Destra di Popolo.net

CAMPANIA, A VOLTE RITORNANO: DE MITA, MASTELLA E POMICINO, TUTTI CON CALDORO

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

CHI DEVE SISTEMARE LA FIGLIA, CHI LA COMPAGNA

A Nusco un mese fa alla sinistra di Ciriaco De Mita era seduto Stefano Caldoro e alla sua destra Sergio Chiamparino, a discutere di regioni e programmazione.
Una lezione di politica, nell’ambito del corso di perfezionamento della scuola di Alti studi politici di Nusco, di cui De Mita è direttore scientifico.
Direttore, sindaco, semplicemente: il “re dell’Irpinia”, come lo chiamavano ai bei tempi.
E come ai bei tempi è lui uno dei grandi registi degli accordi politici, a partire da quello che ha portato Area Popolare al sostegno di Caldoro.
Qualche giorno dopo l’incontro a Nusco, sul bollettino ufficiale della regione Campania, l’11 marzo, viene pubblicata una delibera che stabilisce un finanziamento da parte della Regione al Comune irpino per un importo complessivo di 5 milioni e 300 mila euro per la “riqualificazione del borgo antico”, “dei parchi comunali” e per la “messa in sicurezza e ri-funzionalizzazione dell’edificio storico dell’ex convento delle Suore Stigmatine”.
A Nusco, sempre nelle ultime settimane si è fatto vedere pure il coordinatore di Ncd Gaetano Quagliariello, per discutere della manovra che avrebbe portato il sostegno di Area Popolare a Caldoro.
È una ritualità  antica quella che avvolge la politica del centro del centrodestra campano.
I big vanno dal Re, in processione. Il quale, come facevano i democristiani di una volta, si adopera per lo sviluppo del feudo.
L’ottantenne De Mita è stato nominato pure presidente del coordinamento dei 24 sindaci della Città  dell’Alta Irpinia.
Sarà  lui a guidare il progetto pilota per la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne. Le formalità  lontano dal feudo, invece, sono affidate ai giovani quando l’accordo è già  fatto da vecchio Ciriaco, il quale avrebbe ottenuto da Caldoro – secondo i ben informati – un assessorato per la figlia Antonia.
Ecco che per le formalità , a Napoli, all’incontro della stretta di mano finale con Caldoro, vanno Giacchino Alfano e De Mita Giuseppe, nipote di Ciriaco.
I quali chiudono un accordo sgradito a un altro democristiano di Area Popolare, Lorenzo Cesa e al suo luogotenente, l’assessore regionale Pasquale Sommese.
È il motivo per cui, a sostegno di Caldoro ci saranno due liste di centro.
Non una di Area Popolare, ma una di Ncd e una dell’Udc, almeno per ora.
Due, o forse tre. Perchè un altro pezzo della trama passa da Nusco a Ceppaloni, da De Mita al suo ex portavoce, Clemente Mastella.
Nelle ultime settimane l’ex guardasigilli ha trattato su più tavoli il suo sostegno a Caldoro, attraverso la candidatura della signora Sandra (sua moglie di Mastella e consigliere).
Dentro Forza Italia, dove Mastella è transitato, l’ipotesi non è risultata percorribile perchè Forza Italia ha optato per un “rinnovamento delle liste”.
Ora Mastella tratta su due opzioni: una candidatura di Sandra Leonardo nelle liste di Area Popolare, dove però Mastella si scontra con il veto della sua avversaria storica, Nunzia De Girolamo.
L’altra, che al momento pare più percorribile, è la nascita di una lista di sostegno a Caldoro assieme all’europarlamentare di Forza Italia Enzo Rivellini.
Che, nei desiderata degli ispiratori (Mastella e Rivellini), porterebbe all’elezione di Sandra Mastella nel Sannio e nel napoletano della compagna di Rivellini, Bianca D’Angelo, assessore uscente alle politiche sociali nella giunta di Caldoro.
Se così fosse, il centro andrebbe alle urne divise, ma ogni democristiano riuscirebbe a tutelare il suo spicchio di potere.
Chi invece, pur essendo molto attivo ancora nel centrodestra campano, non vuole candidarsi è Paolo Cirino Pomicino.
Che all’HuffPost dice: “La tessera non l’ho presa, ma sono in Area Popolare, diciamo così, per antica presenza perchè dovrebbero essere democristiani…”.
E su una eventuale candidatura aggiunge: “Ma le pare che uno della prima Repubblica si candida nella seconda? Noblesse oblige”.
‘O ministro resta nell’ombra. Ma c’è anche lui.
A volte ritornano.

