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LA DENUNCIA DEL GENERALE MINI: “IN IRAQ LANCEREMO BOMBE SU QUALCHE SASSO: E’ LA STRATEGIA DI RENZI PER NON TAGLIARE FONDI ALLA DIFESA”

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

“INVECE CHE NELLE ZONE CALDE DEL KURDISTAN IRACHENO O LE AREE DEI POZZI PETROLIFERI BOMBARDEREMO TERRITORI DESERTICI”

Gli aerei da guerra italiani potrebbero prendere parte ai bombardamenti della coalizione internazionale sui territori controllati dallo Stato Islamico in Iraq.
La notizia, riportata dal Corriere della Sera, sancirebbe il primo vero intervento dell’Italia e, contemporaneamente, consentirebbe al governo di Matteo Renzi di evitare anche i possibili tagli al budget per la Difesa.
“La seconda motivazione è quella che veramente spiega un possibile intervento militare italiano — spiega il generale Fabio Mini, generale in pensione, già  comandante della missione Nato in Kosovo (Kfor) — in una coalizione si deve fare la propria parte, ma non ci metteremo a litigare con i grandi”.
Generale Mini, si è parlato della possibilità  di raid italiani in Iraq. Potrebbe veramente accedere o si tratta di una manovra del governo per evitare i tagli alla Difesa ?
“La seconda che ha detto, anche se non escluderei comunque un intervento italiano. Certo, la possibilità  di evitare i tagli al budget è una motivazione importante, ma non credo sia l’unica. Quando si è parte di una coalizione militare internazionale, come l’Italia per la Siria e l’Iraq, non si può semplicemente farne parte e rimanere a guardare. Matteo Renzi questo lo sa, ma sa anche che chi interviene in una rissa tra elefanti rischia di rimanere schiacciato”.
Quindi?
“Quindi è possibile che l’Italia porti avanti dei raid aerei nei territori del Califfato, ma non lo farà  in Siria, dove la situazione è più complessa, e nemmeno nelle zone dell’Iraq più problematiche, come il Kurdistan iracheno, vicino al confine con l’Iran, o le aree dove si trovano i pozzi petroliferi. Bombarderemo territori prettamente desertici, lanceremo bombe su qualche sasso”.
Il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha dichiarato che la guerra in Siria “potrebbe evolvere in conflitto di portata globale”. E’ plausibile?
“No. Le parole di Tusk sono le cosiddette ‘fughe in avanti’ di chi non capisce o non ha esperienza di strategia politica e militare. I movimenti militari a cui stiamo assistendo non sono determinati da alcuna rottura politica tra le parti. Prima di arrivare alla guerra, i soggetti in gioco devono smettere di parlarsi e passare alle minacce. Qui nessuno ha smesso di parlare, lo abbiamo visto durante l’Assemblea Generale dell’Onu: nonostante le divergenze, i colloqui vanno avanti. C’è più collaborazione che antagonismo, non si sono ancora ‘sparati per sbaglio’”.
Dopo la violazione dello spazio aereo turco da parte degli aerei da guerra russi, però, il presidente ErdoÄŸan ha dichiarato che “se la Russia perde un amico come la Turchia, con cui ha portato avanti molti affari, perderà  molto”. Questa suona come una minaccia.
“Quella di ErdoÄŸan non mi sembra una minaccia. Anzi, la vedo una dimostrazione di amicizia. Sta dicendo a Vladimir Putin ‘guarda che siamo amici, cerchiamo di rimanere in buoni rapporti’. Se avesse voluto minacciarlo avrebbe fatto partire ‘lo sparo per sbaglio’, visto che i russi gli hanno anche offerto l’occasione. Ma non lo ha fatto, non è stata presentata una nota di protesta diplomatica, l’ambasciata russa ad Ankara è ancora aperta e nessun diplomatico di Mosca è stato cacciato”.
Mosca però ha stravolto le carte in tavola: è intervenuta a sostegno di Assad, ha bombardato, oltre a Isis, le postazioni dei ribelli alleati degli occidentali e ha violato lo spazio aereo turco: sembra non essere consapevole di quale sia il limite?
“Questo, in effetti, è uno dei principali problemi. Nessuno, tantomeno gli Stati Uniti, ha detto alla Russia quali sono i limiti che non deve superare, quindi può agire in maniera relativamente indipendente. Mettere dei paletti vuol dire circoscrivere il raggio d’azione ma, allo stesso tempo, legittimare ogni azione rientri entro questo raggio. E questo Obama non può concederselo: legittimare un certo tipo di azione militare russa in Siria gli causerebbe grossi problemi interni, con l’opposizione, e non solo, che lo distruggerebbe, portandolo all’impeachment. Non mettendo paletti, la Casa Bianca di fatto permette ai russi di agire come meglio credono”.
