Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
DA RICERCATORE A PROFESSORE ORDINARIO: L’ASCESA DI GIACOMO FRATI, FIGLIO CASUALMENTE DEL RETTORE DELLA SAPIENZA DI ROMA
Vi fareste operare al cuore da chi non ha «mai visto la cardiochirurgia» e si è impratichito solo con i manichini?
Se la domanda vi sembra demenziale, sappiate che è già successo .
O almeno così dice, in un’intervista stupefacente, il figlio del rettore della Sapienza.
Che con una sfolgorante carriera si è ritrovato giovanissimo a fare il professore nella facoltà del papà , della mamma e della sorella.
Che per essere un grandissimo chirurgo si debba avere necessariamente un curriculum scientifico universitario, per carità , non è detto.
Ambroise Parè, il fondatore della moderna chirurgia, pare fosse figlio di una peripatetica e cominciò nella scia del padre facendo insieme il chirurgo e il barbiere.
E il capo-chirurgo dell’«èquipe» del primo trapianto di cuore in Sud Africa, nel 1967, al fianco di Christiaan Barnard, pare sia stato Hamilton Naki, che era un autodidatta con la terza media che essendo nero figurava assunto come giardiniere ma aveva le mani d’oro al punto di ricevere, finita l’apartheid, una laurea ad honorem e il riconoscimento di Barnard: «Tecnicamente era meglio di me».
Detto questo, il modo in cui Giacomo Frati si è ritrovato alla guida di un’Unità Programmatica di (teorica) avanguardia al Policlinico di Roma appare sempre più sbalorditivo.
Ricordate? Ne parlammo due settimane fa, dopo l’apertura di un’inchiesta giudiziaria. Riassumendo, il giovanotto riesce in una manciata di anni (ricercatore a 28, professore associato a 31, in cattedra a 36) a diventare ordinario nella stessa facoltà di medicina in cui il padre, il potentissimo rettore Luigi, è stato per una vita il preside e ha già piazzato la moglie Luciana Rita Angeletti (laurea in lettere, storia della medicina) e la figlia Paola, laureata in legge e accasata a Medicina Legale.
Un genio tra tanti «sfigati»? Sarà …
Ma certo gli ultimi passaggi della vertiginosa carriera di Giacomo sono sconcertanti. Prima l’esame da cardiochirurgo vinto grazie al giudizio di una commissione di due igienisti e tre dentisti: «Giusto? Forse no però questo non è un problema mio…».
Poi la chiamata a Latina dove era stata aperta una «succursale» di cardiologia della Sapienza presso la casa di cura Icot.
Poi il ritorno a Roma appena in tempo prima che le nuove regole contro il nepotismo della riforma Gelmini impedissero l’agognato ricongiungimento familiare.
Poi la creazione su misura per lui, togliendo un po’ di letti a un altro reparto, di un’«Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari» che gli consente di avere un ruolo equiparato a quello di primario, novità decisa dal direttore generale Antonio Capparelli.
Nominato poche settimane prima ai vertici del Policlinico proprio da Luigi Frati, il premuroso pap�
Troppo anche per un ateneo storicamente abituato a una certa dose di nepotismo.
Eppure, neanche un verdetto del Tar che dà ragione a quanti avevano presentato un esposto contro gli esiti della «gara» vinta da Giacomo («illogicità del criterio adottato», «irragionevole penalizzazione degli idonei», «danno grave e irreparabile») è riuscito a frenare l’irrefrenabile ascesa del giovanotto.
Anzi, il giorno dopo avere perso il ricorso in appello contro quella sentenza, l’università gli ha fatto fare un nuovo passo in avanti.
Nè sono riusciti a bagnare l’impermeabile scorza di Luigi Frati (dominus assoluto di un sistema trasversale alla destra e alla sinistra che sta benissimo a molti baroni) alcune contestazioni nel Senato accademico o una miriade di mugugni sul Web.
Nè poteva infastidirlo, pochi giorni fa, il professor Antonio Sili Scavalli, segretario regionale della Fials e responsabile aziendale dello stesso sindacato, che ha mandato una diffida a Renata Polverini chiedendo come fosse possibile che Giacomo Frati, chiamato al Policlinico per attivare una guardia medica di cardiochirurgia, sia stato quattro mesi dopo promosso e contestualmente abbia chiesto, da primario, di essere esentato dalle noiose guardie notturne.
Ma le domande più fastidiose poste dal sindacato, che preannuncia un esposto alla magistratura, sono altre. È vero che in un anno e mezzo i dati sulla produttività dell’unità di Giacomo Frati «fornirebbero un numero pari a zero»?
Ed è vero che in questo periodo il giovine chirurgo ha fatto in tutto 5 interventi «peraltro di cardiochirurgia classica» che dunque non c’entrano niente con la creazione su misura del reparto di «avanguardia»?
E soprattutto: qual era la mortalità di quella dependance di cardiochirurgia a Latina dove si era impratichito?
Il punto più delicato è questo.
Lo dicono nemici di Frati come il senatore Claudio Fazzone, che mesi fa ironizzò sull’«alta qualità portata a Latina» dal rettore: «Penso si riferisca alla cardiochirurgia che ha effettuato 44 interventi in un anno, di basso profilo, col più alto indice di mortalità del Lazio».
Ma lo dice soprattutto un decreto della Regione del 29 settembre 2010. Dove si legge che nonostante a Latina fossero stati fatti «zero» interventi chirurgici «di alta complessità , i risultati all’Icot erano pessimi.
Tanto da spingere la Regione Lazio a chiudere la dependance universitaria, a costo di dover pagare alla casa di cura dove stava un risarcimento milionario: «La disattivazione dei posti letto di cardiochirurgia dell’Icot di Latina è sostenuta da valutazioni relative ai volumi di attività estremamente ridotti e alla bassa performance. Nel 2009, la struttura ha effettuato 44 interventi cardiochirurgici (pari all’1% del totale regionale) ed è ultima nel Lazio per capacità di attrazione, con una percentuale di ricoveri a carico di residenti fuori regione intorno al 2% (valore medio regionale del 9%). L’indice di inappropriatezza d’uso dei posti letto è 3 volte più elevato rispetto alla media regionale».
Quanto «bassa» fosse la performance, lo dice una tabella riservata del «PReValE», il Programma regionale di valutazione degli esiti, recuperata da Sabrina Giannini, di «Report».
Tabella dove, alla voce «Bypass aorto-coronarico» per il 2008-2009 sulla mortalità nei primi 30 giorni dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, risulta che non ce la fece il 2,25% degli operati (su 356) al Gemelli, lo 0,46% (su 656) al San Camillo-Forlanini, il 2,67% (su 225) all’Umberto I, il 3,01 (su 632) all’European hospital e via così. Risultato finale: una media di mortalità , per quanto queste statistiche vadano prese con le pinze, intorno al 2,5%.
