Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA METTE IN GUARDIA IL CAVALIERE DAGLI “SCHIZOFRENICI DEL PDL” CHE LO CIRCONDANO
Vittorio Feltri, editorialista de il Giornale, in un’intervista al Fatto Quotidiano mette in guardia il Cavaliere da chi lo circonda.
Berlusconi è in uno stato psicologico confusionale, ed è comprensibile.
Un giorno sostiene una cosa e il giorno dopo un’altra: è proprio nel pallone.
E non perchè sia scemo, ma perchè la situazione è talmente incasinata che non se ne esce.
Lui si circonda di accondiscendenti a sua disposizione a prescindere dal loro valore e dalla loro sincerità . Anche se alla fine gli stanno pure sulle balle.
A parte i figli c’è solo gente che gli vuole male, che pensa solo a se stessa e a spremerlo fino all’ultimo, a proprio esclusivo vantaggio.
Ormai è tardi, non c’è più niente da fare.
Doveva pensarci prima, ma troppa presunzione, dovuta anche ai suoi successi, ha creato un eccesso di fiducia. Che produce gran stupidaggini.
E sulla strategia del Pdl, Feltri non usa mezzi termini:
Sa perchè nessuno capisce la strategia del Pdl? Perchè non c’è! E se c’è è scritta in cinese. Il comportamento del centrodestra in generale è schizofrenico. Da sempre. Non sono mai riusciti a legiferare in modo non dico intelligente, ma nemmeno conveniente (…)
Qualsiasi cosa facciano Augello o gli esponenti di maggior spicco, si fa per dire, del Pdl, è inutile. Qui non c’è più niente da fare, la soluzione non c’è. Sono piccoli tentativi per allungare il brodo che non porteranno a nulla.
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
E’ COMPARSO A SINISTRA MENTRE LA SINISTRA SCOMPARIVA…UN PASSATO NELLA MARGHERITA, POI IN REGIONE NELLA GIUNTA VENDOLA, INFINE A PRESIEDERE LA GIUNTA CHE DEVE DECIDERE SULLA DECADENZA DEL CAVALIERE
Ok, le pregiudiziali sono importanti. Il relatore Andrea Augello (Pdl) ne ha presentate tre, il collega Lucio Malan ne preferisce una singola, monogama.
Ma le pregiudiziali, in questa Giunta per le elezioni e le immunità infoltita di nuove comparse e antichi ritorni, possono aumentare senza controllo.
Per dire, ci sono almeno tre pregiudiziali sul presidente: si dice e si scrive Stefano, Stefà no o Stefanò? Urge controllare il regolamento.
Il trucco di Dario Stefà no non è il cognome, e nemmeno il ciuffo un po’ precario e un po’ ribelle e no, neppure, il colore catramato dei capelli e, non scherzate, il baffetto inciso con il righello.
Il trucco di Stefà no è l’evoluzione politica: il salentino di Scorrano, e qui non fatevi venire dubbi su dove cada l’accento, è comparso a sinistra mentre la sinistra scompariva. Un capolavoro.
Docente universitario di Economia a Lecce, dirigente di Confindustria in Puglia, imprenditore solido e non sappiamo se solidale, Stefà no ha esordito con la Margherita: consigliere regionale, capogruppo di un partito in estinzione e in fusione. A Stefà no compete l’arte di occupare il deserto, tanto qualcuno ti noterà .
E così Nichi Vendola, inguaiato per le inchieste giudiziarie dei vari Tedesco e Frisullo, fu costretto a fare un rimpasto e, per impastare bene e dialogare con i cattolici, scelse l’ambizioso Dario: assessore, Agricoltura e deleghe miste.
Il presidente, che può far decadere il senatore Berlusconi, oltre a coprire più zone del campo politico, ama farsi corteggiare, tirare un po’ di qua e un po’ di là .
Per il secondo mandato, Vendola doveva abbindolare il centro e proprio al centro, scontento di un Partito democratico troppo di sinistra, Stefà no stava per approdare.
In campagna elettorale, tre anni fa, in Puglia lo conoscevano tutti, e si chiedevano: l’ex assessore lascia il Pd e va con l’Udc?
L’autore del libro dal titolo onnicomprensivo “Come mettere un punto a capo. Diario di bordo” — presentato con Pier Ferdinando Casini in visita pastorale a Lecce, ovvio aveva fretta di rispondere: “Le biglie non sono ancora ferme. Vi farò sapere”.
