Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
LA SOLITA SCENEGGIATA: VOTA NO IN DIREZIONE PER POI ADEGUARSI IN PARLAMENTO… SE NON PENSASSERO ALLA POLTRONA, RENZI SAREBBE A CURARE IL GIARDINO DA MESI
“Basta toni da Armageddon. La vita del governo e la legge elettorale sono strettamente collegati”. Matteo Renzi va avanti come un treno. L’aveva detto e l’ha fatto.
E sulla sua strada, ieri sera travolge il capogruppo a Montecitorio, Roberto Speranza. “Non sono nelle condizioni di guidare questa barca. Rimetto all’assemblea il mio mandato”, dice lui, intervenendo subito dopo.
Scelto (anzi praticamente imposto) da Pier Luigi Bersani era stato confermato da Renzi. Ed era diventato l’ufficiale di collegamento tra lui e le minoranze.
L’uomo del compromesso, con il compito di portare al segretario-premier voti e deputati necessari.
Con le sue dimissioni, la minoranza si divide, anzi si frantuma sempre di più. Nessuna mediazione sull’Italicum, ancora una volta. Nessuna richiesta di modifica accettata.
Nè nei toni, nè nei contenuti. Ieri sera davanti al gruppo del Pd riunito a Montecitorio Renzi ha ribadito la sua posizione. Senza se e senza ma.
Solo una promessa al futuro: “Possibili modifiche in Senato sulla riforma costituzionale”.
A nulla sono servite le lettere, gli appelli. “Il governo precedente non è stato mandato a casa da un golpe: il Pd ha fatto una scelta in conseguenza del fatto che quel governo sulle riforme era bloccato”, ha ricordato il premier.
A nulla è servita neanche la telefonata con Speranza ieri pomeriggio. L’ormai ex capogruppo a Montecitorio, portando avanti le ragioni di Areariformista, aveva chiesto qualche apertura.
Altrimenti, andava dicendo da giorni, la minoranza bersaniana avrebbe votato no. In assemblea, però. Pronta a dire di sì in Aula, come lo stesso Speranza andava assicurando al segretario premier.
Ma la posizione non era compatta neanche tra i suoi. Ieri per tutto il giorno Speranza e Nico Stumpo hanno cercato di portare sul fronte del no i deputati della loro corrente: non ci sono riusciti. Ha vinto l’area del non voto.
E allora a Speranza non è rimasto altro che rimettere il mandato, diventato minoranza della minoranza. “Quando siamo partiti c’era tutta la maggioranza e Forza Italia, oggi siamo solo noi. Per questo Renzi avrebbe dovuto ascoltare di più il partito”.
Le dimissioni sono definitive? Si vedrà .
Intanto, ieri alla minoranza che chiedeva di interrompere la riunione per questo, Renzi ha chiesto di andare avanti. La posizione di Speranza sarà valutata in un’altra assemblea. Gli oppositori hanno minacciato di lasciare la sala. Ma l’hanno fatto solo alcuni. Poi è intervenuto Bersani.
Sull’Italicum, adesso, la partita passa in Aula. Renzi ha minacciato il voto di fiducia. Scenario estremo, ma l’unico che potrebbe “costringere” la minoranza a dire di sì, ostentando cause di forza maggiore.
Ed evitare sorprese nel voto segreto, che porterebbe a modifiche insostenibili. In particolare, il premio di lista, sostituito dal premio di coalizione magari con
un’imboscata della minoranza Pd insieme a Forza Italia.
Oppure sulla questione degli apparentamenti tra forze politiche per il secondo turno. Questioni più delicate di quella dei capilista tanto sbandierata.
Per evitare il voto segreto, Renzi deve mettere non una, ma quattro fiducie, su tutti gli articoli, in modo da far decadere voti segreti ed emendamenti.
Dopo i voti di fiducia (da regolamento della Camera) ci sarebbe il voto sul provvedimento: che può essere segreto.
Ma a quel punto, nessuno scommette su troppi no.
