Aprile 9th, 2014 Riccardo Fucile
“UN DEF RITUALE E CONTINUISTA MENTRE SIAMO DI FRONTE A EMERGENZE GRAVI CHE RICHIEDEREBBERO UN CAMBIAMENTO DI ROTTA”
Previsioni di crescita al ribasso ma un miliardo in più dalle banche, la riduzione del cuneo fiscale garantita per una fetta dei redditi più bassi. Che idea si è fatto di questo Def?
«Mi sembra rituale e continuista. Il governo rinuncia a promuovere una manovra anticiclica mentre siamo di fronte a emergenze economiche e sociali sempre più gravi che richiederebbero un cambiamento di rotta. Invece si continua con l’austerità e col decreto lavoro. Così avremo lo stesso risultato che abbiamo avuto coi governi precedenti: meno Pil, meno occupazione, più debito pubblico»
Stefano Fassina boccia senza appello il Def presentato ieri sera dal governo.
Da dove si sarebbe dovuto cominciare secondo lei?
«Si sarebbe dovuto almeno utilizzare tutto lo spazio al di sotto del 3% del rapporto deficit/Pil per finanziare gli investimenti produttivi, aumentando la domanda per le imprese e ottenendo anche un miglioramento del debito pubblico. Dopo la conferenza stampa di metà marzo, avevamo sperato in una inversione di rotta. Invece continua questa ossessione per la precarietà del lavoro come soluzione per l’occupazione»
Eppure il governo sembra pensare che le riforme, e tra queste il jobs act, dovrebbero portare crescita e occupazione.
«Dovrebbe ormai essere chiaro anche ai più ostinati che le imprese non assumono perchè non c’è domanda. Continuare a precarizzare sempre di più il mercato del lavoro non aiuta l’occupazione, anzi. Rende i lavoratori più spaventati e questo produce effetti negativi sulla domanda. Ormai questa non è più un’opinione, abbiamo fiumi di dati che la confermano»
Eppure durante la conferenza stampa, il taglio del cuneo fiscale è stato presentato come una spinta decisiva alla ripresa e alla crescita, uno shock benefico per l’economia.
«Non ci sarà uno shock positivo perchè quegli 80 euro in più in busta paga verranno coperti da tagli di spesa, quindi da altre tasse. Da una parte si immette più denaro nell’economia, dall’altra lo si sottrare ad altri lavoratori e ad altre imprese. Nel migliore dei casi ci sarà un effetto neutro»
Lei ha dichiarato che il jobs act, così com’è, non può passare. A questo punto, cosa succederà in Parlamento?
«In Parlamento presenteremo emendamenti per modificare i punti più rilevanti. Abbiamo parlato col ministro Poletti la settimana scorsa, su alcuni punti ha dato disponibilità per le modifiche. Su altri, come la durata del contratto a tempo determinato senza causale, molti di noi ritengono che tre anni di contratto a tempo determinato siano eccessivi e daranno come unico risultato non più occupazione ma occupazione più precaria. E intanto verrà accantonato il contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti per il quale il governo precedente si era impegnato »
Facciamo un passo indietro. Per quanto riguarda le coperture, si è parlato di 4,5 miliardi di spending review di cui 2,2 dovute ad aumento del gettito Iva e dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione di Bankitalia. Questo non sembra preludere a sacrifici per fasce diverse da quelle favorite dal taglio del cuneo.
«Altra parte della copertura viene da tagli di spesa. Sarebbe particolarmente grave se venisse da tagli alla Sanità . La Sanità non va tagliata. I risparmi e le riduzioni di spesa vanno utilizzati per eliminare i ticket e accorciare le liste d’attesa».
Qualcuno sostiene che mentre occorrono subito i soldi per la copertura, gli effetti della spending review sono fisiologicamente più lenti.
«Vedremo cosa è scritto nel decreto che il presidente del Consiglio ha annunciato per il 18 aprile. Dal suo racconto emerge che ci sono misure una tantum (il gettito Iva e quello derivante dalla tassazione sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia ndr). Mi preoccupano invece gli altri quattro miliardi e mezzo. Ora si parla di otto mesi, ma a regime si tratterà di dieci miliardi e mezzo, e questo significa che si inciderà su capitoli molto importanti di spesa sociale».