E nel frattempo, però, sosteneva Adriana Poli Bortone (ex An) a Lecce e il casiniano Ferrarese a Brindisi.
Ma più oscillava, più per Vendola era necessario, non soltanto utile.
Stefà no, impresario di se stesso, costruì con mani democristiane — tanti voti, tanto potere — una lista in supporto al candidato di Sinistra e Libertà e, sempre con affascinante lentezza, si prese un pezzo di Sel.
Il governatore non poteva evitare la ricompensa: un posto per il Senato.
Proiettato a Palazzo Madama, il salentino si sentiva un po’ disperso: mollata la seggiola di assessore, tumulato il desiderio di governare col Pd, faceva dichiarazioni a caso.
Un giorno chiese la parole in aula. Era serio, contrito, quasi in ascesi. I colleghi fecero silenzio. E disse: “La tipografia non stampa più i cosiddetti bollettini e questo disservizio lede le prerogative parlamentari”. Non s’era ambientato bene.
Pazienza, però. Perchè Stefà no ha i suoi tempi.
La divisione aritmetica di poltrone e poltroncine ha catapultato l’ex Margherita in Giunta per le Elezioni e le Immunità : non semplice componente, addirittura presidente.
Ha debuttato giurando: “Saremo all’altezza del Paese”. Poi gli è scoppiato tra i piedi il petardo Berlusconi. E ha reagito: “Andiamoci piano: non è che io schiaccio un bottone e, puff, mi scompare il nemico, come fossimo alla Playstation”.
Ascoltata la sentenza di condanna in Cassazione, tra interviste e interventi, s’è fatto avanti, s’è fatto vedere.
Come a dire: eccomi, ci sono. È il momento.
Ha promesso: “Ci metteremo un mese”. Lunedì sera le telecamere erano attratte da quest’uomo di Scorrano e lui sorrideva, s’avvicinava e forse ricordava le fotografie fra le vigne in Salento o con Michele Placido e Lino Banfi che colorano l’aggiornatissimo sito ufficiale.
Bruno Vespa l’ha convocato a Porta a Porta e lui, rigoroso e puntuale, ha interrotto la Giunta (casualità ?) e si è fiondato negli studi Rai.
Poi s’è sentito pure insultare. Alessandro Sallusti l’ha definito un comunista.
Carlo Tecce
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO IL MURO CONTRO MURO, IN SENATO SI DECIDE DI PROSEGUIRE CON LA DISCUSSIONE GENERALE: OCCORRERANNO ALTRI DIECI GIORNI
Sembrava davvero Giunta l’ora di Silvio Berlusconi e, per ritorsione, di Enrico Letta.
Per una decina di ore il muro contro muro democratico denunciato da Renato Schifani,aveva retto senza segni di crepe.
In serata, però, già ai primi ingressi e ai primi ghigni, s’era capito che non si sarebbe votato nulla e che la decadenza del senatore di Arcore, eletto in Molise, sarebbe scivolata a nuove sedute e nuovi calendari.
Faceva sospettare il mesto arrivo del sempre loquace Dario Stefà no, il presidente di Sel.
Ci vuole la solita passerella del socialista Buemi, verso le 22, per avere la certezza: “Ci vogliono almeno 920 minuti per votare. dice facendo calcoli empirici e volutamente spettacolari — Andiamo concordi verso una discussione sul merito”.
Augello s’è preso una rivincita: nessuno ha toccato le pregiudiziali, il confine che il Pdl aveva delimitato per percepire la disponibilità dei democratici, e si ricomincia quasi da zero con una decina di giorni in più. E un po’ di spazio per dialoghi e trattative varie.
Chissà se avranno influito di più le pressioni dei berlusconiani, le minacce a Palazzo Chigi oppure la “convivenza nazionale” evocata da Giorgio Napolitano.
La giornata s’è aperta come se non si fosse mai conclusa la seduta di lunedì. I
l Partito democratico non s’era mosso di un millimetro, deciso, fermo: le pregiudiziali di Augello, che rinvierebbero la pratica altrove, vengono votate (e respinte) insieme.
I rappresentanti pd in Giunta si sono riuniti a mezzogiorno. Hanno fatto in fretta, non c’era nulla da aggiungere e nulla da eccepire.