Sullo sfondo, resta l’ombra delle elezioni. Perchè se Renzi dice e fa dire ai suoi che basta un solo incidente sull’Italicum perchè salti tutto, un “combattente” della minoranza ieri nel cortile di Montecitorio la metteva così: “Non è il caso nè per il Pd, nè per l’Italia di votare. Ma se proprio accadesse, con il Consultellum, Renzi fa tutte le liste? Vuoi che la mia direzione regionale non mi candidi?”. Una sfida.
Anche perchè che il segretario-premier non controlli il partito locale è storia quotidiana.
Non a caso ieri ha annunciato una direzione per il 27 aprile proprio su questo.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
SOLO IN CAMPANIA FORZA ITALIA E’ AL 20%… IN VENETO 10%, IN PUGLIA 8%, IN LIGURIA 6%, IN TOSCANA 5,5%… FITTO APPOGGIA CALDORO MA CON LISTA PROPRIA E SI PREPARA ALLA CLASS ACTION PER L’USO DEL SIMBOLO
Pronti via, si parte, ed è già un disastro annunciato. Alla sede di Forza Italia di San Lorenzo in
Lucina vengono recapitati i sondaggi riservati sulle regioni più importanti in cui si vota il 31 maggio.
E il quadro va oltre le più fosche previsioni. Quasi ovunque l’asticella si fermerebbe sotto la soglia di sopravvivenza delle due cifre.
Mentre Raffaele Fitto muove ora la guerra del simbolo e al Senato gli ormai ex Sandro Bondi e Manuela Repetti votano a favore della fiducia posta dal governo sul decreto anti terrorismo.
Il pallottoliere delle regioni, dunque. Fa eccezione la Campania, dove grazie al traino della lista Caldoro, governatore uscente, Forza Italia ancora raggiunge il 20 per cento. Altrove, va molto peggio: nel Veneto della Lega pigliatutto il partito si ferma al 10, in Liguria la lista varrebbe il 6, nella Puglia della faida con Fitto l’8 per cento, fanalino di coda la rossa Toscana col 5,5.
L’ex Cavaliere, consapevole della situazione, la addebita a chi «sta rovinando tutto», anche se sperava in un quadro complessivo leggermente migliore.
Se finisse così, Salvini avrebbe vita facile nella scalata alla leadership.
«Ma vedrete che una cosa sono i sondaggi, quando ancora la campagna non è iniziata, altra i voti reali», spiegava ieri Berlusconi ai vari parlamentari andati a trovarlo a Palazzo Grazioli, fino al coordinatore della tormentata Puglia, Luigi Vitali, ultimo in serata.
Comunque sarà una corsa in salita, non c’è tempo da perdere, ecco perchè il capo ha convocato per oggi a pranzo tutti i coordinatori delle regioni interessate dal voto e la commissione per le regionali: Denis Verdini, Altero Matteoli, Giovanni Toti, Licia Ronzulli.
Dovrà chiudere sulle alleanze nelle piazze ancora in bilico, a cominciare dalla Toscana di Verdini e Matteoli, cercando di ricucire col primo (o rompere del tutto) nella sua regione, dopo mesi di gelo.
In ogni caso, la decisione finale sulle alleanze e la composizione delle liste sarà portata entro fine mese all’Ufficio di presidenza e messa ai voti.
«Chi non ci starà si metterà automaticamente fuori dal partito» è la linea dettata dall’ex premier con chiaro riferimento a Fitto.
Sta di fatto che proprio Raffaele Fitto non intende deporre le armi.
Oggi altra conferenza stampa, ci sarà una sua lista distinta da Fi (anche se in supporto a Caldoro) anche in Campania, mentre un migliaio di suoi simpatizzanti lavora a una sorta di class action per contestare uso del simbolo e liste da parte dei vertici del partito.
È stato chiesto un parere all’avvocato Gianluigi Pellegrino, che ha così risposto: «Berlusconi è solo il fondatore del partito», il congresso previsto dopo la rifondazione del 2013 «non è mai stato indetto » e ora «sostenere che Mariarosaria Rossi o Berlusconi stesso possano presentare simboli e liste per Fi è come affermare che Prodi e una sua delegata presentino liste e simboli a nome del Pd».
Come dire, non hanno l’esclusiva.
Il leader ignora la battaglia legale, intende replicare sul campo.
