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EXPO, TRE OPERE SU QUATTRO ANCORA INCOMPLETE E SENZA COLLAUDI

Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile

GLI ORGANIZZATORI AMMETTONO: A 13 GIORNI SOLO IL 25% DEI LAVORI ULTIMATI… E NON TUTTO FINIRà€

Meno 13. Mancano solo 13 giorni e poi i cancelli si apriranno per la manifestazione più celebrata, attesa, contrastata e discussa degli ultimi anni in Italia.
“Expo 2015 sarà  certamente inaugurata il primo maggio”, assicura Piero Galli, il direttore generale della divisione sales and entertainment. “Il tema del rinvio dell’inaugurazione non si pone proprio. Abbiamo già  mandato gli inviti ai capi di Stato e alle istituzioni”.
Già  doverlo ribadire segnala però che “il tema del rinvio” è tutt’altro che campato per aria, visti i ritardi accumulati e le opere ancora non terminate.
Certo, i cancelli dovranno essere aperti la mattina del 1 maggio.
Expo, Milano e l’Italia non possono permettersi una figuraccia planetaria. Ma intanto il capo di Stato del Paese ospitante non ci sarà : Sergio Mattarella verrà  a Milano il 25 aprile, per celebrare la Resistenza, e si terrà  invece fuori dalle incertezze dell’esposizione universale.
L’apertura, infatti, si farà , ma con tre incognite: le incompiute, la sicurezza, il dopo Expo.
Il cantiere eterno: perfino i giornali cinesi parlano di ritardi. Non tutto sarà  finito Tutto pronto, dice il commissario Expo Giuseppe Sala.
Ma l’expottimismo strategico dei vertici cozza perfino con i dati pubblicati sul sito ufficiale Openexpo.
L’ultimo aggiornamento, del 10 aprile, dice che è finito solo il 25 per cento dei lavori di responsabilità  di Expo (dunque tutto meno i padiglioni stranieri).
Su 20 aree, sono ultimate solo quattro. E alcune aree, tra cui proprio Palazzo Italia e gli edifici del Cardo, sede delle eccellenze made in Italy, hanno ritardi ormai irrecuperabili per il 1 maggio.
Saranno aperti, ma solo parzialmente.
Un brutto colpo lo hanno avuto anche gli industriali dell’asso — ciazione “Sistema Brescia per Expo”.
Hanno “salvato” loro l’Albero della vita, il simbolo dell’esposizione che stava per essere archiviato per i costi troppo alti, per l’opaca gestione degli appalti e per l’arresto del responsabile dei lavori Antonio Acerbo.
Il loro consorzio “Orgoglio Brescia” ha realizzato l’opera in poco più di tre mesi e mettendoci 3 milioni di euro, meno della metà  del costo previsto.
Però ora Expo ha comunicato che il 7 maggio non potranno celebrare la prima delle sei giornate dedicate a Brescia: perchè gli spazi di Palazzo Italia non saranno pronti. Se ne riparla il 4 giugno.
“Non c’è alcuna intenzione di rivalsa economica per il danno”, ha reagito il direttore di “Sistema Brescia”, Piero Costa, “a meno di ulteriori rinvii”.
Che le cose nel cantiere non siano messe bene, del resto, lo hanno capito anche i cinesi (1 milione i visitatori attesi dalla Cina, anche se i visti richiesti tra gennaio e marzo erano solo 13 mila in più dell’anno scorso).
Sentite che cosa scriveva quattro giorni fa il China Daily , quotidiano cinese in lingua inglese: “A meno di tre settimane dall’apertura dell’Expo MilaMilano, il 1 maggio, il sito dell’evento è ancora una massa di camion che solleva polvere e di lavoratori con l’elmetto in corsa per finire le costruzioni tra ritardi, corruzioni e costi fuori controllo”.
Sicurezza: 1.200 militari, agenti e carabinieri Ma non c’è tempo per fare i test
Forse non si arriverà  ai 29 milioni di ingressi promessi, ma comunque le persone che nei prossimi sei mesi entreranno nel sito Expo, tra visitatori e personale, saranno milioni.
Questo pone due problemi nel campo della sicurezza. Il primo è connesso ai controlli e alla vigilanza. Dopo i morti al Palazzo di giustizia di Milano, ha fatto impressione sapere che l’azienda chi vigila sugli ingressi degli uffici giudiziari, la AllSystem, è la stessa che controlla gli accessi a Expo.