Bene: in un servizio per «Reportime» di Milena Gabanelli, Sabrina Giannini mostra quella tabella a Giacomo Frati: come mai all’Icot c’era una mortalità del 6% e cioè più che doppia?
Il giovane «astro nascente» della famiglia del rettore sbanda. E si avvita in una risposta strabiliante: «Cioè, la cardiochirurgia qui è partita da zero. Faccio presente che quando noi abbiamo iniziato tutto il personale, anche infermieristico, era un personale che non aveva mai visto la cardiochirurgia. Abbiamo fatto simulazione in sala anche con i manichini. Anche per il posizionamento dei devices della circolazione extracorporea».
Fateci capire: «tutto il personale» (tutto, compresi dunque i chirurghi) era così a digiuno di cardiochirurgia che prima di operare dei pazienti si era addestrato coi manichini?
Che storia è questa?
Si sono impratichiti via via sui malati che avevano affidato loro la vita?
Per difendere quel reparto, mentre la Regione decideva (troppi reparti) di rinunciare ad aprire nuove cardiochirurgie a Viterbo, Frosinone e Rieti, Luigi Frati disse in un’intervista a «La Provincia»: «Mi chiedo perchè mai uno di Latina non abbia il diritto di farsi operare nella sua città ».
Ma da chi, signor rettore? A che prezzo?
In quale altro paese del mondo, dopo tutto ciò che è emerso, potrebbe restare ancora imbullonato al suo posto?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO DEL PARTITO DI DI PIETRO REO DI UN’INFRAZIONE AMMINISTRATIVA… UTILIZZO INDEBITO DEL PERMESSO DI ENTRARE IN ZONA ZTL INTESTATO A UN DISABILE MORTO DA DUE ANNI
C’è anche un politico, Paolo Nanni, consigliere provinciale Idv, fra i nomi eccellenti finiti nelle carte dell’inchiesta sui pass per invalidi della procura di Bologna.
Non bastavano i calciatori rossoblu. Il suo nome è spuntato grazie alle indagini condotte dalla polizia municipale, coordinata dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, che ha verificato tutti i casi sospetti di utilizzo dei pass invalidi per l’accesso e la sosta in centro.
Nanni, presidente del gruppo Italia dei Valori a Palazzo Malvezzi, non è indagato, perchè il caso è un presunto utilizzo indebito di permesso H, e si tratterebbe quindi di una violazione amministrativa.
Le targhe del politico e di alcuni suoi stretti familiari sarebbero agganciate a un tagliando di un disabile, che però è morto da circa due anni.
Nanni non ha mai restituito il pass e non ha mai comunicato al Comune di Bologna la morte del parente.
Gli accessi di Nanni e dei suoi familiari in zona Ztl risultano da accertamenti della polizia municipale.
Gli investigatori stanno verificando i numeri degli accessi, diverse decine.
Il consigliere provinciale ora dovrà spiegare il motivo per cui non ha riconsegnato il tagliando, e perchè la sua famiglia ha continuato ad utilizzarlo.
Nel caso in cui non dovesse convincere gli inquirenti potrebbe essere costretto a pagare le multe, così come hanno fatto i calciatori del Bologna per un totale di 93 mila euro che la polizia municipale gli ha contestato.
L’indagine sui pass invalidi e sui pass T7 di residenza temporanea usati in modo irregolare, condotta dal procuratore aggiunto Giovannini, si avvia verso le battute conclusive.
A breve sarà sentita la factotum del Bologna Fc, Marilena Molinari.
Ma i casi scoperti di utilizzo improprio del pass sembrano solo la punta dell’iceberg. “Un pozzo senza fondo” lo aveva definito Giovannini.
Intanto, giorno dopo giorno, la polizia municipale individua nuovi casi.
Un Suv, ad esempio, sarebbe passato circa cento volte su preferenziali, con un tagliando H riferito però ad un defunto.
In un altro caso, invece, ci sono 330 passaggi in un anno in preferenziale, difficili però da contestare, poichè il titolare potrebbe sempre giustificare il suo passaggio col trasporto del disabile.
Un altro caso sospetto riguarda poi un tagliando associato a dieci targhe, tutte riferite ad auto d’epoca.
Esempi questi sui quali la procura sta continuando a scavare.
In tutto sono circa venti gli indagati. Dodici calciatori per uso di atto falso: Marco Di Vaio, Gaby Mudingay, Vangelis Moras, Andrea Esposito, Gabriele Paonessa, Nicola Mingazzini, Vlado Smit, Martins Bolzan Adailton, Daniele Portanova, Emiliano Viviano, Massimo Mutarelli e Archimede Morleo.
Tra gli altri indagati ci sono anche alcune mogli e compagne degli sportivi, Gianluca Garetti (ex impiegato della Coopertone) e Marilena Molinari, la factotum dei rossoblu.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
SI E’ RAGGIUNTA LA CIFRA RECORD DI “MOBILITA’ PASSIVE” DI 417 MILIONI DI EURO, PRIMATO NAZIONALE… OLTRE 100 MILIONI IN PIU’ DEL BUCO DI 311 MILIONI DEL 2010…. SONO 89.000 I CAMPANI IN USCITA E SOLO 26.000 QUELLI IN ENTRATA
E’ il circolo vizioso per eccellenza. Il debito sanitario della Campania è immenso, insieme a quello del Lazio incide per il 69% sull’intero debito nazionale.
E se i tagli alla spesa pubblica sanciti dal piano di rientro intaccano la qualità dei servizi sanitari i malati si vanno a curare fuori regione.
E così i costi delle loro terapie incidono ulteriormente sui disastrati e commissariati conti campani.
Dando il là a nuovi tagli alla spesa. E così via all’infinito.
Nell’anno appena trascorso il saldo negativo delle “mobilità passive” della Campania, ovvero le prestazioni sanitarie effettuate presso altre regioni è salito a 417 milioni di euro. Primato nazionale.
Oltre cento milioni in più del buco di 311 milioni calcolato nel 2010 sulla base di un saldo migratorio negativo di circa 63.000 pazienti (89.000 campani in uscita e solo 26.000 in entrata da altre regioni).
Anch’esso record italiano.
Campania leader in quelli che secondo una metafora un po’ abusata sono chiamati “i viaggi della speranza”.
Tutto questo mentre Maurizio Scoppa, il commissario dell’Asl Napoli 1, la più indebitata d’Europa (altro record), esulta per aver dimezzato il debito corrente a 298 milioni di euro, circa il 55% in meno dei 460 milioni del 2010.
“Un risultato — dice Scoppa, nominato dal governatore Pdl Stefano Caldoro — ottenuto oltre ogni più rosea aspettativa, senza fare tagli alla spesa sanitaria, ma eliminando gli sprechi, riducendo le spese inutili, senza incidere sulla qualità ”.