Quasi in contemporanea, il Pdl ha convocato i suoi senatori: speranze azzerate, si va in guerra o, peggio, in campagna elettorale Quirinale permettendo.
Da Renato Brunetta a Daniela Santanchè, tutti, affilavano le lame per l’incontro fissato per questo pomeriggio fra il Cavaliere e i gruppi parlamentari.
Il Gran Consiglio — prontamente cancellato — per decretare la fine del governo Letta con una schiumosa rabbia di contorno.
Qualcosa sarà successo. E non va ricercato nell’incompiuto tentativo di Lucio Malan, il biondo berlusconiano, di presentare una quarta pregiudiziale.
Il Partito democratico ha iniziato a indebolire il muro quando ha accettato la retromarcia tattica di Augello: le pregiudiziali diventano preliminari e confluiscono nel testo finale. In soldoni: il Pd asseconda le richieste del Pdl e provoca uno slittamento, forse minimo e non determinante per le sorti di Berlusconi, ma comunque uno slittamento che fa ricomparire un’intesa fra gli alleati di governo e isola il M5S.
Non finisce qui, però.
Perchè l’agognata relazione di Augello è un cantiere che si alimenta di pagine e appunti: ieri ha letto una postilla di 25 pagine, un’integrazione contro la legge Severino, ma non s’intravedono le conclusione.
Il relatore non dice se il senatore Berlusconi va fatto decadere o va salvato e così, sfruttando un caso che fa “giurisprudenza”, dicono, ci si arrampica per un sentiero sconosciuto e lunghissimo. L’ex magistrato Casson se ne lamenta: “Augello non fa le conclusioni”.
Le farà , poi, e saranno “dubitative”: propone la decadenza con astuzia perchè legata a una serie di pareri esterni, cioè o della Corte di Lussemburgo o della Corte Costituzionale.
Ma i democratici avevano l’occasione per evitare la melina Pdl: potevano applicare il regolamento, come avevano puntualmente precisato e spiegato lunedì, bocciare le pregiudiziali e costringere Augello a una ritirata immediata con le dimissioni.
Potevano prendere la guida in Giunta, nominare un relatore di maggioranza e serrare qualsiasi via di fuga per il Cavaliere.
Avevano un’occasione, una da chiudere la partita, e l’hanno sprecata goffamente.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
IMPAZZA NEI TALK SHOW LA MODA DI SPARARLE GROSSE
Col massiccio ritorno dei talk show vecchi e nuovi, praticamente un accerchiamento, riciccia puntuale come le foglie d’autunno “La Puttanata”.
La Puttanata non è soltanto una bugia, una cazzata, uno sragionamento, un’analisi disinformata, una negazione dei fatti e delle carte, un atto di servilismo, un’arrampicata sugli specchi, un diversivo per parlar d’altro: è tutte queste cose insieme.
Dunque è facilissima da pronunciare e difficilissima da smentire.
Per almeno due motivi.
1) Il tempo in tv è sempre scarso e invece ne occorrerebbe molto per entrare nei particolari, tantopiù che i produttori di puttanate ne sfornano a decine in pochissime frasi, di solito pronunciate mentre parlano gli altri tentando di smontare le precedenti.
2) Prima di riuscire a replicare alla Puttanata, occorre sempre superare qualche istante di stupore misto a smarrimento, durante il quale la mente ti si affolla di interrogativi (ma che sta dicendo questo? ma che c’entra col discorso che stiamo facendo? ma cosa crede di dimostrare? ma starà bene? ma si droga? ma chi gli scrive i testi, il mago Otelma?).
Qualche esempio.
Paolo Mieli, a Piazzapulita, sostiene che a Berlusconi (e alla sua ditta) converrebbe dimettersi da senatore. Replica la Santanchè: “Ma Mieli nel ’96 ha scritto che votava Prodi quindi non è imparziale”.
Cioè: per essere imparziale, un giornalista non deve votare mai, oppure votare di nascosto, travestito da un altro.
Nello stesso programma, viene fatto notare alla Santanchè che la legge Severino, a suo dire incostituzionale, l’ha votata anche il Pd e lei ne aveva menato pubblicamente un vanto.
Risposta: “Anche il lodo Alfano fu bocciato dalla Consulta che lo ritenne incostituzionale”. Già , ma a chiedere di bocciarlo furono i giudici, non il Pdl che l’aveva scritto e approvato.