A proposito di riforme, Renzi ha detto che qualcuno dentro il Pd cerca visibilità e per questo dà vita a discussioni, per così dire, strumentali.
«È stato un passaggio davvero infelice. Il presidente del Consiglio dovrebbe avere più rispetto per gli interlocutori e, in particolare, per quelli del proprio partito. I senatori che hanno fatto proposte diverse le hanno fatte perchè sono sinceramente preoccupati della qualità della nostra democrazia».
Gigi Marcucci
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Aprile 9th, 2014 Riccardo Fucile
A PROMETTERE MIRACOLI IL RISCHIO E’ CHE QUALCUNO CI CREDA DAVVERO
In un romanzo di Gianni Rodari, il centenario barone Lamberto pagava la servitù per ripetere il
suo nome tutto il giorno, perchè da questo traeva vigore, ringiovaniva, addirittura resuscitava.
Il premier Matteo Renzi ci costringe a commentare quotidianamente gli “80 euro in busta paga”, come se bastasse questo per farli apparire nel cedolino mensile, per spazzare via il clima cupo da crisi e magari far prendere qualche voto in più al Pd alle Europee.
Ieri il governo ha presentato il Documento di economia e finanza che fissa i conti pubblici su cui lavorare.
E Renzi, a beneficio dei tg della sera, ha scandito: “Gli italiani avranno la quattordicesima grazie a noi”.
A forza di sentirlo, qualcuno potrebbe pensare che il governo abbia già approvato tutti i provvedimenti necessari, che si debba solo attendere maggio per ricevere i soldi.
Non è così. Le coperture sulla carta ci sono. Ma trovare 4,5 miliardi tagliando sprechi non è facile, specie se chi vive di quegli sprechi protesta e vota.
Privatizzare per 12 miliardi in otto mesi è arduo, se si vuole vendere e non svendere. Oltre 2 miliardi derivano da un’altra misura incerta, il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione.
Certo, si può sempre spendere un po’ in deficit, visto che nei numeri di ieri l’Italia resta ampiamente sotto il tetto del 3 per cento. Ma Renzi si espone a due rischi: il primo è che il mantra degli “80 euro” gli si ritorca contro a settembre, quando nella legge di stabilità emergeranno i buchi nelle coperture che l’entusiasmo di oggi consente di ignorare.
E che gli elettori rivivano la farsa dell’Imu, rinata come Tasi.
Secondo rischio: che anche con 80 euro in più in tasca i milioni di italiani a basso reddito si accorgano che continuiamo a crescere come la Grecia, che i tagli simbolici alla casta non spingono il Pil, che il bonus elettorale non basta.
A promettere miracoli si rischia che qualcuno ci creda davvero.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Aprile 9th, 2014 Riccardo Fucile
L’ITALIA FUTURA: IL POTERE SARA’ CONCENTRATO IN POCHE MANI, NON CI SARA’ PIU’ UN SISTEMA DI PESI E CONTRAPPESI
Nessun intellettuale (o quasi) riesce a comprendere l’allarme di Zagrebelsky, di Rodotà e degli altri firmatari dell’appello di Libertà e Giustizia contro la “svolta autoritaria”.
Infatti, dopo una settimana di ostracismo su tutti i tg e i giornali, l’appello e i suoi firmatari sono diventati il bersaglio di attacchi concentrici, insulti plenari e scomuniche trasversali che vanno dalla destra al centro alla sinistra.
“Professoroni”, “tromboni”, “parrucconi”, “conservatori” (che — almeno a proposito della Costituzione del 1948 — è un meraviglioso complimento).
Nessuno — a parte Michele Ainis sul Corriere — ha risposto nel merito alle loro obiezioni. Quasi tutti le hanno falsificate e caricaturate per poterle meglio ignorare e demolire.