“Cifre taroccate — replica il gruppo Pd in consiglio regionale guidato da Giuseppe Russo — che sono state raggiunte grazie a tre fattori: le maggiori entrare Irap e Irpef, grazie alle aliquote più alte d’Italia; il blocco del turnover; il decremento della spesa farmaceutica di circa 46 milioni, dovuto alla scadenza di alcuni brevetti e all’aumento del ticket. Il piano di rientro non ha comportato una modifica strutturale del sistema sanitario regionale e non ha posto le premesse per un sistema più equo e più moderno. Stiamo solo assistendo a tagli indiscriminati, a cominciare dai pronto soccorso del San Gennaro, dell’Ascalesi, del Cto, che decrementano gravemente la qualità dell’assistenza sanitaria. In mancanza di alternative tutta l’utenza si scarica sul Cardarelli, diventato un barellificio. Non era prevedibile”?
Eppure non si possono dimenticare le responsabilità del Pd dell’ex governatore Antonio Bassolino e del suo principale alleato Ciriaco De Mita nella lievitazione del debito.
Dieci anni del loro governo ininterrotto della sanità campana hanno prodotto le cifre che vediamo e sulle quali ora è chiamato a lavorare il Pdl.
E senza intervenire su alcune voci che secondo il Pd andrebbero sfoltite.
Secondo una loro relazione, le Asl spendono svariati milioni di euro in convenzioni con le Università . In particolare l’Asl Napoli 2 che spende 6 milioni di euro con le strutture accreditate e un milione e trecentomila euro per prestazioni di emodinamica in convenzione con Università e Monaldi “dove — afferma Russo — esiste un palese conflitto di interessi del senatore Pdl Raffaele Calabrò”, docente universitario di cardiologia, consulente di Caldoro per la sanità , e ispiratore, secondo le opposizioni, di politiche che puntano a salvaguardare lo status quo del Monaldi, centro cardiologico di eccellenza in Campania.
Invece di elaborare strategie di medio e lungo periodo per erogare servizi migliori contenendo i costi, la politica ha preferito tramutare la sanità in serbatoio di clientele e terreno di caccia di consenso elettorale.
Fa riflettere ascoltare il consigliere regionale Pd Antonio Valiante che propone una legge per far scegliere a commissioni di docenti universitari e su criteri predeterminati i direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere.
E’ lo stesso Antonio Valiante, per più di un lustro vice di Bassolino, che il 28 dicembre 2005 si recò a Nusco, a casa di De Mita, con l’assessore regionale alla Sanità Angelo Montemarano e il presidente della Provincia di Salerno Angelo Villani — lo scrisse il giorno dopo Giuseppe Del Bello su Repubblica — per un summit di politici targati Margherita in cui si discussero e si decisero con la benedizione dell’ospite le nomine dei manager che sarebbero state deliberate in giunta Bassolino due giorni dopo. Passato all’opposizione, si è ravveduto.
Di quella stagione, che pochi rimpiangono, è sopravvissuta la Soresa, una partecipata al 100% della Regione.
Aveva lo scopo di gestire il debito sanitario e di centralizzare le forniture.
Ma ha sostanzialmente fallito.
Dice di essa Tommaso Cottone, procuratore regionale della Corte dei conti, in un’intervista a Gianluca Abate del Corriere del Mezzogiorno: “La Soresa è una questione aperta. L’inchiesta è ancora in corso, quindi posso dire davvero poco. Ma resta il fatto che una società nata per gestire il debito della sanità , non è in grado a tutt’oggi di definirlo. Non solo. Non sono riusciti a chiudere i contenziosi con i creditori. Con un’aggravante: la Regione non conosce cosa fa la Soresa”.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LO SCAMPATO PERICOLO DELLA SENTENZA MILLS, IL CAVALIERE PRONTO A RIDISCENDERE IN CAMPO ACCORDANDOSI CON MONTI
Tra la primavera e l’estate del fatidico 2013, Giorgio Napolitano avrà 88 anni, Silvio Berlusconi 76, Romano Prodi 73, Mario Monti “appena” 70.
All’indomani delle elezioni politiche (le prime della Terza Repubblica o le ultime della Seconda?), sarà questa la griglia per il nuovo settennato del Quirinale.
E la novità principale riguarda il ritorno di B. nella rosa degli aspiranti dopo il triennio a luci rosse degli scandali sessuali.
Il Giornale di famiglia (Sallusti direttore, Paolo Berlusconi editore) ha messo l’imprimatur a quella che è ormai più di una suggestione: “E adesso il Cavaliere può pensare al Quirinale”. Firmato Paolo Guzzanti.
È il primo effetto del dopo Mills, che rilancia il Cavaliere salvato dalla prescrizione nel ruolo di padre nobile del centrodestra
Chi ha parlato con lui in queste ore spiega: “Da sabato la strada è di nuovo in discesa. Il processo Mills era la pistola fumante per farlo fuori, con l’accusa infamante di corruzione. Adesso resta solo Ruby che in confronto è davvero poco”.
Senza contare che, ieri, un altro giornalista berlusconiano di punta, Giuliano Ferrara sul Foglio, ha profetizzato che B. uscirà indenne anche dal processo per la “nipote di Mubarak” e a quel punto “il cerchio sarà definitivamente quadrato”.
In che senso? Nel senso che Berlusconi farà di tutto per riappropriarsi del suo ruolo di statista senza macchia, alla fine caduto per lo spread e non per il bunga bunga.
A sentire i suoi fedelissimi tutto porta in questa direzione, compresa la strategia delle interviste a getto continuo alla stampa straniera.
Nell’ultima, allo svizzero Corriere del Ticino, rifila il copione delle ultime settimane: sostegno a Monti, difesa del bipolarismo (a parole), Alfano successore, disponibilità verso la Lega.
E lui? Padre nobile che dispensa consigli, mai più candidato-premier. E che assiste compiaciuto ai vari endorsment a suo favore per il Quirinale.
In origine, e un po’ a sorpresa, è stato il sottosegretario all’Economia (tecnico ma anche ex-socialista vicino a Cicchitto) Gianfranco Polillo a sdoganare le voci sulle rinnovate ambizioni di B. per il Quirinale: “Spero vada al Quirinale”.
Giovedì scorso è toccato al segretario del Pdl Angelino Alfano esprimersi: “Io voterei Silvio Berlusconi al Quirinale, ma oggi non lo candido. Sarebbe un gesto di imprudenza farlo oggi e poi mancherei di rispetto verso l’attuale Presidente della Repubblica”. Attenzione.
Le parole di Alfano precedono di due giorni la notizia sulla prescrizione per Mills.
Poi, appunto, il sabato della “strada in discesa” e l’articolo di ieri del Giornale.
Qual è dunque la strategia del Cavaliere per il Quirinale?
La prima opzione è dichiaratamente inciucista (o bipartisan come nello spirito di Onna del 2009, traduzione del dialogo berlusconian-veltroniano) e prevede una riscrittura delle regole istituzionali ed elettorali con il Pd.
In realtà una trappola per il centrosinistra perchè secondo i falchi del Pdl, oggi convertiti tatticamente alla sobrietà , il patto tra Berlusconi e Monti sull’articolo 18 fa sperare nell’implosione del partito di Bersani.