De Gregorio racconta di aver ricevuto da B. 1 milione dichiarato per il suo movimento e 2 milioni in nero, tramite Lavitola, per il suo passaggio dall’Idv al Pdl.
Telefona Verdini tutto piccato: “Non vedo perchè avremmo dovuto pagarlo in nero, quando altri come Rotondi hanno ricevuto ancora di più, ma legalmente e ufficialmente, per il loro patto federativo con noi”.
Ma da quando le alleanze politiche si fanno a pagamento? In quale codice penale le tangenti diventano lecite se messe a bilancio?
A Porta a Porta, Vespa annuncia uno scoop: “La testimonianza, non messa agli atti del processo Mediaset, di Agrama davanti a Ghedini”.
Segue imbarazzante filmato di Agrama che risponde a Ghedini leggendo le risposte da un foglietto sostenendo che B. non lo conosce, non gli risulta, forse non esiste. Schifani s’illumina d’immenso: “Una prova testimoniale importantissima”. Naturalmente, come tutte le indagini difensive, anche quella è agli atti del processo Mediaset.
Ma non è una testimonianza, nè tantomeno una prova testimoniale: Agrama è un imputato (poi condannato con B. e altri due) che esercita la facoltà — peraltro unica al mondo — di mentire.
Peter Gomez lo fa notare, ma interviene Sallusti, noto giureconsulto della famiglia Addams: “Leggi la Costituzione! La verità degli imputati vale esattamente quanto quella dei pm”.
Deve trattarsi della Costituzione di Disneyland: nella nostra il pm ha il dovere di cercare la verità , mentre l’imputato e il suo avvocato han diritto di mentire.
Gomez ricorda che i fondi neri sui diritti Mediaset furono usati per corrompere politici, giudici e finanzieri. Vespa interrompe: “Invidio le tue certezze”.
Ma non sono le certezze di Gomez: sono le sentenze definitive dei processi Mills e Mediaset.
A Otto e mezzo la senatrice avvocata Maria Elisabetta Alberti Casellati Vien dal Mare sostiene fra le altre amenità che B. è innocente perchè la gente l’ha votato e “tutti quelli che incontro per strada sperano che B. resti a continuare la sua attività politica”. Problema: posto che bastano 8 milioni di voti per rimanere senatori con una condanna a 4 anni per frode fiscale, quanti voti bisogna prendere per commettere un omicidio e restare in Parlamento?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL QUIRINALE VUOLE CONSOLIDARE LA “CONVIVENZA NAZIONALE”, IL PDL INCASSA… ENRICO LETTA VEDE ALFANO: “SI PUà’ ANDARE AVANTI”
Il governo di Enrico Letta non avrà il suo Undici Settembre.
Semmai, se ne parlerà tra sette, massimo dieci giorni, persino di più a sentire le colombe più ottimiste del Pdl.
La trattativa, oppure la mediazione secondo un linguaggio più aulico, iniziata nella notte tra lunedì e martedì scorsi ha salvato tutti, per il momento. Esecutivo e Cavaliere.
Sotto la vigilissima sorveglianza del Colle che proprio ieri, prima che scattasse la fatidica ora X nella giunta del Senato, ha ricordato che “se non consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale tutto è a rischio”.
Che tradotto molto crudamente, secondo lo stile realista, cioè togliattiano, di Giorgio Napolitano vuol dire: il Pd deve convivere con il Pdl del Condannato di Arcore.
Il quale Berlusconi, quando ha saputo del vittorioso congelamento per almeno una settimana, ha commentato soddisfatto coi falchi del Pdl: “Il Pd si è genuflesso, se la sono fatta sotto”.
Ad Arcore, infatti, l’uscita di Napolitano è stata interpretata come un richiamo diretto soprattutto al Pd. E ambienti del Quirinale non nascondono la “sorpresa” e “l’irritazione” del capo dello Stato per la posizione del Pd dell’altra sera.
Questo è il risultato politico della infinita giornata di ieri. Sospiro di sollievo. Domani è un altro giorno e, aggiunge, un ministro berlusconiano, “ogni giorno ha la sua pena”.
I due maggiori partiti delle larghe intese è come se avessero azzerato il tragico, per loro, lunedì della giunta e fossero tornati al punto di partenza, il patto con il Pd per allungare la discussione sulla decadenza di B. e guadagnare tempo in vista del fatidico ottobre, mese in cui il Cavaliere dovrà scegliere se fare i servizi sociali per la condanna Mediaset oppure ritagliarsi un ruolo da ayatollah agli arresti domiciliari.