Candiderà tutte donne capolista in Puglia, professioniste e imprenditrici locali (stile Renzi alle Europee), quindi si prepara a sbarcare nella regione più tormentata, con probabile puntata al santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, del quale la madre Rosa era devota.
A caccia di una rimonta che richiede un miracolo.
«Il consiglio che darei al presidente è di prendersi un anno sabbatico, andare dove vuole, anche ad Antigua, rigenerarsi allontanandosi dai tanti nemici interni che lo assediano – racconta a Montecitorio la fedelissima Michaela Biancofiore – Dopo, tornerebbe più forte e motivato di prima».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
“FU UNO SCEMPIO, MA IL MO REPARTO NON C’ENTRA, NELLA SCUOLA C’ERANO CENTINAIA DI AGENTI”
La casa dell’assistente capo della Polizia di Stato Fabio Tortosa guarda il mare di Ostia. Un appartamento al secondo piano di una palazzina di recente costruzione, «ipotecato da un mutuo che si estinguerà tra 27 anni».
Quelli che aveva la notte del 21 luglio 2001, quando fece irruzione nella Diaz con il VII Nucleo.
Il thread della collera e della vergogna – «In quella scuola rientrerei mille e mille volte»; «Spero che Carlo Giuliani faccia schifo anche ai vermi» – è stato scritto tra queste mura.
E ne ha già pagato le conseguenze Antonio Adornato, comandante del Reparto mobile di Cagliari, il primo ad aggiungere il suo “like”, rimosso dal comando con effetto immediato e trasferito all’ufficio ispettivo di Roma
Il pc ora è spento ed è su un mobile basso, sotto un grande televisore a muro incorniciato da vetrinette.
In un angolo del salotto, i cesti con i giochi delle figlie, 3 e 5 anni.
«Sono a scuola e stamattina non le ho viste perchè ero di turno di notte al Reparto Mobile. Meglio. Comunque non avrei chiuso occhio».
Il cellulare non smette di squillare di telefonate di “solidarietà ” di decine di poliziotti. Tortosa, 42 anni, pantaloni della tuta e una felpa dei “Lazio Marines”, la squadra di football americano «che è l’altro pezzo della mia vita» e di cui è vicepresidente – «Ho letto che saremmo dei nazisti, mentre tra i miei, ci sono ragazzi ebrei e di colore» – sistema nel lavello della cucina le tazze della colazione delle figlie, infila in uno scaffale il barattolo di Nesquik.
Visto che lei è anche un padre oltre che un poliziotto, come si fa a concepire quel che ha scritto di Carlo Giuliani?
«Quello che ho scritto di Giuliani non è da uomo e non è da me. Me ne vergogno. Per quel che può servire, chiedo scusa ai suoi genitori. E chiedo scusa a mia madre, che ha 78 anni, perchè ha conosciuto la tragedia di sopravvivere alla morte di un figlio. Uno dei miei due fratelli. Aveva 15 anni. Spero mi perdoni da dov’è anche mio padre, che era un meccanico dell’Atac, e che per quello che mi ha insegnato nella vita si vergognerebbe. Il mio sbaglio è stato troppo grande da non dire anche un’altra cosa. Mai più si dovrà dire di Giuliani “si certo è morto, ma…”. Non so cosa mi sia successo. O forse lo so. Ero furioso».
Per la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? Per quella parola usata, “tortura”?
«Io non sono un torturatore. Non lo siamo stati noi del VII Nucleo. E solo per questo motivo ho scritto che sarei tornato alla Diaz. Perchè non ho nulla di cui chiedere scusa per quanto feci quella notte».
Un commento di un suo collega al suo post inneggiava ai «torturatori con le palle».
«Avrei dovuto avere la lucidità di capire a quel punto che la discussione era fuori controllo. E interromperla. Purtroppo non l’ho avuta».
Ma, a suo giudizio, la violenza alla Diaz fu tortura o no?
«Chi fa violenza su un inerme, commette un atto di tortura. Dunque, alla Diaz fu tortura. Ma io, in 22 anni di polizia, non ho mai torturato nessuno. Per questo ho gridato dopo quella sentenza».
Che giudizio dà di quella notte?