In base a questo schema, i sostenitori della Grande Coalizione (dal Pdl al Pd passando per Casini), sancita da un sistema proporzionale molto tedesco e poco spagnolo, otterrebbero il ritorno di Monti a Palazzo Chigi dopo le elezioni del 2013.
In cambio il Cavaliere farebbe il padre della patria dal Quirinale.
Ci sono due indizi da non sottovalutare in questo scenario descritto da molti nel Transatlantico di Montecitorio.
Il primo: il Professore è un uomo di centro e non accetterebbe mai di fare il candidato di un solo polo.
L’unica condizione che avrebbe posto per continuare il suo impegno a Palazzo Chigi, stavolta con un governo politico non tecnico, è proprio questa: un nuovo esecutivo di solidarietà o salvezza o unità nazionale.
Il secondo indizio conduce alla deflagrazione dei democrat, divisi tra riformista e laburisti, tra Grande Coalizione e foto di Vasto.
E a pagare il prezzo maggiore sarebbe Bersani, ipotetico candidato premier.
Così come dall’altro lato il sacrificato sarebbe Alfano.
Nei piani dei berlusconiani, però, c’è anche una seconda opzione per il Cavaliere al Quirinale: il metodo Napolitano.
Cioè l’elezione a maggioranza, senza accordi, come avvenne con l’attuale capo dello Stato nel 2006.
Dicono: “Il precedente c’è già ”.
In questo caso, il contesto sarebbe diverso: Porcellum ritoccato e bipolarismo intatto. Insomma, c’è un Berlusconi al Colle per tutte le stagioni.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
CALO DEL GOVERNO NEL SUO COMPLESSO, MA LA FIDUCIA AL PREMIER PASSA DAL 57% AL 59%…. TRA I MINISTRI SPICCANO CANCELLIERI, RICCARDI E PASSERA
Il passaggio prima del decreto fiscale e poi delle liberalizzazioni, quindi la strada in salita, ancora da percorrere fino in fondo, della traduzione in leggi della manovra hanno fatto oscillare ma non indebolito il governo agli occhi degli italiani.
Anzi, in particolare per la figura del premier la fiducia è persino aumentata alla fine di questo mese di febbraio.
E’ calata quella nella compagine governativa ma rimanendo comunque a livelli altissimi.
Sono questi i segnali più evidenti che giungono dalla rilevazione mensile di Ipr Marketing. Rispetto al monitoraggio di febbraio 2012, infatti, la rilevazione evidenzia che la fiducia in Monti è in aumento di ben due punti.
Arriva così al 59%, tornando a sfiorare la invidiabile “quota sessanta” che il premier raggiunse e superò tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio nel momento più alto della sua popolarità . Seguì il primo impatto con la manovra e la conseguente, netta discesa di consensi durante il mese di dicembre, fino al 52% – alto, ma di dieci punti in meno del precedente – dell’inizio del mese scorso.
Poi, però, passato l’impatto immediato dell’annuncio della manovra, la fiducia è tornata a salire di ben 5 punti (al 57% di fine gennaio).
Specularmente era calata al 34% la percentuale dei poco convinti delle mosse del premier, e continua a calare – in questo rilevamento di febbraio – fino al 33%.
Critiche e dubbi, dunque, sembrano concentrarsi più sulla compagine dei ministri che sulla figura del premier. la fiducia complessiva nel governo scende di due punti fino al 53%.
Un livello – fanno notare i ricercatori – decisamente molto alto, ma va pur sempre notato che il governo non ha invece beneficiato del “ritorno di fiducia” a manovra conclusa.
Infine i singoli ministri.
La percezione dei ricercatori è che per la maggior parte di loro si continuino a registrare livelli di conoscenza da parte dei cittadini molto bassi.
Tra loro la vera eccezione sembra essere il ministro della Cooperazione internazionale Andrea Riccardi che mantiene il secondo posto (crescendo nei consensi) anche a fronte di una visibilità mediatica decisamente ridotta rispetto a molti suoi colleghi.
In cima alla classifica di febbraio c’è il Ministro dell’Interno Cancellieri, la cui popolarità sembra essere stata addirittura rafforzata dai dati sui suoi redditi, ma anche sul livello di tasse pagate.
Al terzo posto Passera che precede Severino e Giarda.
I dati, però, sono chiari.
Dal giorno dell’affidamento dell’incarico (era il 16/11/ 2011) a oggi la fiducia in Monti è salita di 2 punti percentuali.
In calo, certo, rispetto a quell’inizio di dicembre scorso in cui fece segnare un 62% restato picco mai più raggiunto.
Ma era prima della manovra e questo può bastare a spiegare il calo, di 10 punti, registrato il 7 gennaio di quest’anno.
Altro aspetto significativo sono le ricadute sui partiti che sostengono il governo.
Tenuto in piedi da una maggioranza “anomala”, Terzo Polo, Pdl e Pd, l’ex commissario della commissione europea, non si nasconde le difficoltà legate alla tenuta delle formazioni politiche schierate al suo fianco.
Se si esclude il Terzo polo, imbarazzi e tensioni sono visibili in parte nel Pd ma soprattutto nel Pdl.
E proprio dal partito del Cavaliere si sono levate voci che chiedono di staccare la spina all’esecutivo e andare al voto.
Non a caso, scorrendo la tabella, solo il 30% degli elettori del Pdl dicono di avere fiducia in Monti. Una percentuale di poco superiore al 28% del carroccio.
Con una differenza significativa: la lega è all’opposizione, il Pdl sostiene il governo.
Ben più convinto il sostegno di Terzo Polo e Pd.
L’85% degli elettori dei centristi dichiara di avere fiducia nel premier, così come il 78% dei sostenitori democratici.
L’Idv, invece, resta nel guado. Nonostante Di Pietro abbia negato il sostegno al governo, il 60% degli elettori dell’Idv dichiarano di avere fiducia in questo esecutivo.
E anche tra chi si dice indeciso nella preferenza elettorale, la percentuale di chi dice di appreazzare la compagine governativa è alta: ben il 53%.
Angelo Melone
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
LE LETTERE DI FUOCO TRA BERTONE E TETTAMANZI…. IL SEGREATRIO DI STATO VOLEVA IL CONTROLLO DELL’ISTITUTO TONIOLO
Le lettere che il Fatto ha pubblicato in esclusiva descrivono una situazione inedita al vertice della Chiesa.
Il braccio destro del Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, si arroga il diritto di parlare a nome di Benedetto XVI e, forte di questo mandato, nel marzo del 2011 arriva a licenziare su due piedi il presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, un cardinale autorevole come Dionigi Tettamanzi, allora arcivescovo di Milano e accreditato dalla stampa nel 2005 come un possibile successore di Giovanni Paolo II.
Per tutta risposta Tettamanzi scrive a Benedetto XVI per chiedergli di sconfessare Bertone annullando la sua decisione.