In merito, chi lo ha sentito ieri sera, quando la giunta si era già messa disciplinatamente sul binario dello slittamento, ha parlato di “un prossimo colpo geniale del presidente nei prossimi giorni”.
Quale? Mistero assoluto.
Fatto sta che per il Quirinale le condizioni per la grazia sono sempre le stesse, garanti le colombe del Pdl (Fedele Confalonieri, la figlia Marina, Gianni Letta, a seguire Alfano e gli altri): passo indietro da senatore, per evitare il voto sulla Giunta, e accettare il percorso della condanna con i servizi sociali.
Altre opzioni potrebbero portare di nuovo al muro contro muro di questi giorni.
Con la trattativa riuscita di ieri, il Cavaliere ha dato di nuovo credito alle colombe del suo partito. Ovviamente, il tempo è limitatissimo.
B. vorrebbe avere un segnale ancora più forte dal Pd entro venerdì, comunque per la fine della settimana. Altrimenti si tornerà agli ultimatum, come quelli pronunciati fino a poche ore fa da Schifani e Brunetta: “Se il Pd vota per la decadenza la maggioranza si rompe”
Altro grande protagonista della trattativa è stato lo stesso premier Letta, in contatto costante con il Colle e con lo Zio, alias Gianni, ambasciatore del centrodestra.
Fino all’ora di pranzo, Letta ha pure confermato la sua partecipazione, insieme ad Alfano, a un convegno a Frascati, organizzato dalla scuola estiva di Magna Carta, la fondazione del ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello. Quindi il forfait.
Il suo e quello di Alfano. Segno che si rimaneva a Roma a trattare.
Il segretario del Pdl ha riunito i ministri del suo partito nel pomeriggio, per reiterare la minaccia delle dimissioni e fare un po’ di scenari (Letta bis, appoggio esterno).
Poi Alfano ha visto “l’amico Enrico” e quest’ultimo ha sentenziato, in nome della responsabilità : “Si può andare avanti”
Il punto di svolta è stato però l’ennesimo intervento di Napolitano, in occasione del-l’incontro con una delegazione di Barletta, guidata dal neosindaco Pasquale Cascella, già portavoce del capo dello Stato nel primo settennato.
Tempo di un’ora e Berlusconi ha dato ordine di “sconvocare” l’assemblea dei gruppi parlamentari del Pdl prevista per oggi alle tredici.
Chiaro sintomo di disgelo delle tensioni e congelamento della situazione allo stesso tempo. Tra soddisfazione provvisoria e rabbia per la condanna, il Condannato adesso ha una finestra di “riflessione” di almeno una settimana.
L’altro giorno, di fronte alla quasi rottura, le colombe sono diventate falchi gridando al tradimento. Ieri è stato al contrario.
Si aspetta “il colpo geniale”. Se verrà .
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
NON SOLO LA COMMUTAZIONE DELLA PENA MA ANCHE LA CERTEZZA DI NON ESSERE ARRESTATO PER ALTRI PROCESSI
«So di non avere alternative, comunque tra un mese incombe l’interdizione, non ho scampo: posso tenere in vita il governo per il bene del Paese e uscirne da statista. Ma pretendo garanzie dal Colle».
Il pendolo che in questi giorni oscilla frenetico e a volte sembra impazzito, in serata si ferma d’improvviso su un Cavaliere riflessivo.
Stremato dallo stress, prigioniero della sindrome da assedio, da accerchiamento.
Quasi costretto dalla figlia Marina, dai vertici dell’azienda, dai consiglieri più fidati Gianni Letta in testa, dai ministri Pdl guidati da Alfano a considerare i «vantaggi» di una rinuncia al seggio parlamentare.
«Voi continuate pure a trattare, ma io dei cosiddetti democratici non mi fido, stiamo a vedere cosa ci garantiscono» ha intimato proprio ai ministri Quagliariello, Lupi, De Girolamo e Lorenzin appena usciti, col vicepremier e segretario Pdl, dal vertice col premier Enrico Letta a Palazzo Chigi.
«Solo un miracolo ci può salvare», diceva ad alcuni deputati Gaetano Quagliariello poco prima di entrare a quell’incontro.