(da “Huffingtonpost”)

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MELONI SI SCHIERA CON FITTO E ANCHE IN LIGURIA POTREBBE SOSTENERE MUSSO, ALTERNATIVO A TOTI

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

BERLUSCONI E SALVINI ISOLATI, LA POLI BORTONE LASCERA’ FDI… E IN LIGURIA SI STA LAVORANDO ALLA STESSA OPERAZIONE PUGLIESE, CON LA CANDIDATURA DI ENRICO MUSSO

Giorgia Meloni non accetta il diktat di Berlusconi.
Fratelli d’Italia non sosterrà  la candidatura a presidente della Regione Puglia, della sua iscritta, Adriana Poli Bortone.
A meno che tutta Forza Italia, quindi anche la componente che si richiama a Raffaele Fitto, che invece sponsorizza la candidatura di Francesco Schittulli, cambi candidato, scelga cioè la candidata di Berlusconi.
Un’ipotesi dell’irrealtà , dato che le elezioni della Puglia sembrano solo l’occasione per un regolamento dei conti tra i due.
E Poli Bortone, che alla candidatura mostra di tenere eccome, minaccia di lasciare il suo partito che le volta le spalle. Insomma, la guerra tra Fitto e Berlusconi spacca anche Fratelli d’Italia.
Meloni: «Poli Bortone solo se siamo tutti uniti»
Meloni quindi fa sua la posizione che era già  emersa dalla riunione del coordinamento regionale pugliese di FdI.
«Quella di Adriana Poli Bortone – dichiara la giovane leader – è un’ottima candidatura se funzionale alla vittoria. Se Berlusconi ci garantisce che c’è il sostegno di tutta FI siamo disponibili, altrimenti entro 24 ore confermeremo il sostegno a Francesco Schittulli».
Poli Bortone: «Se non accolgono la mia candidatura non mi vogliono»
A questo punto Poli Bortone sarebbe pronta a lasciare il partito.
«Se Fratelli d’Italia dovesse rinunciare alla mia candidatura, alla candidatura di una persona che fa parte del suo ufficio di presidenza, io ci resterei male e penserei di andarmene», aveva infatti comunicato l’ex senatrice leccese, intervistata dal programma «Un giorno da pecora» su Radio due.
«Se il partito rinuncia al mio nome con motivazioni che io non posso condividere, si vede che non vogliono che io resti in Fratelli d’Italia.”
«Peccato Adriana ci informi delle sue intenzioni via stampa»
Meloni non nasconde l’irritazione per le modalità  con cui Berlusconi è entrato nel suo partito, interpellando direttamente Poli Bortone e quindi scavalcando i vertici di FdI: «Quella di Adriana Poli Bortone è una candidatura messa in campo con tempi e metodi francamente discutibili. Sarebbe un errore per Poli Bortone farsi utilizzare in una regione dove per regolare i conti interni» a FI «si impedisce di fatto al centrodestra di essere competitivo».
Così la presidente di Fdi Giorgia Meloni al termine di un ufficio di presidenza al quale, sottolinea, «ci avrebbe fatto piacere se avesse partecipato, ma ci ha fatto conoscere le sue intenzioni tramite mezzo stampa».
Il caso Liguria
Mentre a riunione di Fratelli d’Italia era ancora in corso, nella sede del partito è arrivato Enrico Musso. Musso, ex Pdl, e candidato governatore della Liguria con la lista civica «Liguria libera», alternativa e concorrente a quella di Forza Italia e della Lega che sostiene la candidatura di Giovanni Toti.
Dunque, si potrebbe prospettare uno strappo ulteriore nel centrodestra: a dividere l’area di centrodestra non solo potrebbe essere la questione Puglia, ma si creerebbe così un nuovo caso, quello della Liguria.