«Fu uno scempio. Che fece 159 vittime. I 79 nella scuola che vennero massacrati nel corpo e nella testa, e gli 80 di noi del VII, perfetti capri espiatori di quanto era accaduto».
Ci sono delle sentenze della magistratura passate in giudicato. E lei, da poliziotto, dovrebbe rispettarle. Si legge invece nel suo thread di indagini condotte dal pm «Zucca e dai suoi sgherri».
«Io non voglio mancare di rispetto a nessuno. E se potessi tornare indietro farei quello che non feci 14 anni fa quando mi avvalsi della facoltà di non rispondere e non andai all’interrogatorio fissato dai pm».
Perchè non andò?
«Perchè questa fu la scelta che ci venne comunicata dai nostri avvocati e a quella scelta si attenne l’intero reparto. Fu un errore».
Cosa avrebbe detto ai pm? Quale “altra verità ”?
«Quello che i processi hanno per altro accertato. Che quella notte, io e il mio reparto restammo nella scuola 5 minuti. E che mentre raggiungevamo i piani alti, decine, centinaia di colleghi con le pettorine e in borghese si accanirono su chi era nella palestra. Una delle vittime lo ha raccontato. Era stata fermata dal nostro sovrintendente Ledoti e venne trascinata via da due poliziotti che poi la massacrarono. Le dico di più. Quella notte, usciti dalla scuola, l’allora vicecapo della Polizia Andreassi ci raggiunse alle Caravelle per dirci che era fiero di noi. Che in quarant’anni di Polizia non aveva mai visto un Reparto comportarsi come noi. Lo avrebbe detto di un manipolo di torturatori psicopatici?».
Lei riconobbe qualcuno di questi suoi colleghi?
«No. Ma perchè sia chiaro quello che penso, le dico che, in questi 14 anni, l’infamia cui mi ribello, che mi ha fatto finire dove sono e di cui sono stati due volte vittime anche gli innocenti della Diaz, ha anche il volto di chi è stato responsabile di quel pestaggio e non ha avuto il coraggio di fare un passo avanti. Ha il volto di chi doveva identificare gli autori del pestaggio e non lo ha fatto. Purtroppo, gli uni e gli altri portano la mia stessa divisa».
In Parlamento c’è chi chiede una commissione parlamentare di inchiesta.
«Ne sarei felice. Sarebbe l’unico modo per uscire dalla logica del capro espiatorio. Io non ne ho paura. Su altri non potrei scommettere ».
Altri chi?
«Se lo sapessi lo direi».
Nella sua storia c’è una militanza giovanile nel Fuan, nella destra sociale e anni di sindacato di destra. Oggi lei è un dirigente del Consap.
«Ho militato nel Fuan ma alle ultime elezioni ho votato Pd. Non vedo la contraddizione. Mia moglie, che è la persona che amo, è una donna di sinistra da sempre».
E quel linguaggio da gioventù del Littorio? “Onore”, “vigoria giovanile”? O da fascismo di strada, “zecche”?
«L’ho detto prima. La discussione si è infilata nella logica amico- nemico. “Poliziotto fascista”, “antagonista zecca”. Non serve a niente. Ma capisco anche che dirlo ora può sembrare solo una giustificazione tardiva Quanto a “onore”, “gioventù”, “lealtà ”, “fratellanza”, sono termini che accomunano tutte le comunità di uomini che sono uniti da un vincolo di lealtà a dei valori, a un’idea ».
Lei però ha giurato sulla Costituzione. E la Costituzione non è il Corano, libero all’interpretazione dei fedeli.
«Sono d’accordo con lei. E proprio perchè ho giurato sulla Costituzione sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità di quel che ho detto. Mi difenderò nel procedimento disciplinare. Ma una cosa so. Che se pensano che per chiudere la ferita della Diaz e venire a capo dei sentimenti che l’hanno attraversata in questi anni sia sufficiente liberarsi del sottoscritto e di qualche altro collega, si sbagliano».
Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)
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Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
I PM: “QUELLA SERA CI FU UN BUCO FATALE, LO DICONO I TABULATI”
Perchè Genova, tre anni dopo il disastro del Fereggiano, è stata travolta da un altro fiume di fango? 