Loro chiedono e ottengono dal presidente del Consiglio e in buona sostanza dal Pd la rinuncia ad accelerare sui tempi in giunta.
Strappano altri preziosi giorni di tempo per riuscire a «lavorare» sul capo, a convincerlo a pensare, ragionare, riflettere prima che tutto esploda.
Ed è così che il «mezzo miracolo» prende corpo. Ma la partita resta assai delicata. Il rischio di precipitare in una crisi resta concreto.
Ancora ieri sera ad Arcore Denis Verdini è andato a portare un report sulle chance offerte tuttora dall’opzione elettorale, i sondaggi ultimi che lo danno in testa come leader, il centrodestra in vantaggio, lui virtualmente vincitore.
Ma è uno scenario da fantapolitica, hanno provato a farlo ragionare soprattutto i figli e Confalonieri.
Le azioni Mediaset al tracollo in caso di crisi, le aziende in trincea con un governo ostile. È solo di fronte a questi argomenti che il «patriarca» chiuso da settimane ormai a Villa San Martino ha accettato quanto meno di prendere tempo. Di «pensarci su». Intanto ha congelato l’assemblea dei gruppi parlamentari già convocata per oggi alle 13 a Roma.
Il Cavaliere neanche rientrerà a Roma in mattinata, come previsto in un primo tempo. È il segnale che le «colombe» attendevano. Quell’assemblea avrebbe sancito l’apertura ufficiale della crisi. Sarebbe servita per la dichiarazione di guerra.
La formalizzazione delle dimissioni dei ministri. Da quel momento, Enrico Letta non
avrebbe potuto far altro che prendere atto e salire al Quirinale.
Non accadrà . Non oggi, quanto meno.
I «falchi» Pdl volteggiano ancora aggressivi. «Stiamo perdendo giorni preziosi, al più si strappa qualche giorno di tempo, ma poi la decadenza passerà comunque, così si sbaglia, rischiamo di far chiudere la finestra elettorale di novembre» mastica amaro il responsabile elettorale del partito, Ignazio Abrignani.
Ancora ieri Daniela Santanchè andava ripetendo ai colleghi che Berlusconi stasera si presenterà alla festa del Giornale a Sanremo per sparare a zero contro tutto e tutti, magistrati e Pd, capo dello Stato e presidente del Consiglio.
Chi ha parlato più volte in giornata col leader sostiene che, con la cancellazione dell’appuntamento romano, anche la sortita ligure non avrebbe senso.
I parlamentari Pdl per tutto il pomeriggio facevano capannelli in Transatlantico, smarriti dal tam tam di voci contraddittorie.
Per ore è rimbalzata anche l’ipotesi di dimissioni dei ministri nelle mani del capo consentendo tuttavia al premier Letta di andare avanti con un semplice sostegno esterno al suo governo.
Ipotesi che lo stesso presidente del Consiglio si è premurato di spazzare via dal tavolo della trattativa, nel colloquio coi ministri del pomeriggio.
Sostegno pieno e diretto o tutti a casa.
Allora passo indietro del capo, ma per ottenere cosa? Per tutto il pomeriggio i vertici Pdl non fanno mistero delle aspettative.
Si attendono un pieno coinvolgimento del presidente Napolitano nella «trattativa».
A Berlusconi l’hanno prospettata così: «Ti dimetti da senatore ma resti alla guida di un partito che è al governo in ruoli chiave e lo resterà a lungo».
Il capo da metà ottobre inizierebbe a scontare i domiciliari (i servizi sociali, meglio), con la prospettiva di ottenere dal Colle la commutazione della pena in sanzione pecuniaria, se non addirittura la grazia, nel giro di qualche giorno.
Resterebbe decaduto e interdetto, la politica parlamentare gli sarebbe preclusa, ma quella attiva, da leader comiziante in tv e in piazza, no.
E, soprattutto, la libertà personale non sarebbe compromessa.
«Non mi basta, voglio garanzie vere dal Quirinale: senza immunità qualsiasi procura può decidere dall’oggi al domani di sbattermi in galera», è l’argomento che il Cavaliere oppone in queste ore ai più ostinati trattativisti.
È il cuore del problema, il vero nodo che sta logorando Berlusconi, il fantasma che lo attanaglia.
Napoli indaga sulla compravendita dei senatori, altri processi incombono.