Adriana Logroscino
(da “il Corriere della Sera”)

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FITTO PORTERA’ SILVIO IN TRIBUNALE: CONTESTERA’ NON SOLO LISTE E USO DEL SIMBOLO, MA ANCHE LA PRESIDENZA DI BERLUSCONI E’ ILLEGITTIMA

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

I LEGALI DI FITTO: “TUTTO LO STATUTO E’ ILLEGITTIMO, PREVEDEVA L’APPROVAZIONE DI UN CONGRESSO CHE NON C’E’ MAI STATO”… E FITTO ANNUNCIA: “LI FARO’ IMPAZZIRE”

La rissa è destinata a finire in tribunale: “Qua — dice Fitto ai suoi — è tutto illegittimo, illegittimi gli organi, illegittimi i dirigenti di Forza Italia. Se ci tengono fuori dalle liste, il 1° maggio faccio ricorso e ci vediamo in tribunale”.
Le fiamme dell’odio bruciano quel che resta di Forza Italia.
Silvio Berlusconi, rientrato a Milano dopo la remise en forme a Villa Certosa, pare un fiume in piena: “Ingrati, traditori, gente che mi deve tutto e gioca allo sfascio”.
Tira dritto l’ex premier che è riuscito a incassare sul suo candidato, Adriana Poli Bortone, il sostegno della Lega, ma non quello della Meloni che è in contatto diretto col capo dei ribelli: “La Russa e Giorgia — spiegano ad Arcore — si giocano con Fitto la partita del ‘dopo’, aspettano il big bang per poi marciare sulle macerie”.
Tira dritto pure Raffaele Fitto, che ha già  consultato i legali per mettere nero su bianco una valanga di ricorsi: “Qua — ripete il capo dei ribelli — siamo solo all’inizio. Li farò impazzire”.
Il commissario Vitali ha già  detto che Fitto è fuori da Forza Italia e non può usare il simbolo. Pronta la contromossa: appena saranno presentate le liste di Forza Italia che sanciranno l’esclusione dei fittiani, la rissa si sposta nei tribunali.
Fitto è pronto a contestare tutto, compreso l’utilizzo del simbolo di Forza Italia.
La questione è già  sul tavolo dei legali dell’ex governatore: “Il punto — spiega uno di loro all’HuffPost – è che non è illegittima solo questa o questa norma, ma è illegittimo lo statuto. Perchè, sciolto il Pdl e riesumata Forza Italia, non è stato mai votato da un congresso. Mai”.
Fa notare il legale che è illegittimo pure il presidente Silvio Berlusconi.
Carta canta, all’articolo 19: “Il presidente del Movimento Politico Forza Italia è eletto dal Congresso Nazionale secondo le modalità  previste dal regolamento”.
Ma il congresso non si è fatto: “L’Epurator è abusivo” mormorano i ribelli.
Ecco è questo il clima che si respira nella campagna elettorale che rischia di passare alla storia come quella del disastro totale.
Perchè la verità  è che il big bang pare essere l’obiettivo di tutte le parti in causa.
Fitto in Veneto convergerà  sul polo di Flavio Tosi, assieme ad Alfano. E presenterà  liste anche in Campania.
Pure Silvio Berlusconi pensa alla prima mossa dopo il disastro: l’ex premier lascia trapelare dagli spifferatori ufficiali che è pronto a un ennesimo ritorno in campo e a una campagna elettorale senza risparmiarsi, ma in verità  ha spiegato, nei vertici che contano — quelli con la famiglia — che non ha alcuna intenzione di metterci la faccia.
E non c’entra nulla la prudenza legata alla questione giudiziaria, si chiami Ruby ter o attesa per il certificato che attesta la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone.
L’inabissamento è legato a una strategia precisa: “Berlusconi — sussurra una fonte livello – dice che le regionali andranno male. Sarà  una catastrofe, si aspetta un 6 a 1 per Renzi. Quindi prova a starsene fuori per poi scaricare le responsabilità  sulla vecchia guardia e dire il minuto dopo: colpa vostra, ora facciamo come dico io, rinnoviamo tutto”.
L’ultima suggestione è la creazione dei un nuovo contenitore, sul modello dei “Repubblicani”: “Va dicendo — prosegue la fonte — che bisogna fare come in America, da una parte i democratici, dall’altro il Repubblicani anche se è alla ricerca di un nome che non sia questo. E il 1° giugno l’idea è dire: sciogliamoci tutti in un contenitore più ampio”.
Il problema è che, nell’ora del cupio dissolvi, è già  chiaro che non si scioglierà  nessuno: nè Salvini, nè la Meloni, nè Alfano.
L’unico partito che rischia di arrivare sciolto dagli elettori è Forza Italia.
Gli ultimi report della Ghisleri sono da brivido: Caldoro in Campania è sotto e Giovanni Toti in Liguria pare fuori partita.
Perchè sui giornali il candidato ha fatto trapelare solo una parte del sondaggio, quello sul “nome”, omettendo che le liste della sua coalizione sono sotto di dieci punti rispetto al Pd e omettendo il sondaggio sulla credibilità  del candidato, da cui non esce affatto bene.
Nemmeno la Ghisleri, che è una che ci prende sempre, ha gradito che Toti uscisse sui giornali come uno che se la gioca mentre appare avviato verso una sconfitta sicura.
Perchè la brava Alessandra sono dieci anni che non ne sbaglia una, non può mica sbagliare i dati della fine di un’epoca.