Chi ha sparato a Milano era però entrato dall’unico accesso non controllato dalla AllSystem (che peraltro ha ottenuto un incarico che vale più di 2,3 milioni di euro con il metodo della “procedura ristretta semplificata”, che permetterebbe invece affidamenti per cifre non superiori al milione e mezzo: ma questa è un’altra storia).
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha comunque promesso che servizi segreti, polizia e carabinieri veglieranno su Expo, anzi hanno già  cominciato a farlo, affiancati anche da 1.200 militari impegnati a Milano nell’operazione “Strade sicure”.
E l’altroieri il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Francesco Paolo Tronca, ha “disposto un’intensificazione massima degli interventi di prevenzione generale e di controllo del territorio”.
Il secondo problema che attiene alla sicurezza di visitatori e lavoratori di Expo si chiama collaudi.
L’esposizione è una grande macchina fatta di edifici stabili, edifici temporanei, strade, passerelle, tendoni, ristoranti, chioschi…
Come ogni opera, pubblica e privata, dopo la fine dei lavori e prima di essere utilizzata deve essere collaudata
Con collaudi statici per gli edifici e per gli impianti, piuttosto complessi poichè ogni padiglione avrà  elettricità , acqua calda e fredda, gas, scarichi, cucine.
E perchè ci sarà  un grande afflusso di pubblico.
Per i collaudi sarebbero necessario almeno un paio di mesi. Non ci sono. Anche perchè molte opere non sono ancora finite.
La soluzione trovata: l’autocertificazione, ogni oste dirà  che il suo vino è buono. E poi incrociamo le dita, e niente gufi: speriamo che tutto funzioni e che Mercurio, il dio dai piedi alati del commercio e delle esposizioni, protegga Expo da incidenti e incendi.
Il dopo: nessuno, per ora, s’è fatto avanti per sviluppare l’area (deve sborsare 314 milioni)
È l’incognita più aperta: che cosa succederà  dell’Expo dopo Expo? Chi vigilerà , nei mesi successivi all’esposizione, perchè l’area non si trasformi in una landa desolata tipo “Fuga da New York”, occupata da senzatetto e disperati?
Tra 13 giorni l’esposizione aprirà , ma ancora non si sa che cosa succederà  dopo che i padiglioni saranno smontati.
Con un problemino: non si è fatto avanti nessuno disposto a pagare i 314 milioni di euro necessari per assicurarsi la possibilità  di “sviluppare” l’area (cioè costruirci su). La gara, nel novembre 2014, è andata deserta.
Così non si sa chi pagherà  a Comune di Milano e Regione Lombardia i 160 milioni (più oneri e interessi) messi sul piatto per comprare un’area privata: è il peccato originale di Expo, il primo realizzato su terreni non pubblici.
Le banche che hanno prestato i soldi — Intesa, Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Bpm e Imi — avrebbero voluto già  cominciare a incassare le restituzioni del debito.
Invece rischiano di restare con l’area sul groppone, a meno di provocare il fallimento di Comune e Regione.
Il rettore della Statale di Milano, Gianluca Vago, vorrebbe farci la nuova Città  Studi per le facoltà  scientifiche: costo previsto 400 milioni. Gianfelice Rocca di Assolombarda ipotizza una Silicon Valley padana.
Ma bisogna trovare i soldi: per le aree e per costruirci su. Dei 160 milioni per le aree, 45 dovrebbero andare nelle casse del “centauro”: la Fondazione Fiera che è, nello stesso tempo, venditrice (in quanto proprietaria iniziale di due terzi del terreno) e compratrice (in quanto socia di Expo spa).
“Mi interessa che il governo entri e metta soldi”, dice chiaro il presidente della Regione Roberto Maroni.
Il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris chiede “una forte regia pubblica”.
Il ministro delegato a Expo, Maurizio Martina, e quello alle Infrastrutture, Graziano Delrio, stanno studiando il dossier e venerdì 24 aprile avranno un incontro per affrontare la questione.
La speranza è che arrivi, con i suoi soldini, la Cassa depositi e prestiti, come la fata buona capace di dissolvere il cattivo sortilegio e garantire il lieto fine.
Ma sarà  dura anche per la magica creatura presieduta da Franco Bassanini.

Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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COFFERATI: “TOCCAVA ALLA PAITA DARE L’ALLERTA”

Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile

“PARTITO ORMAI ARROGANTE, INCREDIBILE L’INTERVENTO DI BAGNASCO”… “IN LIGURIA NON CI SARA’ MAGGIORANZA PER GOVERNARE”

Cofferati Il leader della Cgil ai tempi del Circo Massimo è stato il rivale sconfitto da Paita in un’elezione opaca, con contestazione di brogli e garanti in campo
In seguito a quella vicenda lasciò il Pd
“Ormai il Pd è al di là  del bene e del male».
Sergio Cofferati da quando è arrivata la notizia dell’indagine su Raffaella Paita ha parlato con pochissime persone. Chi lo ha sentito sa però che le sue affermazioni sono molto dure, in queste ore.
Quando fu sconfitto da Paita denunciò brogli, che poi sono stati in buona misura confermati anche dal Collegio dei garanti del partito. Quindi Cofferati è uscito dal Pd: qualcosa che – per un ex capo della Cgil – appariva oltre l’inaudito.
«Era evidente che la magistratura intervenisse – dice adesso – e indagasse l’allora assessore. Vi rendete conto che c’è stato un morto, e una catena molto discutibile di intervento?».
La difesa di Paita è che non tocca all’assessore, dal punto di vista normativo, dare l’allerta, ma al dirigente della protezione civile.
Cofferati la smonta. «Innanzitutto non è vero. Ma facciamo come se fosse vero: resta il fatto che, dopo un’indagine del genere, bisognerebbe almeno prendere atto delle enormi responsabilità  politiche. Paita ha preso provvedimenti contro questi dirigenti? No. Li hanno licenziati in tronco, subito, il giorno dopo? No».
Il discorso che va facendo l’ex segretario generale della Cgil si allarga.
«Era uno dei temi che sostenni molto in campagna elettorale. Non mi piace fare il La Malfa, quello che dice “io l’avevo detto”, ma Burlando e Paita non hanno usato i finanziamenti europei per mettere in sicurezza il Bisagno e il Fereggiano, non hanno predisposto le azioni di intervento per contenerli. Poi è chiaro che le esondazioni non dipendono certo da loro, ci mancherebbe. Ma i mancati interventi politici sì».
In Liguria la situazione è complicata, ora, per il Pd.
«La gente non sopporta più l’arroganza di questo Pd», sostiene Cofferati. «Io ci ho messo la faccia perchè pensavo fosse giusto, e pensavo che l’autoriforma di certi comportamenti, molto diffusi dentro il partito, arrivasse dalla politica, perchè la politica arrivasse prima della magistratura».
Ma, ha raccontato Cofferati a chi lo ha sentito, «era inevitabile l’indagine della magistratura, esattamente come era successo a Marta Vincenzi; semmai l’unica cosa che sorprendeva era che non fosse ancora giunto, questo avviso di garanzia».
Cofferati giudica «incredibile» l’intervento della Curia: «Ma in quale paese il Cardinale, capo dei vescovi, interviene criticando la magistratura?».
Cosa succederà  adesso? La sinistra, che poteva approfittarne, è totalmente spaccata. Il M5S a percentuali altissime, ma inutili. Qui rischia di vincere Toti, il che è absurdum. «Credo ne sia terrorizzato lui stesso», è la battuta di Cofferati che ci viene riferita.
«La verità  è che a oggi, comunque vada, le elezioni non andranno a finire bene. Non c’è un’ipotesi credibile di governo, nessuno avrà  la maggioranza per guidare una regione che va assolutamente rilanciata».