Perchè l’Occidente si è svegliato solo dopo l’intervento russo in Siria?
“Perchè nessuno credeva che un intervento diretto di Mosca fosse possibile. Credo che la decisione di Putin di mandare l’esercito nel Paese sia il risultato di una grossa incomprensione tra lui e Obama. Questo perchè non si parlano apertamente, ma cercano sempre di interpretare le intenzioni dell’altro attraverso i comportamenti. Credo, ad esempio, che un processo di transizione con Assad (presidente siriano, ndr) fosse una soluzione che poteva andare bene a tutte le parti in gioco. La Russia avrebbe svolto un ruolo da mediatore, come tra l’altro ha già  fatto per gli accordi sul nucleare iraniano, per arrivare alla formazione di un nuovo governo senza il leader alauita. Obama questo non lo ha capito, come credo che Putin non abbia compreso che gli Usa potevano essere disposti a una transizione di questo tipo. Così si è arrivati a un’incomprensione che ha portato alla situazione attuale”.
Adesso che Usa e Russia si sono scontrate sul ruolo di Assad, crede che il presidente siriano abbia acquisito forza rispetto a qualche mese fa?
“No, questo non credo. Se pensiamo a Bashar Al Assad nei primi anni di conflitto vediamo un leader garante della sovranità  nazionale. Oggi non è più così: il Paese è diviso e lui non è più in grado di offrire stabilità . Riguardo al ruolo futuro di Assad ho un’idea che non credo sia così peregrina. Penso che gli abbiano chiesto, e lui ci sta pensando, di proporsi come l’anti-Assad. Uno dei problemi degli Stati Uniti, ma anche della Russia, sarà  quello di dialogare con le minoranze, soprattutto la comunità  alauita di cui Assad è leader. Questa comunità , negli ultimi tempi, è stata colpita da diversi scandali, tanto da costringere lo stesso Assad a farne arrestare alcuni membri, compresi dei suoi familiari. Ecco, se il presidente siriano portasse avanti questa opera di pulizia e consegnasse nelle mani dell’Occidente una comunità  unita, pulita e con la quale poter dialogare, allora avrebbe trovato il proprio ruolo nel processo di transizione”.
Quali sono allora le colpe dell’America e dell’Occidente in generale?
“L’errore più grande sulla Siria è stata la corsa al riconoscimento del Consiglio di Istanbul (il Consiglio Nazionale Siriano nato nel 2011, dopo le sommosse contro il regime di Assad, ndr) come il vero organo rappresentativo siriano. Il Cns ha ricevuto importanti finanziamenti e molti di quei soldi finivano nelle tasche di generali del Free Syrian Army che, abbiamo visto successivamente, era composto da diverse fazioni interne che si sono poi staccate. Molti di questi personaggi sono gli stessi appartenenti ai movimenti indipendentisti che, prima dello scoppio del conflitto, lo stesso Assad finanziava per cercare di mantenere dalla sua parte. Quando poi si è accorto di non poter competere con la valanga di denaro che arrivava dall’estero, ha cercato di mettere tutti in guardia dal pericolo che questi gruppi potevano rappresentare”.
Quindi si può fare un parallelo tra l’evolversi della situazione siriana e quella libica?
“Il parallelo è possibile. Tenendo conto che la comunità  internazionale non riconosce più la legittimità  del governo di Assad, in entrambi i casi siamo di fronte a una frammentazione interna del Paese, con numerose realtà  che si fanno la guerra tra loro. In Libia, dopo la caduta di Muammar Gheddafi, si è assistito al fallito tentativo di normalizzazione attraverso la costituzione di un governo legittimo. Anche in questo caso si è portata avanti una ‘politica da bottegai’, nel senso che è emersa una mancanza di conoscenza della situazione che ha portato la comunità  internazionale a dialogare solo con un numero ristretto di interlocutori, mentre non si è tenuto conto delle decine di fazioni pronte a farsi la guerra. Credo che i primi ad accorgersi dell’errore commesso siano stati proprio gli americani, dopo l’uccisione dell’ambasciatore Christopher Stevens a Bengasi”.