Qualcuno ha detto che è ridicolo definire “autoritaria” la riforma del Senato: infatti non è solo a quella che si riferisce l’appello, ma a un insieme di riforme scritte o annunciate che vanno tutte nella direzione di una democrazia verticale, sempre meno partecipata, dunque non più democratica.
Proviamo a immaginare come sarebbe l’Italia fra qualche anno se tutto ciò che Renzi e i suoi alleati sparsi qua e là (Berlusconi, Casini, Alfano, qualche ex-M5S) hanno in mente diventasse legge.
Il presidente della Repubblica sarà eletto (ancora) da un Parlamento di nominati.
La Camera sarà (ancora) formata da deputati scelti da 3-4 segretari, padroni assoluti dei propri partiti con leadership sempre più personali e carismatiche, tagliando fuori qualunque minoranza che non voglia coalizzarsi e non superi l’8% o qualunque coalizione che non salti l’ostacolo del 12%.
Il Senato, privo di poteri, sarà formato da governatori, consiglieri regionali, sindaci e amici del capo dello Stato, eletti per fare tutt’altro o non eletti tout court.
Il premier sarà il boss dell’unico ramo del Parlamento che ancora può impensierirlo grazie a un premio di maggioranza mostruoso, che regala il 53% dei deputati anche se il partito-guida della coalizione vincente ha solo il 20% dei voti validi (cioè il 12-13% degli elettori), e incasserà entro 60 giorni il via libera obbligatorio a qualunque suo disegno di legge.
Le province cambieranno soltanto nome e, a loro volta, non saranno più elettive, ma nominate dai soliti noti.
Poi, se tutto va bene, si provvederà a rafforzare vieppiù i poteri del premier, consentendogli di sfiduciare i ministri quando pare a lui.
Uno comanderà e gli altri eseguiranno, in un sistema mostruoso dove il potere sarà concentrato in pochissime mani (perlopiù due) e diventerà difficilmente scalabile e contendibile.
Cosa resterà dei checks and balances, cioè dei pesi e dei contrappesi previsti dai testi sacri della democrazia liberale, dove i poteri sono separati e si controllano e si bilanciano l’uno con l’altro? Poco o nulla.
Chi cita i sistemi presidenzialisti francese o americano non sa quel che dice: lì può addirittura capitare che il primo ministro o il presidente si ritrovino un Parlamento di colore opposto al loro. Cosa che in Italia sarebbe impensabile.
Ma l’allarme sulla “svolta autoritaria” insita in questo accrocco di controriforme cade nel vuoto proprio perchè l’Italia è già dominata da culture autoritarie: l’intellighenzia è cortigiana dal Rinascimento (anche se al posto di Lorenzo il Magnifico ci sono Renzi, la Boschi e Verdini).
La democrazia verticale, per affermarsi, necessita di intellettuali orizzontali.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 9th, 2014 Riccardo Fucile
SUBITO TAGLI PER 4,5 MILIARDI, IL RESTO UNA TANTUM… NEL DEF IL FUTURO È IN ROSA
Secondo Matteo Renzi chiamarla “manovra elettorale” è impreciso, forse addirittura malevolente, eppure
non c’è modo di chiamarla altrimenti.
Gli obiettivi scelti, le parole usate, i numeri sottostanti il Documento di economia e finanza (Def) approvato ieri altro non sono che un piccolo manuale di comunicazione politica: i pensionati non si possono colpire, mentre le banche (giustamente), la Sanità (che fa rima con sprechi) e il pubblico impiego sì (e non solo i manager, come vedremo).
Si dice che la riduzione dell’Irpef per chi guadagna meno di 25mila euro è “strutturale” come le coperture che la finanziano e non è vero; si fanno previsioni per il futuro che solo con un eufemismo possono essere definite rosee (e infatti il Fmi le ha già bocciate) e questo proprio mentre si dà il via ad una operazione recessiva che taglia stipendi e domanda pubblica diretta per dare la 14esima elettorale entro maggio agli elettori (già cittadini).
Un breve riassunto per punti.
GLI 80 EURO.