E, colpo di scena, la sconfessione di fatto si realizza.
Nonostante il rinnovo dei vertici del Toniolo fosse stato già comunicato ufficialmente al successore in pectore, Giovanni Maria Flick, un anno fa.
La vicenda era stata già narrata a grandi linee nella primavera scorsa, ma nessuno aveva mai letto le lettere dei due cardinali.
L’oggetto della lettera di “licenziamento” per Tettamanzi non era il posto di arcivescovo di Milano, che nel giugno 2011 sarà poi assegnato ad Angelo Scola, ma la presidenza dell’Istituto Toniolo, uno dei maggiori centri di potere in Vaticano, che controlla il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e l’Università Cattolica con gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma e Campobasso, oltre alla casa editrice Vita e pensiero e numerosi beni immobili in tutta Italia più altre proprietà intestate a società commerciali.
Il Toniolo è sempre stato uno snodo dei rapporti tra politica e Chiesa, dai tempi in cui il suo consiglio includeva Oscar Luigi Scalfaro ed era presieduto dall’ex presidente del Consiglio Emilio Colombo.
Nel 2003 Dionigi Tettamanzi, da poco nominato arcivescovo di Milano, fu spedito da Giovanni Paolo II a presiedere l’istituto proprio per togliere dall’imbarazzo il Vaticano dopo il coinvolgimento di Colombo, come consumatore, in un’inchiesta sullo spaccio di cocaina a Roma.
Quando nel marzo 2011 Bertone intima brutalmente a Tettamanzi di levare le tende entro due settimane, nemmeno fosse la sua colf, il cardinale ha già i nervi tesi perchè si sente nel mirino di una campagna diffamatoria partita con una serie di lettere velenose sui giornali che gli imputano la presunta mala-gestio familistica del direttore amministrativo della Cattolica, Antonio Cicchetti.
E proprio nella lotta per il controllo del Toniolo molti iscrivono anche la pubblicazione, sempre nel 2010, della velina falsa e calunniosa contro l’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo, consigliere del Toniolo vicino al presidente della Cei Angelo Bagnasco e al suo predecessore Camillo Ruini.
Quando Tettamanzi, il 26 marzo del 2011, legge il fax con la lettera di licenziamento nella quale Bertone gli intima di lasciare il posto al professor Flick e di non fare nomine prima dell’arrivo del successore, l’arcivescovo reagisce come una belva ferita.
Tettamanzi scrive al Papa una lettera nella quale sostanzialmente insinua che Bertone non avesse l’investitura papale, da lui millantata, per cacciarlo e chiede a “Sua Santità ” di essere confermato.
Detto fatto. Il Papa, dopo avere ricevuto Bertone il 31 marzo e Tettamanzi il 30 aprile, lascia quest’ultimo al suo posto (e lì si trova tuttora a distanza di quasi un anno).
L’aperta sconfessione di Bertone non viene accolta bene dal segretario di Stato che da allora medita la rivincita.
Il primo scricchiolio dopo il braccio di ferro si è avvertito quando nel consiglio del Toniolo è entrato il cardinale Angelo Scola.
Probabilmente Bertone ha pensato di dare scacco matto a Tettamanzi mettendo in campo un uomo stimato dal Papa ma che non è considerato un suo fedelissimo.
Il cardinale ciellino Angelo Scola però non è certo paragonabile al laico ed ex ministro prodiano Flick.
La sostituzione del progressista Tettamanzi con un arcivescovo vicino alle posizioni del Pdl (anche se recentemente ha preso le distanze dai seguaci lombardi di don Giussani) sarebbe una piccola rivoluzione negli equilibri del potere Vaticano e sarebbe vista come una presa da parte dei conservatori di un feudo dei moderati non berlusconiani.
Per questo, nonostante risalgano a quasi un anno fa, le lettere che pubblichiamo conservano una grande attualità .
Il fax del segretario di Stato del 26 marzo 2011 e la missiva di Tettamanzi al Papa del 28 marzo sono la prova migliore della situazione anomala in cui versa oggi il vertice della Chiesa.
Il segretario di Stato si arroga sempre più spesso i poteri del Santo Padre e agisce con lo stile di un capo azienda.
Dall’altro lato i cardinali più autorevoli, come Tettamanzi, e i monsignori più orgogliosi, come Carlo Maria Viganò, si ribellano ai diktat di Bertone.
E il risultato è un governo schizofrenico che oscilla tra autarchia e anarchia.
Mentre Benedetto XVI si isola negli studi e nella scrittura dei libri, alle sue spalle si svolge una lotta di potere senza esclusione di colpi che danneggia l’autorità morale della Chiesa dentro e fuori le mura leonine.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Il carteggio riservato
BERTONE A TETTAMANZI
Signor Cardinale,
circa otto anni or sono Ella, accogliendo con encomiabile zelo e generosa disponibilità la richiesta che Le veniva fatta, accettò per un biennio la nomina a Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.(…).
Di fatto, l’impegno di Vostra Eminenza a servizio dell’Istituto Toniolo si è protratto ben oltre il tempo originariamente previsto, e questo ovviamente a prezzo di ben immaginabili sacrifici (…)
Ora, essendo scaduti alcuni Membri dei Comitato Permanente, il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico.
Adempiendo pertanto a tale Superiore intenzione, sono a chiederLe di fissare l’adunanza del Comitato Permanente entro il giorno 10 del prossimo mese di aprile.
In tale circostanza. (…) Contestualmente indicherà il Prof. Giovanni Maria Flick, previa cooptazione nel Comitato Permanente, quale Suo successore alla Presidenza.
Il Santo Padre dispone inoltre, che fino all’insediamento del nuovo Presidente, non si proceda all’adozione dì alcun provvedimento o decisione riguardanti nomine o incarichi o attività gestionali dell’Istituto Toniolo.
Sarà poi compito del Prof. Flick proporre la cooptazione dei membri mancanti nell’Istituto Toniolo, indicando in particolare il prossimo Arcivescovo pro tempore di Milano e un Prelato suggerito dalla Santa Sede.
In previsione dell’avvicendamento indicato, questa Segreteria di Stato ha già informato il Prof. Flick, ottenendone il consenso.
Non c’è bisogno che mi soffermi ad illustrare le caratteristiche etiche e professionali che raccomandano questa illustre Personalità , ex allievo dell’Università Cattolica del Sacro. Cuore, oggi nelle migliori condizioni per assumere la nuova responsabilità in quanto libero da altri incarichi. (…)
TETTAMANZI AL PAPA
Beatissimo Padre, sabato 26 marzo mattina per fax è arrivata alla mia attenzione, in qualità di Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, una lettera “riservata – personale” del Segretario di Stato, che mi induce (…) a sottoporre direttamente alla Sua persona alcune spiacevoli considerazioni.