Soprattutto: quando sono stati commessi, gli errori determinanti?
E quali riscontri hanno trovato i pm, nell’inchiesta condotta fino a ieri?
Solo rispondendo a queste domande si può trovare la spiegazione alla svolta giudiziaria impressa con l’avviso di garanzia a Raffaella Paita.
Per orientarsi serve una premessa.
Il protocollo di sicurezza in caso di criticità prevede tre attori fondamentali: il centro meteo di Arpal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), che elabora e aggiorna le previsioni; la Protezione civile regionale, che sulla base di quelle indicazioni decide se diramare l’allerta; la Protezione civile comunale, che in presenza di pericolo «ufficiale» stabilisce quali provvedimenti adottare, dalla chiusura delle strade agli sgomberi.
Le previsioni sbagliate
La piena fatale del Bisagno avviene alle 23,15 del 9 ottobre 2014.
E il primo dato certo fissato dai pubblici ministeri Paola Ciccarese e Gabriella Dotto, è che le previsioni del tempo sono sclerotiche per ore, incanalandosi solo dopo le 22 verso lo scenario peggiore.
Alle 13, per esempio, si danno le piogge «verso levante, con piena del Bisagno in attenuazione».
Alle 14,55 Arpal parla di «torrenti decrescenti» e alle 18 un bollettino determinante: l’agenzia descrive un «graduale indebolimento» e la Protezione civile della Regione sbaracca.
Raffaella Paita (assessore con delega specifica) a quell’ora chiede un report ai suoi e le viene risposto in modo lapidario: «Tutto sotto controllo, vada pure a casa».
Arpal sbaglia quindi le previsioni, la Protezione civile regionale non dirama alcuna allerta, il referente politico viene rassicurato.
E il Comune, titolato ad agire materialmente in città ? Confortato da questi resoconti pubblica un tweet alle 18,50, con cui annuncia la disattivazione d’un numero verde.
E invece è proprio da lì che inizia l’escalation.
Il temporale non si allontana, anzi. Torna su Genova, dalle 20,30 si trasforma in nubifragio e Arpal cerca di metterci una pezza. Ore 22,20, la comunicazione che ribalta tutto: «Dopo indebolimento, perturbazione riprende forte vigore: a rischio Polcevera, Bisagno, Trebbia e Scrivia».
«Si poteva intervenire»
Eccoci al momento clou, per come l’hanno circoscritto gli inquirenti.
Secondo la Procura c’era comunque il tempo per intervenire. E la dichiarazione d’allerta, ancorchè a un ‘ora dalla piena fatale, avrebbe consentito dal Comune di attivare misure minime, ma sufficienti a impedire la morte di Antonio Campanella e almeno parte del disastro.
Il problema fondamentale, lo rivela lo screening delle telefonate compiuto dagli investigatori, è che la Protezione civile è sguarnita, quando i meteorologi dicono che la situazione sta precipitando.
Il funzionario Stefano Vergante non è alla centrale operativa, ma nella sua casa del quartiere Molassana in Valbisagno, e non riesce a muoversi causa maltempo.
Telefona a Raffaella Paita – questo certifica agli occhi di chi indaga il suo filo diretto con la Protezione civile stessa – per dirle che il quadro è cambiato, informa altri superiori pure a livello nazionale.
Ma viene diramata l’allerta? No. O meglio: c’è una telefonata «informale» fra Elisabetta Trovatore (meteorologa Arpal) e Monica Bocchiardo, responsabile Protezione civile del Comune, che aspetta un input per agire.
Troppe contraddizioni
La prima dice alla seconda, in modo generico, che «peggiora tutto». E però non può dare l’allerta poichè Arpal, ricordiamolo ancora, è cosa diversa dalla testa della Protezione civile, che può certificare formalmente l’emergenza.
È l’impasse finale: niente allerta – solo telefonate confuse – niente semaforo verde all’amministrazione comunale per chiudere le strade.
E Il Bisagno alle 23,15 esonda, seminando (di nuovo) morte.
Alle 23,25 scatta la chiamata ufficiale della Regione al Comune, mentre Raffaella Paita giunge a Genova da Albenga che lo scempio s’è compiuto.