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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ALLUVIONE IN LIGURIA: TELEFONINI SPENTI DELLA PROTEZIONE CIVILE MENTRE DILUVIAVA

Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile

IL GIALLO DELL’ALLERTA: I PRIMI SEGNALI DI ALLARME SOLO MEZZ’ORA DOPO L’ESONDAZIONE

Il telefonino del direttore della Protezione Civile Regionale sarebbe rimasto spento il 9 ottobre , mentre su Genova si scaricava una valanga di acqua e fango.
Il funzionario reperibile Stefano Vergante avrebbe provato a contattare il suo superiore, Gabriella Minervini, senza esito.
È uno degli elementi su cui si basa l’inchiesta della Procura che ha indagato l’assessore Paita e il direttore di omicidio e disastro colposi.
Anche se Gabriella Minervini si difende e ricorda che quel giorno non si era in stato di “Allerta”, che quindi non c’era alcuna ragione per avere il telefono acceso.
Nelle carte dell’inchiesta sull’alluvione del 2014 c’è un particolare che per la Procura della Repubblica non è un dettaglio.
La sera del 9 ottobre il telefonino del direttore della Protezione Civile Regionale era spento. Nonostante il giorno prima l’Arpal avesse emanato un avviso che annunciava temporali intensi e persistenti sul Genovesato.
Alle 22,20, quando sulla Val Bisagno si riversa una valanga d’acqua, l’ingegnere Stefano Vergante, funzionario reperibile della Protezione Civile, avrebbe provato ad avvisare il suo superiore.
E però Gabriella Minervini ai magistrati avrebbe ammesso che il suo cellulare era rimasto spento un paio d’ore perchè non c’era nessuna allerta, quindi alcun motivo per tenerlo acceso.
E’ uno degli elementi su cui i pm Gabriella Dotto e Patrizia Ciccarese hanno indagato l’assessore Raffaella Paita e Minervini, chiamate a rispondere di omicidio e disastro colposi: “per inosservanze di plurime disposizioni in materia di Protezione Civile”. Non hanno emanato lo stato di “Allerta-Due”, hanno tenuto chiusa la sede della Protezione Civile, ritardando quindi i soccorsi, “cagionando la morte dell’ex infermiere Antonio Campanella”.
E nella ricostruzione temporale della disastrosa giornata l’addetto alle previsioni dell’Arpal, Elisabetta Trovatore, nel suo promemoria consegnato alla polizia giudiziaria ha scritto di avere emanato un primo avviso meteo l’8 ottobre, con il quale l’indomani si prefiguravano temporali significativi (triangolino nero con punto esclamativo, massimo grado di allarme); alle ore 18,10 del 9 un altro bollettino di situazione in corso, con miglioramento.
Due ore dopo, però, le condizioni peggiorano, i previsori tornano in ufficio. Attenzione: la sede è in viale Brigate Partigiane; un piano sotto di quella della Protezione Civile.
Alle 21,20 emanano un altro avviso, con netto peggioramento sullo spartiacque di Creto.
In quel momento Vergante si trova a casa, a Molassana, e non può raggiungere viale Brigate Partigiane perchè la zona è allagata e la viabilità  è in ginocchio.
Minervini (sarà  interrogata dopodomani) avrebbe detto ai pm che comunque il funzionario ha chiamato due colleghi che abitano lì vicino, che hanno le chiavi della sede e l’hanno aperta intorno alle 22.
Paita, la candidata alla Presidenza della Regione, è invece a Villanova d’Albenga, viene raggiunta telefonicamente dall’ingegnere, assicura che rientrerà  a Genova prima possibile.
«Mi ha assicurato di avere avvertito la Protezione Civile Nazionale, la Prefettura ed i comuni di Genova e Montoggio», sostiene l’assessore (sarà  interrogata martedì prossimo).
Monica Bocchiardo, responsabile della Protezione Civile del Comune, ribatte invece che la telefonata di Vergante è delle 23,25.
Venticinque minuti dopo l’esondazione del Bisagno.

(da “La Repubblica”)

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