La lettera in oggetto prende le mosse dalla mia nomina a Presidente dell’Istituto nel 2003, pochi mesi dopo il mio ingresso a Milano, sostituendo il Sen. Emilio Colombo, dimissionario non tanto a causa di modifiche statutarie, come affermato nello scritto, ma per più consistenti ragioni legate alla sua condotta personale e pubblica (…)
L’accenno a un originario ”biennio” di carica, anch’esso senza alcun riscontro, e a un tempo di governo prolungato è l’unico motivo che viene addotto per procedere immediatamente nella coazione al mio dimissionamento (…)
Annoto a margine che il candidato (Giovanni Maria Flick Ndr), sul cui profilo gravano non poche perplessità , sorprendentemente è già stato avvisato della cosa da parte della Segreteria di Stato.
Tutte queste sanzioni (…) sono direttamente ricondotte all’esplicito volere di Vostra Santità , cui lo scritto fa continuamente riferimento.
Ben conoscendo la mitezza di carattere e delicatezza di tratto di Vostra Santità e avendo serena coscienza di avere sempre agito per il bene dell’Istituto e della Santa Chiesa, con trasparenza e responsabilità e senza avere nulla da rimproverarmi, sorgono in me motivi di profonda perplessità rispetto all’ultima missiva ricevuta e a quanto viene attribuito direttamente alla Sua persona (…)
Nell’ultimo anno l’Istituto Toniolo è stato oggetto di attacchi calunniosi, anche mediatici, a causa di presunte e non dimostrate inefficienze amministrative e gestionali, apostrofate con l’espressione di mala gestio. Nulla di tutto questo! (…) (…)
Ma lascio a Lei di confermarmi con una Sua parola autentica.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
STAMPELLE PER ANNI DEI SIGNORI DELLA P2, I LEGHISTI HANNO BEN DIRITTO A UNA LOGGIA TUTTA PER LORO… LA “SUPREMA MILITIA EQUITUM CHRISTI GRAN PRIORIATO SANTI APOSTOLI”
L’informazione della provincia è meno leale dell’informazione nazionale: quell’imbarazzo dell’incontrarsi per strada e i poteri soffocanti di chi controlla giornali e Tv.
Brescia, per esempio, travolta da una baraonda che inguaia il Carroccio: Tempo Moderno on line, radice socialista, rompe la riservatezza che accompagna il rapporto d’affetti tra la Lega e l’establishment di una città devota.
Racconta della loggia segreta (e un po’ carnevalesca) del Bossi ormai spaventapasseri dei berluscones, il correre da solo che spaventa il Cavaliere.
E Belpietro, corsaro al servizio di Arcore, prova a tamponare distribuendo l’elenco degli affiliati sorpresi nell’oscurità : Rolfi vicesindaco, Monica Rizzi, baby sitter politica del Trota, promossa per meriti speciali assessore della Regione Lombardia o Attilio Visconti ex viceprefetto oggi prefetto a Pesaro, un passato nei servizi segreti. Fra i numerari della “Suprema Militia Equitum Christi Gran Priorato Santi Apostoli”, Bruno Caparini, ombra del leader, è “Gran Baylò” (?) dei Cavalieri raccolti nelle cinque logge nord di un’associazione “benefica” che alle opere buone dedica qualche spicciolo.
E poi massoni col cappuccio della Gran Loggia Regolare, non solo bresciani, ma riuniti chissà perchè attorno all’Arezzo di Licio Gelli dove i Santi Apostoli conservano i sacri elenchi dei quali è proibito mormorare.
Indiscrezioni punite con l’espulsione.
Se Arezzo resta la capitale virtuale, il cuore batte a Bergamo, Monza, Como, soprattutto Brescia.
Comanderia nella chiesa di San Gottardo, assistente spirituale don Arnaldo della Val Camonica: Cavalieri in preghiera decidono raccomandazioni e appalti.
La folla dei Novizi coltiva il sogno dell’avvolgersi nel mantello bianco segnato dalla croce dei Templari.
Ne ammirano l’eleganza durante il Gran Capitolo della Luce, trascrizione massonica della presentazione di Gesù al tempio.
Non si sa se ridere o impaurirsi, ma Bossi e Maroni vanno capiti.
Stampelle per anni dei signori P2, hanno pur diritto alla dignità di una loggia tutta per loro.
Sfogliare i giornali della città è una sorpresa: nessuno se ne è accorto.
Nemmeno Il Giornale di Brescia che “raggiunge 387 mila lettori”. Silenzio delle sue Teletutto, Telenord Numerica, Radio 17, Brescia on line.
Anche la concorrenza di Brescia Oggi trascura lo scandalo di una città dove il blasone delle grandi famiglie resta “l’aver accesso a Sua Santità ”.
Il Giornale di Brescia è proprietà della Chiesa, proprietà un tempo locale forse oggi scivolata a Roma.
Lo racconta una ricerca per l’Università di Parma di Massimo Guadrini; lo scrive il professore della Cattolica Maurizio Lovati nel libro “Giacinto Tredici, vescovo di Brescia in anni difficili”.
Tra il ’49 e il 1950 compra le azioni del Giornale: Folonari se ne libera quasi gratis in cambio di un titolo nobiliare, l’ultimo concesso dal Vaticano. E il vescovo prega Giovanni Battista Montini, allora segreteria di Stato, di conservare il segreto per evitare che i Beretta delle armi in concorrenza ai fabbricanti di vino aprisse un altro quotidiano.
Segreto custodito fino al libro di Lovati pizzicato con malevolenza dal Giornale governato dal notaio Comatini, presidente della Fondazione Paolo VI: è lui ad accogliere le visite di papa Ratzinger.
Il grande foglio racconta la Lega con doveroso riguardo e qualche entusiasmo insolito in un quotidiano prudente “costretto” a tener conto del Bossi signore delle vallate dove un tempo la Dc vegliava ogni potere.
Le parrocchie continuano a essere filtro di chi chiede e spera; la diocesi si adatta alla nuova realtà .
E il Giornale annuncia con l’allegria di una gita degli ultras i 18 pullman del Carroccio in partenza per la protesta di Milano contro il governo.
Insomma, la scoperta della loggia templare è una tempesta da valutare con calma. Prima o poi se ne parlerà , ma con dovuta prudenza.
Maurizio Chierici
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
E’ DERBY ALL’ULTIMO COMIZIO, MARONI SEMBRA AVERE PIU’ APPEAL E RIEMPIE LE SALE PIU’ DI QUANDO SUONAVA IL SAX… IL SENATUR ARRANCA TRA POSTI VUOTI E MALUMORI CERCHISTI… MA C’E’ CHI DICE CHE MARONI NOLEGGI PULMANN DI TRUPPE CAMMELLATE
Maroni batte Bossi. Almeno sul palco.
Un tempo, i comizi del Senatur erano oggetto imperdibile. Posti in piedi, autografi. Slogan.
Oggi il vecchio leone sembra ruggire meno forte. C’è un delfino di nome Bobo che può vantare un appeal più fresco. Basta prendere come esempio il comizio dell’altra sera a Sassuolo.