Gianni Rosini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LE COMICHE: BARANI ERA STATO SCELTO COME RELATORE DEL DDL CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

ERA REFERENTE DELLA LEGGE VOLUTA DAL PD SU OMOFOBIA E TRANSFOBIA IL SENATORE SOSPESO DAL SENATO PER GESTI OSCENI

Sessista ma relatore della legge Pd contro il sessismo.
Il parlamento dei porno-senatori ha la memoria corta. Nella vicenda che tiene banco da giorni sembra aver dimenticato un dettaglio: quel Barani oggi sospeso, tra mille polemiche, per aver mimato in aula atti sessuali all’indirizzo di una collega solo due anni fa veniva acclamato come relatore alla regina delle leggi contro le discriminazioni sessuali.
Proprio così. Nessuno dice poi che a indicarlo in quelle vesti furono proprio i colleghi senatori, compresi quelli del Pd che oggi tacciono sulla pochezza delle pena inflittagli (5 giorni di sospensione), per carità  di Patria o per amor di un governo che non può farsi scappare i voti verdiniani in Senato.
Ecco come andata, a beneficio degli smemorati.
Di Lucio Barani in questi giorni si è detto molto, quasi tutto. Anche del garofano rosso che resta sul giacchino, nonostante i rocamboleschi cambi di casacca che lo hanno portato infine tra le truppe verdiniane.
Le testimonianze raccolte dall’Ufficio di presidenza non lasciano dubbi: Barani ha proprio mimato una fellatio all’indirizzo della senatrice Barbara Lezzi (M5S). Verdetto: sospeso, ma solo per cinque giorni.
Niente rispetto all’offesa dell’istituzione e della persona. Ma lo scandalo forse non è tanto questo, quanto lo strabismo e l’amnesia che affliggono la politica
Nessuno ha visto, nessuno ricorda, che l’onorevole Barani non più tardi due anni fa è stato indicato dalla maggioranza come relatore della proposta di legge n. 404/2013 che prometteva di far tabula rasa di ogni discriminazione sessuale, omofobie comprese. Titolo: “Norme contro le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità  di genere”.
Viene presentata al Senato dall’onorevole Sergio Lo Giudice (Pd) e assegnata un anno dopo alla Commissione Giustizia di Palazzo Madama.
La discussione inizia il 29 aprile 2014. Nel suo iter colleziona ben 92 firme e diventa il testo principe in materia di diritti civili.
Anche Barani impreziosisce il testo aggiungendo il proprio nome il 15 maggio. La commissione apprezza e finisce per assegnare proprio a lui l’incarico di relatore del provvedimento che vola altissimo, scomodando la Dichiarazione Universale dei diritti umani adottata nel ’48 dalle Nazioni Unite e l’art. 3 della nostra Costituzione che al primo comma afferma la pari dignità  sociale di tutti i cittadini senza di distinzioni personali e sociali.
Certo, nessuno poteva sapere che il relatore di allora avrebbe esplicitato in modo tanto originale quei concetti con il linguaggio universale dei gesti. Barani, del resto, viene sostituito in corsa ad ottobre 2013 da un esponente del Pd (Rosaria Capacchione).
E non perchè qualcuno avuto da ridire sulla qualità  del relatore, ma perchè nel frattempo l’onorevole di Aulla era passato dal Pdl al gruppo Grandi Autonomie, facendo venir meno il meccanismo che assegna l’incarico ai banchi dell’opposizione nella speranza di far procedere velocemente il testo e portarlo in aula senza intoppi. Nel caso specifico, il tema delicato dei diritti Lgbt che il provvedimento andava a toccare.
Risultato (paradossale): due anni dopo il relatore viene sospeso e il testo è ancora lì in commissione, tra le cose dimenticate.

Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)

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CANONE RAI IN BOLLETTA? L’ENEL BOCCIA IL PIANO DI RENZI

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

“PROBLEMI SIA TECNICI CHE GIURIDICI, IL CONSUMATORE NON SAPREBBE PIU’ CHE COSA STA PAGANDO”… PROTESTANO ANCHE I CONSUMATORI: “E’ INCOSTITUZIONALE”

L’idea di inserire il canone Rai nella bolletta elettrica, rispolverata domenica da Matteo Renzi, incassa la bocciatura di Enel.
Patrizia Grieco, presidente del gruppo energetico, ha spiegato che “è difficile da molti punti di vista”, “tecnicamente, per i sistemi di fatturazione, e probabilmente anche dal punto di vista giuridico“.
Tutto considerato, “non so dire se questi problemi siano risolvibili o meno”, ha concluso la manager.
Ricordando poi che questa è anche la posizione di Assoeletterica, l’associazione che riunisce 200 produttori di elettricità . Società  che secondo il premier, che ha promesso contestualmente una riduzione dell’imposta da 113 a 100 euro, dovrebbero riscuotere il canone per conto dell’azienda pubblica riducendo così un’evasione che vale circa 600 milioni l’anno.
Lunedì Assolettrica ha definito “un gran pasticcio” l’inserimento in bolletta del canone spiegando che “il consumatore non saprebbe più che cosa sta pagando. E le imprese elettriche non riuscirebbero più a fare il loro mestiere”.
“Si tratta di una proposta che riemerge periodicamente e contro la quale Assoelettrica e tutte le altre associazioni del settore si sono sempre schierate”, ha ricordato il presidente Chicco Testa.
“Il mercato elettrico è completamente liberalizzato dal 2007: oggi l’elettricità  è venduta ai clienti finali da centinaia di operatori privati. La gestione del canone Rai da parte di questi soggetti privati risulterebbe estremamente complessa ed onerosa, tenendo conto anche del fatto che i clienti finali oggi possono cambiare fornitore, e anche più volte, nel corso dell’anno”.
Inoltre, “la proposta contrasta con il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione perchè tratta in modo identico situazioni oggettivamente diverse, equiparando di fatto le utenze elettriche con i soggetti che devono pagare il canone. Mentre gli intestatari di bollette elettriche non in possesso di apparecchi radiotelevisivi o di comunicazione sarebbero comunque sottoposti al pagamento del canone, i possessori di apparecchi che non sono anche intestatari delle bollette elettriche ne risulterebbero esentati”.
Il risultato sarebbe un “pressochè certo contenzioso costituzionale” che “potrebbe portare, in caso di dichiarazione di incostituzionalità , all’apertura di moltissimi giudizi civilistici/tributari per la restituzione delle somme indebitamente percepite, con inutile aggravio per il sistema giudiziario”.
Non solo: “Se un utente non paga il canone cosa succederebbe? Si potrebbero generare dei mancati abbinamenti tra fatture e pagamenti, con conseguente avvio di azioni di sollecito e distacco delle forniture per mancato pagamento di importi che nulla hanno a che vedere con la fornitura elettrica, con il rischio di incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio. Ne deriva che le società  di vendita non potrebbero interrompere il servizio di fornitura di energia elettrica, nè avrebbero titolo per perseguire tale cliente, vista la natura di imposta del canone Rai”.
Non per niente lo scorso anno, quando l’esecutivo ha proposto la stessa cosa, è stato lo stesso presidente dell’autorità  per l’energia Guido Bortoni a rilevare come una soluzione del genere sia “impropria”.
Lunedì sono arrivate critiche anche dalle associazioni consumatori e dai sindacati, che hanno annunciato ricorsi nel caso l’idea si concretizzasse.
Il Codacons ha sostenuto che “legare il canone Rai alla bolletta elettrica sarebbe un provvedimento illegittimo e incostituzionale e, in quanto tale, impugnabile nelle competenti sedi”.
In base a un regio decreto legge del 1938 l’imposta si applica solo a chi possiede un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano, spiega l’associazione, per cui “snaturare il canone vincolandone il pagamento a una bolletta sarebbe illegittimo, poichè non garantisce il verificarsi della condizione essenziale per il pagamento dell’imposta, ossia il possesso di un televisore o altro apparecchio atto a ricevere frequenze tv”.
Il presidente dell’associazione Carlo Rienzi ha definito l’inserimento in bolletta “una forma di violenza nei confronti degli utenti”.
Anche Massimiliano Dona, segretario dell’Unione Nazionale Consumatori, ha sottolineato che “è illegale senza una modifica, con legge ordinaria, del Regio decreto legge del 1938 che ha introdotto” il canone.
Infine la Cgil ha scritto in una nota che si tratta di “un modo improprio e discutibile per riscuotere il canone che andrà  ad incidere ulteriormente sul costo delle bollette elettriche, su cui le accise gravano già  per il 14%”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA MELONI CACCIA DA FDI CHI NON HA VOTATO PER LEI: MA NON VOLEVA ALLARGARE IL PARTITO?

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

LA NOVELLA EPURATRICE SEGUE IL CONSIGLIO DI CHI HA MANDATO I MARO’ A SCORTARE LE NAVI PRIVATE…. INTERVIENE ANCHE FINI

Il giorno dopo l’esito dell’assemblea della Fondazione AN che ha visto prevalere di misura l’asse Meloni-Gasparri-Matteoli-La Russa sui “quarantenni”, le polemiche tra gli schieramenti non si placano.
Il portavoce di “Prima l’Italia” Marco Cerreto denuncia che “è partita in queste ore un’incredibile manovra di commissariamento dei dirigenti territoriali di Fratelli d’Italia che hanno aderito o sostenuto la mozione dei quarantenni nell’assemblea della Fondazione di Alleanza Nazionale”.
Cerreto fa pure i nomi: ” Marcella Amadio è stata revocata come portavoce della federazione di Livorno (dove Fdi non ha nessun altro riferimento, al punto da essere costretta a nominare al suo posto il coordinatore regionale Torselli). Arturo Meo è stato commissariato alla federazione di Avellino e l’ing. Fulvio Campagnolo nella federazione di Caserta, dove era stato eletto appena un anno fa portavoce in un congresso unitario. L’On.le Luciano Schifone è stato rimosso dalla carica di vice coordinatore della Regione Campania.”
E conclude chiedendosi :   “E’ questo il tanto sbandierato allargamento che il partito di Giorgia Meloni si è impegnato a realizzare con la Fondazione di An ?”
O forse è l’esplicazione di quanto La Russa aveva annunciato al termine dell’assemblea: “Non faremo prigionieri”.
Oggi interviene anche Gianfranco Fini su Liberadestra: “«La verità  incontestabile e sotto gli occhi di tutti, anche di chi in malafede afferma il contrario, è che oggi c’è, tra chi votava An e quindi anche tra chi ne faceva parte, il desiderio di una politica di Destra molto diversa da quella di Giorgia Meloni».
Fini continua: “La questione è sempre la stessa, il confronto è tra chi vuole una destra aperta e autonoma nella sua specificità  culturale e chi la preferisce chiusa, autoreferenziale e di fatto subalterna oggi a Salvini come ieri a Berlusconi».
E aggiunge: “Quando An   indicò Giorgia Meloni quale vicepresidente della Camera e poi quale ministro, anche lei era convinta di ciò. Oggi ha cambiato opinione ed è lecito, ma non può pensare che tutti siano disposti a farlo in modo così disinvolto».
Fini conclude respingendo il «neo-nazionalismo egoista che ha bisogno di nemici, meglio ancora se occulti, da indicare come cause dei problemi italiani: l’euro, la dittatura di Bruxelles, gli immigrati invasori» .

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A OTTOBRE UNA “COSA ROSSA” A SINISTRA DEL PD: SEL, FASSINA ED EX M5S PRONTI A DARE IL VIA A GRUPPI PARLAMENTARI CONGIUNTI

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

GIA’ SI DISCUTE SU NOME E STRATEGIE… INCERTO CIVATI

Adesso una data c’è. Entro fine ottobre nascerà , alla Camera, il nuovo gruppo parlamentare della sinistra-sinistra. Ma ancora prima di nascere, il nuovo gruppo perde pezzi.
La fusione, annunciata mesi fa, avverrà  tra Sinistra ecologia e libertà , i fuoriusciti dal Pd tra cui Stefano Fassina e gli ex grillini.
La presenza dei parlamentari vicini a “Possibile”, al movimento cioè di Pippo Civati, è invece ancora in bilico, nonostante il percorso fosse iniziato insieme.
Le riunioni si susseguono. I nodi da sciogliere sono tanti e non mancano i primi distinguo, che annunciano un percorso in salita il cui approdo sarà  la presentazione di una lista alle elezioni amministrative. O forse no.
Su Milano potrebbe venir fuori già  il primo psicodramma. Ma anche a Cagliari, Napoli e Roma. E l’ostacolo è proprio questo. Ovvero, il nuovo soggetto politico deve ancora decidere come si comporterà  sui territori e quale sarà  il suo rapporto con il Pd.
A domanda precisa, se entrerà  o meno a far parte del nuovo gruppo parlamentare, Civati all’Huffington post risponde così: “Per ora faccio parte di Possibile. Per me i gruppi politici nascono se c’è una ragione politica anche fuori dal Palazzo. Per esempio sarei interessato a capire se questo nuovo gruppo si allea con il Pd o no. Io no!”.
Parole che lasciano capire tutta la complessità  dell’operazione.
A Milano, per esempio, non sanno chi candidare. O meglio: partecipare oppure no alle primarie del centrosinistra?
E nel caso vincesse il candidato renziano Emanuele Fiano: sostenerlo oppure no?
Nel caso questa aggregazione nascesse in “opposizione vera” al Pd, come chiede Civati, potrebbe essere proprio il leader di Possibile il candidato per palazzo Marino.
“Ma mi sembra assai improbabile – attacca Civati – che gli altri vogliano uscire realmente dal solco del Pd. Il problema non è fare un partito di sinistra a sinistra del Pd, ma un partito di governo. È questo che non capiscano”.
Intanto, un’altra discussione aperta è quella sulla scelta del nome da dare a questa nuova componente politica che da novembre dovrebbe avviare un percorso costituente per trasformarsi in partito.
C’è chi vuole la parola “sinistra”, chi quella “lavoro”, chi tutte e due e chi nè l’una nè l’altra. Per qualcuno, il nuovo soggetto politico dovrebbe essere un partito neo laburista che già  nel nome deve esprime il concetto del “lavoro, che in Italia non c’è”.
Altri invece, come Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel, dicono che non è affatto scontato che nel nome ci siano le parole “sinistra” e “lavoro”, perchè invece si potrebbe andare oltre.
La road map comunque è stata tracciata. Il nuovo gruppo dovrà  essere presente in Aula quando approderà  la legge di stabilità .
Sarà  questo il banco di prova, anche se già  i deputati alleati, come fa notare Fassina, lavorano insieme da tempo firmando emendamenti e proposte comuni.
A Palazzo Madama invece non è detto che si raggiunga il numero necessario per formare un nuovo gruppo parlamentare.
Ai senatori di Sel dovrebbero aggiungersi Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino, entrambi ex 5Stelle, ma non si arriverebbe al numero di dieci.
E se non ci sarà  la possibilità  di far nascere un gruppo autonomo, si creerà  una componente comune che resterà  nel gruppo Misto.
A novembre, invece, se tutto va bene, si butteranno le basi per un partito unico.
La sinistra-sinistra, quella che ha battagliato contro il Giglio magico fiorentino scegliendo alla fine un’altra strada, a questo punto dovrebbe decidere cosa fare alle amministrative. Se candidarsi e in che modo nel 2016, a quali elettori guardare e a come affermarsi sui territori.
“Ma neanche questo è detto che avvenga. Intanto pensiamo alle battaglie in Parlamento. Per il resto dobbiamo ancora vedere in quali città  essere presenti”, osserva Fratoianni.
A riprova che vale sempre, quando c’è di mezzo la sinistra, il motto di Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo”. Dunque, “la situazione è eccellente”?

(da “Huffingonpost”)

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RIFORMA SENATO: LA MAGGIORANZA SCENDE A 153

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

LE OPPOSIZIONI HANNO RINUNCIATO ALL’OSTRUZIONISMO, MA I 161 VOTI CHE RAPPRESENTEREBBERO LA MAGGIORANZA NON CI SONO PIU’, NONOSTANTE LE TRUPPE CAMMELLATE DI VERDINI

Dopo l’approvazione ieri dell’articolo 6 del ddl Boschi sale di nuovo la tensione a Palazzo Madama tra maggioranza e opposizione.
In tarda mattinata è stato approvato l’art.7, quello relativo ai titoli di ammissione dei componenti del Senato. La norma è passata con 166 sì, 56 no e 5 astenuti. Un’approvazione in tempi rapidi grazie alla decisione di Lega e Forza Italia di ritirare tutti gli emendamenti in cambio della disponibilità  del governo ad affrontare nel merito punti più caldi della riforma come, ad esempio, l’art.10.
Il Senato ha iniziato l’esame dell’articolo 10 sul procedimento legislativo, dato che gli articoli 8 e 9 sono stati approvati dalla Camera senza modifiche rispetto alla prima lettura di Palazzo Madama.
Il presidente Pietro Grasso ha sospeso la seduta per consentire contatti fra i gruppi e anche l’esame delle ammissibilità . Ha poi ammesso tre scrutini segreti (di cui uno parziale) su tre emendamenti: due di Roberto Calderoli (Lega) sulle minoranze linguistiche e uno di Giovanni Endrizzi (M5s) su minoranze linguistiche e rapporti civili ed etico-civili.
Alla prima votazione ha tenuto la maggioranza: 169 voti contrari, 106 favorevoli e un astenuto. La maggioranza tiene anche sul voto su un emendamento della minoranza Pd – poi ritirato, ma fatto proprio dai 5 Stelle – ma scende a quota 154 con 113 sì e 3 astenuti. L’emendamento mirava a modificare la funzione legislativa del Senato, riattribuendo alla Camera della autonomie più competenze.
A fronte della posizione assunta dal governo le opposizioni avevano rivolto un “ultimo appello” all’esecutivo e alla maggioranza per aprire un confronto e un dialogo su alcune modifiche da apportare al testo del ddl riforme.
La seduta è stata sospesa alle 13,30. Doveva riprendere alle 15 ma è stata ritardata di un’ora su richiesta delle opposizioni, i cui capigruppo di sono riuniti per trovare una linea comune da tenere rispetto al dibattito sul testo Boschi.
In un primo momento si pensava a un Aventino, ossia a un’uscita dall’aula dell’opposizione ma la decisione è poi virata su un’azione di “resistenza passiva”: “Non faremo ostruzionismo ma resistenza passiva, non prenderemo la parola se non in dichiarazioni di voto sull’articolo 10. In questo modo simboleggiamo il fatto di ritrovarci ostaggi della maggioranza”.
Alla ripresa delle votazioni la maggioranza supera il primo voto segreto ma scende ancora e perde altri voti: per la prima volta arriva a quota 153 il numero dei senatori contrari all’emendamento del leghista Roberto Calderoli sulle minoranze linguistiche. I voti a favore sono stati 131, gli astenuti 3. La differenza è di soli 25 voti.

(da “La Repubblica”)

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VERDINI, IL CASELLARIO GIUDIZIARIO DEL MOSTRO DI LOCH NESS: IMPUTAZIONI PER TUTTI I GUSTI

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

CINQUE PROCESSI E UNO IN ARRIVO: ORA LA STAMPELLA DI RENZI E’ DIVENTATO UNA RISORSA DELLA REPUBBLICA

Pieno sostegno alle riforme del governo Renzi, soprattutto a quella che verrà  subito dopo aver riscritto la Costituzione: la giustizia.
Necessaria “per interrompere la deriva mediatico-giudiziaria”, ovviamente. Parola di Denis Verdini. E lui di giustizia se ne intende.
Ha cinque rinvii a giudizio e un sesto potrebbe raggiungerlo il 26 novembre.
I reati sono da fuoriclasse. Dal concorso in corruzione all’associazione a delinquere, dalla bancarotta semplice e fraudolenta alla truffa semplice e aggravata e pure ai danni dello Stato.
Il senatore della Repubblica da oggi a causa della giustizia dovrà  rinunciare a qualche pranzo con l’amico Luca Lotti e dovrà  disertare il bar dove avrebbe reclutato la pattuglia dei responsabili renziani perchè la sua agenda è fitta di appuntamenti nei tribunali. In particolare quelli di Roma e Firenze.
Anche se, con ogni probabilità , Verdini farà  tesoro degli insegnamenti del suo ex leader di riferimento e ricorrerà  al legittimo impedimento.
1. Oggi atteso all’udienza per la loggia P3    
Oggi è atteso alla sbarra degli imputati in piazzale Clodio per l’udienza relativa alla P3, con l’accusa di corruzione insieme a Marcello Dell’Utri, Nicola Cosentino e altri vecchi amici.
Il gruppetto, secondo i pm, aveva dato via a una “associazione segreta” che aveva “come obiettivo” la realizzazione “di una serie indeterminata di delitti di corruzione, di abuso d’ufficio e di illecito finanziamento” oltre “a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonchè gli apparati della Pubblica amministrazione dello Stato e di enti locali”.
Il gup Cinzia Parasporo ha accolto la richiesta del pubblico ministero Roberto Felici. Il procedimento è già  costato in primo grado, nell’ottobre 2012, la condanna a 3 anni e otto mesi di reclusione per alcuni imputati: Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e a Fabio de Santis, ex provveditore delle opere pubbliche della Toscana; a 2 anni e 8 mesi all’imprenditore Francesco Maria de Vito Piscicelli e a due anni il costruttore Riccardo Fusi.
La posizione di Verdini è stata lasciata indietro dalla procura perchè i colleghi parlamentari hanno impiegato due anni per deliberare l’autorizzazione a procedere.
2. I soldi presi in nero     “Ma è normalissimo”  
Il 13 ottobre la presenza di Verdini è richiesta a Firenze: si celebra l’udienza per bancarotta preferenziale delle società  edili di Ignazio Arnone, un costruttore siciliano emigrato a Campi Bisenzio che, secondo l’accusa, avrebbero messo in atto una triangolazione di denaro fittizia con la banca Credito Cooperativo Fiorentino guidata da Verdini.
Un procedimento marginale rispetto agli altri, ma il senatore in un’intervista a Report ha ammesso di aver ricevuto 800 mila euro in nero da Arnone per poi giustificarsi: “Ma è una cosa normalissima, si fa così nella vita”.
3. Le Grandi opere e la nomina di De Santis    
Dopo appena una settimana, il 21 ottobre, Verdini deve presentarsi di nuovo a Roma, questa volta per lo stralcio dell’inchiesta Grandi eventi per la quale è stato rinviato a giudizio con l’accusa di corruzione in merito alle pressioni che avrebbe compiuto per nominare Fabio De Santis, provveditore delle opere pubbliche per Toscana, Umbria e Marche.
4. La bancarotta del Credito cooperativo    
Il giorno dopo, giovedì 22 ottobre, Verdini dovrà  tornare in tribunale, a Firenze, per due procedimenti differenti che sono stati accorpati: il Credito cooperativo fiorentino e i fondi all’editoria ricevuti dalla società  editoriale Ste, entrambi gestiti da Verdini.
Il rinvio a giudizio emesso dal gup Fabio Frangini nel luglio 2014 è per i reati di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato.
E questo è un processo piuttosto complesso per Verdini che ha guidato la banca fino al 2010 ed è poi fallita.
Secondo l’accusa, le casse dell’istituto di credito sono state usate per elargire crediti milionari senza “garanzie” a “persone ritenute vicine” a Verdini, tra cui Marcello Dell’Utri, per un importo complessivo “di circa 100 milioni di euro” sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Ros di Firenze, nel corso delle indagini i componenti del consiglio di amministrazione della banca “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”.
In sintesi,secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”.
5. La truffa allo Stato da 20 milioni di euro    
Dal Credito cooperativo passavano anche i fondi per l’editoria che lo Stato ha versato alla Società  toscana editrice sempre di Verdini: 20 milioni di euro.
E da qui il rinvio a giudizio per truffa ai danni dello Stato per il senatore e per il suo socio, nonchè parlamentare responsabile renziano, Massimo Parisi, anche lui passato per Pdl e Forza Italia. Secondo l’accusa, i fondi sono stati percepiti illegalmente.
A Parisi e Verdini per questo procedimento nel luglio 2013 sono stati sequestrati beni per 12 milioni di euro.
Il processo sarà  piuttosto impegnativo per Verdini. Il giudice ha fissato un calendario fittissimo: da novembre sei udienze dal mese. Poi ci sono le udienze degli altri tre processi già  citati e, infine, l’ultimo che si aprirà  a Roma il prossimo anno per la compravendita di un immobile in via della Stamperia nella capitale.
Verdini è stato rinviato a giudizio per finanziamento illecito i nsieme a un altro ex Forza Italia e neoresponsabile Riccardo Conti.
Quest’ultimo avrebbe creato una plusvalenza di quasi 20 milioni di euro attraverso la compravendita del palazzo alle spalle della fontana di Trevi e poi “girato” un milione a Verdini.
E con questo finiscono i rinvii a giudizio ricevuti dal padre costituente.
Ma un sesto potrebbe arrivare il 26 novembre per il fallimento della Ste.
Di nuovo a Firenze. Il problema, però, è ovviamente la “deriva mediatico- giudiziaria”.

Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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L’ITALIA PRONTA A BOMBARDARE L’ISIS: TORNADO IN AZIONE IN IRAQ

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

CAMBIANO LE REGOLE DI INGAGGIO DELLA NOSTRA PARTECIPAZIONE ALLA COALIZIONE…. LA DIFESA: “IPOTESI DA VALUTARE”

I Tornado italiani che partecipano alla coalizione occidentale contro l’Isis avranno nelle prossime ore l’incarico di svolgere missioni di bombardamento nelle zone dell’Iraq selezionate di comune accordo con il comando americano.
La presenza dell’Italia nella coalizione compie così un salto di qualità  che il Corriere aveva auspicato il 9 e poi ancora il 28 settembre scorsi, ritenendo che il nostro Paese dovesse assumersi responsabilità  maggiori della semplice ricognizione in quella che è ormai una guerra in piena regola contro i tagliagole dell’Isis.
La decisione iniziale di partecipare alla coalizione è di poco meno di un anno fa. Quattro Tornado del Sesto stormo di Ghedi furono inviati in una base aerea sita in Kuwait, al pari di un aereo-cisterna KC767 e di alcuni droni Predator privi di armamento.
Tra piloti e personale di supporto l’impegno fu allora di 140 uomini, ma non erano soltanto le missioni di ricognizione aerea a caratterizzare il ruolo italiano.
Una consistente quantità  di armi fu fornita ai Peshmerga curdi che dopo la caduta di Mosul e la proclamazione del Califfato erano state le uniche forze di terra ad affrontare efficacemente l’Isis, e partì un programma di addestramento molto apprezzato e tuttora in corso.
La portata della partecipazione italiana cambia ora radicalmente con il via ai bombardamenti.
I Tornado, configurati inizialmente per la ricognizione e la «illuminazione» degli obbiettivi, assumeranno le loro piene caratteristiche di cacciabombardieri e dunque colpiranno direttamente i bersagli individuati in base alle nuove regole di ingaggio. Come fanno peraltro, in Iraq, gli aerei di Paesi ben più piccoli del nostro.
Fino a nuovo ordine continueranno invece a non bombardare i tedeschi.
Molto importante nella decisione italiana è stata la distinzione tra Iraq e Siria, dove, nello schieramento europeo, ha di recente cominciato a bombardare la Francia mentre la Gran Bretagna attende il fuoco verde del Parlamento.
Si tratta in effetti di una differenza fondamentale: il governo iracheno ci ha chiesto di intervenire e anche di bombardare, mentre il governo siriano, piaccia o non piaccia, ha rivolto questa richiesta soltanto alla Russia.
La distinzione ha un valore legale che l’Italia non ha ritenuto di ignorare.
E a ciò si aggiungono le dichiarazioni rilasciate in margine all’Assemblea dell’Onu dal presidente del Consiglio Renzi (che domani sarà  in visita in Libano) fortemente critiche rispetto a un intervento in Siria che a suo avviso non avvicinerebbe una credibile soluzione.
Le esigenze militari sono invece chiarissime in Iraq, se si considera che le forze dell’Isis occupano tutta l’area dell’ex confine con la Siria e sono presenti nella provincia di Anbar, non lontano dalla capitale Bagdad.
Il nuovo impegno italiano sarà  certamente bene accolto dal Segretario alla difesa statunitense Ashton Carter, che giunge oggi in visita prima a Sigonella e poi a Roma dove sarà  ricevuto anche dal presidente della Repubblica.
Meno certo appare il consenso di alcune forze politiche, ma non è detto che per attuare le nuove regole di ingaggio dei nostri Tornado si renda necessario un voto in Parlamento.

Franco Venturini
(da “il Corriere della Sera”)

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FUMATA NERA NELL’INCONTRO BERLUSCONI-SALVINI: NON E’ PIU’ AMORE A PRIMA SVISTA

Ottobre 6th, 2015 Riccardo Fucile

TRA DON COSCIOTTE E SANZO PANZA NON C’E’ INTESA NEANCHE SUL CANDIDATO SINDACO DI MILANO

La notizia è arrivata con quasi 24 ore di ritardo.
Il tanto atteso – e molte volte rinviato – incontro tra Berlusconi e Salvini è avvenuto domenica sera a Milano, a Villa San Martino.
Ma, fanno sapere fonti parlamentari, si è trattato soltanto di una tappa interlocutoria in vista di un’intesa più generale. Un modo edulcorato per far trasparire il fallimento del faccia a faccia. Nulla di risolutivo, quindi.
Il leader di Forza Italia e il segretario della Lega Nord – entrambi rossoneri – si sono visti peraltro subito dopo il disastro casalingo del Milan, fattore che probabilmente non ha contribuito al successo del vertice.
Berlusconi e Salvini hanno affrontato la questione delle candidature per la guida di capoluoghi importanti come Milano, Bologna e Napoli.
Ma non c’è stato alcun passo avanti, neppure sulla spinosissima questione del sindaco di Milano.
Berlusconi continua a puntare su un forzista, provando a scongiurare il bis leghista in città  (c’è già  Maroni al Pirellone). Ma il Carroccio sarebbe disposto a cedere solo per Paolo Del Debbio. Conduttore Mediaset che però non ne vuole proprio saperne di rinunciare alla sua attuale professione.
Non è escluso, peraltro, che Salvini decida di giocare la partita di Palazzo Marino in prima persona.
Ai rapporti Berlusconi-Salvini d’altra parte non contribuisce neppure la nuova tensione in casa leghista tra il leader del partito e il governatore Maroni, più vicino all’ex Cavaliere e più disposto – anche sul piano politico nazionale – ad alleanze con i centristi alfaniani.
Ipotesi per ora perentoriamente esclusa da Salvini.

(da “La Repubblica”)

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