(da “Huffingtonpost“)

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POLI BORTONE IN CRISI DI ASTINENZA: “SE LA MELONI BOCCIA LA MIA CANDIDATURA LASCIO IL PARTITO”

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

LA CANDIDATA “NUOVA” MINACCIA IL PARTITO IN CASO MANTENESSE L’IMPEGNO PRESO CON SCHITTULLI

Lo psicodramma delle elezioni regionali in Puglia si arricchisce di un nuovo capitolo. Adriana Poli Bortone, che oggi avrebbe dovuto annunciare ufficialmente la sua candidatura alle elezioni sotto le insegne di Forza Italia, minaccia di lasciare il partito: “Se Fratelli d’Italia dovesse rinunciare alla mia candidatura, alla candidatura di una persona che fa parte del suo ufficio di presidenza, io ci resterei male e penserei di andarmene”.
La candidata in pectore di Berlusconi e Salvini, da Un Giorno da Pecora su Radio 2 Rai, conferma così che “se il partito rinuncia al mio nome con motivazioni che io non posso condividere, si vede che non vogliono che io resti in Fratelli d’Italia”.
A chi le fa osservare che le incertezze del centrodestra rischiano di far vincere Emiliano, l’ex ministro osserva: “Si vede che qualcuno vuole farlo vincere”.
Ha mai pensato che questa persona potrebbe essere lei?

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BIANCONI: “BERLUSCONI VOLEVA TAGLIARE TESTE IN PUGLIA INVECE GLI HANNO TAGLIATO LE PALLE”

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

“E’ COME TAFAZZI: PRIMA MANDA LA SARDONE IN TV PER DIRE CHE MANDA AVANTI I GIOVANI E POI CANDIDA LA POLI BORTONE, IL NUOVO CHE AVANZA”

“Berlusconi ha mandato in Puglia un proconsole per tagliare le teste ed è finita che hanno tagliato a lui le palle. E’ andata così”.
Sono le parole pronunciate dal deputato di Forza Italia, Maurizio Bianconi, ai microfoni di 24 Mattino, su Radio 24.
“Berlusconi candida la Poli Bortone alle regionali in Puglia?” — continua — “E’ il nuovo che avanza. Prima manda la Sardone in tv per dire che manda avanti i giovani e poi candida la Poli Bortone che ha più di 70 anni. Berlusconi sembra un neo Tafazzi: prende il martello e se lo dà  sulle palle. Se avesse capito che con il patto del Nazareno si sarebbe rovinato, come gli dicevamo noi, a quest’ora non farebbe tutto questo. Invece prima si e’ rovinato con il patto del Nazareno e ora si rovina buttando fuori chi dovrebbe tenere dentro per fare un buon centrodestra”.
E chiosa: “Ma purtroppo il Signore quando decide di perdere uno, gli fa perdere anche il cervello“

(da “il Fatto Quotidiano“)

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SCHIAFFO A RENZI, LA VEDOVA DI ERBA RIFIUTA I FUNERALI DI STATO

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

“MIO MARITO AMMAZZATO IN TRIBUNALE E IGNORATO DA RENZI E DAI GIUDICI”: L’AMAREZZA DELLA VEDOVA DELL’IMPRENDITORE UCCISO DA GIARDIELLO