Sul palco c’è l’Umberto, come lo chiamano confidenzialmente quelli del cerchio magico.
La platea supera a mala pena le 150 persone. Tanto che Bossi fa un comizio dove dice l’essenziale.
Giusto che Berlusconi gode dell’assoluzione (in realtà si riferiva alla prescrizione per il caso Mills, ndr) solo perchè il governo ha bisogno dei suoi voti.
Applausi, certo. Ma pochi.
Basta confrontare con quello che è accaduto una settimana prima a Parma: in questo caso il numero dei presenti è superiore e di molto ai 300. Molti sono in piedi.
Maligni dicono che Maroni si porti dietro i suoi fan con pullman da lui (o dalla Lega?) pagati. Ma sicuramente è un altro comizio, con un’altra platea.
Che la lotta tra i due sia aperta da mesi non è un mistero.
E se il termometro sono le presenze ai comizi, un vincitore c’è già e non si chiama Bossi.
La foto è proprio quella che pubblichiamo in quest’articolo.
Parma: lunedì 20 febbraio alle 21, nell’auditorium della Camera di commercio l’ex ministro dell’interno, Roberto Maroni, davanti a una sala colma (più di 280 i posti disponibili) presenta il candidato sindaco per le prossime amministrative.
Forse dell’ordine schierate all’esterno e tanti militanti non trovano sedie libere.
Sassuolo: domenica 26 febbraio, stessa ora.
Il senatur scende dall’auto coi vetri oscurati. Oltre il muro di giornalisti, telecamere e fotografi trova tante seggiole vuote.
Un cartello all’ingresso dell’aula magna dell’istituto scolastico Volta dove si tiene il comizio recita: capienza massima 250 persone.
Forse il discorso di un qualunque politico locale avrebbe riempito di più quella sala e magari ci sarebbero state, come ieri sera, due o tre utilitarie della polizia.
Quali problemi di ordine pubblico ci possono essere a un comizio di Bossi?
Maroni è da giorni impegnato in un tour per il nord e dovunque vada riempie teatri.
A Vigonza, provincia di Padova, venerdì sera il gestore della sala dove Bobo doveva parlare ha dovuto chiamare i carabinieri per bloccare gli accessi: in sala c’erano 250 persone in più rispetto alle 380 ospitabili.
Stasera a Milano ci sarà una cena organizzata dalla segreteria provinciale del Carroccio con già 500 adesioni.
Nei giorni scorsi in un meeting leghista a Bergamo con Bossi e Roberto Calderoli lo stesso senatur avrebbe mal digerito le ovazioni tributate a Bobo.
Una cosa simile era successa a Milano un mese fa, in piazza.
L’ex titolare degli Interni, sotto gli occhi di ‘re Umberto’ si era rifiutato di stringere la mano a due esponenti del cerchio magico bossiano, Rosi Mauro e Roberto Reguzzoni, mentre il popolo in piazza Duomo gridava “Maroni, Maroni”.
Ma ieri a Sassuolo erano anche le assenze alla visita di Bossi a far più rumore.
Da Bologna, poche decine di chilometri di distanza, c’era solo la consigliera comunale Lucia Borgonzoni (che, va detto, era presente anche a Parma), mancavano invece le altre due.
Dei consiglieri regionali assenti due su quattro. Mancavano Roberto Corradi e Manes Bernardini, ex candidato sindaco a Bologna per il centrodestra e maroniano doc, che lunedì non aveva esitato a farsi il viaggio dal capoluogo fino a Parma per seguire Bobo in prima fila.
Non è bastata insomma la direttiva di metà gennaio (subito ritirata) con cui il segretario della Lega lombarda, col placet del segretario federale Bossi, vietò l’organizzazione di comizi del partito in cui parlasse il solo Maroni.
“Mi viene da vomitare — scrisse allora l’ex ministro dell’Interno — c’è chi mi vuole cacciare dalla Lega, ma io non mollo”.
E infatti, almeno a vedere la situazione da questa sponda del “dio Po”, Bobo sta conquistando il partito. Conosce la macchina dello Stato (quello italiano e non solo quello padano), cita tutte le sue conquiste da ministro.
Soprattutto non c’è comizio in cui non tessa le lodi dell’amico Umberto. “Mia moglie mi dice sempre che io sono sposato prima con Bossi”, ha ripetuto scherzosamente anche a Parma.
Poi dice che le divisioni ai vertici del partito sono “invenzioni dei giornalisti”.
Il vecchio leader, anche ieri sera, la parola Maroni non l’ha pronunciata nemmeno una volta e, allo stesso modo, non ha fatto alcun cenno alle divisioni interne al partito.
Dopo il Va pensiero di rito ha parlato per qualche minuto di governo e dell’ex alleato Berlusconi, tanto per dare due notizie ai giornalisti in sala.
Ma dietro il muro delle tv, quelle sedie vuote erano davvero tante.
Il cuore leghista batte da un’altra parte.
David Marceddu
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
UTILIZZATI OLTRE 250.000 PROFESSIONISTI, PER LA CORTE DEI CONTI SI TRATTA DI”COSTI SPROPORZIONATI E INUTILI”…”INCARICHI SPESSO ASSEGNATI IN ASSENZA DI ADEGUATI REQUISITI PROFESSIONALI”…IN 4 ANNI LA SPESA E’ SALITA DI 400 MILIONI
La marcia dei consulenti non conosce soste, sospinta da interessi clientelari e fondi pubblici a go go: ammonta a quasi un miliardo 800 milioni la spesa annua per gli incarichi affidati da sindaci, presidenti di Province e Regione, manager di aziende sanitarie, rettori di atenei più o meno illustri.
Quello del ricorso al tecnico esterno è un fenomeno che riguarda circa 250 mila professionisti nel foglio paga delle pubbliche amministrazioni italiane e che è in costante crescita.
Basti raffrontare il dato della spesa – fornito dal ministero dell’Innovazione e aggiornato al 2010 – con quello fatto registrare quattro anni prima: oltre 400 milioni euro in meno.
Accanto ad incarichi necessari, fa rilevare la Corte dei Conti, ce ne sono tanti assegnati “in assenza di requisiti professionali adeguati o senza previa verifica dell’esistenza di professionalità interne”.
È un male endemico, rileva il magistrato siciliano Luciano Pagliaro, avendo bene in mente come l’amministrazione regionale dell’Isola segni un record poco edificante: con 13 incarichi al mese la giunta Lombardo non teme confronti.
Anche se nel più ricco Centro-Nord il valore dei contratti firmati, e di conseguenza la spesa pubblica, è superiore: Lombardia al primo posto, nel 2010, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Lazio e Piemonte.
Da Milano a Palermo, da Genova a Castellammare di Stabia, è una rassegna di sprechi: dai velisti e dai suonatori di piano bar chiamati ad occuparsi della ricostruzione dopo l’alluvione del Messinese ai tecnici precettati dopo il sisma in Basilicata che dal 2002 al 2008 hanno esaminato cinque pratiche (5!) ogni anno.