Nelle settimane successive Vergante, e con lui la Protezione civile regionale, prova a giocare sui tempi, dice di aver preparato al peggio il Comune già dalle 22.
Ma l’incrocio dei tabulati racconta, a parere di chi indaga, un’altra storia.
Fino agli avvisi di garanzia.
Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
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Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
IN REGIONE LIGURIA TRA I RINVIATI A GIUDIZIO PER LE SPESE PAZZE SONO BEN 12 QUELLI CHE VERRANNO RIPRESENTATI: 4 DEL PD, 1 EX DI SEL, 1 DI NCD, 3 DI FORZA ITALIA, 2 DELLA LEGA E 1 DI FDI… E ANCHE LA PAITA, CANDIDATA PRESIDENTE RENZIANA E’ DA IERI INDAGATA… IN CASO DI CONDANNA DECADRANNO PER LA LEGGE SEVERINO
Gli appartenenti al Consiglio regionale in caso di condanna in primo grado per peculato, sono automaticamente sospesi, in base alla legge Severino.
Eppure tra i nomi dei candidati alle elezioni di maggio in regione Liguria è quasi certo che compariranno ben 12 rinviati a giudizio per le spese pazze relative alla legislatura corrente.
In un altro Paese, oltre a essere spernacchiati per strada, sarebbero stati cacciati dai rispettivi partiti di appartenenza o, nel caso migliore per loro, invitati a farsi da parte e saltare un giro, in attesa del processo e della relativa sentenza.
Rieccoli invece ripresentarsi come se nulla fosse, in nome della presunzione di innocenza, come se l’opportunità politica e l’etica personale non esistessero.
Ben sapendo che il processo inizierà tra circa un anno e si concluderà forse entro due e che in caso di condanna decadranno automaticamente.
In quel caso pensate che restituiranno gli 8.800 eurini al mese, circa 100.000 l’anno a testa che per due anni fanno 200.000 eurini più relativi contributi, illecitamente percepiti?
O pensate che qualcuno glieli chiederà mai indietro?
Cominciano con fare nomi e cognomi degli interessati: Renzo Guccinelli, Antonino Miceli, Massimo Donzella e Armando Capurro del Pd, Matteo Rossi ex Sel, Gino Garibaldi Ncd, Marco Melgrati, Marco Scajola, Raffaella Della Bianca di Forza Italia, Edoardo Rixi e Francesco Bruzzone della Lega e Matteo Rosso di Fratelli d’Italia.
Equamente divisi: sei di area centrosinistra, sei di area centrodestra.
Impossibile non ricordare che una volta esisteva la “destra della legalità “, quella dell’onore e del servizio alla nazione, dell’etica pubblica e della moralità .
Oggi siamo decaduti nella destra dell’omertà : ne prendiamo atto, ma denunciamo come una vergogna il riproporre candidati di cui abbiamo potuto leggere come hanno utilizzato i fondi pubblici regionali, al di là dell’aspetto penale che ci interessa relativamente.
E puntiamo il dito contro le segreterie di partito che straparlano ogni giorno di legalità da ripristinare nelle strade, quando non riescono nemmeno a garantirla all’interno delle loro sedi e nei confronti dei loro esponenti.
Il suq illegale non è solo in piazza Raibetta, cari vecchi tromboni della sedicente destra genovese, lo sconcio mercato lo avete accanto a voi e da omertosi fingete di non accorgervene.
E quella sinistra che una volta rivendicava giustizia sociale, solidarietà e uguaglianza dove è finita?
Tra i mancati allarmi delle alluvioni in arrivo e gli scontrini fasulli dei vostri consiglieri, mentre migliaia di lavoratori sono rimasti senza lavoro?
Perchè tutti, destra e sinistra, non firmate un assegno a garanzia di almeno 200.000 euro che, in caso di condanna, determini la restituzione degli stipendi illecitamente percepiti per due anni, se non di più?
Forza, uomini di onore e della legalità , dimostrate di avere le palle: mal che vada avrete prestato servizio gratuito alla Regione per due anni.
Dato che notoriamente fate politica per passione, per voi non sarà certo un sacrificio.
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