Saranno funerali di Stato a metà .
Non ci sarà  il feretro della terza vittima, Giorgio Erba, l’ex socio di Claudio Giardiello ammazzato anche lui in Tribunale.
Lo ha deciso sua moglie Rosanna Mollicone: «Ci sono stati vari annunci ma nessuno ha parlato con me. I funerali di mio marito avverranno mercoledì alle 10 e 45 nel Duomo di Monza con tutti i suoi amici».
Signora Rosanna Mollicone, perchè questa scelta?  
«L’unica persona con cui ho parlato in tutti questi giorni è un tal signor Ferraro o Ferrari del Tribunale… Questo incaricato mi ha contattato venerdì pomeriggio per dirmi che al mattino c’era stata in Tribunale a Milano la commemorazione delle vittime. Ma io non c’ero. Perchè nessuno mi aveva avvertito. Nessuno mi ha chiesto di partecipare. Ho visto la cerimonia al telegiornale della sera. L’unico telegiornale che ho guardato in questi giorni».
E allora lei ha deciso che la bara di suo marito non sarà  ai funerali di Stato…  
«Sono lusingata se i famigliari delle altre vittime che stimo – un bravo giudice e un bravo avvocato – hanno pensato che si potessero fare i funerali tutti insieme…».
Ma?  
«A me non importa la vetrina delle autorità . Io non sono mai stata contattata da nessuno, tantomeno da Matteo Renzi o da altre persone dello Stato come ho letto. E non ho ricevuto alcuna telefonata dal cardinale Angelo Scola come qualcuno aveva preannunciato. Allora preferisco che mio marito sia ricordato dai suoi amici. Sono stati i primi a pensare che ci fosse un momento di preghiera tutto loro per Giorgio».
In che senso?  
«Mio marito era un grande appassionato di volo a vela. I suoi compagni avrebbero voluto che i funerali fossero celebrati nel campo che frequentava da tanti anni. La curia di Como ci ha fatto però sapere che non era possibile perchè i funerali devono avvenire solo ed esclusivamente in una chiesa. Allora mi sono informata e ho deciso che i funerali di Giorgio saranno mercoledì ma nel Duomo di Monza. Dove sono sicura verranno tutti i suoi amici».
E magari zero autorità …  
«A me non interessa. Anche se nessuna delle cariche dello Stato mi ha chiamato io non mi sono mai sentita sola un minuto. Ci sono 300 o 400 persone che mi stanno vicine. Sono persone che volevano partecipare a un momento di preghiera per mio marito. Se io avessi accettato di far celebrare i funerali di mio marito con quel giudice e quell’avvocato solo 4 o 5 degli amici di Giorgio sarebbero entrati in chiesa».
Quindi lei tra le autorità  e gli amici di suo marito sceglie questi ultimi?  
«Io credo molto in Dio. Credo che davanti a lui siamo tutti uguali senza distinzioni. Preferisco che in chiesa ci siano tutte le persone che lo amavano e lo rispettavano, non una parata di autorità . Per mio marito sarebbero stati più importanti i suoi amici con cui divideva la passione del volo a vela».
Dopo le polemiche di questi ultimi giorni sui morti di serie A e di serie B, lei crede che ci siano anche partecipanti ai funerali di serie A e B?  
«Se non avessero ucciso anche un giudice – una persona degnissima, un bravo magistrato – quello che è accaduto sarebbe finita come tutte le cose che avvengono in Italia. Io so che quelle 300 o 400 persone che mi stanno vicino in questi momenti tra qualche giorno diventeranno molto meno e alcune le perderò di vista per sempre. Ma adesso le sento vicinissime a me. L’altro giorno una famiglia musulmana che conosco ha detto che avrebbe pregato per me. È una cosa che mi ha fatto molto piacere anche se non siamo della stessa religione. Davanti a Dio siamo tutti uguali, siamo 7 miliardi di anime».
Lei non aveva mai parlato con un giornalista…  
«E non intendo farlo più».
Va bene. Ma in questi giorni si è parlato molto di suo marito. Del fatto che era il coimputato di chi lo ha ucciso, delle liti che avevano… Vuole raccontarci lei chi era Giorgio Erba?  
«Non mi interessa. Non è un problema mio quello che viene scritto sui giornali o detto alla televisione. Io so molto bene che Giorgio era una persona onesta. E lo sanno tutti i suoi amici che vorranno essergli vicino al funerale, mercoledì in Duomo a Monza».

Fabio Poletti
(da “La Stampa“)

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“MA CHE LAVORI HANNO FATTO IN QUELLA SCUOLA?”

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

OSTUNI: CROLLA L’INTONACO IN UNA SCUOLA RISTRUTTURATA 4 MESI FA, FERITI UN’INSEGNANTE E DUE BAMBINI

“Queste cose non devono succedere. Ora basta, non possiamo temere per la vita dei nostri figli. La scuola va chiusa e vanno effettuati controlli a tutti i solai. Non può succedere una cosa simile in una scuola appena ristrutturata. Ma che lavori hanno fatto?”.
Se lo chiede il papà  di uno degli alunni della scuola elementare “Enrico Pessina” di Ostuni, dove due bambini sono rimasti feriti in seguito al crollo di 5 metri quadrati di intonaco.
Il paradosso è che la scuola era stata di recente sottoposta a interventi di ristrutturazione, solo 4 mesi fa.
La domanda dunque appare più che lecita: ma che lavori hanno fatto in quella scuola?
Le ferite riportate dai due bambini di sette anni sono “serie ma non gravi”.
Lo rende noto il comandante dei vigili del fuoco di Brindisi, Michele Angiuli.
Nella scuola – sottolinea Angiuli – “si è verificato il distacco di 5 metri quadrati di intonaco, per uno spessore di 3 cm collassato all’improvviso, un peso significativo, venuto giù in maniera uniforme. Un bel blocco, che ha investito i bambini”.
Oltre ai due bambini, anche una maestra è rimasta ferita: è scivolata mentre cercava di dare soccorso ai bambini.
La scuola, che aveva riaperto i cancelli il 7 gennaio scorso dopo un periodo di chiusura per lavori di ristrutturazione, è stata evacuata.
I vigili del fuoco hanno dato indicazioni al sindaco affinchè l’intera struttura sia dichiarata inagibile.
“Questo – sottolinea Angiuli – anche in considerazione del fatto che erano di recente finiti lavori di ristrutturazione che avevano coinvolto anche la parte dell’intonaco. Si devono fare tutte le verifiche e i controlli del caso”.
“Della vicenda – rende noto ancora Angiuli – è stata informata dal commissariato di Ostuni l’attività  giudiziaria che deciderà  se effettuare il sequestro della parte interessata, o dell’intero stabile. I Vigili del fuoco stanno procedendo al prelievo di campioni di intonaco per indagini su quanto accaduto”.

(da “Huffingtonpost“)

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RIMBORSI, ALLA LEGA 180 MILIONI IN 25 ANNI: COSI’ IL CARROCCIO HA SPREMUTO “ROMA LADRONA”

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

IL PARTITO ORA HA LE CASSE VUOTE E MOLTI PROCESSI APERTI PER LE SPESE PAZZE DEI SUOI VERTICI

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato.
Dal 1988 al 2013 sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire.
Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo.
Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio.
Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni.
Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità .
A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania   e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota.
Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.
MANNA LOMBARDA
Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento.
E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro).
Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già  nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee.
Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite.
Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro).
Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti.
Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti.
Un sistema che resterà  in vigore fino al 1997 e che consentirà  alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori.
Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.
RIMBORSI D’ORO
L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità  di destinare il 4 per mille dell’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro).
Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso.
E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998.
Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimo blitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001).
In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere.
Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.
ELEZIONI, CHE CUCCAGNA
Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001.
E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali.
E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005.
Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà  nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.
CARROCCIO AL VERDE
E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere.
Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura.
Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010.
Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà  il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso.
E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011.
La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.
FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD
(1988-2013)
1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
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2007 € 9.605.470,4
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2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,0
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

Francesco Giurato e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano“)