I soldi ci sono, il decreto arriverà venerdì prossimo (il 18 aprile), in tempo per le buste paga di maggio. Costa per gli otto mesi del 2014 circa 6,6 miliardi, 10 l’anno a regime.
Le coperture, però, al momento sono indicabili solo da qui a dicembre: per 4,5 miliardi saranno strutturali e arriveranno dai tagli della spending review, un altro miliardo dall’aumento dell’aliquota sulle plusvalenze delle banche dovute alla rivalutazione delle aliquote di Bankitalia, il resto dai maggiori introiti Iva generati dal pagamento di circa 40 miliardi di debiti commerciali della Pubblica amministrazione.
È la quattordicesima che il governo di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan paga agli italiani in vista delle elezioni europee per tutto il 2014.
Come abbiamo già scritto, per rendere il provvedimento valido strutturalmente servirà la legge di Stabilità con la formalizzazione dei tagli del commissario Cottarelli.
IL MASSACRO DEI TAGLI.
Ottenere 4,5 miliardi di risparmi in otto mesi è un’operazione difficile e dolorosa.
Il menu, checchè ne dica il premier, non è deciso, ma si sa che a dare la maggior parte delle risorse saranno Sanità e pubblico impiego: il Servizio sanitario nazionale dovrà sopportare tagli tra uno e due miliardi; gli stipendi degli statali — e non solo quelli dei manager, ma dalle simulazioni in corso anche quelli da 60-70mila euro l’ anno — verranno colpiti per almeno un altro miliardo (è il caso di ricordare che i contratti non vengono rinnovati dal 2010 e che i numero dei dipendenti è sceso, dice il Def, del 5,7% in pochi anni); 800 milioni, forse più, sono riduzioni lineari di acquisti di beni e servizi trasversali a tutte le amministrazioni; 600 milioni dovrebbero arrivare dalla Difesa (più sui nuovi arruolamenti che dai tagli ai sistemi d’arma); il resto sforbiciando qua e là in ministeri e enti locali.
Le reazioni degli interessati già oggi non sono di felicità : la guerra nei prossimi dieci giorni s’annuncia durissima.
In ogni caso, e nonostante le parole del premier e del suo ministro dell’Economia, se si fissa un obiettivo di risparmio preventivo per macrosettore il taglio è lineare.
IL FANTASMA IRAP.
Renzi conferma: riduzione del 10% subito finanziata, par di capire, dall’aumento dal 20 al 26% dell’aliquota sulle rendite finanziarie (esclusi i titoli di Stato).
Il governo cifra il taglio di tasse a 2,4 miliardi e il gettito della copertura a 2,6 miliardi: peccato che per la Ragioneria generale il gettito sarà al massimo di 1,4 miliardi.
Tradotto: i soldi, ad oggi, non ci sono.
L’ETERNO PRIVATIZZARE.
Anche Renzi e Padoan puntano sulla vendita delle partecipazioni del Tesoro tipo quella in Enav e Poste già passata in Parlamento grazie ad un provvedimento di Enrico Letta (del patrimonio immobiliare, ormai, non si parla neanche più).
L’esecutivo scrive nel Def che frutteranno 12 miliardi di euro l’anno dal 2014 al 2018.
A parte che è impossibile, l’operazione in alcuni casi è persino in perdita: vendere Eni comporta un incasso subito, vero, ma una perdita per sempre di parecchi milioni di euro l’anno in dividendi.
IL FUTURO IN ROSA.
A leggere il Def, vivere in Italia nei prossimi anni sarà un vero colpo di fortuna: Pil che torna a crescere dello 0,8 % quest’anno e di quasi il 2 nel triennio; un balzo delle importazioni che in due anni passano dal -2,8% del 2013 al +4,4% dell’anno prossimo; persino i poveri consumi delle famiglie dopo anni di flessioni tornano a crescere già quest’anno e prendono il volo dal 2016, l’anno fatidico — sia detto en passant — in cui raggiungeremo il pareggio di bilancio strutturale.