Dalle due relazioni fatte col copia incolla che sono valse a un professionista ligure un doppio compenso ai dipendenti del ministero delle Politiche agricole nominati pure consulenti di una partecipata.
Una malapianta difficile da estirpare.
Se è vero che, a fronte dei quasi due miliardi di spesa, le condanne per consulenze illecite si sono limitate ad accertare un danno erariale di tre milioni.
Emilia Romagna
Ventidue milioni di danno erariale e il dipendente diventa consulente
Il sito del ministero della Funzione pubblica pone l’Emilia Romagna ai vertici della classifica
Di recente la Guardia di finanza ha elencato una casistica di furbetti e doppiolavoristi in nero che hanno provocato un danno erariale superiore ai 22 milioni.
Un docente dell’Alma Mater di Bologna, all’insaputa di università e fisco, faceva l’ad in una spa del settore ingegneristico.
E in una decina di anni avrebbe messo in tasca 386mila euro extra. Il funzionario di un’agenzia fiscale ha incassato 8.500 euro di consulenza da un’azienda di servizi.
Un altro dipendente pubblico pare sia riuscito nella incredibile impresa di diventare consulente dello stesso ente da cui riceve lo stipendio.
Liguria
La giunta ha pagato due volte per avere lo stesso progetto
Doppio compenso per relazioni-fotocopia. È il caso paradossale giunto a conclusione, almeno sul piano giudiziario, nel 2011 in Liguria.
Una sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha condannato un ex assessore regionale, Giovanni Battista Pittaluga, e il dirigente Giuseppe Profiti, al pagamento di 30 mila euro, in quanto responsabili di una spesa gonfiata sostenuta dalla Regione.
La giunta affidò nel 2001 al professor Giovanni Valotti l’incarico di un progetto di sviluppo della organizzazione dell’ente: il lavoro si concluse due anni dopo con una relazione, e costò 72.500 euro.
Nel 2007 nuova consulenza, allo stesso professionista, “sullo stesso oggetto”. Incarico ingiustificato, osserva la Corte. “E ciò è dimostrato dalla pressochè totale identità del testo delle due relazioni”. Un caso ben remunerato di “copia e incolla”.
Lombardia
Il consulente telefonico e il segretario promosso direttore
Nel j’accuse della procura contabile meneghina una parte significativa riguarda incarichi e consulenze assegnati in modi illegittimi.
I magistrati elencano una sfilza di esempi: la promozione del segretario comunale a direttore generale, la figura apicale della burocrazia, in un Comune con soli tre dipendenti.
O ancora la consulenza affidata “in modo del tutto generico”: “espletava le sue funzioni al telefono”. Storie che seguono le condanne piovute sull’ex sindaco Moratti per lo spoils system che aveva premiato manager esterni sprovvisti di titoli e per i compensi a sei componenti dell’ufficio stampa.
Anche da ministro, nel 2001, la Moratti aveva assegnato una consulenza ritenuta impropria dalla Corte: quella a Ernst&Young, costata 180 mila euro.
Sicilia
13 contratti al mese, per l’alluvione: reclutati pianisti, velisti e sciatori
L’ultimo caso è quello del presidente della Provincia di Palermo, Giovanni Avanti, citato a giudizio dalla procura contabile per la spesa spropositata sostenuta per tenere in piedi, dal 2008 a oggi, il suo ufficio di segreteria “imbottito” di esterni: la Corte dei Conti gli contesta un maxi danno erariale, pari a un milione di euro.
Ma è la Regione a far registrare un boom di consulenze: nel 2011 la giunta Lombardo ha viaggiato alla media di 13 contratti al mese, per uscite complessive superiori a un milione e mezzo di euro.
Fra i capitoli di spesa più sostanziosi, la ricostruzione delle zone alluvionate del messinese.
Con i suoi poteri commissariali il governatore ha affidato 15 incarichi (400 mila euro la spesa) che hanno premiato, si legge dai curricula, appassionati di vela e sci alpino, pianisti di piano bar e organisti su richiesta per matrimoni.
Campania
Castellammare, il record della Asl: 23 milioni per parcelle di avvocati
La stangata più recente risale a gennaio: la Corte dei conti campana ha fatto pervenire ai vertici dell’ex Asl 5 di Castellammare di Stabia un “invito a dedurre” (l’equivalente dell’avviso di garanzia) per le spese legali sostenute sino al 2008.
L’accusa rivolta ai dirigenti è quella di essersi rivolti allegramente ad avvocati esterni all’ente, fino ad accumulare parcelle (interessi compresi) per 23 milioni di euro.
Sono 75 le istruttorie aperte su incarichi e consulenze affidati da enti campani. “In svariati casi si registra una completa inutilità della spesa”, dice il procuratore Tommaso Cottone) che cita alcuni esempi (il Comune di Capri deve rispondere di un danno pari a 240 mila euro) ma segnala che il fenomeno è assai diffuso anche in settori diversi dagli enti locali. Il Cira (centro ricerca aerospaziale) deve rispondere di un danno pari a 106 mila euro.
Lazio
Le spese Rai a difesa di Meocci, condannati i dirigenti aziendali
Il presidente della sezione giurisdizionale della Corte, Salvatore Nottola, mette in evidenza tre sentenze di condanna del 2011.
La principale riguarda il danno finanziario procurato alla Rai dopo l’illegittima nomina dell’ex direttore generale, Alfredo Meocci, sanzionata dall’Agcom.
Alcuni dirigenti, fra i quali il capo dell’ufficio legale Rubens Esposito, sono stati condannati a rifondere le spese “sostenute dalla società pubblica per l’acquisizione di pareri favorevoli a tale nomina nonostante la palese illegittimità “.
È stato condannato al pagamento di 100 mila euro l’ad di una società partecipata dallo Stato, Fabrizio Mottironi, che aveva affidato consulenze a professionisti nel frattempo anche assunti con contratti di collaborazione nello staff del ministro delle politiche agricole: insomma, gli “esperti” erano pagati due volte.
Basilicata
Qui il primato delle “condanne”: 125 mila euro per 5 pratiche in 7 anni
La Basilicata è, a sorpresa, la regione che ha registrato il maggior numero di condanne, nel 2011, per il ricorso a consulenze illecite: cinque.
Anche il terremoto del 1998 ha contributo a gonfiare il fenomeno. Ha visto il traguardo l’iter di un’inchiesta che ha condannato la giunta di Lauria, in provincia di Potenza, al pagamento delle spese sostenute (125mila euro) per l’assunzione di un gruppo di tecnici “esterni” incaricati di vagliare le pratiche di risarcimento danni.
La Corte ha sottolineato che in sette anni (2002/2008) sono state definite soltanto 172 pratiche: circa 5 pratiche all’anno per ciascun tecnico convenzionato. Insomma, per dirla con le parole dei giudici, non proprio “una gestione efficace ed economica”.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, economia, Politica, radici e valori | Commenta »