È il tunnel dell’indecisione, ma ormai ha solo una via d’uscita che passa per la grande rinuncia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Settembre 11th, 2013 Riccardo Fucile
IL PDL CANTA VITTORIA, CI VORRANNO SETTIMANE PRIMA DI ARRIVARE AL VOTO, I VILI ASPETTANO I GIUDICI DI MILANO… NAPOLITANO, LETTA E ALFANO GONGOLANO, EPIFANI E GRILLINI COMPLICI, TUTTI D’ACCORDO PER SALVARSI LA POLTRONA
Silvio Berlusconi deve rimanere senatore, altro che decadenza.
Dopo tre ore di riunione, è questa la proposta avanzata da Andrea Augello alla Giunta per le elezioni di Palazzo Madama.
“La decisione presa costituisce un precedente importante. Non era mai stata decisa una procedura del genere” ha spiegato il senatore del Pdl, visibilmente soddisfatto dagli sviluppi politici della vicenda.
“E’ stata accolta la nostra richiesta di individuare una procedura ad hoc per questo caso, non lo speravo” ha continuato il relatore del caso Berlusconi in Giunta per le Immunità del Senato.
“Per quanto riguarda i tempi non sono ancora in grado di dire nulla perchè dovranno essere ancora decisi dall’ufficio di presidenza — ha proseguito Augello — ma posso solo dire che essendo una questione del tutto particolare, tanto che richiede una procedura a sè, ci vorrà tutto il tempo che ci vorrà …”.
Obiettivo centrato, quindi: il Pdl voleva prender tempo e così sarà , con una procedura stabilita ad personam per il Cavaliere.
“Abbiamo ottenuto che prima si voti sulle questioni preliminari e poi sulla decadenza o meno di Berlusconi — ha spiegato Augello — Ognuno potrà esprimersi su ogni questione pregiudiziale e poi ci sta il voto complessivo. E’ stata accolta, di fatto, la nostra richiesta e di questo siamo soddisfatti”.
Secondo Augello il clima in Giunta stasera “è stato molto più disteso e conciliante rispetto a quello di ieri”.
Il presidente della Giunta, Dario Stefà no, ha poi ufficializzato la ‘mossa’ di Augello: “Il relatore ha formalizzato la sua proposta di convalida del senatore Berlusconi attraverso una serie di questioni preliminari”.
Crisi di governo evitata? Presto per dirlo. Di certo c’è stata una certa distensione tra Pd e Pdl, anche se le parole del segretario democratico Epifani (“La legge è uguale per tutti”) sembrerebbero confermare la linea dura.
Al momento, tuttavia, i fatti dicono il contrario.
Per quanto riguarda i tempi tecnici della vicenda, il caso Berlusconi tornerà in Giunta per le elezioni giovedì prossimo alle ore 15, quando — come annunciato da Benedetto Della Vedova (Scelta Civica) — sarà aggiornata la discussione generale sulla relazione Augello.
Che la svolta era in dirittura d’arrivo, del resto, era comprensibile anche prima delle parole dell’esponente Pdl.
Già nel pomeriggio, a sentire gli analisti, l’uscita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva un po’ raffreddato la voglia di strappo da parte del Pd.
Una sensazione confermata in serata anche da altri componenti della Giunta.
”Siamo ormai tutti d’accordo, a questo punto le pregiudiziali non esistono più” aveva detto poco prima il senatore del Psi (eletto nelle liste Pd) Enrico Buemi in una pausa dei lavori.
“Abbiamo deciso di continuare l’esame della relazione di Augello seguendo l’articolo 10 del regolamento”.
Il che significa che ogni componente della Commissione potrà intervenire per 20 minuti ciascuno “più un tempo supplementare — spiega Buemi — di 60 minuti per gruppo…ci servono 920 minuti di discussione generale. Ci sarà un voto unico su relazione e pregiudiziali, ma non si voterà stasera”.
Con questo passo si arriverà a metà ottobre e arriveranno prima i giudici di Milano a stabilire l’interdizione, levando le castagne dal fuoco a Pd e Cinquestelle.
Continuando su questa strada si permetterà al tanto amato da Napolitano “governo Letta” di vivacchiare, ma al Pd costerà caro. Non tanto ai Cinquestelle che fanno quella caciara necessaria a salvare la faccia, ma poi in Commissione abbassano la cresta.
Stanotte una cosa è evidente agli italiani: la legge non è uguale per tutti, ci sono pregiudicati di serie A e altri di serie B.
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