E che dire degli investimenti? Nel 2013 sono crollati del 4,7 con la decisiva collaborazione del settore pubblico, quest’anno già schizzeranno su del due per cento per poi mettersi a correre a ritmi superiori al 3% l’anno dal 2015 in poi.
E le esportazioni? A parità di cambio col dollaro (previsto fisso a 1,362) l’anno scorso sono aumentate dello 0,1%, nel 2014 cresceranno invece del 4% mantenendo questo ritmo almeno fino al 2018.
Come sempre a leggere i Def, non si può non pensare quanto sarà bello vivere in Italia in futuro. MANOVRA RECESSIVA.
Sostiene il governo che le sue manovre garantiranno un aumento del Pil dello 0,3% già quest’anno per poi spingere il Prodotto a ritmi sempre più sostenuti fino al +2,1% aggiuntivo del 2018.
È curioso perchè tra le operazioni annunciate da Renzi ci sono manovre espansive come il pagamento dei debiti della P.A. o i cantieri per l’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico, però pure una manovra pesantemente recessiva come quella degli 80 euro: durante le crisi infatti, come testimoniano i moltiplicatori utilizzati dal Fmi, solo la domanda pubblica (stipendi e, meglio, acquisti e appalti) garantisce di non sprofondare, mentre i tagli di tasse mai si traducono del tutto in consumi.
Utilizzando quei moltiplicatori, la manovra elettorale di Renzi è recessiva per una cifra che si aggira — a regime – attorno ai dieci miliardi di euro (lo 0,7% del Pil).
Poco male: se ne parlerà dopo le elezioni.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Aprile 9th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA GARBATELLA A PALAZZO GRAZIOLI CON PHOTOSHOP: IL VIZIETTO DELLE FOTO RITOCCATE
Politicamente simile a Marine Le Pen, fisicamente a Sharon Stone o a Scarlett Johansson.
Il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si prepara per le elezioni Europee e, per raggiungere il miglior risultato possibile nelle urne, sembra essere disposta a tutto, anche a qualche ritocco con Photoshop.
Il manifesto che la ritrae (apre il sito web del partito) è stato preso di mira da decine di utenti sui social network, visto l’uso (o forse l’abuso) del programma che consente di dare un’aggiustatina alle foto.
In molti infatti sono stati spiazzati: “Ah, quindi si intende questo quando si dice che in politica c’è bisogno di facce nuove”, scrive un utente.
Un altro: “Ma la Meloni photoshoppata di brutto che sembra una giovane Sharon Stone? Parliamone”. E ancora: “Ma la Meloni fa campagna elettorale o pubblicità a Photoshop?”; “Giusto un filo di trucco….”.
Per alcuni Sharon Stone, per altri Scarlett Johansson, per altri ancora Giovanna Mezzogiorno: sono tante le somiglianze suggerite dalla “nuova” immagine del leader di Fratelli d’Italia : “Photoshop è un software di destra”, cinguetta un utente.
Un altro critica l’uso esagerato del ritocco: “Ah beh, non le riesce molto bene, dovrebbe imbruttirsi un po’”.
Qualcuno si indigna: “Va bene barare sui contenuti politici, ma non sull’aspetto fisico, Meloni non si fa”. E poi: “Ricorda la photoshoppata che ringiovanì Letizia Moratti”. C’è chi invece vede positivamente la scelta della Meloni: “Beh, l’alternativa era Crosetto, e lì altro che Photoshop…”.
Un uso eccessivo del fotoritocco può anche nascondere spiacevoli sorprese, per questo motivo un follower la mette in guardia: “Attenta Giorgia, i tuoi elettori diranno: ‘Ma chi è questa che cerca di imitare la Meloni? Io non la voto’”.
La speranza però è sempre l’ultima a morire, come suggerisce un utente: “Magari Giorgia è davvero così quando si sveglia al mattino…”.
Per finire, c’è anche spazio per una storia d’amore finita male prima ancora di cominciare: “Si innamorò di Giorgia Meloni guardandola sul manifesto, ma quando la incontrò dal vivo non la riconobbe”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »