TRE UNIVERSITA’ SVELA I NUMERI DEL POST SISMA E LA RESPONSABILITA’ DI CHI HA GESTITO L’EMERGENZA… “LA CALAMITA’ E’ STATA GESTITA IN MODO PATERNALISTICO E CENTRALISTA”…PER IL 70% DEGLI ABITANTI LA COMUNITA’ E’ MORTA QUELLA NOTTE
“In Indonesia la ricostruzione dopo il terremoto procede meglio che a L’Aquila”. E’ la conclusione di David Alexander, tra i massimi esperti europei di grandi disastri e curatore di una ricerca (che ha coinvolto tre atenei italiani) sul post terremoto in Abruzzo.
Moltissimi casi di depressione, crisi occupazionale, crescente utilizzo di alcool e droghe.
Sono soltanto alcuni dei problemi che il terremoto ha lasciato in eredità alla provincia aquilana, dove la ricostruzione è ancora un miraggio.
Le colpe non mancano. “La calamità è stata affrontata in modo paternalistico e centralista — dichiara Alexander — ma gli scandali che hanno travolto la protezione civile di Bertolaso forse spiegano quelle scelte”.
“Nonostante l’Indonesia sia un paese in via di sviluppo e le risorse siano limitate, a Sumatra la ricostruzione procede con maggiore razionalità che in Italia”.
Le riflessioni di David Alexander seguono le conclusioni della ricerca ‘Microdis’, di cui è coordinatore.
Il progetto — che ha coinvolto l’Università di Firenze, l’Università Politecnica delle Marche e quella dell’Aquila — si è concluso alla fine del 2010 e ha riguardato un campione di 15 mila terremotati e centinaia di edifici.
E i risultati parlano chiaro.
Il 71% di loro dichiara che la comunità è morta con l’arrivo del terremoto.
A mancare sono soprattutto i servizi di base e i collegamenti del trasporto pubblico.
Il dato riguarda oltre il 50% degli alloggi esaminati.
E circa il 35% dei complessi residenziali hanno servizi igienici in cattiva condizione.
Inoltre, il 73% dei residenti lamenta l’assenza totale di ritrovi pubblici.
Accade così che nelle ‘new town’ volute da Silvio Berlusconi i giovani tra i 18 e i 30 anni non socializzano, e l’Università dell’Aquila ha registrato un calo delle iscrizioni del 6%.
Ma c’è di più: il 68% degli intervistati vorrebbe lasciare al più presto l’attuale abitazione.
“Sono dati sconfortanti — commenta il professor Alexander — che evidenziano l’assenza di una pianificazione della ripresa nel lungo periodo”.
Distruzione del tessuto sociale.
Di questo parla lo studioso inglese.
E le conseguenze sono immediate. In tutta la provincia aquilana è in atto un forte incremento della disoccupazione, salita di quasi sei punti percentuali.
Secondo la ricerca, prima del sisma il il 71% degli abitanti aveva un lavoro.
A due anni dal terremoto siamo passati al 65%.
Dopo la tragedia, in tanti hanno dovuto trovare una nuova occupazione, ma tra questi il 45% oggi è disoccupato.
Quasi non bastasse, il 46% del campione denuncia un sensibile calo del reddito.
Tra i dati raccolti dalla ricerca ‘Microdis’ anche i disagi che riguardano la salute. Soffre o ha sofferto di stress il 43% dei terremotati, ma tra le donne il dato raggiunge il 66%.
Aumentano i casi di depressione, effetto del senso di isolamento e dell’emarginazione che riduce le prospettive per il futuro.
Secondo il professore inglese, gli effetti ai quali assistiamo si potevano arginare. “In quelli che dovevano essere degli alloggi provvisori — spiega Alexander — si sono investiti molti soldi. Si è voluto addirittura dotarli di isolamento basale antisismico nonostante i costi fossero ingenti. In compenso è stato fatto pochissimo sul fronte dei servizi di base e ancora meno su quello della ricostruzione. Oggi l’Abruzzo conta sedici centri storici completamente abbandonati — continua — e un tessuto sociale forse irrecuperabile”.
Alexander punta il dito contro la gestione dell’emergenza del governo Berlusconi, che considera paternalistica e centralista.
“In Italia esiste una forte tendenza all’assistenzialismo — spiega — che consente di stupire nell’immediato e di raccogliere consensi”.
E, chissà , di procurare agli amici ottimi affari.
È la cosiddetta ‘strategia del fare’, quella che a fine 2009 Berlusconi cerca di perfezionare con la privatizzazione della Protezione Civile tramite decreto governativo.
Poi qualcosa va storto e gli scandali travolgono tutto, compreso l’enfant prodige di Berlusconi, il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso.
“L’assistenza nel post terremoto andrebbe separata dalla ricostruzione — spiega Alexander — e la Protezione Civile, occupandosi della prima, non dovrebbe interferire nella seconda. Inoltre, l’esperienza mondiale ci dice che va dato più potere alle comunità locali, a chi ha un diretto interesse nella ricostruzione. Questa è oggi la tendenza nei paesi sviluppati”.
Ma in Italia le cose vanno diversamente, e le intercettazioni pubblicate la scorsa estate dai giornali hanno dimostrato che l’onnipresenza di Bertolaso e della Protezione Civile permetteva ai soliti noti di gestire in modo discrezionale molti dei milioni destinati ad appalti pubblici.
Quando tornerà la normalità a L’Aquila?
“A questo punto è impossibile dire quanto ci vorrà ”, conclude Alexander. “Potrebbero volerci decenni per il reinsediamento dei tessuti urbani. In una regione in cui è vitale, il tessuto sociale è stato guastato. È un danno riparabile?”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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