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QUEI COMUNI INCAPACI DI FARSI PAGARE 5,9 MILIARDI DI TRIBUTI

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

AL SUD RIESCONO A INCASSARE SOLO LA META’ DEL DOVUTO

Certo, da qualche tempo a questa parte per i sindaci far quadrare i conti è una battaglia quasi quotidiana, basti pensare che negli ultimi 4 anni hanno dovuto subire tagli per circa 17 miliardi e fare i conti con 64 modifiche delle regole di bilancio e ben 17 variazioni delle tasse sulla casa.
Detto questo molti comuni si fanno proprio male da soli, perchè sono davvero dei pessimi esattori.
E, in molti casi, le performance peggiori riguardano città  che più delle altre si lamentano dei tagli del governo.
Grandi città  in affanno  
Su 110 comuni capoluogo, in base ai bilanci consuntivi del 2012 elaborati da Openpolis (www.openbilanci.it), appena 11 superano la soglia dell’85% quanto a capacità  di riscossione, con Bolzano che svetta col 91,77%, Olbia e Trento che seguono rispettivamente col 90,19 e l’88,53%. Le grandi città  presentano tutte performance mediocri: Roma è 66 col 71,4%, Napoli 88 col 65,15%, facendosi in pratica sfuggire un terzo delle potenziali entrate.
Non vanno meglio Milano (92° posto col 63,95%) e Venezia (73° col 70,56%). Genova è 15 (82,89), Bologna 17 (82,56%), Firenze 45 (76,42%) e Torino 52 col 74,95%.
In coda alla classifica 14 amministrazioni, in gran parte città  meridionali, non incassano la metà  di quello che hanno messo bilancio con la sarda Tortolì che si ferma al 42,77%, Palermo al 43,69 e Reggio Calabria al 47,7%.
E forse non è nemmeno un caso che molte delle città  meno efficienti sul fronte degli incassi siamo anche quelle che hanno bisogno di maggior trasferimenti dallo Stato per reggere, con Messina 97 nella graduatoria della capacità  di riscossione (58,57%) che guida la classifica col 40,97% delle sue entrate che arriva da Roma, seguita da Palermo (37,55) e Catania col 25 percento.
I soldi messi a bilancio, ma che poi non entrano effettivamente in cassa, vengono classificati come residui attivi.
L’analisi di Openpolis, anche in questo caso, assegna più o meno alle solite «pecore nere» i «voti» più bassi: in fondo alla classifica, con un palese problema di inaffidabilità  delle entrate considerate nei propri bilanci, ci sono Palermo (21,58%), Napoli (18,43%) e Catania (17,59%), mentre Genova (45,19) con Bologna e Trieste risulta tra le più affidabili.
Tante multe «sprecate»  
Lo schema si ripete quasi identico quando si analizza una voce delicata, ma anche importante per i bilanci dei comuni, come quella relativa ai proventi delle multe: in media nel 2012 i comuni italiani hanno incassato 46 euro per ogni cittadino.
Con Bologna, Milano e Firenze che arrivano rispettivamente a 78,4, 97,7 e 99,3 euro, mentre in coda Messina, Palermo e Trieste non vanno oltre quota 25.
Il buco nero delle bollette  
A livello nazionale, il totale dei bilanci degli oltre 8 mila comuni italiani in base ai dati 2011 elaborati dall’Istat, gli ultimi disponibili in forma aggregata, presentano entrare tributarie accertate per un totale di 33,36 miliardi e di contro appena 25,25 di entrate effettive.
Il resto o entrano in caso negli anni a seguire oppure finisce tra i residui, in questo caso parliamo 5,89 miliardi di somme non riscosse.
A gonfiare questa cifra contribuiscono soprattutto le tasse sui rifiuti: 6,8 accertati, appena 3,2 entrati a bilancio nel 2011.
Lo stesso vale per le multe, dove vengono incassati solamente 958 milioni anzichè 1,51 miliardi, i servizi scolatici (mense, bus ecc.) con 562 milioni incassati su 731.
Sui proventi legati a stadi e palasport i nostri comuni raccolgono meno del 50% delle entrate previste (39,3 milioni su 68,5), mentre nei servizi idrici si tocca il top assoluto con 141,6 milioni incassati su 738.
Mentre ben 483,8 milioni finiscono anche in questo caso a gonfiare la montagna dei residui.
Tutti soldi che probabilmente i comuni non vedranno mai, tutte risorse sottratte alle comunità .

Paolo Baroni

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